Siamo a cavallo degli anni ’39, in piena guerra dei Farrapos.
Garibaldi ha perso parte dei sui uomini in seguito al naufragio del Rio Pardo. Annegano sedici dei trenta componenti dell’equipaggio, tra cui gli amici Mutru e Carniglia; il nizzardo è l’unico italiano superstite.
È un duro colpo che lui tenta di superare, gettandosi con più vigore nelle sue lotte.
A Laguna ricostruisce la sua piccola flotta e assume il comando dell’ Itaparica. Ma il suo spirito non è dei più felici.
Nelle sue Memorie descrive, nel ricordo di quei giorni, uno degli episodi più importanti, ma nello stesso tempo più misteriosi della sua vita: l’incontro con Anita
“(…) Infine, avevo bisogno d’un essere umano che mi amasse, subito! Averlo vicino; senza di cui, insopportabile mi diventava l’esistenza. (…)
Una donna! Sì una donna! Giacchè sempre la considerai la più perfetta delle creature!
E checchè ne dicano, infinitamente più facile di trovare un cuore amante fra esse.
Io passeggiavo sul cassero della Itaparica, raavvolgendo mei nei miei tetri pensieri; e dopo ragionamenti d’ogni specie, conchiusi finalmente di cercarmi una donna per trarmi da una noiosa ed insopportabile condizione.
Gettai a caso, lo sguardo verso le abitazioni della Barra, così si chiamava una collina piuttosto alta, all ‘entrata della Laguna, nella parte meridionale, e sulla quale scorgevansi alcune semplici e pittoresche abitazioni.
Là, coll’ajuto del cannocchiale che abitualmente tenevo alla mano quando sul cassero d’una nave, scopersi una giovine.
Ordinai mi trasportassero in terra nella direzione di lei. Sbarcai; ed avviandomi verso le case ove dovea trovarsi l’oggetto del mio viaggio, non mi era possibile rinvenirlo: quando m’incontrai con un individuo del luogo, che avevo conosciuto ai primi momenti dell’arrivo nostro. Egli invitommi a prender caffé nella di lui casa.
Entrammo; e la prima persona che s’affacciò al mio sguardo era quella il di cui aspetto mi aveva fatto sbarcare.
Era Anita!
La madre dei miei figli!
La compagna della mia vita, nella buona e cattiva fortuna!
La donna, il di cui coraggio io mi sono desiderato tante volte!
Restammo entrambi estatici, e silenziosi, guardandoci reciprocamente, come due persone che non si vedono per la prima volta, e che cercano nei lineamenti l’una dell’altra qualche cosa che agevoli una reminiscenza.
La salutai finalmente, e le dissi: “tu devi esser mia”.
Parlavo poco il portoghese, ed articolai le proterve parole in italiano.
Comunque, io fui magnetico nella mia insolenza.
Avevo stretto un nodo, sancito una sentenza, che la sola morte poteva infrangere!.. lo avevo incontrato un proibito tesoro, ma pure un tesoro di gran prezzo!
Se vi fu colpa, io l’ebbi intiera!
E… vi fu colpa!
Sì!… si l’annodavano due cuori con amore immenso, e s’infrangeva l’esistenza d’un innocente!…
Essa è morta!
Io infelice!
E lui vendicato…
Sì! Vendicato!
Io, conobbi il gran male che feci, il dì, in cui sperando ancora di rivederla in vita io, stringeva il polso d’un cadavere: e piangevo il pianto della disperazione!
Io, errai grandemente ed errai solo!”
Si tratta di un episodio – e di una narrazione – di fondamentale importanza
È infatti il solo caso in cui si assuma, nelle sue Memorie, la responsabilità piena di un misfatto, che però è riluttante a descrivere fino in fondo.
Cosa è successo quel giorno al calzolaio Manuel Duarte de Aguiar, con cui era sposata giovanissima Anita?
Aninha Maria de Jesus Ribeiro, (poi detta Anita) era nata nel 1821 a Merinhos, nella provincia di Santa Caterina, figlia di Bento Ribciro da Silva e di MariaAntonia de Jesùs. Era quasi certamente una creola.
Aveva sposato il 30 agosto 1835 Manuel Duarte de Aguiar, che era molto più anziano di lei.
In realtà anche Garibaldi aveva 14 anni di più.
Ci è stata descritta come una donna “alta di statura, robusta, con seni lunghi e turgidi, viso ovale un po’ lentigginoso, grandi occhi neri, capelli neri sciolti
(Alfonso Alfonso Scirocco, op.cit., pago 80).
La fortuna non viaggiava certo dalle loro parti, il Bento trasferitosi a Lagina moriva poco dopo, seguito dai sui tre figli maschi, lasciando in una catapecchia, la moglie Maria Antonia de Jesùs, con tre femmine: Manuela, Felicidad e Anita e dove ogni giorno c’era da risolvere il problema del pranzo e della cena. La loro abitazione venne chiamata: “La casa de las tres ninas “, la casa delle tre ragazze.
Anita era la più bella, ma anche quella dal carattere più riottoso e difficile.
Respinse un buon partito, il maggiore Juan Conçalves Padilha, e sposò Duarte, calzolaio squattrinato.
Forse il povero Duarte si limitava a badare solo alla sua modesta bottega, e come sembra più probabile anche sulla base di quanto ha scritto lo stesso Garibaldi sarebbe stato proprio il Duarte ad averlo amichevolmente e imprudentemente invitato a casa propria.
In quest ‘ultimo probabile caso, il povero Duarte si sarebbe propiziato la fine della sua esistenza terrena, perchè da quel giorno se ne persero le tracce terrene.
Del Boca ha scritto che “probabilmente, per conquistare il cuore di Anita è stato necessario ammazzarle lo sposo. Il povero calzolaio protestò? Tentò di reagire? Cercò aiuto per affrontare il rivale? Non lo videro più in paese e le ricerche non ebbero esito. Scomparso.
Anita seguì Garibaldi sul battello e vissero come marito e moglie”.
(Lorenzo Del Boca, Maledetti Savoia, op.cit., pago 48).
Sulla sua scomparsa storici e biografi riuscirono a creare tante di quelle versioni da far invidia alla mitologia antica.
Secondo Anita Garibaldi (lontana pronipote, per comprensibili ragioni molto benevola nei confronti dell’omonima antenata e del Generale), il Duarte sarebbe addirittura diventato un eroe dell’esercito imperiale.
Una leggenda patriottica ha in seguito indicato il Duarte come un codardo combattente dalla parte dei brasiliani (biechi e reazionari e per ciò stesso implicitamente meritevole di corna o di perdere la moglie).
Una versione sostiene invece che il povero Duarte fosse addirittura dalla parte di Garibaldi e che giacesse ferito in una sorta di ospedale militare.
Un’altra ancora dice che sarebbe stato Garibaldi, commosso dalle lacrime di Anita, a trasportare il malato nell’ospedale dove sarebbe morto da lì a pochi giorni.
I biografi più “politically correct” sostengono che il Duarte sarebbe morto anni dopo, permettendo ai due amanti, che nel frattempo vivevano a Montevideo di regolarizzare la loro posizione con un matrimonio religioso.
Un’ altra versione sostiene che il Duarte sarebbe morto, sempre da lì a poco di crepacuore, anche a causa delle ferite infertegli da Garibaldi o da suoi complici (Antonio Pagano, “Giuseppe Garibaldi. Il responsabile della questione meridionale”, Due Sicilie, Anno IX, n. 2, 2004, pago II).
Questa sembra essere la versione accettata dagli storici più liberi, sulla base delle memorie garibaldine e su una serie di precedenti comportamentali di Garibaldi e dei suoi soldati che erano abituati a fare i propri comodi con arroganza e violenza.
Ad avvalorare la tesi del delitto viene anche il fatto che nel 1842, quando Garibaldi per poter sposare in chiesa Anita dovrà dimostrare che il Duarte fosse effettivamente morto e non impegnato a fare guerra: giurerà di conoscere con esattezza il luogo dove il Duarte era sepolto.
Come faceva a sapere che fosse morto di sicuro?
Come poteva conoscere con precisione il luogo della sua sepoltura?
(Cfr. Indro Montanelli e Marco Nozza, op.cit., pago 116). .
A sigillare il tutto ci pensò lo stesso Garibaldi.
“Tanti anni dopo, quando Alexandre Dumas lesse questo passaggio, tuttora manoscritto e smozzicato, delle Memorie, fece rilevare a Garibaldi che non gli sembrava abbastanza chiaro e circostanziato.
E Garibaldi rispose con un sospiro:
“Bisogna che resti così “.
Le cose infatti si erano svolte in maniera assai diversa”
(Indro Montanelli e Marco Nozza, op.cit., pago 105).
Fonte: liberamente tratto da srs di Gilberto Oneto