Feb 28 2009

La super colla dei romani

Category: Archeologia e paleontologia,Storia e dintornigiorgio @ 13:20

 

I guerrieri romani riparavano i propri accessori di battaglia con una supercolla che conserva ancora le sue proprietà adesive a distanza di 2000 anni, secondo quanto scoperto al Rheinischen Landes Museum di Bonn, Germania. 

Nella mostra, Behind the St1ver Mask, aperta fino al 16 Febbraio 2008, è possibile vedere le prove di questo antico adesivo usato per montare foglie di alloro in argento sugli elmi dei legionari. 

Frank Willer, direttore del restauro del museo, ha trovato le tracce di questa supercolla mentre esaminava un elmo dissotterrato nel 1986 nei pressi della città tedesca di Xanten, in quello che una volta era il letto del fiume Reno. L’elmo, che risale al I secolo a. C. è stato affidato al museo per il restauro. 

Ho scoperto la colla per caso, mentre rimuovevo un piccolo campione del metallo con una minuscola sega. 

Il calore prodotto dallo strumento fece staccare le foglie d’argento dell’elmo, rivelando tracce della colla» ha spiegato Willer, stupito che, nonostante la lunga esposizione agli elementi, la supercolla non avesse perso le sue proprietà. 

Altri accessori per la battaglia conservati nel museo mostrano tracce di decorazioni d’argento molto probabilmente incollate al metallo tramite lo stesso adesivo. 

Sfortunatamente gli oggetti sono troppo deteriorati perché sia possibile rinvenire tracce della supercolla. 

Tuttavia, l’elmo trovato a Xanten presenta una quantità del materiale sufficiente a stabilire le modalità di utilizzo dell’adesivo. 

«Secondo le analisi, la colla dei Romani era fatta di bitume, resina e grasso animale» ha fatto sapere Willer a conferma di alcuni studi condotti dai ricercatori della University of Bradford e Liverpool (Gran Bretagna) negli anni ’90. 

Finora i ricercatori tedeschi non sono riusciti a ricreare la supercolla. 

Sempre secondo quanto comunicato da Willer, alla colla «veniva probabilmente aggiunto qualche tipo di materiale inorganico come la fuliggine o la sabbia di quarzo per renderla più resistente». .

 

Fonte: Hera  n° 97 febbraio 2008


Feb 28 2009

La Biblioteca di Alessandria d’Egitto

 

La Biblioteca di Alessandria era non solo una delle glorie dell’antico Egitto, ma si può dire di tutto il Mediterraneo e  del mondo antico.  Storicamente, si può collocare la sua fondazione all’inizio del III Secolo a.C.; voluta da Tolomeo I Sotere con l’idea di custodire l’intero scibile umano

Tolomeo I,  grande cultore delle arti letterarie, intuì quanto fosse importante preservare tutto il sapere dell’umanità, non solo per metterlo a  disposizione dei dotti, ma al fine di tramandarlo ai posteri. Possiamo comprendere quanto fosse difficile l’idea del sovrano. In quel periodo la conservazione dei testi era per lo più affidata a scribi, sacerdoti o a pochi  privati; la diffusione dei testi era molto limitata anche a causa del costo proibitivo di tavolette, papiro e pergamene. 

Il primo a concepire l’idea di una trasmissione dei testi sotto forma di raccolta fu Aristotele, che  tramandò la sua opera letteraria ai propri allievi, tra i quali  vi era Teofrasto, a sua volta amico di Demetrio Falereo.

Per dare vita alla proprio progetto, Tolomeo si avvalse proprio della collaborazione dell’ illustre letterato dell’epoca, il greco Demetrio Falereo che, fuggito da Atene, si era rifugiato  ad Alessandria presso i Tolomei.   La Biblioteca di Alessandria fu pertanto concepita  sul modello di quella  aristotelica, cioè sulla raccolta sistematica dei testi che venivano in seguito messi a disposizione di un più vasto pubblico.

Realizzata nei dieci anni in cui Demetrio Falereo restò nella città,  venne impostata  su due importanti istituzioni: la Biblioteca ed il Museo. Essa si trovava all’interno del palazzo imperiale, che occupava almeno un quarto della città di Alessandria.

La Biblioteca ed il Museo furono costruiti molto vicini l’una all’altro, i testi venivano materialmente raccolti nella Biblioteca, mentre nel Museo venivano redatte le rispettive relazioni critiche; lo scopo iniziale era quello di raccogliere i soli testi greci, ma ben presto la collezione si arricchì di opere che spaziavano in ogni campo e che provenivano da ogni parte del mondo. In virtù della sua enorme popolarità la Biblioteca venne ingrandita, fino ad avere dieci enormi sale e, altre salette più piccole, riservate agli studiosi.

Non solo per la Biblioteca si ricercavano i libri in tutte le città del mondo allora conosciuto, in gara con le altre biblioteche dell’ecumene greca, tra cui quella di Atene del Liceo aristotelico e quella di Pergamo, ma se ne studiavano i testi e si compilavano, attraverso il loro confronto, i commenti e le edizioni critiche.

Si dava la caccia alle edizioni rare e si copiavano le opere ancora mancanti dei grandi filosofi, astronomi, matematici, filologi, grammatici, ecc.  Tutti i libri in possesso delle navi, in transito da Alessandria, erano vagliati e, se non erano presenti  nella Biblioteca, venivano copiati. Questi erano catalogati come «libri delle navi”.

Zenodoto di Efeso fu il primo bibliotecario; il poeta Callimaco che gli successe pose in atto il catalogo, un’opera necessaria per poter consultare i quattrocentomila rotoli di papiro, il cui numero era in continua crescita.  Il terzo bibliotecario fu Eratostene, uno scienziato, poeta e critico letterario, che elaborò la carta geografica della terra abitata e preparò una cronologia universale.

Divenne in breve tappa obbligata per tutti gli studiosi dell’antichità: la frequentarono assiduamente Euclide, il padre della geometria, Aristarco di Samo ed Erone di Alessandria.

Giunta al massimo del proprio splendore accadde però l’imprevedibile. 

Nel 47 a.C., i romani di Giulio Cesare incendiarono una delle sezioni della Biblioteca trasformando in cenere circa quarantamila rotoli; seguirono gli incendi ad opera di Zenobia, sovrana di Paimyra, di Diocleziano nel 295 d.C., fino alla completa distruzione da parte del Generale Amr Ibnel-as, agli ordini del Califfo Omar I.

Ma la tradizione che fosse stato Cesare a provocare l’incendio della Biblioteca potrebbe essere errata: lo ha dimostrato Luciano Canfora ne “La biblioteca scomparsa” (Sellerio Editore), studiando le fonti: essa fu distrutta, o almeno quel che ne rimaneva dopo molti secoli, da parte del Generale Amr Ibnel-as, agli ordini del Califfo Omar I. In quell’occasione il destino della Biblioteca di Alessandria si compì tragicamente e definitivamente. 

Era il 646 d.C. quando Omar I pronunciò le famose parole: 

…….Se i libri non riportano quanto scritto nel Corano allora vanno distrutti, poiché non dicono il vero. Se i libri riportano quanto scritto nel Corano vanno distrutti ugualmente perché sono inutili”.

La Biblioteca, tutto il suo contenuto ed il sogno che essa rappresentava, vennero per sempre avvolti dalle fiamme. I rotoli furono usati anche come combustibile per i bagni di Alessandria, ben quattromila, e sembra che ci siano voluti sei mesi per distruggere tutto il materiale.

Un’ irreparabile  perdita per l’umanità, ma anche un monito per il futuro. 

Questo oggi è quello che rimane della Biblioteca perduta di Alessandria


Feb 27 2009

Google Earth rivela probabili tracce di impatti di meteoriti nel Mediterraneo

Category: Bibbia ed Egitto,Natura e scienzagiorgio @ 22:26

La mappatura  dei fondali, attuata recentemente da Google, mostra quello che potrebbero  essere le tracce di impatti di meteoriti nel Mediterraneo.

Osservando i depositi alluvionali sotto il livello del mare al largo della  foce del Nilo, si notano chiaramente degli avvallamenti che sembrano essere causati da  impatti  di meteoriti sui depositi alluvionali del delta e non ancora ricoperti dalle successive alluvioni; ciò fa pensare ad una datazione temporale dell’evento relativamente recente, tale da poter essere ricordata dalle popolazioni che ne furono  testimoni o che ne subirono le conseguenze…  e  la separazione delle acque di biblica memoria, ne potrebbe esserne  un  ricordo.


Feb 27 2009

Verona: la Tomba di Umberto Grancelli

 

 

Chi per curiosità cercasse la tomba dove è sepolto Umberto Grancelli avrebbe non poche difficoltà a trovarla.

Chi si incammina nella città dei morti, quale è il cimitero monumentale di Verona, è colpito dalla sontuosità e dalla ricchezza delle tombe, nomi illustri, ma anche i loculi dei più umili sono impreziosite da nomi del defunto, scritte, marmi e fiori. Nel lato destro, rispetto all’entrata in un antro oscuro si susseguono sul pavimento vari chiusini e nella parete sono poste, a bel vedere, le foto con il nome dei cari estinti.

Umberto Grancelli, nonostante l’anagrafe mortuaria ci abbia indicato il numero, è difficilmente rintracciabile, nessun nome nessuna foto ci aiuta la ricerca.

Il visitatore attento potrà leggere sul chiusino 138 solo la scritta, scarna,  incisa sulla pietra: Grancelli.

Lì sotto riposa il corpo di Umberto.

In linea con l’umiltà e la semplicità della sua esistenza terrena, la tomba è anonima riportando solo l’indizio della “gens” di appartenenza.

Questo Uomo che ha dedicato la sua vita allo studio e alla ricerca dell’Anima da ancora fastidio ad una certa intellighenzia veronese.

Contrastato in vita e dimenticato ad ogni costo in morte, da quel chiusino senza nome,  i suoi studi, che qualche sciocco definisce bizzarri, troveranno voce e continuità.  Il tempo ricerca la verità, nell’opera di Umberto Grancelli si schiude l’infinito religioso che ha determinato le passioni della sua esistenza.

Al Maestro Umberto Grancelli, figlio illustre di Verona, sei sempre con noi

 

Fonte:  srs di Luigi Pellini


Feb 27 2009

Iscrizione di Ponzio Pilato Gerusalemme

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 19:38

Israel Antiquities Authority. 26-36 d.C.

Gli archeologi italiani dell’Istituto Lombardo di Milano, nel 1961 durante uno scavo a Cesarea, il più importante porto della Giudea, rinvennero un documento storico unico: un’iscrizione recante il nome di Ponzio Pilato, il Prefetto Romano della Giudea negli anni 26-36 d.C. 

Questo personaggio che, secondo la tradizione avrebbe autorizzato la morte di Gesù, è menzionato dai Vangeli. 

Sebbene negli scavi siano state trovate monete coniate durante il suo governo, nessuna di esse presenta il suo nome. 

L’iscrizione, su pietra calcarea, è stata trovata in un teatro romano (databile fra il III e IV secolo), nel quale era stata riutilizzata come gradino; il reimpiego ha fatto perdere una parte del testo, del quale ora si legge: 

[…] Tiberieum/[…] [Po]ntius Pilatus/[…] [Praef]ectus Iuda[ea]e (Ponzio Pilato, prefetto di Giudea [ha eretto l’edificio in onore di Tiberio]). 

 

Fonte: Storia Libera/ Israel Antiquities Authority/La porta del tempo


Feb 27 2009

Frammenti d’ iscrizione greca della “Stele di Eliodoro” getta nuova luce sui Maccabei

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 13:21

La stele di Eliodoro  – Foto: The Israel Antiquities Authority

Tre frammenti di un’iscrizione greca, ritenuta parte della ‘stele di Eliodoro’, sono stati trovati recentemente a sud di Gerusalemme  in uno scavo dell’Israel Antiquities Authority nel Parco Nazionale di Beit Guvrin.

La stele di Eliodoro, che risale al 178 a.e.v. e che consiste di 23 righe incise su calcare, è considerata una delle iscrizioni antiche più importanti rinvenute in Israele.

Dov Gera, che ha studiato le iscrizioni, ha stabilito che i frammenti erano in realtà la parte inferiore della ‘stele di Eliodoro’. Questa scoperta ha conferma l’idea che la stele originariamente fosse situata in uno dei templi situati dove oggi si trova il Parco Nazionale Maresha- Beit Guvrin.

I nuovi frammenti sono stati scoperti in un complesso sotterraneo dai partecipanti al programma Dig for a Day (scava per un giorno) dell’Archaeological Seminars Institute.

Come è stato scritto dai professori Cotton e Wörrle nel 2007, questa stele reale in pietra reca un proclama da parte del re dei Seleucidi, Seleuco IV (padre di Antioco IV). Il contenuto della stele ha fatto luce sul coinvolgimento del governo dei Seleucidi nei templi locali, menzionando un tale di nome Olympiodoros, il ‘supervisore’ designato dei templi di Coele Syria-Phoenicia, compresa la Giudea.

L’ordine del re fu inviato a Eliodoro, che era probabilmente la stessa persona menzionata nel libro Maccabei II. Secondo la storia narrata in Maccabei, Eliodoro, come rappresentante del re Seleuco IV, cercò di rubare del denaro dal Tempio di Gerusalemme ma invece fu picchiato con violenza grazie all’intervento divino.

Tre anni dopo, Seleuco IV fu assassinato e gli successe il figlio Antioco IV, che fu il governante, secondo Maccabei II, che finì coll’emettere un editto di persecuzione contro il popolo ebraico e dissacrò il Tempio di Gerusalemme, il che portò alla rivolta dei Maccabei.

In breve, si può stabilire che questa stele reale ebbe origine nella città di Maresha, ed aggiunge importanti testimonianze archeologiche e contesto storico per la comprensione del periodo che portò alla rivolta dei Maccabei, un evento celebrato tutti gli anni con la festa ebraica di Hannukah.

Ian Stern, direttore degli scavi per l’Israel Antiquities Authority, aggiunge: “Questa scoperta è il frutto di uno sforzo congiunto da parte del programma ‘Dig for a Day’ dell’Archaeological Seminars Instititute, dell’Israel Antiquities Authority e dello staff dell’Israel Nature and Parks Authority del Parco Nazionale di Beit Guvrin”.

 

Fonte: Israele.net /da: Ha’aretz, 16.02.09/La porta del tempo


Feb 27 2009

HAPIRU E SA.GAZ: I TAGLIAGOLE DEL DESERTO?

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 01:14

Sethos  raffigurato insieme al dio Horus

Dalla fine del III  alla fine del II millennio a.C. gente chiamata Hapiru dilagò dall’Elam all’altopiano ittita, fino alle frontiere dell’Egitto, sconvolgendo una situazione politicamente instabile. Nei testi cuneiformi che ne tramandano le gesta, gli Hapiru sono ricordati come stranieri, uomini declassati in conflitto con la società, ipotesi sostenuta da un altro termine che li definisce Sa.gaz, letteralmente tagliagole, briganti.

Sebbene la comparsa degli Hapiru coincise con il periodo delle migrazioni indoariane, la loro identità etnica è tuttora da scoprire. Forse questi  sconosciuti appartenevano alla tribù semita del biblico Beniamino.

Gli Hapiru erano stanziati ai confini di Sumer e nell’Elam, in Mesopotamia, ma di fatto provenivano dall’Est, effettuando scorrerie in Siria, in Palestina e nel territorio babilonese a scapito dei possedimenti egizi. Si sa che fondarono una città ed ebbero un re di nome Hanni, principe di Aiapir. I Babilonesi pronunciavano questo nome Apir o Apr, non è escluso quindi che fossero indicati popolarmente come “la gente di Aiapiru”.

Organizzati in bande di piccole dimensioni, gli Hapiru per quasi due millenni servirono ora uno ora l’altro dei signori locali, preferendo gli Ittiti agli Egizi, diventando proverbiale la loro fedeltà nei confronti di chi li assoldava. Alcuni testi cuneiformi parlano infatti di un certo Idrimi (1490-1450 a.c.) re di Alalakh, il quale, sentendosi in pericolo per via delle mire espansionistiche dei suoi vicini, si rifugiò in un accampamento degli Hapiru restandovi sette anni. Se l’onore dei suoi ospiti non fosse stato a tutta prova, sarebbe stato un gioco per i nemici di Idrimi corromperli per farlo assassinare.

Agli Hapiru furono affidati anche compiti di polizia. In un testo del XIII secolo a.c. trovato a Ras-Shamra  fu stilata una convenzione tra questi briganti ed il re ittita Hattusil IIl (1275-1250 a.c.) il quale s’impegnava a rendere al re di Ugarit tutti gli uomini che avrebbero cercato scampo in territorio hapiru. Un compito facile, se è vero che gli schiavi recavano marcato a fuoco sulla fronte l’avvertimento: “Prendetelo, è un fuggitivo!”. Qualche archeologo vede in questo la prova che scagiona gli Hapiru dall’accusa di brigantaggio. In effetti, se tutti sapevano dov’erano, come mai a nessuno venne in mente di andare a snidarli? Gli Egizi combatterono spesso questa gente.

Se visitiamo le imponenti rovine del forte egiziano di Beth Shan, polveroso ricordo dell’espansionismo in Asia del faraone Tutmosis III situato venticinque chilometri a sud della Galilea, e a soli sei dalla riva occidentale del Giordano, potremmo vedere una stele i cui geroglifici narrano gli avvenimenti accaduti nella regione al tempo del faraone Sethos (1317-1301 a.C.).

Ancora una volta è citato il nome degli Hapiru che in questa regione operarono contro gli avamposti egiziani. La debolezza del governo centrale o l’occasione della morte di un faraone, davano spesso il pretesto ai vassalli per insorgere, aiutati dai loro misteriosi alleati briganti.  Sethos  s’era quindi trovato a ricucire insieme ciò che i suoi predecessori, Amenophis III e Amenophis IV, avevano disfatto nel giro di 38 anni del loro regno. Il secondo mistero è legato proprio all’identità di questi due faraoni,  di origine Hapiru, se non ebraica a detta di qualche studioso.

L’Inno al Sole di Amenophi IV, il faraone della diciottesima dinastia noto per aver introdotto il primo culto monoteistico in Egitto, tradirebbe questa discendenza. Amenophi IV era stato sempre sordo ai lamenti dei suoi alleati, che si dolevano delle scorrerie degli Hapiru. Costruita una città ad Amarna, a 300 chilometri da Menfi, lungo il Nilo, in una reggia lontana da ogni influenza nefasta dei sacerdoti dei vecchi dei, compose una bellissima poesia al Sole, l’astro che ha «dato inizio al vivere… dio unico, al di fuori del quale nessuno esiste».

L’apparente mollezza della vita del giovane faraone (aveva allora poco più di 23 anni) era dunque intenzionale? Regnando Amenophi IV, Suppiluliuma, re degli Ittiti, con l’aiuto degli Hapiru aveva conquistato le città di Vasciuganni, di Ugarit e Qadesh, mentre le popolazioni, terrorizzate, si rifugiavano sulle montagne o varcavano le frontiere dell’Egitto chiedendo protezione ai presidi militari. Era necessario porre un freno alle prodezze degli sgherri dei principi asiatici ribelli, ma il comportamento del faraone non approdò a mulla di concreto, provocando lo sdegno dei suoi funzionari. Il governatore di Gerusalemme senza mezzi termini scriveva:

«È molto tempo che vado ripetendo al rappresentante del Re mio Signore: perchè amate gli Hapiru e detestate i vostri governatori?». Era un’accusa passibile di pena di morte poiché insinuava che il faraone tradiva il suo popolo.

Gli Hapiru, in effetti, veneravano un solo dio, un’entità che alcuni testi sumerici identificavano nella stella dei Sa.gal., forse il pianeta Venere, considerato in tutto il Medioriente la “stella dei Pastori”, e in altri testi cuneiformi definita esplicitamente “la stella dei briganti”.

 

Fonte: srs di Joel Sherman da Cronos  N. 2  febbraio 2009


Feb 26 2009

Se nei tribunali la vittoria fosse sinonimo di giustizia Cristo avrebbe avuto solo torto..

Category: Chiesa Cattolica,Giustizia Legula e Leguleigiorgio @ 20:19


Feb 26 2009

La lotta di classe non esiste

Category: Economia e lavorogiorgio @ 17:55

 

Due sono le classi: la prima si guadagna da vivere col lavoro, la seconda campa col furto ai danni della prima… attraverso la tassazione, l’apparato burocratico dello Stato e tutto quello che ci gira intorno, dalle associazioni  alla confindustria, ai sindacati. 

Costoro si guadagnano da vivere con la coercizione, con il furto e con le rapine legali e… “politicamente corretti”,  perché tutto deve essere e  risultare  “secondo parametri,  norme,  protocolli  “perfettamente legittimi”.


Feb 26 2009

Corea del Nord: Ex agenti raccontano come si sono infiltrati tra i cristiani

Una delle frontiere più sorvegliate al mondo: posto di osservazione tra la Corea del Nord e la Corea del Sud

Ex ufficiali della polizia e della sicurezza nazionale della Corea del Nord hanno raccontato ad un’organizzazione governativa americana come i loro superiori gli avevano insegnato a fingere di essere cristiani per infiltrarsi nelle riunioni di preghiera clandestine allo scopo di compromettere, arrestare, imprigionare, e talvolta giustiziare dei credenti nordcoreani.

Intervistati per un rapporto rilasciato dalla Commissione americana sulla libertà di religione nel mondo (USCIRF), i sei ufficiali avevano ricevuto il compito – prima di fuggire dalla Corea del Nord – di trovare ed eliminare piccoli gruppi di cristiani.

Essi hanno dichiarato che il governo nordcoreano considera la religione, ed il Cristianesimo in particolare, come la prima minaccia per la sicurezza nazionale. Quattro dei sei agenti hanno lavorato in seno all’Agenzia per la sicurezza nazionale, due di loro hanno collaborato con l’Agenzia per la sicurezza del popolo e un altro per il Partito dei lavoratori coreani. Secondo questi sei agenti di sicurezza, ci sono sempre più tentativi di far cessare le attività religiose lungo la frontiera cinese, di organizzare sia false riunioni di preghiera per intrappolare i convertiti rifugiati, sia sessioni di formazione teologica per gli agenti di sicurezza per permettergli di infiltrarsi meglio nelle chiese cristiane in Cina e di stanare i fedeli nordcoreani.

Dei membri della polizia delle frontiere mandarono un altro rifugiato al centro di detenzione della provincia settentrionale di Hamgyeong, poi nella prigione di Onseong, “Mi chiesero se avessi avuto dei contatti con i cristiani. Mi presero a calci e mi picchiarono forte. Dovetti restare in piedi tutta la giornata senza muovermi o parlare…Quando mi chiesero, in serata, se avessi sentito parlare del cristianesimo, risposi di sì.

Quando dei rifugiati rimpatriati hanno avuto poco o nessun contatto con gruppi religiosi, la polizia delle frontiere li trasferisce all’Agenzia per la sicurezza del popolo per un breve periodo di detenzione. Se si scopre che c’è stato un contatto con i cristiani, la persona interessata è allora consegnata all’Agenzia per la sicurezza nazionale dove sarà probabilmente torturata, condannata ad un periodo di detenzione in un campo di lavoro o giustiziata.

Quando dei credenti sono arrestati non c’è un interrogatorio preliminare, ha detto uno degli agenti. “Noi li consideriamo come elementi contro-rivoluzionari. In Corea del Nord, quando questo tipo di trasgressori è arrestato, gli ufficiali dell’Agenzia per la sicurezza nazionale prima di interrogarlo lo circondano colpendolo e picchiandolo violentemente”.

Un altro agente ha confermato che “la domanda più importante che si faceva ai rimpatriati era quella di sapere se avevano incontrato dei missionari o degli evangelisti sudcoreani o se avessero fatto un’esperienza religiosa. Se confessano di aver incontrato dei missionari o dei diaconi, allora senza altra forma di processo saranno mandati all’Agenzia per la sicurezza nazionale dove sono destinati a morte certa. Tuttavia ci sono pochi casi che implicano contatti con dei cristiani.

Questo agente ha continuato dicendo: “Tutto ciò di cui abbiamo bisogno per arrestare qualcuno è una piccolissima prova, come il nome di una persona scritto su una Bibbia. Quando si scopre una Bibbia con un nome, l’Agenzia per la sicurezza nazionale la lascia sul posto finché il proprietario non si fa riconoscere.

Un altro agente ha spiegato che i team di sorveglianza erano suddivisi in quattro categorie: “L’Agenzia per la sicurezza nazionale, l’Agenzia per la sicurezza del popolo, il Partito dei lavoratori e l’Unità di osservazione del vicinato. Diamo istruzioni all’Unità di osservazione del vicinato e al comitato di base del partito affinché sorveglino delle persone precise. Gli chiediamo di osservare attentamente quelle persone e di stilare la lista delle persone che gli fanno visita. Questi team hanno il compito di farci un resoconto ogni quindici giorni”.

Secondo il rapporto dal titolo Prigioni senza sbarre, gli agenti ricevono delle ricompense concrete sotto forma di medaglie, aumento di salario o promozione se riescono ad identificare e ad arrestare dei “trasgressori religiosi”. Alcuni agenti di sicurezza sono talvolta anche “disperati perché se non riescono ad identificare almeno uno o due casi, non possono essere promossi e possono anche essere espulsi dall’Agenzia per la sicurezza nazionale”, ha spiegato uno degli agenti.

Un agente, che ha lavorato per vent’anni in un campo di concentramento per prigionieri politici, dove i cristiani sono spesso mandati, dice di essere stato testimone di esecuzioni segrete durante le quali “l’imputato scava la buca nella quale sarà sepolto” prima di essere giustiziato. Tuttavia, altri agenti hanno ammesso che le esecuzioni pubbliche di “delinquenti politici”, compreso quelle di cristiani, sono diminuite negli ultimi anni a causa di reazioni negative del pubblico.

Secondo uno degli agenti le punizioni variano in funzione dell’attività dell’individuo interessato, “secondo che è apertamente attivo o agisce nella clandestinità. Il fatto che una persona conserva una Bibbia significa che in futuro ha intenzione di credere in una religione…Le punizioni più severe sono applicate alle persone che sono impegnate nel nuovo attivismo religioso, a quelle che importano Bibbie dalla Cina e ai cristiani che aiutano i rifugiati nordcoreani in Cina”.

Un rifugiato ha riferito che uno dei suoi “parenti acquisiti era stato arrestato mentre regalava una Bibbia; così tutta la famiglia è stata trasferita nella prigione 22 (campo di lavoro). Sono stati internati lì perché facevano parte della categoria delle spie religiose”.

Un rifugiato rimpatriato è stato mandato per quindici mesi nella prigione dell’Agenzia per la sicurezza nazionale nella provincia settentrionale di Hamgyeong. Egli paragona la sua esperienza penitenziaria alla vita “di un animale senza un nome. La vita di ognuno dipende dal beneplacito delle guardie, perché uccidere un prigioniero non gli causa alcun danno…”

Tuttavia, sembra che la stretta sorveglianza e la lealtà obbligatoria al sistema comincino a battere in breccia. Sia gli agenti di sicurezza che i rifugiati intervistati per il rapporto hanno menzionato una disillusione largamente diffusa. Come ci ha detto uno degli agenti: “Il motivo per cui il sistema nordcoreano continua ad esistere dipende dal sistema di sorveglianza particolarmente stretto”.

Quando s’installa la disillusione, sempre più persone possono volgersi alla fede ed è la cosa che Kim Jong-il teme di più. Come ha detto un ex prigioniero detenuto in un campo di lavoro: “Avevo l’impressione che ci fossero circa dieci credenti nella mia cella. Non cessavano di pregare. Mi sono quindi messo a pregare con loro”.

 

Fonte: AEM/Aide aux Eglises dans le Monde. Bulletin Urgence, Janvier 2009, pag. 4,5/ butindaro

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Feb 26 2009

Cina: Arrestati oltre 60 pastori di chiese domestiche, 4 sono ancora detenuti

Lo scorso 11 febbraio (2009)  la polizia ha arrestato oltre 60 pastori evangelici, tra cui due sudcoreani, riuniti per un seminario nel distretto di Wolong, città di Nanyang, provincia di Henan.

Circa 30 poliziotti hanno fatto irruzione nel luogo dove si teneva la riunione ed hanno arrestato i cristiani sequestrando loro cellulari, libri e soldi.

I fedeli hanno dovuto pagare una multa e diversi di loro sono stati poi rilasciati. Al momento quattro pastori sono ancora detenuti.

I due pastori sudcoreani, presenti all’incontro come oratori, sono stati espulsi dalla Cina il 14 febbraio per “avere partecipato ad attività religiose illegali”, con divieto di tornare nel paese per 5 anni.

Fonte:persecution

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Feb 26 2009

Se non avessimo difetti, non proveremmo tanto piacere a notare quelli degli altri

Category: Monade satira e rattatuje,Pensieri e parolegiorgio @ 08:10


Feb 26 2009

EL RICORDO

Category: Pensieri e parolegiorgio @ 07:39

Mantello di “Mastro Titta”

 

Giuseppe Gioachino Belli ha dedicato un sonetto alla figura del boia, il n. 68, composto nel 1830. L’impiccagione di cui si narra è quella di Antonio Camardella, colpevole dell’uccisione del canonico e socio in affari Donato Morgigni – impiccagione eseguita nel 1749, ben prima della nascita del Bugatti. Il boia viene però ugualmente chiamato “Mastro Titta”, tanta era la fama di cui già ai tempi del Belli, il Bugatti, giunto appena a metà della sua ultrasessantennale carriera, godeva nello Stato Pontificio.

Un padre, esibendo ammirazione per il boia e per la forca, volendo mostrare al figlio l’impiccagione, lo redarguisce pesantemente, malmenandolo e mettendolo in guardia dal giudicarsi migliore di un qualsiasi delinquente condannato a morte.

 

 

El  ricodo

Er giorno che impiccorno Gammardella

io m’ero propio allora accresimato.

Me pare mó, ch’er zàntolo a mmercato

me pagò un zartapicchio(1) e ’na sciammella.(1°)

 

Mi’ padre pijjò ppoi la carrettella,

ma pprima vorze gode(1b) l’impiccato:

e mme tieneva in arto inarberato

discenno: «Va’ la forca cuant’è bbella!».

 

Tutt’a un tempo ar paziente Mastro Titta(2)

j’appoggiò un carcio in culo, e Ttata a mmene(3)

un schiaffone a la guancia de mandritta.

 

«Pijja», me disse, «e aricordete bbene

che sta fine medema sce sta scritta

pe mmill’antri(4) che ssò mmejjo de tene».(5)

 

 

 

Note dell’autore: 

-1. Un balocco che salta per via d’elastici. 

-1a. Ciambella. 

-1b. Volle godere. 

-2. Il carnefice è a Roma conosciuto sotto questo nome. 

-3. Me. 

-4. Altri. 

5. Te.

 

 

 

Il ricordo

 

Il giorno che impiccarono Antonio Camardella

io mi ero appena cresimato.

Mi sembra adesso, che il padrino al mercato

mi comprò un pupazzo e una ciambella.

 

Mio padre prese poi il carrozzino,

ma prima volle godersi lo spettacolo dell’impiccagione:

e mi teneva in alto, sollevato,

dicendo: «Guarda la forca quant’è bella!».

 

Tutt’a un tratto Mastro Titta diede un calcio nel sedere

al condannato, e papà allo stesso tempo diede a me

uno schiaffone sulla guancia destra.

 

«Tieni!», mi disse, «e ricordati bene

che questa stessa fine hanno fatto e faranno

mille altri che sono meglio di te». »

 

 

Fonte: Wikipedia


Feb 25 2009

Pena di morte nello Stato del Vaticano:Annotazioni delle Giustizie eseguite da Gio. Battista Bugatti e da Vincenzo Balducci (1796-1870)

Category: Chiesa Cattolica,Italia storia e dintornigiorgio @ 16:44

Mastro Titta mostra alla folla una testa femminile recisa

 

Nella Città del Vaticano invece la pena di morte è stata legale dal 1929 al 1969 ed era prevista solo in caso di tentato omicidio del papa. Non è tuttavia mai stata applicata. Nel 1967 su iniziativa di papa Paolo VI non più prevista  per  alcun reato.  Venne rimossa dalla Legge fondamentale solo il 12 febbraio 2001, su iniziativa di Giovanni Paolo II. 

Mastro Titta offre una presa di tabacco a un condannato prima dell’esecuzione.

 

Pena di morte nello Stato del Vaticano: Annotazioni delle Giustizie eseguite da Gio. Battista Bugatti (detto “Mastro Titta” ) e dal suo successore Vincenzo Balducci (1796 -1870).


Sono qui riportate le note redatte dal Bugatti, il quale aveva l’abitudine di registrare le esecuzioni compiute. Si deve ad Alessandro Ademollo il ritrovamento di questo documento che venne pubblicato per la prima volta da Lapi in Città di Castello nel 1886.



1 Nicola Gentilucci, «impiccato e squartato» in Fuligno li 22 marzo 1796, per avere ammazzato un sacerdote, un vetturino e grassato due frati.


2 Sabatino Caramina, «impiccato» in Melia li 14 gennaio 1797, per omicidio 


3 Marco Rossi, «mazzolato e squartato» in Valentano li 28 marzo 1797, per avere ucciso suo zio e suo fratello cugino. 


4 Giacomo dell’Ascensione, «impiccato» al Popolo li 7 agosto 1797, per avere sfasciato molte botteghe. 


5 Pacifico Sentinelli, «impiccato» in Jesi li 30 ottobre 1797, per avere ucciso il carceriere con la sua moglie.


6 Gregorio Silvestri, «impiccato» al Popolo li 18 gennaio 1800, reo convinto di cospirazione.


7 Antonio Felici

8 Gio. Antonio Marinucci

9 Antonio Russo, «Impiccati» a Ponte li 20 gennaio 1800, per grassazione. 


10 Pietro Zanelli, «impiccato» a Ponte li 22 gennaio 1800, per monetario falso. 


11 Francesco Gropaldi, «impiccato» a Ponte il dopo pranzo li 22 gennaio 1800, per grassazione. 


12 Ottavio Cappello, «impiccato» a Ponte li 29 gennaio 1800, per aver tentato nuova rivoluzione per arme proibita. 


13 Alessandro d’Andrea, «impiccato» a Ponte il primo febbraio 1800, per aver rubato un orologio. 


14 Gio. Batta Genovesi, «impiccato, squartato e bruciato il corpo» a Ponte li 27 febbraio 1800; la testa fu portata all’Arco di S. Spirito, per aver rubato due pissidi. 


15 Gioacchino Lucarelli 


16 Luigi de Angelis

17 Lorenzo Robotti


18 Giovanni Rocchi 


19 Antonio Mauro, «Impiccati e tagliate le teste e braccia», e messe a Porta Angelica li 6 maggio 1800, e due furono bruciati» a Ponte, per avere strozzato e assassinato un prete. 


20 Bernardino Bernardi, della medesima causa, «impiccato e tagliato la testa e braccia» e messe a Porta S. Sebastiano, li… anno suddetto.


21 Giuseppe Zuccherini 


22 Giuseppe Sfreddi

23 Giacomo d’Andrea, «Impiccati e squartati» al Popolo li 19 gennaio 1801, per avere assassinato il Corriere di Venezia. 


24 Luigi Puerio

25 Ermenegildo Scani


26 Gaetano Lideri 


27 Leonardo Ferranti «Impiccati e squartati» in Camerino li 27 gennaio 1801, per avere assassinata una principessa spagnola. 


28 Teodoro Cacciona, «impiccato e squartato» al Popolo li 9 febbraio 1801, per avere rubato un ferraiolo, un paio di stivali e L. 60. 


29 Fabio Valeri, «mazzolato e squartato» in Albano li 14 febbraio 1801, per avere grassato il pizzicagnolo dell’Ariccia. 


30 Francesco Pretolani, «impiccato e squartato» in Viterbo li 21 febbraio 1801, per avere grassato e ucciso un oste con sua moglie. 


31 Giovanni Fabrini, «impiccato» al Popolo li 6 giugno 1801, per omicidio sotto la Pace. 


32 Domenico Treca, «impiccato» a Subiaco li 4 luglio 1801, per avere uccisa la moglie, un prete ed un’altra persona. 


33 Benedetto Nobili, «mazzolato» al Popolo il primo settembre 1801, per avere ucciso sua moglie, sua comare ed incendiato la casa. 


34 Antonio Neri, «impiccato» in Ancona li 26 settembre 1801, per avere rubato con chiave falsa ad un orefice due mila scudi in oro e argento.


35 Domenico de Cesare, «impiccato» a Ponte li 8 febbraio 1802, per avere grassato uno spazzino. 


36 Ascenzo Rocchi 


37 Gio. Batta Limiti, «Impiccati e squartati» a Ponte li 20 febbraio 1802, per avere grassato li carrettieri.


38 Gio. Francesco Pace di Venanzio, «mazzolato, scannato e squartato» a Ponte li 15 marzo 1802, per avere ucciso un ebreo e grassato. 


39 Domenico Zeri, «mazzolato e scannato» in Fermo li 3 aprile 1802, per avere ucciso il padre.


40 Salvatore Bozzi

41 Giuseppe Flacidi, «Impiccati e squartati» a Ponte li 28 aprile 1802, per grassazione.


42 Agostina Paglialonga, «impiccata» in Orvieto li 5 maggio 1802, per avere fatto tre fanticidi.


43 Antonio Nucci, «mazzolato e squartato» in Perugia li 8 maggio 1802, per avere ucciso e grassato un frate. 


44 Luigi Fantusati, «mazzolato e squartato» in Perugia li 8 maggio 1802, per avere ucciso e grassato il suo padrone. 


45 Giovanni Ferri 
46 Fortunato Ferri 


47 Nicola Ferri Fratelli carnali, «impiccati e squartati» in Terracina, per avere grassato il corriere di Napoli, li 25 maggio 1802. 


48 Gio. Batta Germani, «impiccato» in Ceccano li 29 maggio 1802, per omicidio volontario.


49 Cosimo Moronti, «impiccato» in Genazzano il primo giugno 1802, per omicidio, a caso pensato. 


50 Filippo Cataletti, «impiccato» in Frosinone li 18 giugno 1802, per omicidio. 


51 Felice Rovina, «impiccato» in Collevecchio li 7 luglio 1802, per avere strozzato un eremita.


52 Bernardino Palamantelli, «impiccato» a Ponte li 13 settembre 1802, per omicidio e grassazione. 


53 Stefano Viotti, «mazzolato» in Subiaco li 23 novembre 1802, per avere ucciso il padre. 


54 Francesco Angelo Sorelli, «impiccato» in Ronciglione li 15 dicembre 1802, per avere ucciso una donna.


55 Giacomo Balletti, «mazzolato» in Ronciglione li 15 dicembre 1802, per avere ucciso il padre. 


56 Domenico Guidi, «impiccato» in Viterbo li 18 dicembre 1802, per omicidio, con avergli intimato la morte 22 per le 23. 


57 Antonio Lavagnini, «impiccato e squartato» in Zagarola li 5 febbraio 1803, per aver grassato un uomo avendogli levato 27 paoli.


58 Gio. Domenico Raggi

59 Giuseppe Cioneo, «Impiccati» in Viterbo li 5 marzo 1803, per omicidj e grassazioni. 


60 Antonio Boracocoli, «impiccato» in Ancona li 15 marzo 1803, per aver dato più coltellate ad un marinaro, lo gettò nel mare ma non restò estinto, e gli levò 200 scudi.


61 Francesco Conti, «impiccato» in Città di Castello li 26 aprile 1803, per avere levato la verginità a forza ad una zitella in casa del padre con altri cinque compagni, e gli levarono un valsente di 30 scudi. 


62 Angiolo Rossi, «impiccato» in Gubbio li 2 maggio 1803, per omicidio bestiale e irragionevole. 


63 Giovanni Tranquilli

64 Vincenzo Pellicciari, «Impiccati e squartati» a Ponte li 21maggio 1803, per grassazione e furti.


65 Nicola Rossi, «mazzolato e squartato» in Terracina li 7 giugno 1803, per avere ucciso il Cancelliere di Terracina e la sua testa fu posta in Cisterna. 


66 Giuseppe delle Broccole, «impiccato» in Frosinone li 8 agosto 1803, per omicidio e furti. 


67 Vincenzo Bianchi, «mazzolato e squartato» in Orvieto li 10 dicembre 1803, per omicidio e grassazioni. 


68 Giuseppe Ceci, «impiccato» in Frosinone li 8 marzo 1804, per omicidio e grassazioni.


69 Crescenzio, ossia Vincenzo Imondi, «impiccato» in Frosinone li 12 luglio 1804, per omicidio volontario. 


70 Mattia Ricci, «impiccato» al Popolo li 22 settembre 1804, per omicidio e resistenza alla Corte. 


71 Angiolo di Pietro di Agostini, «impiccato e squartato» in Cascia li 10 ottobre 1804, per omicidio e sgrasso. 


72 Gregorio Pinto

73 Paolo Bimbo, «Impiccati e squartati» in Iesi li 17 ottobre 1805, per grassazione. 


74 Giuseppe Gatti

75 Mattia Gatti 


76 Valentino Margheri, «Impiccati e squartati» al Popolo li 12febbraio 1805, per grassatori. 


77 Domenico Civitella, «impiccato» il dì suddetto, per grassatore.


78 Luigi Masi, «impiccato» a Fermo li 30 marzo 1805 per avere sverginato una zitella, datile diversi colpi e ucciso il padre della suddetta. 


79 Filippo Mazzocchi

80 Giuseppe Guglia, «Impiccati e squartati» a Ponte li 10 giugno 1805, per grassatori. 


81 Sebastiano Spadoni, «impiccato» a Iesi li 4 settembre 1805, per avere ucciso il fratello carnale e gettato nel pozzo. 


82 Luigi Giovansanti, forzato, «impiccato» in Civitavecchia li 23 settembre 1805, per avere ucciso un forzato. 


83 Niccola Alicolis, «impiccato e squartato» alla Merluzza il primo ottobre 1805, per assassinj.

84 Santi Moretti, «impiccato e squartato» al Ponticello fuori di Porta San Paolo 1805 dall’aiutante, per grassazione. 


85 Gioacchino q.m Bernardino Rinaldi, «mazzolato e squartato» in Campo di Fiore li 9 ottobre 1805, per avere ucciso la moglie gravida di due figli ed il garzone. 


86 Paolo Salvati, «impiccato e squartato» in Macerata li 11 dicembre 1805, per avere grassato il corriere del Papa ed un forastiere.


87 Bernardo Fortuna, «impiccato e squartato» a Ponte Felice li 22 aprile 1806, per avere grassato il corriere di Francia. 


88 Pasquale Rastelli, «impiccato e squartato» in Amelia li 20 maggio 1806, per omicidio e grassazione. 


89 Tommaso Rotiliesi, «impiccato» a Ponte li 9 giugno 1806, per avere ferito leggermente un ufficiale francese. 


90 Bernardino Salvati, «impiccato» in Rieti li 12 luglio 1806, per avere ucciso un suo compare.


91 Giuseppe Pistillo detto Fatino, «impiccato e squartato» in Terracina li 13 agosto1806, per grassatore. 


92 Giuseppe Agnone, «impiccato e squartato» in Terracina li 13 agosto 1806, per grassazione.


93 Giuseppe Chiappa, «mazzolato e squartato» in Macerata li 25 settembre 1806, per sicario, cioè fu incombensato di uccidere il padre di un giovane per scudi 50 di premio ed il giovane fu condannato alla galera perpetua.


94 Gioacchino Cellini, «impiccato» in Frosinone li 27 gennaio 1807, per omicidj e grassazioni.


95 Tommaso Grassi, «impiccato» a Ponte li 15 aprile 1807, per avere ucciso il cognato, ed il suo compagno stette sotto le forche. 


96 Luigi Tomeucci, «impiccato» in Frosinone li 21 aprile 1807, per più omicidj. 


97 Cesare di Giulio

98 Bernardino Troiani, «Impiccati e squartati» in Campo Vaccino li 2 maggio 1807, per grassatori. 


99 Giuseppe Brunelli

100 Agostino Paoletti, «Impiccati» a Gubbio li 6 luglio 1807, per omicidio a caso pensato per gelosia di donna. 


101 Giuseppe Romiti, «impiccato» a Narni li 12 dicembre 1807, per omicidio barbaro. 


102 Angiolo Caratelli e il fratello 


103 Paolo Caratelli 


104 Antonio Scarinei

105 Rosa Ruggeri, «Impiccati» a Todi li 6 luglio 1808, perché la donna fece ammazzare il marito dai suddetti. 

Seguono le giustizie eseguite nel nuovo edilizio per il taglio della testa nel Governo Francese.



106 Tommaso Tintori, reo di omicidio, li 28 febbraio 1810.


107 Saverio Ricca «alias» Principe 


108 Giuseppe Loi rei di grassazione, li 5 marzo 1810. 


109 Giuseppe Giandomenico, reo di omicidio e grassazione li 12 marzo 1810. 


110 Anna Morotti vedova Renzi 


111 Vincenzo Gentili


112 Alessandro Valeri rei di omicidio, li 12 aprile 1810. 


113 Domenico Dichilo

114 Antonio Talucci rei di omicidj, li 2 aprile 1810. 


115 Raffaele Mori, per omicidio volontario, li 8 maggio 1810. 


116 Giovanni Scipioni, per omicidio, li 28 maggio 1810. 


117 Pasquale Masi, per grassazione, li 27 giugno 1810. 


118 Andrea Dagiuni, per omicidio, li 3 luglio 1810. 


119 Michele Filippi, per avere tentato la morte del zio, li 7 luglio 1810.


120 Niccola Quintarelli, per omicidio premeditato, li 30 luglio 1810. 


121 Lorenzo Bellucci


122 Francesco Teatini per omicidio e grassazioni, li 21 agosto1810. 


123 Domenico q.m Gaspero Germagnoli, per uccisione del padre ed una donna, li 10 settembre 1810. 


124 Evangelista Bufalieri, per omicidio, li 14 detto. 


125 Severio Iaunardi «alias» Sfacona, per omicidi premeditati e assassini, li 25 suddetto. 


126 Giovanni Cusciè, per omicidi premeditati, li 14 novembre 1810. 


127 Celio Lanciani, per omicidio premeditato, detto. 


128 Clemente D’Angelis, per omicidio premeditato con assassinio verso lo zio, li 19 novembre 1810. 


129 Camillo Cerini

130 Caterina Tranquilli omicidio e assassinio, li 26 suddetto. 


131 Antonio Grepi, per omicidi premeditati, li 9 febbraio 1811.


132 Giovanni Croce, per omicidio con assassinio, li 2 maggio 1811. 


133 Gaspero Bacciarelli, per assassinio, li 18 maggio 1811.


134 Domenico Brucchioni


135 Gradigliano Patricelli per assassinio, li 25 giugno 1811.


136 Bartolomeo Andreozzi, per assassinio, li 4 luglio 1811.


137 Gio. Domenico Pensierosi

138 Nicola Reali per assassinio, li 13 luglio 1811. 


139 Silverio Patrizi, per omicidio ed assassinio, li 22 detto. 


140 Prospero Montagna, per omicidio con premeditazione, li 6 novembre 1811. 


141 Luigi Matocci, per omicidio con premeditazione, li 31, dicembre 1811. 


142 Francesco del q.m Pietro Paolo Mattia, per assassinio, li 3 febbraio 1812. 


143 Domenico Cracciani, per omicidio con premeditazione, li 22 suddetto. 


144 Lorenzo Tiberi, per omicidio in persona del zio, eseguita la giustizia in Poggio S. Lorenzo li 18 marzo 1812. 


145 Giuseppe Trombetti, per omicidio premeditato, e 


146 Pasquale De Sartis, per assassinio, li 30 marzo 1812. 


147 Luigi Lombardi, per assassinio, li 2 ottobre 1812. 


148 Maria Antonia Tarducci, per infanticidio, li 10 novembre 1812. 
149 Emanuel Calvi, per omicidio ed assassinio, li 10 novembre 1812. 


150 David Troia

151 Domenica Senese per omicidio demandato, li 9 dicembre 1812.


152 Giuseppe Padovani, per assassinio con furto, li 12 dicembre 1812.


153 Benedetto Canale, per assassinio, e


154 Giuseppe Sprega, per omicidio con premeditazione, li 25 gennaio 1813. 


155 Pompeo Greco, per assassinio con premeditazione di omicidio, li 29 gennaio 1813. 


156 Germano Franchi, per tentativo d’uccisione con premeditazione; accaduta la esecuzione in Supino li 15 febbraio 1813.


157 Gio. Crisostomo Martini, per assassinio, li 2 aprile 1813. 
158 Angiolo Maria Parisella 


159 Antonio Gasparoni per assassinio con premeditazione, li 15 novembre 1813.


160 Francesco Grossi, per omicidio con premeditazione, li 24 novembre 1813. 


161 Luigi Bellaria, per omicidio con premeditazione, li 28 dicembre 1813. 

Governo Pontificio.



162 Gio. Antonio Antonelli 


163 Pietro Proietto, «Forca e squarto», per grassatori, li 22 ottobre 1814. 


164 Vincenzo Zaghetti, per omicidio con grassazione, «alla forca», e 


165 Sebastiano Tirelli, per grassazione, «forca e squarto», li 3 dicembre 1814. 


166 Francesco Quagliani

167 Mariano Bonotti

168 Gaetano Giordani 


169 Angiolo Pozzi Per grassatori, «forca e squarto», li 13 marzo 1815.


170 Antonio Cipriani, «mazzola e squarto», per omicidio e ladrocinio; eseguita la giustizia in Norcia li 14 agosto 1815. 


171 Francesco Perelli, per omicidio appensato, «alla forca», e


172 Carlo Castri, «forca e squarto» per grassazioni, li 17 febbraio 1816, al Popolo.


173 Domenico Posati, «forca» per omicidj con premeditazione, eseguita in Narni li 7 marzo 1816. 


174 Giuseppe Fiacchi, «forca» per omicidio premeditato in odio di Liti Civili in Spoleto, li 9 marzo 1816. 


175 Giuseppe Micozzi, per omicidio proditorio con ladrocinio, «mazzola e squarto» al Popolo, li 6 aprile 1816. 


176 Vincenzo Bellini

177 Pietro Celestini

178 Domenico Pascucci

179 Francesco Formichetti

180 Michele Galletti Rei di più grassazioni; eseguita in Roma li 18 maggio 1816, di «forca e squarto», al Popolo.


181 Gioacchino de Simoni, «mazzola e squarto» in Collevecchio li 27 maggio 1816, per omicidio barbaro in persona della moglie. 


182 Giuseppe Tomei, «forca» a Ponte, per omicidio con premeditazione, li 17 agosto 1816. 


183 Antonio Antoniani, «forca» a Ponte, per omicidio con premeditazione, li 7 settembre 1816. 


184 Tommaso Borzoni, «taglio della testa» al Popolo, per omicidi appesati e ladrocini, li 2 ottobre 1816. 


185 Pietro Spallotta

186 Benedetto Piccinini


187 Carlo Antonio Montagna, «Taglio della testa e squarto» al Popolo, per grassazione, li 10 ottobre 1816. 


188 Carlo Desideri

189 Luigi Brugiaferro

190 Giovanni Mora, «Forca e squarto» in Viterbo per grassazioni, li 16 ottobre 1816. 


191 Paolo Antonini

192 Francesco Di Pietro, «Taglio della testa» al Popolo, per grassazioni, li 14 dicembre 1816. 


193 Saverio Gattofoni, «taglio della testa» in Macerata, per avere ucciso sua moglie, li 20 gennaio 1817. 


194 Antonio Guazzini, «impiccato» in Firenze, per omicidio e grassazione, li 22 febbraio 1817. 


195 Gio. Francesco Trani 


196 Felice Rocchi

197 Felice De Simoni «Decapitati» al Popolo, per omicidi e grassazioni, li 19 maggio 1817. 


198 Agostino Del Vescovo, «decapitato» al Popolo, per omicidio e ladrocinio in persona di un prete, li 19 luglio 1817. 


199 Antonio Casagrande, «decapitato e squartato» in Gubbio, e la testa posta alla porta della città, per avere ucciso tre ragazzi, due maschi e una femmina, con ladrocinio, li 28 agosto 1817. 


200 Angiolo Conti, «decapitato» al Popolo, per omicidio in persona della moglie, li 9 settembre 1817. 


201 Alessandro Papini, «decapitato» al Popolo, per ladrocini e grassazione, li 30 settembre 1817. 


202 Domenico q.m. Giacomo Gigli, romano, «decapitato» al Popolo, per omicidio irragionevole, il primo dicembre 1817. 


203 (da ebreo) Angelo Camerino, (da cristiano) Giuseppe-Angiolo, «impiccato» in Ancona, per omicidio, li 13 gennaio 1818. 


204 Ambrogio Piscini, «decapitato» in Loreto, per omicidio e grassazione, li 14 gennaio 1818.


205 Antonio Galeotti, «decapitato» in Perugia, per omicidio proditorio e furto, li 23 febbraio 1818. 


206 Andrea Emili, «decapitato» al Popolo, li 13 aprile 1818, per avere ucciso il padre; la sua testa trasportata e messa sulla porta di Rocca Priora. 


207 Martino Sabatini

208 Andrea Ridolfi, «Forca e squarto» in Viterbo, li 22 aprile 1818, per più grassazioni, e trasportati detti quarti. 


209 Antonio Cicolono

210 Luigi Renzi, «Forca» in Rieti, per grassazione ed omicidio, li 21 novembre 1818. 


211 Angiolo Antonio Piccini, «forca» in Viterbo, li 12 dicembre 1818, per più delitti e grassazioni, e per il barbaro omicidio in Civitella in persona della signora Bonfiglioli, con derubamento in sua casa. 


212 Domenico Fontana, «decapitato» al Popolo, per più omicidj, li 10 marzo 1819. 


213 Andrea q.m Giuseppe Dolfi, romano, «decapitato» al Popolo, per omicidio irragionevole, essendo forzato al Colosseo, li 2 agosto 1819. 


214 Raffaele Vattani, romano, «decapitato» al Popolo, per veneficio in persona della moglie, li 15 settembre 1819. 


215 Pasquale q.m Vincenzo Ferrini, regnicolo, per grassazione, «decapitato» al Popolo, li 2 dicembre 1819. 
216 Elia Sauve, per ladrocinio, «decapitato» al Popolo, li 16 settembre 1820. 


217 Leonardo Narducci del fu Bartolommeo, d’Ischia, per omicidj e grassazioni, «appiccato e squartato» a Viterbo, li 26 ottobre 1820. 


218 Gio. Batta Clementi di Giuseppe, da Rotella nella delegazione d’Ascoli, «decapitato» al Popolo, per omicidio e ferite qualificate, li 27 gennaio 1821. 


219 Carmine q.m Pietro Scaccia di Torrici, diocesi di Frosinone, di anni 23, reo di più grassazioni, «decapitato» al Popolo, li 7 aprlie 1821. 


220 Giuseppe Morioni e 


221 Benedetto De Carolis, «Decapitati» al Popolo, per grassazioni, li 7 giugno 1821. 


222 Carlo Samuelli e 


223 Salvatore Torricelli, di Tivoli, «Decapitati» al Popolo, per grassazioni, li 14 giugno 1821.


224 Francesco Monti


225 Domenico Taschini

226 Luigi Onelli, «Decapitati» al Popolo, per grassazioni, li 28 luglio 1821. 


227 Vincenzo Zaccarelli

228 Vincenzo Moretti «Decapitati» a Ponte S. Angelo, per omicidj irragionevoli, li 6 agosto 1821. 


229 Francesco q.m Niccola Ferri, «fucilato» alla Bocca della Verità li 23 marzo 1822, e la sua testa portata a Collepiccolo, distante miglia 46 da Roma.


230 Giuseppe Bartolini, «decapitato» in Viterbo, per più grassazioni ed omicidi barbari, li 30 aprile 1822. 


231 Angiolo Antonio fu Giuseppe Monterubianesi

232 Pietro Antonio fu Giovanni Profeta 


233 Angiolo fu Giorgio Mannelli, «Decapitati» a Ponte Sant’Angelo, per grassazioni, li 8 giugno 1822.


234 Domenico Piciconi di Caprarola, reo di omicidio, assassinio ed altro, «decapitato» in Viterbo, li 24 maggio 1823. 


235 Giovanni Binzaglia, «decapitato» in Perugia, li 13 agosto 1823, reo di omicidio in persona di una ragazza di anni 16. 


236 Francesco Venturi in Castel Raimondo, per grassazioni ed altri delitti, li 18 dicembre 1823.


237 Antonio Capriotti, «decapitato» in Fermo, per omicidio volontario e grassazioni, li 10 luglio 1824.


238 Niccola Sebastianelli, «decapitato» alla Bocca della Verità, per grassazioni a mano armata, li 15 luglio 1824. 


239 Domenico Maggi

240 Girolamo Candelori, «Decapitati» alla Bocca della Verità per grassazioni e latrocinio, li 24 luglio 1824. 


241 Pasquale Ciavarra, «decapitato» in Frascati, per omicidio e grassazioni, li 6 ottobre 1824. 


242 Giuseppe Panecascio, «decapitato» in Frascati, per omicidio e grassazioni, li 6 ottobre 1824. 


243 Michele Farelli


244 Camillo Pistoia,«Forca» in Pisterzo per aderenza all’assassini briganti, li 26 ottobre 1824.


245 Tommaso Transerini, «forca» in Propeli, per aderenza agli assassini briganti, li 27 detto. 


246 Marco Quattrociocchi, «forca» a S. Francesco, per i suddetti motivi, li 17 novembre suddetto.


247 Giuseppe Sebastianelli, «forca» a Vallecorsa, per aderenza agli assassini briganti, li 20 novembre 1824. 


248 Francesco Cerquozzi, «forca» a S. Lorenzo, come sopra, li 22 novembre 1824. 


249 Giovanni Pietrantoni 


250 Biagio Cloggi 


251 Vincenzo Bovi, «Forca» in Giuliano come sopra, il primo dicembre 1824. 


252 Cesare Menta, «forca» a Supino, come sopra, li 2 dicembre 1824.


253 Giovanni Montini, «forca» a Pratica, come sopra, li 19 gennaio 1825.


254 Domenico Avoletti, «forca» in Frosinone, per omicidi con premeditazione, li 14 aprile 1825. 


255 Lorenzo Maniconi, «forca» in Supino, per assassino brigante, li 18 aprile 1825.


256 Giovanni Gasbarroni,

257 Angiolo Gasbarroni, «Forca» in Supino, per aderenza agli assassini briganti; li 18 suddetto.


258 Casimirro Rainoni, «decapitato» in Ancona, per omicidio irragionevole, li 19 luglio 1825. 


259 Leonida Montanari


260 Angiolo Targhini, «Decapitati» al Popolo li 23 novembre 1825, rei di lesa maestà e per ferite con pericolo. 


261 Giuseppe q.m Vincenzo Franconi, «mazzolato» al Popolo li 24 gennaio 1826, reo di omicidio e ladrocinio in persona di un prelato. 


262 Luigi Ponetti, «decapitato» al Popolo, il primo marzo 1826, per omicidio con qualità gravanti. 


263 Pietro Antonio q.m Felice Tanucelli, «decapitato» al Popolo, li 15 marzo 1826, per omicidio irragionevole. 


264 Lorenzo Raspante, «decapitato» in Viterbo, li 6 maggio 1826, per omicidio barbaro e qualità gravanti. 


265 Giuseppe q.m Biagio Macchia, macellaro reo di omicidio in persona della moglie, «decapitato» li 16 settembre 1826. 


266 Luigi Zanoli 


267 Angiolo Ortolani 


268 Gaetano Montanari

269 Gaetano Rambelli 
Per omicidj ed attentato di omicidio verso dell’E.mo Rivarola, «forca» in Ravenna li 13 maggio 1828.


270 Abramo Isacco Forti, detto Marchino — ed avvelenamento. (sic) 


271 Luigi Borgia del fu Camillo da Montoro Romano, per omicidio qualificato e resistenza alla forza con ferite con qualche pericolo, «decapitato» alla Bocca della Verità li 17 gennaio 1829.


272 Filippo di Pietro Cavaterra, «decapitato» in Genzano li 13 luglio 1829, per avere ucciso il zio. 


273 Antonio Vichi, «decapitato» in Ancona li 5 gennaio 1830, per avere ucciso due creature con assassinio. 


274 Angiolo Pasquali e


275 Giuliano, fratello di S. Benedetto, diocesi di Rieti, rei di barbaro omicidio premeditato in odio di lite civile «decapitati» in Rieti li 30 gennaio 1830. 


276 Domenico Valeri, «decapitato» in Tolentino, per avere ucciso la moglie, li 15 febbraio 1830. 


277 Luigi De Simoni, per grassazioni e più delinquenze, «decapitato» in Albano, li 22 maggio 1830. 


278 Vincenzo Bagliega di Chiaravalle, per grassazioni, «decapitato» in Ancona li 12 giugno 1830.


279 Giacomo Martucci, reo di barbaro omicidio, «decapitato» a Codescipoli, li 28 luglio 1830.


280 Francesco di Tommaso Battistini, romano, «decapitato» alla piazza di Ponte S. Angelo, per omicidio qualificato con vendetta traversale, li 18 agosto 1830.


281 Felice di Francesco Teatini di Frascati, «decapitato» a Ponte S. Angelo, per omicidio irragionevole, li 11 settembre 1830. 


282 Mattia Marinelli 


283 Giovanni Canulli rei di più grassazioni, «decapitati» li 25 settembre 1830 sulla Piazza di Ponte S. Angiolo. 


284 Antonio Ascolani, reo di omicidio nella persona del zio, «decapitato» in S. Benedetto, diocesi di Fermo, li 23 ottobre 1830. 


285 Massimo Testa del Serrone, reo di barbaro omicidio, «decapitato» in Paliano, li 12 luglio 1831. 


286 Prospero Ciolli di Francesco da Olevano, per prodizione e ladrocinio, «decapitato» a Ponte S. Angelo, li 22 settembre 1832.


287 Francesco Pazzaglia di Colmurano di Tolentino, delegazione di Macerata, «decapitato» in Via de’ Cerchi, li 4 febbraio 1833. 


288 Antonio Majani della Granciolla

289 Francesco Massarini di Falconara «Decapitati» in Falconara, diocesi di Ancona per rapina notturna ed assassinio, li 30 marzo 1833. 


290 Luigi Gambaccini d’Arcevia, «decapitato» in Ancona, per grassazione con omicidio, li 7 maggio 1833. 


291 Giuseppe Balzani della Mendola, delegazione di Rimini, reo di lesa maestà, e 


292 Giovanni Antonelli romano, carrettiere, per aver ucciso la moglie, «decapitati» ambedue in Via de’ Cerchi, li 14 maggio 1833.


293 Antonio Urbinati di Paterno, per omicidio premeditato, «decapitato» in Ancona, li 19 giugno 1833. 


294 Benedetto Mazio del fu Giuseppe, romano, per omicidj turpi con premeditazione, «decapitato» a Ponte S. Angelo, li 13 luglio 1833. 


295 Luigi Cesaroni di Monte Giuducci, legazione di Urbino e Pesaro, «decapitato» in Urbino, per omicidio qualificato in persona di Luigi Costantini, li 22 febbraio 1834. 


296 Filippo Risi di Albano, reo convinto d’omicidio in causa turpe, «decapitato» in Albano, li 14 giugno 1834. 


297 Tommaso Centra di Rocca Gorga, per omicidio nella darsena di Civitavecchia in persona del cuoco dell’ospedale, «decapitato» in darsena, li 18 giugno 1834. 


298 Mariano Caroli di S. Alberto di Ravenna, e 


299 Stefano Montanari da Cesena, rei ambedue di omicidio nella darsena di Civitavecchia in persona del capo infermiere, «decapitati» in detta darsena come sopra. 


300 Giovanni Amicozzi di Monteleone, reo di omicidio con premeditazione, «decapitato» in Rieti, li 30 giugno 1834. 


301 Michele Bianchi di Osimo, reo di uccisione della moglie, «decapitato» in Osimo, li 19 agosto 1834. 


302 Domenico Egidi, detto Nino, d’Ancona, per omicidio deliberato, «decapitato» in Ancona, li 11 febbraio 1835. 


303 Francesco Lucarini «alias» Botticelli, per omicidio barbaro, «decapitato» in S. Stefano, provincia di Frosinone, li 24 marzo 1835. 


304 Giovanni Orioli di Lugo, «decapitato» in Roma, li 11 luglio 1835 a Ponte S. Angelo. 
305 Francesco Grossi di S. Severino, «decapitato» in detto, per parricidio, li 17 ottobre 1835.


306 Antonio Rongelli di Belvedere, per omicidio deliberato, «decapitato» in Ancona, li 20 febbraio 1836. 


307 Antonio Sordini di Spoleto, per omicidio deliberato, «decapitato» in Spoleto, li 26 marzo 1836. 


308 Antonio Pianesi di Monte Casciano, per più omicidj, «decapitato» in Macerata, li 27 ottobre 1836. 


309 Luigi Galassi di Pofi, per omicidio e grassazione, «decapitato» in Civitavecchia, li 21 dicembre 1837. 


310 Paolo Ceccarelli di Poggio Nativo, per omicidio premeditato, «decapitato» in Rieti, li 3 gennaio 1838. 


311 Geltrude Pellegrini di Monteguidone, per parricidio in persona del proprio marito, «decapitata» in Via dei Cerchi, li 9 gennaio 1838. 


312 Giuseppe Venturini di Albano per omicidio con prevenzione e pensamento, «decapitato» in Via de’ Cerchi, li 25 gennaio 1838.


313 Giuseppe Conti di Mangiano

314 Santi Moretti di Castello per omicidio premeditato per gelosia di donne, «decollati» in Perugia, li 10 febbraio 1838.


315 Domenico Bombardieri di Filettino, per omicidio in persona della madre, «decapitato» in Frosinone, li 8 marzo 1838.


316 Ilario Ilari di Stefano; di Corneto 


317 Pietro Paolo Panci di Domenico Antonio; di Corneto 
318 Domenico Caratelli 


319 Giuseppe Bianchi di Viterbo, per grassatori «decapitati» in Viterbo, li 17 aprile 1838. 


320 Antonio Piero da Jesi, per omicidio barbaro, «decapitato» in Jesi li, 26 aprile 1838. 


321 Luigi Martelli 


322 Niccola Guadagnoli Di Manno, «decapitati» in Manno, li 24 luglio 1838, per omicidio e grassazione 


323 Luigi Perugini del fu Vincenzo, di Montolono, «decapitato» alla Madonna de’ Cerchi, li 4 settembre 1838, per ladrocinio. 


324 Domenico Antonio Bellini di S. Angelo in Capoccia, «decapitato» in Tivoli, li 27 settembre 1838, per barbaro omicidio qualificato. 


325 Dionisio Prudenzi di Camerino «decapitato» in detto, li 27 ottobre 1838 per ussoricidio in persona della moglie (sic.). 


326 Francesco Ferretti di Anagni reo di omicidio premeditato, «decapitato» in Anagni, li 3 luglio 1839. 


327 Pietro Pieroni, per omicidio e ladrocinio, «decapitato» a Ponte S. Angelo, li 15 ottobre 1839. 


328 Luigi Quattrociocchi, reo di omicidio con animo deliberato, «decapitato» in Veroli, li 5 novembre 1839. 


329 Girolamo Mazza del fu Lorenzo di S. Marino, per parricidio in persona di Antonio Celli come demandato, «decapitato» in Via de’ Cocchi, (Cerchi?) dell’età di anni 29, li 19 febbraio 1840. 


330 Anna Tomasi-Celli, «decapitata» nello stesso giorno e luogo, dell’età di anni 40. 


331 Pietro Bidei, per omicidio e grassazione, «decapitato» a Civitacastellana, li primo aprile 1840. 


332 Mariano Laura romano di anni 30 per omicidio deliberato, «decapitato» in Via de Cerchi, li 13 maggio 1840. 


333 Luigi Scopigno di Rieti, «decapitato» a Ponte S. Angelo, li 21 luglio 1840, per furto sacrilego della sacrosanta pisside con la dispersione delle sacrosante particole. 


334 Bernardo Coticone, reo di omicidio, di Rosano, con premeditazione, in Tivoli, li 28 luglio 1840. 


335 Tommaso Brunori di S. Giovanni Rietino 


336 Pasquale Priori di Segni Per omicidj nel Bagno di Spoleto, ambedue «decapitati», li 6 agosto 1840 nella Rocca di Spoleto.


337 Angelo Crivelli «alias» Epifani di Terni, per vari omicidj in persona del diacono Valentino bevilacqua, e chierico Basilio Luciani, ed secolare Raimondo Trippa, «decapitato», li 8 agosto 1840 in Terni. 


338 Pacifico Maccioni di Cingoli di anni 26, e 


339 Filippo Duranti di Golignano, Delegazione di Ancona, di anni 25, ambedue rei di grassazione, ed omicidio in persona d’uno Svizzero fuor di Porta S. Pancrazio, «decapitati» a Ponte, li 22 agosto 1840. 


340 Baldassarre Fortunati di Torri in Salina e 


341 Vincenzo Stefanini di Torri in Salina, di anni 29, ambedue rei di omicidio con animo di rubare, «decapitati» in Rieti alla Piazza del Mercato, li 21 settembre 1840.


342 Angelo De Angelis

343 Antonio De Angelis: fratelli,


344 Giuseppe De Benedetti, tutti e tre «decapitati» in Tivoli per omicidio e grassazione, li 13 gennaio 1841.


345 Vincenzo Morbiducci di Albacina, «decapitato» in Macerata il primo marzo 1841 per omicidio premeditato nella sua età di anni 61.


346 Pacifico Lezzerini di Cingoli, per omicidio premeditato e grassazione, «decapitato», li 4 marzo 1841 in Cingoli nella sua età di anni 25. 


347 Damiano Marconi, figlio di Nicola, di anni 29, di Capranica;


348 Antonio Demassini, del fu Pietro, della Fratta, di anni 35; 


349 Angelo Casini, d’Eugenio, di Carbognano, di anni 25; tutti e tre in causa di omicidio nella Galera di Civitavecchia, in cui erano forzati, in persona dell’infermiere, condannati alla «decapitazione» in Civitavecchia nella Darsena, li 27 marzo 1841.


350 Pasquale Carbone, del fu Saverio, d’anni 40, di Cresciano nell’Abruzzo, Regno di Napoli, per omicidio in persona di un forzato per nome De Angelis nella Darsena di Civitavecchia, «decapitato», li 27 marzo 1841: e morto impenitente. 


351 Lorenzo Jannesi di Arnara, «decapitato», li 22 maggio 1841 in patria per omicidio premeditato.


352 Tommaso Olivieri, romano di anni 24: per omicidio premeditato, «decapitato» in Roma in via de’ Cerchi e morto impenitente, li 3 giugno 1841.


353 Luigi Lodi di anni 30, per omicidio premeditato; li 8 giugno 1841 in Civitavecchia nella Darsena. 


354 Luigi Galletti, di anni 28, idem. 


355 Pietro Firmanti, anni 27, idem. 


356 Vincenzo Orlandi di Collevecchio, anni 47, per omicidio, ed altri delitti.


357 Pietro Antonio Amici di Colle Giove, di anni 33 circa, per delitti, cioè ferite ed omicidio, e


358 Michele Spoliti di Colle Giove, di anni 38, per omicidio di piena deliberazione, li 19 giugno 1841. In Rieti, ambedue «decapitati» per una stessa causa. 


359 Bernardino Carosi del fu Vincenzo, detto Scelletta, di anni 48: coniugato campagnolo e segatore di legname, di Borbone, provincia dell’Aquila; 


360 Michelina Cimini del fu Antonio, moglie di Giuseppe Carosi, di anni 35, filatrice di Cagnano del Regno sud; 


361 Domenico Recchiuti di Nicola, detto Saponaro, celibe di Lama, Provincia di Chieti, di arte Cardalana, tutti e tre rei di latrocinio ed omicidio premeditato in persona di Caterina Iachizzi moglie di Francesco orologiaro agli Uffizi del Vicario e dal Carosi strozzata, ed incinta di sei mesi, ciò accaduto li 28 giugno 1840; «decapitati» sulla piazza di Ponte S. Angelo li 20 luglio 1841. — Gran tumulto popolare e feriti per cagione di alcuni ladri e borsaroli, ma essi morirono rassegnatissimi.


362 Pietro Tagliacozzo di Olevano, reo di aver uccisa la propria genitrice condannato al «taglio della testa», il giorno 19 gennaio 1842 in via de’ Cerchi;


363 Bernardino Mirabelli della Provincia dell’Aquila, reo di parricidio in persona del molinaro di Decima, ambedue di anni quaranta, condannato «al taglio della testa» e successiva esposizione in via de’ Cerchi, li 19 gennaio 1842.


364 Domenico Fiori del fu Giuseppe, da Sirolo, di anni 30, reo di omicidio, condannato li 11 luglio 1842 al «taglio della testa» ad ore 12. 


365 un carabiniere per averli domandato il suo nome. 


366 Gaspare Pierini di Città di Castello, di anni 23, reo di omicidio e sgrasso, «decapitato» il dì 15 ottobre 1842. 


367 Luigi Serenga di anni 24, di Fermo, reo per aver ucciso un prete, «decapitato» infermo, li 24 detto mese ed anno. 


368 Giuseppe Ricci di Caprarola di anni 24, reo di omicidio deliberato, «decapitato» in Ronciglione li 24 gennaio 1843. 


369 Pasquale Boccolini di anni 34, di Loreto, per omicidio premeditato, «decapitato» in Macerata il primo giugno 1843. 


370 Gaetano De Angelis 


371 Luigi De Angelis di Velletri rei di omicidio r grassazione, «decapitati» in Velletri li 12 settembre 1843.


372 Domenico Marcelli di Tivoli di anni 21, per latrocinio, «giustiziato» li 30 settembre 1843 sulla piazza della Madonna de’ Cerchi. 


373 Vincenzo Moresi, romano di anni 22, latrocinio, «giustiziato» come sopra. 


374 Giuseppe Salvatori di Saracinesco, governo di Tivoli, per omicidio proditorio, «giustiziato» li 30 settembre 1843 come sopra. 


375 Domenico Abbo, «condannato al taglio della testa» il giorno 4 ottobre 1843 ne’ Forte di S. Angelo per avere strangolato e sodomizzato il suo nipote carnale con altre brutalità che fanno inorridire.


376 Pietro Rossi, romano di anni 24, pescivendolo per rapine notturne, e ferite di qualche pericolo, in unione di 


377 Luigi Muzi, romano di anni 23, calzolaro, del medesimo delitto, condannati alla «morte» in via de’ Cerchi il giorno 9 gennaio 1844. 


378 Angelo Cece 


379 Antonio Tintisona il primo di anni 21, ed il secondo 25, da Monte Fortino, «decapitati» in Velletri il giorno primo giugno 1844, per grassazione, e ferite, con qualche pericolo.


380 Gio. Battista Rossi di Francesco, di S. Vito, di anni 22 campagnolo, reo di latrocinio, «condannato alla morte esemplare» il giorno 3 agosto 1844. 


381 Bartolomeo di Pietro di anni 28, nativo di Roccantica, e


382 Giovanni Girardi di anni 25, nativo come sopra, rei di omicidio in persona di un Frate Minore Osservante in Roccantica «condannati al taglio della testa» il giorno 16 ottobre 1844 in Poggio Mirteto.


383 Angelo Cesarini di Canistro nel Regno di Napoli, di anni 26, reo di omicidio e grassazione in persona del suo fratello cugino, «decapitato» in Paliano li 21 dicembre 1844. 


384 Giovanni Vagnarelli del fu Agostino da Gubbio, di anni 26, coniugato, campagnolo, per grassazione, ed omicidio in persona di Anna Cotten Bavarese, condannato «al taglio della testa» li 8 marzo 1845 in via de’ Cerchi. 


385 Raffaele Gammardella di Ancona forzato, reo di omicidio deliberato, «giustiziato» in Spoleto li 2 aprile 1845.


386 Giuseppe Micozzi

387 Antonio Raffaelli maceratesi, rei ambedue di omicidio e sgrasso in persona di uno spazzino, «decapitati» in Macerata li 7 aprile 1845.


388 Pietro Bartolini di Ancona, reo di omicidio con animo deliberato contro Berneimer Israelita svizzero, «decapitato» il giorno 10 aprile 1845. 


389 Luigi Percossi, romano, reo di omicidio con animo deliberato in persona di Angelo Bruschi Guardiano, perché il Percossi era forzato; «decapitato» in Roma in via de’ Cerchi li 19 aprile 1845 a ore 15. 


390 Francesco Antonio Bassani da Monte Compatri di anni 23. Reo di omicidio deliberato in persona di altro forzato nella Rocca di Spoleto, ivi «giustiziato» li 3 luglio 1845, e tale omicidio mentre si faceva la comunione nel bagno. 


391 Niccola Trombetta di Patrica nel Lazio, di anni 69, reo di omicidio con animo deliberato in persona del caffettiere di Maenza con furto qualificato; «condannato alla morte» il giorno 12 agosto 1845 in Maenza suddetta. 


392 Vincenzo Mariani di Macerata, di anni 26, reo di omicidio deliberato, di professione calzolaro, condannato al «taglio della testa» in via de’ Cerchi il giorno 30 agosto 1845. 


393 Giuseppe Dragoni di S. Anatolia, Delegazione di Macerata, «decapitato» in Spoleto li 23 ottobre 1845 per omicidio con animo deliberato in persona del Custode della Rocca di Spoleto. 


394 Niccola Ciarrocca di Massignano, di anni 27, reo di omicidio deliberato in persona di una zitella da lui incinta prima di matrimonio, «decapitato» in Massignano sud, li 30 ottobre 1845. 


395 Francesco Meloni del fu Pietro, nativo della Scarpa, di anni 34, capraro, reo di omicidio in persona di Maria Lori sua moglie, avendola strangolata; «condannato alla morte esemplare» li 15 gennaio 1846 ai Cerchi. 


396 Fedele Moretta e il suo fratello 


397 Benedetto Moretta, per grassazioni ed omicidj fatti, ed altre infamità «decapitati» li 4 marzo 1846 in Frosinone. 


398 Francesco Sciarra del fu Francesco, nativo di Ienna diocesi di Subiaco, di anni 24, reo di grassazione ed omicidio; «decapitato» in via de’ Cerchi il giorno 21 marzo 1846. 


399 Michele Pezzana detto Mechelone, di Poggio Renatico, reo di omicidio premeditato, forzato della Rocca di Spoleto, ivi «decapitato» li 26 novembre 1846.


400 Angelo Pecorari, di Poli, di anni 29. Contadino reo di omicidio premeditato in persona di una donna, condannato alla «morte di esemplarità» in Poli li 21 gennaio 1847. 


401 Francesco Pesaresi di Osimo, di anni 30, reo per un omicidio fatto in Ancona nel Bagno in persona di un forzato; condannato al «taglio della testa» li 24 aprile 1847 in Ancona. 


402 Giovanni Ciampicolo


403 Giuseppe Galli 


404 Francesco Pasquali

405 Mauro Franceschelli forzati, per tre omicidj fatti nel Bagno, «condannati a morte» il 1° luglio 1847, morti impenitenti in Spoleto. 


406 Romolo Salvatori di Cisterna, di anni 40, per aver fatto fucilare dai Garibaldini, in tempo di Repubblica, l’Arciprete di Giulianello in Anagni; «decapitato» in quella città li 10 settembre 1851.


407 Gaetano Pettinelli del fu Giovanni, di Monteleone di Fermo, di anni 34, muratore, per omicidj per spirito di parte; «decapitato» in via de’ Cerchi li 27 settembre 1851.


408 Bonaventura Stefanini


409 Benvenuto Cavalieri

410 Pietro Ventroni tutti e tre «decapitati» sulla piazza di Fabriano li 15 novembre 1851 per tentato omicidio con premeditazione, in persona di un Sacerdote.


411 Pietro Giammaiere detto Casciotta, di Terni domiciliato in S. Gemini distretto di Terni delegazione di Spoleto, «decapitato» li 25 settembre 1852 per omicidio e grassazione in piazza di Spoleto. 


412 Sabbatino Proietti di circa anni 25, «decollato» in Rieti per ladrocinio e grassazione li 20 agosto 1853, morto convertito, ed è stata eseguita la giustizia sulla piazza del Ponte.


413 Giacomo Biacetti del fu Carlo, romano, di anni 26, gramiciaro; 


414 Andrea Severi figlio del vivente Antonio, romano, di anni 28, vaccinaro; rei ambedue di grassazioni e furti qualificati ed omicidio, «decapitati» ai Cerchi li 10 settembre 1853. 


415 Vincenzo Iancoli di Ronciglione, reo di grassazione ed omicidio; 


416 Francesco Valentini di Letera; 


417 Francesca Levante vedova Ferruccini, per omicidio: tutti e tre «decapitati» a Viterbo li 8 ottobre 1853. 


418 Francesco Leandri di Marino, condannato a «morte» per omicidio per omicidio premeditato li 12 ottobre 1853.


419 Gustavo Paolo Epaminonda Rambelli del fu Gustavo, di Ravenna, ex finanziere, di anni 28;


420 Gustavo Marioni di Giuseppe, d’anni 29, di Forlì, ex finanziere;


421 Ignazio Mancini di anni 30, di Ascoli, ex finanziere; tutti e tre per omicidj commessi il primo il 30 aprile 1849, in persona del Padre Aquila Domenicano, Parroco alla Croce di Monte Mario; il secondo del Padre Pellicciaio Domenicano, Parrocco della Minerva, li 2 maggio a S. Calisto, per ordine del crudelissimo Zambianchí Capitano de’ Finanzieri, ed altri Sacerdoti uccisero; «condannati al taglio della testa» li 24 gennaio 1854, a Cerchi e morti impenitenti recando scandalo con bestemmie continuate. 


422 Sante Costantini da Fuligno, scapolo, di anni 24, complice nell’assassinio del Commendatore Conte Pellegrino Rossi; condannato il di 15 novembre 1848 al «taglio della testa» in via de’ Cerchi li 22 luglio 1854 alle ore 6 e un quarto. 


423 Pietro Chiappa

424 Landerio Civitella

425 Paolo Dolci


426 Filippo Dolci il primo di anni 22, il secondo di anni 30, il terzo di anni 26, ed il quarto di anni 24, tutti Velletrani e rei di grassazioni ed omicidj, condannati al «taglio della testa», giustizia eseguita li 9 agosto 1854 alla Piazza di S. Carlo in Velletri. 


427 Angelo Racchetti di Gradoli, per omicidio premeditato, «decapitato» nella città di Valentano li 30 settembre 1854. 


428 Giovanni Sabbatini marcheggiano, per omicidio e tentata grassazione «decapitato» in Frascati li 15 novembre 1854. 


429 Giovacchino Leoni di Caprarola, per omicidio ed incendio alla persona dell’ucciso; «decapitato» in Ronciglione li 28 novembre 1854.


430 Pietro Muzi di Trevisano per aver grassato ed ucciso il proprio compare, «decapitato» nella Città d’Acqua Pendente li 16 gennaio 1855, morì impenitente.


431 Giuseppe De Cesaris di Monte Leone di Cascia condannato per grassazione ed omicidio al «taglio della testa» li 6 febbraio 1855 in via de’ Cerchi. 


432 Luigi Scipioni di Petescia, di anni 28, «decapitato» in Rieti li 10 febbraio 1855 per omicidio premeditato. 


433 Domenico Scappoti di Sismano, di anni 46, per omicidio con animo premeditato, condannato all’ultimo «supplizio» li 15 marzo 1855 in Città di Terni. 


434 Bernardino Valeriani del fu Giuseppe da Palombara, di anni 28, bifolco, per omicidio premeditato «decapitato» in via de’ Cerchi li 2 maggio 1855. 


435 Filippo Troncarelli di Ronciglione, avendo ucciso il suo fratello di anni 29, condannato alla «decapitazione» in Ronciglione li 23 giugno 1855.


436 Crispino Bonifazi di Viterbo, per matricidio fatto in Viterbo condannato all’ultimo «supplizio» li 25 giugno 1855.


437 Francesco Bertarelli di Viterbo, per titolo di grassazione condannato all’ultimo «supplizio» li 25 suddetto. 


438 Antonio Moschini dei casali di Viterbo, reo di grassazione condannato all’ultimo «supplizio» li 25 giugno 1855. 


439 Giovanni Cruciani di Rieti, per titolo di grassazione condannato al «taglio della testa» in Viterbo li 25 giugno 1855. 


440 Paolo Moretti di Monte Fiascone, «decapitato» li 26 giugno 1855, per aver ucciso il suo avversario e quindi la sua sorella carnale, morì alle ore 12. 


441 Pietro Antonio Barbero di Grotta di Castro, reo di grassazione, condannato all’ultimo «supplizio» li 27 giugno 1855.


442 Arberto Cicoria di Città di Castello, per ladrocinio e omicidio condannato all’ultimo «supplizio» li 26 giugno 1855.


443 Giosuè Mattioli di Viterbo, per grassazioni condannato all’ultimo «supplizio» in Viterbo.


444 Neri Domenico Vetrella, reo di grassazione; condannato all’ultimo «supplizio» li 30 giugno 1855. 


445 Benedetto Ferri di Casali di Viterbo, reo di grassazione condannato a «morte» a Viterbo li 30 giugno 1855. 


446 Salvatore Tarnalli di Casali di Viterbo, reo di grassazione condannato alla «morte» in Viterbo li 30 giugno 1855. 


447 Antonio del fu Ferdinando De Felici, romano, di anni 35, di professione cappellaro, per attentato commesso in persona dell’Emo. Cardinale Antonelli segretario di Stato,condannato a «morte» li 11 luglio 1855 in via de’ Cerchi.


448 Pietro Ciprini di Viterbo, di anni 19, per grassazione condannato a «morte» in Monte Rosi li 7 agosto 1855.


449 Giacomo Salvatori di Valle Pietra, diocesi di Subiaco, per omicidio, condannato alla «morte» esemplare li 17 agosto 1855 in Subiaco.


450 Luigi Sarra nativo di S. Angelo, di anni 29, e


451 Nicola Arrigoli nativo di Treia, di anni 22, «decapitati» in Civitavecchia li 13 ottobre 1855. 


452 Alessandro Guenzi di Sinigaglia, di anni 31, per omicidio; eseguita la giustizia in Toscanella li 15 ottobre 1855.


453 Germano Proietti reo fu «decapitato» in Civita Castellana li 18 ottobre 1855. 


454 Arcangelo Finestraro da S. Buceto, per aver ucciso la propria moglie, «decapitato» in Amelia li 20 ottobre 1855. 


455 Pietro Pace


456 Giuseppe Partenzi

457 Martino Rossi Rei di omicidio di una giovane, «decapitati» in Spoleto li 23 ottobre 1855.


458 Maria Rossetti

459 Serafino Benfatti Rei di omicidio in persona della propria moglie, «decapitati» in Perugia li… 1855.


460 Giovanni Di Giuseppe di Faenza, di anni 36, reo per aver ucciso un ispettore di polizia,«decapitato» li 29 ottobre 1855.


461 Raimondo Bregna, Spagnolo, per omicidio premeditato fatto in Campagnano, «decapitato» li 6 novembre 1855. 


462 Cesare Barzetto, romano, di anni 30, e


463 Giacomo del fu Francesco Mercatelli, romano, di anni 30, per aver ucciso il custode delle carceri di Termini, «decapitati» in Roma li 9 gennaio 1856, impenitenti.


464 Lorenzo Mariani di Terni, per omicidio insidioso, morto in Terni li 5 aprile 1856. 
465 Giuseppe Conti di Terni, per omicidio insidioso, morto in Terni impenitente il giorno sudetto.


466 Filippo Lucchetti della Piaggia, eseguita la giustizia in Trevi il giorno 7 aprile 1856 per omicidio premeditato.


467 Odoardo Baldassarri di Ancona, per omicidio impremeditato in persona di Francesco Cinti; eseguita la giustizia in Trevi li 14 aprile 1856. 


468 Giuseppe Grilli di Albano, di anni 26, per omicidio e grassazione condannato al «taglio della testa» in Albano li 26 aprile 1856.


469 Antonio de Marzi di Albano, di anni 55, per grassazione ed omicidio condannato all’«ultimo supplizio» in Albano il giorno sudetto. 


470 Pio Capolei di Marino di anni 22, per omicidio premeditato in persona del Brigattiere Maccaroni di detta Città, «decapitato» in Marino il giorno 8 maggio 1856. 


471 Giuseppe Terenziani detto Fritella di anni 59, di Todi, per aver ucciso la propria madre condannato alla «decapitazione» in Todi li 18 giugno 1856.


472 Antonio Caprara detto Ciovettolo, romano di anni 27, facocchio, per omicidio premeditato condannato al «taglio della testa» li 6 settembre 1856. 


473 Bartolomeo Oli di Lobo delegazione di Macerata, di anni 36, campagnolo, per omicidio e grassazione «decapitato» in via de’ Cerchi il giorno sudetto. 


474 Nemesio Pelonzi di Palombara, di anni 30, per omicidio premeditato in persona dello speziale di Palombara «decapitato» in Palombara li 13 dicembre 1856. 


475 Francesco Roschini di Marcellina, di anni 27, per omicidio premeditato «decapitato» in Palombara il giorno sudetto. 


476 Nicola De Bonis di Marcellina, di anni 27, per omicidio premeditato «decapitato» come sopra il giorno sudetto. 


477 Antonio De Angelis di Marcellina, di anni 27, per omicidio premeditato «decapitato» come sopra il giorno sudetto. 


478 Achille Malaccari di Ancona di anni 30 per aver ucciso il proprio padre «decapitato» in Ancona li 26 gennaio 1857. 


479 Domenico Carloni di S. Valentino diocesi di Perugia, di anni 40, per omicidio e grassazione «decapitato» in Perugia li 7 marzo 1857.


480 Anacleto Marchetti di Giulianello di anni 35, per omicidio di un uomo ed una donna e poi per aver incendiato una casola di grano «decapitato» in Monte Fortino li 5 maggio 1857. 


481 Domenico Capolei del fu Ottavio, di Marino per aver ucciso il Governatore di Marino, Luigi Giuliani, «decapitato» in Marino li 2 maggio 1857. 


482 Francesco Elisei di Velletri, di anni 23 per omicidio volontario «decapitato» in Civita Castellana li 22 dicembre 1857. 


483 Serafino Ciucci di Subiaco, di anni 34, reo di omicidio con animo deliberato di rubare ed altri delitti, «decapitato» in Subiaco li 23 gennaio 1858.


484 Davidde Foschetti di Bassanello, di anni 32, per omicidio di una donna «decapitato» in Orfe li 16 marzo 1858. 


485 Giuseppe Berfarelli di Viterbo, di anni 22, «decapitato» in Viterbo li 23 giugno 1858 per omicidio e grassazione. 


486 Carlo Camparini di Viterbo, di anni 21, per omicidio e grassazione «morto» in Viterbo il giorno sudetto. 
487 Alpini Giorgio 
488 Sebbastiano Filippo


489 Rossi Pietro di S. Martino, per grassazione, «decapitati» nella Città di Spoleto li 17 agosto 1858.


490 Vincenzo Pagliara di Frosinone, per omicidio con animo deliberato, «decapitato» in Frosinone li 13 ottobre 1858. 


491 Pietro Masciotti, per omicidio e sgrasso «decapitato» in Perugia li 23 ottobre 1858. 


492 Vincenzo Lodovici, di anni 33, per omicidio deliberato «decapitato» li 8 gennaio 1859 nella fortezza di Civita Castellana.


493 Giovanni Cosinia, di anni 26, del fu Nicola, di Carbognano, condannato alla «morte esemplare» per omicidio li 2 marzo 1859. 


494 Gennaro Castellone, di anni 28, di Silvestro, di Cellano, per omicidio alla «morte esemplare» li 2 maggio 1859. 


495 Nazareno Caponi, natio di Monteleone, reo di fratricidio, «decapitato» in Treia li 11 maggio 1859. 


496 Giuseppe Lepri, di anni 30, nativo di Civitella di Agliano, sgrassatore, «morto» in Viterbo li 17 settembre 1859. 


497 Pietro Pompili, di anni 33, nativo di Civitella di Agliano, sgrassatore, «morti» impenitenti in Viterbo il giorno sudetto.


498 Vincenzo Vendetta, velletrano 


499 Antonio di Giacomo, velletrano 


500 Luigi Nardini, velletrano


501 Antonio Vendeta, per grassatori ed omicidj «morti» in Velletri li 29 ottobre 1859.


502 Valentino Antonio di Giacomo, tutti e cinque velletrani. 


503 Luigi Bonci di Gennaro, delegazione di Perugia, alla «morte esemplare» li 14 gennaio 1860. 


504 Serafino Volpi di Orvieto, alla «morte esemplare» li 18 gennaio 1860 in Orvieto. 


505 Antonio Simonetti, per omicidio con animo deliberato «decapitato» nella Darsena di Civitavecchia li 21 gennaio 1860, morto impenitente.


506 Giuseppe Alessandrini di Luigi, di Mosciano di Jesi, di anni 24, condannato dal Tribunale Criminale li 14 marzo 1859 per omicidio alla «morte esemplare». 


507 Lugi Finochi di Corneto, di anni 30, per uxoricidio «decapitato» in Corneto li 21 luglio 1860. 


508 Adamo Mazzanti, di Jesi, per omicidio in persona di padre, madre e figlio;fu eseguita la «giustizia» li 12 settembre 1860. 


509 Luigi Gagliardi, grassatore per assassinio ed omicidio, «decapitato» in Civitavecchia li 12 gennaio 1861. 


510 Nazazreno Gercorini, per omicidio e sgrasso per lo stesso motivo come sopra. 


511 Gaetano Lucarelli, di Marino, di anni 29, per omicidio traversale «morto» in Marino li 30 aprile 1861 impenitente. 


512 Cesare Locatelli, romano, di anni 37, reo di omicidio con animo di parte, «morto» in via de’ Cerchi li 21 settembre 1861.


513 Angelo Lisi di Alatri, reo di grassazione con animo deliberato, «morto» in Frosinone li 30 aprile 1862.


514 Angelo Isola di Rocca Secca nel Regno di Napoli, reo di grassazione, morto in Subiaco li 11 giugno 1864. 


515 Antonio Olietti, romano, reo di omicidj ed altri delitti, morto in via de’ Cerchi li 17 agosto 1864. 


516 Domenico Antonio Demartini, regnicolo, reo, di omicidj, «morto» in via de’ Cerchi li 17 agosto 1864. 


Così finisce la lunga lista del Bugatti. Rechiamo ora quella brevissima del suo successore.

 



DECAPITAZIONI eseguite da Vincenzo Calducci



Nella Darsena di Civitavecchia addì 20 maggio 1865 Saturnino Pescitelli. 


In Viterbo addì 17 febbraio 1866 Salvatore Silvestri. 


In Bracciano addì 23 maggio 1866 (doveva eseguirsi la sentenza contro Antonio di Giuseppe o Ventura, ma non fu eseguita) 


In Roma addì 21 luglio 1866 Francesco Ruggeri e Pasquale Berardi. 


In Supino addì 11 febbraio 1867 Paolo Caprara.


In Frosinone addì 11 marzo 1867 Giovanni Capri.


In Veroli addì 12 marzo 1867 Ignazio Bubali.


In Zagarolo addì 8 ottobre 1867 Ascenzo Palifermanti.


In Palestrina addì 23 maggio 1868 Pasquale Dicori.

In Roma addì 24 novembre 1868 Monti Giuseppe e Tognetti Gaetano. 


In Rocca di Papa addì 14 luglio 1869 Francesco Martini.

In Palestrina addì 9 luglio 1870 Agabito Bellomo

 

Fonte: (Wikipedia)




Feb 25 2009

Così parlò Benjamin Freedman – Perchè l’America entrò nella Prima Guerra Mondiale

Benjamin Freedman (1890 – 1984)

di Maurizio Blondet, estratto, da «Israele, USA, il terrorismo islamico» ,

Benjamin Freedman – Uomo d’affari di successo (era il proprietario della Woodbury Soap Co.), ebreo di New York, patriota americano, Benjamin Freedman – che era stato membro della delegazione americana al Congresso di Versailles nel 1919 – ruppe con l’ebraismo organizzato e i circoli sionisti dopo il 1945, accusandoli di aver favorito la vittoria del comunismo in Russia.


Da quel momento, dedicò la vita e le sue ragguardevoli fortune (2,5 milioni di dollari di allora)
a combattere e denunciare le trame dei suoi correligionari (1).
Benjamin Freedman tenne, nel 1961, al Willard Hotel di Washington ad un’influente platea, riunita dal giornale americano Common Sense, il seguente discorso.

«Qui negli Stati Uniti, i sionisti e i loro correligionari hanno il completo controllo del nostro governo.
Per varie ragioni, troppo numerose e complesse da spiegare qui, i sionisti dominano questi Stati Uniti come i monarchi assoluti di questo Paese.


Voi direte che è un’accusa troppo generale: lasciate che vi spieghi quel che ci è accaduto mentre noi tutti dormivamo.


Che cosa accadde?
La Prima Guerra Mondiale scoppiò nell’estate del 1914.


Non sono molti a ricordare, qui presenti.
In quella guerra, Gran Bretagna, Francia e Russia erano da una parte; dalla parte avversa, Germania, Austria-Ungheria e Turchia.
Entro due anni, la Germania aveva vinto quella guerra.
Non solo nominalmente, ma effettivamente.


I sottomarini tedeschi, che stupirono il  mondo, avevano fatto piazza pulita di ogni convoglio che traversava l’Atlantico.


La Gran Bretagna era priva di munizioni per i suoi soldati, e poche riserve alimentari, dopo cui,
la prospettiva della fame.


L’armata francese s’era ammutinata: aveva perso 600 mila giovani nella difesa di Verdun sulla Somme.


L’armata russa stava disertando in massa, tornavano a casa, non amavano lo Zar e non volevano più morire.
L’esercito italiano era collassato [a Caporetto].


Non un colpo era stato sparato su suolo tedesco.
Non un solo soldato nemico aveva attraversato la frontiera germanica.
Eppure, in quell’anno [1916] la Germania offrì all’Inghilterra la pace.
Offriva all’Inghilterra un negoziato di pace su quella base, che i giuristi chiamano dello ‘status quo ante‘.
Ciò significa: ‘Facciamola finita, e lasciamo tutto com’era prima che la guerra cominciasse’.
 L’Inghilterra, nell’estate del 1916, stava seriamente considerando quest’offerta.
 Non aveva scelta.
 O accettava quest’offerta magnanima, o la prosecuzione della guerra avrebbe visto la sua disfatta.


In questo frangente, i sionisti tedeschi, che rappresentavano il sionismo dell’Europa Orientale, presero contatto col Gabinetto di Guerra britannico – la faccio breve perché è una lunga storia,
ma ho i documenti che provano tutto ciò che dico – e dicono: ‘Potete ancora vincere la guerra. Non avete bisogno di cedere. Potete vincere se gli Stati Uniti intervengono al vostro fianco’.
Gli Stati Uniti non erano in guerra allora».

«Eravamo nuovi; eravamo giovani; eravamo ricchi; eravamo potenti.
Essi dissero all’Inghilterra: ‘Noi siamo in grado di portare gli Stati Uniti in guerra come vostro alleato, per battersi al vostro fianco, se solo ci promettete la Palestina dopo la guerra‘. […].


Ora, l’Inghilterra aveva tanto diritto di promettere la Palestina ad altri quanto gli Stati Uniti hanno il diritto di promettere il Giappone all’Irlanda.


E’ assolutamente assurdo che la Gran Bretagna, che non aveva mai avuto alcun interesse o collegamento con quella che oggi chiamiamo Palestina, potesse prometterla come moneta in cambio dell’intervento americano.


Tuttavia, fecero questa promessa, nell’ottobre 1916 [con la Dichiarazione Balfour, ndr.].


E poco dopo – non so se qualcuno di voi lo ricorda – gli Stati Uniti, che erano quasi totalmente
pro-germanici, entrarono in guerra come alleati della Gran Bretagna.


Dico che gli Stati Uniti erano quasi totalmente filotedeschi perché i giornali qui erano controllati dagli ebrei, dai nostri banchieri ebrei – tutti i mezzi di comunicazione di massa – e gli ebrei erano filotedeschi. 
Perché molti di loro provenivano dalla Germania, e anche volevano vedere la Germania rovesciare lo Zar; non volevano che la Russia vincesse.


Questi banchieri ebrei tedeschi, come Kuhn Loeb e delle altre banche d’affari negli Stati Uniti, avevano rifiutato di finanziare la Francia o l’Inghilterra anche con un solo dollaro.
Dicevano: ‘Finché l’Inghilterra è alleata alla Russia, nemmeno un centesimo!’.
Invece finanziavano la Germania; si battevano con la Germania contro la Russia.


Ora, questi stessi ebrei, quando videro la possibilità di ottenere la Palestina, andarono in Inghilterra e fecero l’accordo che ho detto.


Tutto cambiò di colpo, come un semaforo che passa dal rosso al verde.
Dove i giornali erano filotedeschi, […] di colpo, la Germania non era più buona.
Erano i cattivi.
Erano gli Unni.
Sparavano sulle crocerossine.
Tagliavano le mani ai bambini.
Poco dopo, mister Wilson [il presidente Woodrow Wilson, ndr.] dichiarava guerra alla Germania.
I sionisti di Londra avevano spedito telegrammi al giudice Brandeis (2): ‘Lavorati il presidente Wilson. Noi abbiamo dall’Inghilterra quello che vogliamo. Ora tu lavorati il presidente Wilson e porta gli USA in guerra’.
Così entrammo in guerra.
Non avevamo interessi in gioco.


Non avevamo ragione di fare questa guerra, più di quanto non ne abbiamo di essere sulla luna stasera, anziché in questa stanza.
Ci siamo stati trascinati perché i sionisti potessero avere la Palestina.


Questo non è mai stato detto al popolo americano.


Appena noi entrammo in guerra, i sionisti andarono dalla Gran Bretagna e dissero: ‘Bene, noi abbiamo compiuto la nostra parte del patto. Metteteci qualcosa per iscritto come prova che ci darete la Palestina’.
 Non erano sicuri che la guerra durasse un altro anno o altri dieci.
 Per questo cominciarono a chiedere il conto.
La ricevuta.
 Che prese la forma di una lettera, elaborata in un linguaggio molto criptico, in modo che il resto del mondo non capisse di che si trattava.


Questa fu chiamata la Dichiarazione Balfour» (3). […]

«Da qui cominciano tutti i problemi. […]
Sapete quello che accadde.


Quando la guerra finì, la Germania andò alla Conferenza di Pace di Parigi nel 1919 [nella delegazione USA] c’erano 117 ebrei, a rappresentare gli Stati Uniti, capeggiati da Bernard Baruch (4).


C’ero anch’io, e per questo lo so.


Che cosa accadde dunque? 
Alla Conferenza di Pace, mentre si tagliava a pezzi la Germania e si spezzettava l’Europa per darne parti a tutte quelle nazioni che reclamavano il diritto a un certo territorio europeo, gli ebrei presenti dissero: ‘E la Palestina per noi?’, ed esibirono la Dichiarazione Balfour.


Per la prima volta a conoscenza dei tedeschi.


Così i tedeschi per la prima volta compresero: ‘Ah, era questa la posta! Per questo gli Stati Uniti sono entrati in guerra’.


Per la prima volta i tedeschi compresero che erano stati disfatti, che subivano le tremende riparazioni che gli erano imposte dai vincitori, perché i sionisti volevano la Palestina ed erano decisi   ad averla ad ogni costo.
Qui è un punto interessante.


Quando i tedeschi capirono, naturalmente cominciarono a nutrire rancore.


Fino a quel giorno, gli ebrei non erano mai stati meglio in nessun Paese come in Germania.


C’era Rathenau là, che era cento volte più importante nell’industria e nella finanza di Bernard Baruch in questo Paese.


C’era Balin, padrone di due grandi compagnie di navigazione, la North German Lloyd’s e la Hamburg-American Lines.


C’era Bleichroder, che era il banchiere della famiglia Hohenzollern.


Cerano i Warburg di Amburgo, i grandi banchieri d’affari, i più grandi del mondo.
Gli ebrei prosperavano davvero in Germania.
E i tedeschi ebbero la sensazione di essere stati venduti, traditi.


Fu un tradimento che può essere paragonato a questa situazione ipotetica: immaginate che gli USA siano in guerra con l’URSS.
E che stiamo vincendo.
E che proponiamo all’Unione Sovietica: ‘Va bene, smettiamola. Ti offriamo la pace’.
E d’improvviso la Cina Rossa entra in guerra come alleato dell’URSS, e la sua entrata in guerra ci porta alla sconfitta.


Una sconfitta schiacciante, con riparazioni da pagare tali, che l’immaginazione umana non può comprendere.
Immaginate che, dopo la sconfitta, scopriamo che sono stati i cinesi nel nostro Paese, i nostri concittadini cinesi, che abbiamo sempre pensato leali cittadini al nostro fianco, a venderci all’URSS, perché sono stati loro a portare in guerra la Cina contro di noi.


Cosa provereste, allora, in USA, contro i cinesi?


Non credo che uno solo di loro oserebbe mostrarsi per la strada; non ci sarebbero abbastanza lampioni a cui impiccarli.
Ebbene: è quello che provarono i tedeschi verso quegli ebrei.
Erano stati tanto generosi con loro: quando fallì la prima Rivoluzione russa (5) e tutti gli ebrei dovettero fuggire dalla Russia, ripararono in Germania, e la Germania diede loro rifugio.
  Li trattò bene.


Dopo di che, costoro vendono la Germania per la ragione che vogliono la Palestina come ‘focolare ebraico’».

«Ora Nahum Sokolow, e tutti i grandi nomi del sionismo, nel 1919 fino al 1923 scrivevano proprio questo: che il rancore contro gli ebrei in Germania era dovuto al fatto che sapevano che la loro grande disfatta era stata provocata dall’interferenza ebraica, che aveva trascinato nella guerra gli USA.

Gli ebrei stessi lo ammettevano.
[…] 
Tanto più che la Grande Guerra era stata scatenata contro la Germania senza una ragione, una responsabilità tedesca.


Non erano colpevoli di nulla, tranne che di avere successo. 
Avevano costruito una grande nazione.
 Avevano una rete commerciale mondiale.


Dovete ricordare che la Germania al tempo della Rivoluzione francese consisteva di 300 piccole città-stato, principati, ducati e così via.


E fra l’epoca di Napoleone e quella di Bismarck, quelle 300 microscopiche entità politiche separate si unificarono in uno Stato.


Ed entro 50 anni la Germania era divenuta una potenza mondiale.


La sua marina rivaleggiava con quella dell’Impero britannico, vendeva i suoi prodotti in tutto il mondo, poteva competere con chiunque, la sua produzione industriale era la migliore.


Come risultato, che cosa accadde?
 Inghilterra, Francia e Russia si coalizzarono per stroncare la Germania […].


Quando la Germania capì che gli ebrei erano i responsabili della sua sconfitta, naturalmente nutrì rancore.


Ma a nessun ebreo fu torto un capello in quanto ebreo.


Il professor Tansill, della Georgetown University, che ha avuto accesso a tutti i documenti riservati del Dipartimento di Stato, ne cita uno scritto da Hugo Schoenfeldt, un ebreo che Cordell Hull inviò in Europa nel 1933 per investigare sui cosiddetti campi di prigionia politica, e riferì al Dipartimento di Stato USA di avere trovato i detenuti in condizioni molto buone.
Solo erano pieni di comunisti.


E una quantità erano ebrei, perché a quel tempo il 98% dei comunisti in Europa erano ebrei.


Qui, occorre qualche spiegazione storica,
Nel 1918-19 i comunisti presero il potere in Baviera per qualche giorno, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht ed altri, tutti ebrei.


Infatti a guerra finita il Kaiser scappò in Olanda perché i comunisti stavano per impadronirsi della Germania e lui aveva paura di fare la fine dello Zar.


Una volta schiacciata la minaccia comunista, gli ebrei ancora lavorarono […] erano 460 mila ebrei fra 80 milioni di tedeschi, l’1,5% della popolazione, eppure controllavano la stampa, e controllavano l’economia perché avevano valuta estera e quando il marchio svalutò comprarono tutto per un pezzo di pane».

«Gli ebrei tengono nascosto questo, non vogliono che il mondo comprenda che avevano tradito la Germania e i tedeschi se lo ricordavano.
I tedeschi presero misure contro gli ebrei.


Li discriminarono dovunque possibile.


Allo stesso modo noi tratteremmo i cinesi, i negri, i cattolici, o chiunque in questo Paese  che ci avesse venduto al nemico e portato alla sconfitta.


Ad un certo punto gli ebrei del mondo convocarono una conferenza ad Amsterdam.


E qui, venuti da ogni parte del mondo nel luglio 1933, intimarono alla Germania:

‘Mandate via Hitler, rimettete ogni ebreo nella posizione che aveva, sia comunista o no. Non potete trattarci in questo modo. Noi, gli ebrei del mondo, lanciamo un ultimatum contro di voi’.


Potete immaginare come reagirono i tedeschi.


Nel 1933, quando la Germania rifiutò di cedere alla conferenza mondiale ebraica di Amsterdam, Samuel Untermeyer, che era il capo della delegazione americana e presidente della conferenza, tornò in USA, andò agli studios della Columbia Broadcasting System (CBS) e tenne un discorso radiofonico in cui in sostanza diceva:

‘Gli ebrei del mondo dichiarano ora la Guerra Santa contro la Germania. Siamo ora impegnati in un conflitto sacro contro i tedeschi. Li piegheremo con la fame. Useremo contro di essi il boicottaggio mondiale. Così li distruggeremo, perché la loro economia dipende dalle esportazioni’ (6).


E di fatto i due terzi del rifornimento alimentare tedesco dovevano essere importati, e per importarlo dovevano vendere, esportare, i loro prodotti industriali.
All’interno, producevano solo abbastanza cibo per un terzo della popolazione.
Ora in quella dichiarazione, che io ho qui e che fu pubblicata sul New York Times del 7 agosto 1933, Samuel Untermeyer dichiarò audacemente che ‘questo boicottaggio economico è il nostro mezzo di autodifesa.

Il presidente Roosevelt ha propugnato la sua adozione nella Nation Recovery Administration’, che, qualcuno di voi ricorderà, imponeva il boicottaggio contro qualunque Paese non obbedisse alle regole del New Deal, e che poi fu dichiarato incostituzionale dalla Corte Suprema.

Tuttavia, gli ebrei del mondo intero boicottarono la Germania, e il boicottaggio fu così efficace che non potevi più trovare nulla nel mondo con la scritta ‘Made in Germany’.


Un dirigente della Woolworth Co. mi raccontò allora che avevano dovuto buttare via milioni di dollari di vasellame tedesco; perché i negozi erano boicottati se vi si trovava un piatto con la scritta ‘Made in Germany’; vi formavano davanti dei picchetti con cartelli che dicevano ‘Hitler assassino’ e così via.


In un magazzino Macy, di proprietà di una famiglia ebraica, una donna trovò calze con la scritta ‘Made in Germany’
Vidi io stesso il boicottaggio di Macy’s, con centinaia di persone ammassate all’entrata con cartelli che dicevano ‘Assassini’, ‘Hitleriani’, eccetera».

«Va notato che fino a quel momento in Germania non era stato torto un capello sulla testa di un ebreo.
Non c’era persecuzione, né fame, né assassini, nulla.
Ma naturalmente, adesso i tedeschi cominciarono a dire:

‘Chi sono questi che ci boicottano, e mettono alla disoccupazione la nostra gente e paralizzano le nostre industrie?’.


Così cominciarono a dipingere svastiche sulle vetrine dei negozi di proprietà degli ebrei […]


Ma sono nel 1938, quando un giovane ebreo polacco entrò nell’ambasciata tedesca a Parigi e sparò a un funzionario tedesco, solo allora i tedeschi cominciarono ad essere duri con gli ebrei in Germania.


Allora li vediamo spaccare le vetrine e fare pestaggi per a strada.


Io non amo usare la parola ‘antisemitismo’ perché non ha senso, ma siccome ha un senso per voi, dovrò usarla.


La sola ragione del risentimento tedesco  contro gli ebrei era dovuta al fatto che essi furono i responsabili della Prima Guerra mondiale e del boicottaggio mondiale.


In definitiva furono responsabili anche della Seconda Guerra mondiale, perché una volta sfuggite le cose dal controllo, fu assolutamente necessario che gli ebrei e la Germania si battessero in una guerra per questione di sopravvivenza.


Nel frattempo io ho vissuto in Germania, e so che i tedeschi avevano deciso che l’Europa sarebbe stata comunista o ‘cristiana’: non c’è via di mezzo.


E i tedeschi decisero che avrebbero fatto di tutto per mantenerla ‘cristiana’.


Nel novembre 1933 gli Stati Uniti riconobbero l’Unione Sovietica.


L’URSS stava diventando molto potente, e la Germania comprese che ‘presto toccherà a noi, se non saremo forti».


E’ la stessa cosa che diciamo noi, oggi, in questo Paese.
Il nostro governo spende 83-84 miliardi di dollari per la difesa.
Difesa contro chi?
Contro 40 mila piccoli ebrei a Mosca che hanno preso il potere in Russia, e con  le loro azioni tortuose, in molti altri Paesi del mondo.[…]
Che cosa ci aspetta?»

«Se scateniamo una guerra mondiale che può sboccare in una guerra atomica, l’umanità è finita.
Perché una simile guerra può avvenire?
Il fatto è che il sipario sta di nuovo salendo.
Il primo atto fu la Grande Guerra, l’atto secondo la Seconda guerra mondiale, l’atto terzo sarà la Terza guerra mondiale. 
I sionisti e i loro correligionari dovunque vivano, sono determinati ad usare di nuovo gli Stati Uniti perché possano occupare permanentemente la Palestina come loro base per un governo mondiale.


Questo è vero come è vero che sono di fronte a voi.


Non solo io ho letto questo, ma anche voi lo avete letto, ed è noto a tutto il mondo. […]


Io avevo una idea precisa di quello che stava accadendo: ero l’ufficiale di Henry Morgenthau Sr. nella campagna del 1912 in cui il presidente [Woodrow] Wilson fu eletto.
Ero l’uomo di fiducia di Henry Morgenthau Sr., che presiedeva la Commissione Finanze, ed io ero il collegamento tra lui e Rollo Wells, il tesoriere.


In quelle riunioni il presidente Wilson era a capo della tavola, e c’erano tutti gli altri, e io li ho sentiti ficcare nel cervello del presidente Wilson la tassa progressiva sul reddito e quel che poi divenne la Federal Reserve, e li ho sentiti indottrinarlo sul movimento sionista.


Il giudice Brandeis e il presidente Wilson erano vicini come due dita della mano.
  Il presidente Wilson era incompetente come un bambino.


Fu così che ci trascinarono nella Prima guerra mondiale, mentre tutti noi dormivamo. […]


Quali sono i fatti a proposito degli ebrei?


Li chiamo ebrei perché così sono conosciuti, ma io non li chiamo ebrei.
Io mi riferisco ad essi come ai ‘cosiddetti ebrei’, perché so chi sono.


Gli ebrei dell’Europa orientale, che formano il 92% della popolazione mondiale di queste genti che chiamano se stesse ‘ebrei’, erano originariamente Kazari.


Una razza mongolica, turco-finnica.


Erano una tribù guerriera che viveva nel cuore dell’Asia.


Ed erano tali attaccabrighe che gli asiatici li spinsero fuori dall’Asia, nell’Europa orientale.


Lì crearono un grande regno Kazaro di 800 mila miglia quadrate.


A quel tempo [verso l’800 dopo Cristo, ndr] non esistevano gli USA, né molte nazioni europee […]. Erano adoratori del fallo, che è una porcheria, e non entro in dettagli.


Ma era questa la loro religione, come era anche la religione di molti altri pagani e barbari».

«Il re Kazaro finì per disgustarsi della degenerazione del proprio regno, sì che decise di adottare una fede monoteistica – il cristianesimo, l’Islam, o quello che oggi è noto come ebraismo, che è in realtà talmudismo.


Gettando un dado, egli scelse l’ebraismo, e questa diventò la religione di Stato.


Egli mandò inviati alle scuole talmudiche di Pambedita e Sura e ne riportò migliaia di rabbini, aprì sinagoghe e scuole, e il suo popolo diventò quelli che chiamiamo ‘ebrei orientali’.


Non c’era uno di loro che avesse mai messo piede in Terra Santa.
Nessuno!


Eppure sono loro che vengono a chiedere ai cristiani di aiutarli nelle loro insurrezioni in Palestina  dicendo: ‘Aiutate a rimpatriare il Popolo Eletto da Dio nella sua Terra Promessa, la loro patria ancestrale, è il vostro compito come cristiani… voi venerate un ebreo [Gesù] e noi siamo ebrei!’.


Ma sono pagani Kazari che si sono convertiti.


E’ ridicolo chiamarli ‘popolo della Terra Santa’, come sarebbe chiamare 53 milioni di cinesi musulmani ‘Arabi’.


Ora, immaginate quei cinesi musulmani a 2.000 miglia dalla Mecca, se si volessero chiamare ‘arabi’ e tornare in Arabia.
Diremmo che sono pazzi.


Ora, vedete com’è sciocco che le grandi nazioni cristiane del mondo dicano: ‘Usiamo il nostro potere e prestigio per rimpatriare il Popolo Eletto da Dio nella sua patria ancestrale’.


C’è una menzogna peggiore di questa?


Perché loro controllano giornali e riviste, la televisione, l’editoria, e perché abbiamo ministri dal pulpito e politici dalla tribuna che  dicono le stesse cose, non è strano che  crediate in questa menzogna.
Credereste che il bianco è nero se ve lo ripetessero tanto spesso.


Questa menzogna è il fondamento di tutte le sciagure che sono cadute sul mondo.


Sapete cosa fanno gli ebrei nel giorno dell’Espiazione, che voi credete sia loro tanto sacro?


Non ve lo dico per sentito dire…
Quando, il giorno dell’Espiazione, si entra in una sinagoga, ci si alza in piedi per la primissima preghiera che si recita.
Si ripete tre volte, è chiamata ‘Kol Nidre’».

«Con questa preghiera, fai un patto con Dio Onnipotente che ogni giuramento, voto o patto che farai nei prossimi dodici mesi sia vuoto e nullo (7).
Il giuramento non sia un giuramento, il voto non sia un voto, il patto non sia un patto.
Non abbiano forza.
E inoltre, insegna il Talmud, ogni volta che fai un giuramento, un voto o un patto, ricordati del Kol Nidre che recitasti nel giorno dell’Espiazione, e sarai esentato dal dovere di adempierli.


Come potete fidarvi della loro lealtà?


Potete fidarvi come si fidarono i tedeschi nel 1916.
Finiremo per subire lo stesso destino che la Germania ha sofferto, e per gli stessi motivi».

E’ la profezia di Benjamin Freedman.
Ci riguarda.

Maurizio Blondet


Note


1) Freedman fondò tra l’altro la «Lega per la pace con giustizia in Palestina», e collaborò con l’americano «Istituto per la revisione storica», il centro promotore di tutto ciò che viene chiamato «revisionismo storico». E’ scomparso nel 1984.


2) Louis Dembitz Brandeis, influentissimo giudice della Corte Suprema, acceso sionista, fu il consigliere molto ascoltato di W. Wilson. Brandeis apparteneva alla setta ebraica aberrante fondata nella Polonia del ‘700 da Jacob Frank: essa predicava che la salvezza si consegue attraverso il peccato. Confronta il mio «Cronache dell’Anticristo».


3) Il 2 novembre 1917 il ministro degli Esteri britannico, lord Arthur Balfour, scrisse a Lord Rotschild una lettera in cui dichiarava: «Il governo di Sua Maestà vede con favore la nascita in Palestina di un focolare nazionale per le genti ebraiche, e userà tutta la sua buona volontà per facilitare il raggiungimento di questo obbiettivo. Si intende che nulla dovrà essere fatto per pregiudicare i diritti civili e religiosi delle esistenti popolazioni non ebraiche in Palestina». Era la «Dichiarazione Balfour», che decretava di fatto la nascita dello Stato d’Israele. Lord Balfour, spiritista e massone, fondatore della Loggia «Quatuor Coronati» (la Loggia-madre di tutte le Massonerie di obbedienza «scozzese») credeva fra l’altro che agevolare il ritorno degli ebrei in Palestina avrebbe accelerato il secondo avvento di Cristo. Il punto è che la terra che Sua Maestà prometteva agli ebrei non era sotto dominio britannico, ma parte dell’impero Ottomano. Per dare attuazione al «focolare ebraico», il governo britannico non esitò a distogliere centinaia di migliaia di soldati dal pericolante fronte europeo, per spedirli alla conquista di Gerusalemme.


4) Bernard Baruch (1876-1964), potente finanziere ebreo, nato in Texas, fu il consigliere privato di sei presidenti, da Woodrow Wilson (1916) a D. Eisenhower (1950).  Nella prima come nella seconda guerra mondiale, Baruch promosse la creazione del War Industry Board, l’organo di pianificazione centralizzata della produzione bellica. Di fatto, fu una sorta di «governo segreto» degli Stati Uniti, che praticò ampiamente i metodi del socialismo, compreso il controllo della stampa e il sistema di razionamento alimentare. Dopo la seconda guerra mondiale Baruch e i banchieri ebrei americani gestirono i fondi del Piano Marshall. Ne affidarono la distribuzione a Jean Monnet, loro fiduciario. Secondo le istruzioni ricevute, per dare i fondi, Monnet esigeva la cessione da parte degli Stati europei di sostanziali porzioni di sovranità: così fu creata la Comunità Europea.


5) Si tratta della «rivoluzione dekabrista» del 1905, in realtà un putsch di giovani ufficiali zaristi, tutti ebrei. La comunità ebraica russa la sostenne, e i suoi figli vi parteciparono con inaudita violenza. Futuri capi della successiva rivoluzione bolscevica, come Trotsky e Parvus, furono l’anima dei dekabristi, e dovettero riparare all’estero dopo il fallimento.


6) Freedman allude qui al vero e proprio rito magico di maledizione, detto Cherem o scomunica maggiore, celebrato al Madison Square Garden il 6 settembre 1933. «Furono ritualmente accesi due ceri neri e si soffiò tre volte nello shofar [il corno di ariete], mentre il rabbino B.A. Mendelson pronunciava la formula di scomunica» contro la Germania. Samuel Untermeyer, membro del B’nai B’rith, ripeterà il 5 gennaio 1935 la dichiarazione di embargo totale contro le merci tedesche «a nome di tutti gli ebrei, framassoni e cristiani» (Jewish Daily Bulletin, New York,
6 gennaio 1935).


7) E’ la preghiera centrale dello Yom Kippur. Eccone la formula: «Di tutti i voti, le rinunce, i giuramenti, gli anatemi oppure promesse, ammende o delle espressioni attraverso cui facciamo voti, confermiamo, ci impegniamo o promettiamo di qui fino all’avvento del prossimo giorno dell’Espiazione, noi ci pentiamo, in modo che siano tutti sciolti, rimessi e condonati, nulli, senza validità e inesistenti. I nostri voti non sono voti, le nostre rinunce non sono rinunce, e i nostri giuramenti non sono giuramenti». Secondo il rabbino Jacob Taubes, con questa formula il popolo eletto si scioglie dalla comunità del resto del genere umano – dalle sue leggi, dalle sue lealtà alle istituzioni e allo Stato – per dedicarsi solo a Dio. In realtà, il Kol Nidre fonda l’antinomismo radicale della religione ebraica: il «popolo di Dio» non è tenuto ad obbedire ad alcuna norma.
Per Taubes, il popolo ebraico è dunque il popolo dissolutore, il contrario del «kathecon» (Ciò che trattiene l’Anticristo, in San Paolo, ossia il diritto naturale adottato da Roma) (Jacob Taubes, «La Teologia Politica di San Paolo», Adelphi, pagina 71).



Fonte: Estratto, da «Israele, USA, il terrorismo islamico» ,  Maurizio Blondet, EFFEDIEFFE, 2005, pagine 161-171.


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