Seduti: La catona con El Barca suo marito. Dietro il figlio Benvenuti con la moglie Maria e le loro figlie Ines e Corina (foto riproduzione di Lino Benedetti)
In Lessinia a dedicarsi al contrabbando, una fiorente attività che procurò più di qualche morto sia da una parte che dall’altra, non erano solo gli uomini, ma anche alcune donne, come -La Catona-, Catterina Lavarini dai Tommasi, dove era nata nel 1870. La quale, compiuti i 21 anni, convolò a giuste nozze con Giacomo Giacopuzzi, detto -el Barca-, della casata degli Ostiei, di 12 anni più grande, morto in stalla, nella greppia, nel 1933. Misero al mondo 9 figli, di cui 7 femmine, compresa la quartogenita deceduta in tenera età.
Chi ha conosciuto la Catona, la descrive come –Na dona grande e grossa, allegra, scherzosa, scaltra, con na bona léngoa e corajo da vendar-. Lei lo zucchero ed altra merce di contrabbando, non lo portava sulla groppa, ma lo nascondeva –soto le còtole, en meso a le gambe-. Quando un giorno disse ai finanzieri dove lo teneva, non le credettero.
Andava fino alla Sega di Ala, appena al di là del confine, a rifornirsi. La consegna avveniva la domenica mattina a Sanr’ Anna in un locale dell’ Albergo Làiti. Col carretto, trainato da “La Rossa”, la sua mula, raggiungeva anche la Valdadige per rifornirsi di merce di contrabbando.
Una sera, anche se ormai era buio pesto, per risparmIare, non aveva ancora accesa la lanterna ad olio, obbligatoria per spostarsi di notte. All’alt di un tutore dell’ordine, si fermò. Le venne contestata l’infrazione. Non doveva essere la prima volta se l’uomo in divisa, così la apostrofò: –Signora, staolta no la poi mia dir che no l’è al tort-. La risposta de la Catona fu lapidaria: –Sior, el sarà lu al toro. Si vergogni-. Su questo equivoco fu lasciata andare.
Malgrado i molteplici sotterfugi, non sempre la passò liscia, qualche volta finì in Tribunale. La sua difesa, unita a quella dell’ avvocato, si dimostrò spesso vincente. Stava per essere condannata, quando il suo avvocato prese la parola dicendo: –Ha allevato otto figli, ha il marito malato, cosa pensavate che potesse fare per campare?-”. E fu assolta.
Una volta portò in Tribunale due delle sei figlie, le quali, ad un segno convenuto, scoppiarono in un pianto dirotto. Ebbe l’assoluzione perchè l’uomo di legge, mosso a compassione, sentenziò che: –vale più il pianto delle donne, che cento parole di un avvocato-”.
Scherzando con i suoi “colleghi” maschi, soleva ripetere: –Se me la vedo bruta, mi ghe la dào-. Andava anche dicendo che: –A le done so cossa dirghe; ai òmeni so cassa darghe-.
Un giorno che un finanziere voleva sequestrarle un fiasco per analizzarne il contenuto, dopo una tira e molla, glielo ruppe in testa inzuppandolo di grappa dal capo ai piedi. Forse fu per questo suo gesto sconsiderato che la Catona finì per qualche giorno in caserma.
Faceva molto freddo in camera di sicurezza e le si congelarono alcune dita delle mani. Fu necessario amputargliele.
Dopo la morte del marito, con la mamma de l’Adele da Cona (Pasqua Cipriani di quattro anni più grande), attraversò l’oceano per raggiungere due figli ed una figlia a Los Angeles. Non riuscì tuttavia ad adattarsi alle realtà del nuovo mondo. La differenza con le tranquille località lasciate ai piedi del Corno d’Aquilio, alle quali troppi ricordi la legavano, era abissale. Il passaporto per il ritorno a casa era già pronto. Non fece tempo a servirsene. Morì di nostalgia nella lontana California sognando albe e tramonti lessinici.
Fonte: estratto da srs Lino Benedetti/La Lessinia ieri oggi domani n° 29, 2006