Vigili in piazza Bra
Lo spiega bene il bel articolo di Silvino Gonzato, giornalista de L’Arena. Una volta il «cana» ( il vigile) stava con la gente e non era un esattore. “I cana fanno festa. Viva i cana» scrive la Olga”. «Io e il mio Gino siamo vecchi abbastanza per ricordarci di quando il cittadino aveva ben altra considerazione per il cana.
Il quale multava con parsimonia (non perché c’erano meno auto e meno strade, ma perché non era ancora stato trasformato dall’ingordigia dei comuni in una specie di esattore che deve far cassa), si mostrava gentile e disponibile, passava con pedalata lenta e autorevole per il quartiere in sella al suo rochetòn di bicicletta e si fermava in piazza a parlare con la gente, entrava nel bar per bere il bianco che gli veniva offerto da qualche avventore, ascoltava le lamentele sulla viabilità, sulle troppe buche nell’asfalto, sul tale che aveva due mogli e le picchiava tutte e due, e lui prendeva mentalmente nota come se potesse farci qualcosa».
«Più avanti c’era un altro bar in cui non entrava mai perché c’era un pappagallo cui avevano insegnato a dire “El cana l’è un fiòl de na puttana” ma solo perché la rima veniva bene.
A Porta Vescovo, in Bra e in tutti gli incroci importanti non c’erano ancora i semafori ma una pedana circolare, del tipo di quelle che si usavano nei circhi per farci salire i leoni, sulla quale montava il cana per dirigere il traffico con i guanti bianchi e il fischietto in bocca.
Con la nebbia non lo si vedeva ma lo si sentiva soltanto.
Una volta una filovia gli ha stirato le braghe, ma non ha fatto apposta.
La gente, che d’inverno andava via gobba per il freddo (erano altri inverni), vedeva qualcosa di eroico nel cana che se ne stava là in mezzo, impeccabile a muovere le braccia secondo la regolamentare gestualità, cosicché il giorno dell’Epifania gli andava a depositare amorevolmente attorno alla pedana i pandori avanzati a Natale, ma anche codeghini, pastafrolle, bagigi e bottiglie di recioto».
«Non erano solo per lui ma per tutti i cana, compresi quelli che lavoravano in ufficio, che poi si dividevano gli omaggi. Il mio Gino, che allora era molto giovane, ricorda che sua madre gli diede da portare una pentola con la pearà che depositò con deferenza ai piedi della pedana, che lui chiamava barilotto».
«Oggi il rapporto con i cana è cambiato. Non per colpa loro né della gente ma degli assessori che ne hanno fatto dei cacciatori di multe, mentre dovrebbero invece tornare tra la gente senza l’odioso blocchetto, a presidiare il quartiere e a rassicurarci con la loro presenza. Viva i cana, dunque, ma quelli di una volta».
Fonte: srs di Silvino Gonzato /L’Arena di Verona del 06/10/2007