I discendenti dei grandi fondatori di religioni, di solito, occupano posizioni di rilievo nelle società che hanno adottato quelle religioni. I discendenti di Confucio, per esempio, sono tuttora venerati in estremo oriente e quelli di Maometto (per la precisione, di sua figlia Fatima) hanno regnato e regnano tuttora su tutte le monarchie arabe. E i discendenti di Mosè che fine hanno fatto? Logica vorrebbe che fossero tenuti in grande considerazione in seno ad Israele e che occupassero una posizione di rilievo, per lo meno nella sua organizzazione religiosa.
Invece nella Bibbia, la quale, si voglia o no, è l’unica fonte di informazioni storiche su Israele, non esiste il minimo cenno esplicito a questo proposito. A giudicare dal silenzio che li circonda, sembrerebbero svaniti nel nulla, come se non fossero mai esistiti.
Eppure non c’è dubbio che Mosè abbia avuto dei discendenti. Quando Mosè fuggì dall’Egitto, si rifugiò nel paese dei madianiti e trovò ospitalità presso il sacerdote Ietro, “...che gli diede in moglie la propria figlia Zippora. Ella gli partorì un figlio ed egli lo chiamò Ghersom“. (Es. 2,22). Più tardi Zippora gli diede un secondo figlio maschio, Eliezer. Quando tornò in Egitto per organizzare l’esodo, Mosè lasciò moglie e figli presso il suocero Ietro, che glieli riportò in seguito, a Refidim, nei pressi del monte sacro.
Il capitolo 18 di Esodo è interamente dedicato a questo episodio: “Ietro, suocero di Mosè, venne da Mosè con sua moglie e i suoi figli, nel deserto dove era accampato, al monte di Dio. E disse a Mosè: Sono io, Ietro, tuo suocero, che vengo da te, con tua moglie e con lei ci sono i suoi due figli”. Questa è l’ultima volta in cui Zippora e i due figli di Mosè vengono nominati nel Pentateuco. Da questo momento in poi non verrà pronunciata più una sola parola su di loro.
E un silenzio che appare incredibile, enorme. Può essere attribuito soltanto a due circostanze: o c’è stata una censura che ha tagliato o mascherato, a seconda dei casi, tutte le notizie relative alla famiglia di Mosè; oppure questa famiglia è sparita, per qualche motivo, prima dell’arrivo in Palestina. Ma se così fosse stato,
il racconto avrebbe dovuto riportarlo. La cronaca dell’Esodo è precisa e dettagliata e registra un gran numero di fatti apparentemente banali; un avvenimento così enorme come l’eventuale annientamento della famiglia del protagonista assoluto dell’opera, dovrebbe necessariamente essere riportato.
In ogni caso, dobbiamo ammettere che qualche forma di censura c’è stata, o da parte dell’ autore stesso del Pentateuco, oppure successivamente. L’idea che qualcuno abbia voluto cancellare la famiglia di Mosè dalla storia di Israele, sembra incomprensibile. Eppure, è un dato di fatto innegabile.
Alcune notizie frammentarie e degli elenchi genealogici, presenti nei libri successivi (Giudici, Samuele e Cronache) e sfuggiti evidentemente alla censura, ci danno la certezza che i figli di Mosè gli sopravvissero e che entrarono in Palestina al momento della conquista, che ebbero a loro volta dei figli e dei discendenti, per lo meno fino ai tempi di re Davide. Ma, delle loro vicende, delle cariche ricoperte e del ruolo svolto negli avvenimenti successivi alla conquista, non viene riferito nulla di esplicito. Questo non è certamente dovuto al fatto che i discendenti del più grande dei profeti fossero personaggi di secondo piano, o che potessero venire ignorati dai cronisti dell’epoca. Non è pensabile. Vista l’importanza della famiglia, il ruolo preminente che ricopriva e la lunghezza del periodo durante il quale è certificata la sua esistenza in Israele, è da escludersi che la sua assenza dalle cronache bibliche sia dovuta ad una perdita accidentale di informazioni.
Non c’è dubbio che debba esserci stata una censura deliberata, volta specificatamente a rimuovere dalle cronache ogni accenno ai discendenti di Mosè. Dovrebbe essere relativamente facile trovarne le prove. Appare inverosimile, infatti, che tale operazione abbia potuto effettuarsi senza la sciare tracce piuttosto evidenti. Nel testo devono, necessariamente, essere sopravvissuti indizi, incongruenze, fatti, nomi e soprattutto omissioni che denuncino in modo evidente l’operazione di censura e dai quali sia possibile ricostruire la vera storia di questa famiglia.
Deuteronomio
Incongruenze ed omissioni significative, a questo proposito, si notano già nell’ultimo libro del Pentateuco, il Deuteronomio.
Questo libro narra i fatti dell’ultima giornata terrena di Mosè, quando egli convoca l’assemblea del popolo ebraico e tiene un grande discorso di commiato, passando pubblicamente le consegne ed il potere ai suoi successori. Alcuni particolari dovevano necessariamente essere riportati nella cronaca di quella giornata, perchè ne costituirono una parte importante, se non addirittura il motivo principale per cui era stata convocata l’assemblea. In particolare, manca ogni accenno al sommo sacerdote che era o dovette entrare in carica in quella occasione.
In mancanza di indicazioni specifiche, viene correntemente dato per scontato che il sommo sacerdote fosse allora Eleazaro, figlio di Aronne, che avrebbe ereditato la carica dal padre ma questo è falso. Aronne e suo figlio non furono mai sommi sacerdoti: questa è una leggenda messa in circolazione successivamente, quasi mille anni dopo, ai tempi di Esdra, e che non ha alcun fondamento nei primi libri della Bibbia.
Fino a quando rimase in vita, il sommo sacerdote fu sempre e soltanto Mosè. Lui e solo lui fu l’interlocutore con Dio; fu lui che consacrò il tempio-tenda, lui che consacrò Aronne e, successivamente, Eleazaro; lui che convocava le assemblee e presiedeva le cerimonie. Aronne fu sempre una semplice comparsa. Non può sussistere il minimo dubbio sul fatto che Mosè assommasse nella sua persona sia il potere civile che quello religioso.
Nella sua ultima giornata, narrata in Deuteronomio, egli consegnò pubblicamente il potere civile a Giosuè, ma non quello religioso. A chi andò quest’ultimo? Chi fu designato sommo sacerdote da Mosè nel momento del suo commiato dal popolo ebraico? Se il sommo sacerdote, in quel momento, fosse stato Eleazaro, sarebbe lecito aspettarsi che egli fosse a fianco del profeta come, giustamente, compare il suo erede militare, Giosuè, o, quanto meno, che il suo nome comparisse nei passi più significativi di un libro quasi interamente dedicato a questioni di carattere religioso e sacerdotale.
Invece, il nome di Eleazaro non compare mai nel libro di Deuteronomio, se non una volta, incidentalmente, in relazione alla morte del padre. In nessuna parte di Deuteronomio viene mai precisato chi fosse il sommo sacerdote, ne chi avesse diritto al sacerdozio. Il che, in un libro che doveva costituire il fondamento della legittimità, delle cariche religiose in Israele, è inammissibile. E fin troppo evidente che sia stata esercitata una censura, a questo proposito.
Secondo la consuetudine ed il diritto in vigore presso il popolo di Israele, i figli primogeniti ereditavano sempre la posizione ed i privilegi del padre; per questo la condizione di “primogenito “, che viene sempre specificata nella Bibbia, era ed è tutt’oggi così importante in quella società. Non ci sono indicazioni che Mosè facesse eccezione alla norma, su questo punto; anzi, il fatto che il racconto evidenzi che Ghersom era il suo “primogenito “, sottintende che veniva considerato quale suo erede e successore. In base alle consuetudini, quindi, e alla logica, dovremmo aspettarci che Mosè abbia presentato come proprio successore alla carica di sommo sacerdote il figlio primogenito. Come pure dobbiamo ritenere che i discendenti del primo e più grande sacerdote di Israele, Mosè, debbano aver ereditato, quanto meno, lo stato sacerdotale. Ma nel libro di Deuteronomio i figli di Mosè non sono mai nominati; neppure in occasione della sua morte e sepoltura, il che è decisamente contrario ad una norma perfettamente documentata nel Pentateuco: tutti i patriarchi sono stati sepolti dai propri figli.
Il testo di Deuteronomio, quindi, risulta lacunoso su due punti di assoluto rilievo nell’ambito dei fatti narrati e di importanza capitale nella storia di Israele: i figli di Mosè e l’identità del suo successore alla carica di sommo sacerdote. È legittimo ritenere che su questi due argomenti sia stata esercitata una sorta di censura e che fra di essi ci sia una stretta connessione.
L’eredita della famiglia
Proseguendo con il libro di Giosuè, le omissioni ingiustificate sono assai più evidenti e clamorose e quindi la prova dell’ avvenuta censura risulta ancora più eclatante.
Il libro narra la conquista e la spartizione della Palestina. Terminata la conquista “si riunì tutta la comunità dei figli di Israele in Siloh, (Gs.18, 1 ) . ..e Giosuè tirò per essi le sorti in Siloh davanti a Jahweh ed ivi distribuì la terra ai figli di Israele”.
Dei 24 capitoli del libro, ben dieci sono interamente dedicati alla spartizione del territorio conquistato fra le varie tribù. In essi vengono elencate una per una tutte le famiglie di Israele, con i territori loro assegnati. La famiglia di Mosè, il personaggio in assoluto più importante, non poteva essere ignorata in questo contesto. Incredibilmente, invece, non si trova neppure un singolo cenno in proposito. E un fatto sbalorditivo.
Tutti gli ebrei hanno avuto un pezzetto di territorio, anche i personaggi più insignificanti; persino qualcuno dei parenti madianiti di Mosè ha ricevuto la sua parte di eredità in Palestina. Infatti, Obab il chenita e i suoi discendenti ebbero un territorio nel centro di Israele. Obab era fratello di Zippora e, quindi, cognato di Mosè; è importante il fatto che gli sia stata assegnata una parte di eredità in Israele. A maggior ragione, quindi, i figli veri e propri di Mosè dovrebbero aver ricevuto, all’atto della spartizione, una parte adeguata ai meriti e alla posizione del padre.
Invece nulla: essi non vengono mai nominati, neppure di sfuggita. Quella famiglia sembra scomparsa, volatilizzata. Sappiamo invece con certezza, dai libri successivi, che al momento della spartizione essa si trovava in Palestina. E fin troppo evidente, quindi, che ci deve essere stata una censura nel libro, a questo proposito. Non è possibile, infatti, che si tratti di una semplice “dimenticanza” del redattore.
SILO LA CITTA SACRA
Ma non è l’unica. Dal momento che cerchiamo nel libro di Giosuè informazioni che dovrebbero esserci e invece non ci sono, non possiamo fare a meno di rilevare un’altra clamorosa omissione di questo libro.
Fin dal momento della spartizione, la città di Silo, situata nel territorio montuoso di Efraim, più o meno al centro del territorio conquistato, si era imposta come la località più importante della Palestina. Una rapida indagine svolta tramite il testo biblico, infatti, è sufficiente a stabilire che era assurta a città guida di Israele immediatamente dopo la conquista della Palestina e che era rimasta tale fino alla sua distruzione, operata dai Filistei ai tempi di Samuele.
Le conferme sono numerose, come per esempio in Geremia 7,12-16, dove il profeta, preannunciando la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio, fa pronunciare a Jahweh le seguenti parole: “…nella mia dimora che era in Silo avevo da principio posto il mio nome…io tratterò questo tempio (di Gerusalemme) che porta il mio nome e nel quale confidate e questo luogo che ho concesso a voi e ai vostri padri, come ho trattato Silo”.
In Giudici 18,31 è detto chiaramente che a quei tempi “la casa di Dio era a Silo“. A Silo, infatti, era stato eretto il tempio a Jahweh dove veniva conservata l’arca dell’alleanza (1 Sam 4,3). A Silo risiedeva il sommo sacerdote. A Silo tutta Israele portava le proprie offerte per il Signore (l Sam. 2,13 seg.). A Silo tutti gli anni convenivano gli israeliti da ogni parte della Palestina, ‘‘per prostrarsi e sacrificare a Jahweh degli eserciti” (Gdc, 21,19; 1 Sam. 1,3).
Sulla base di tutte queste indicazioni, così chiare e precise, non è possibile nutrire dubbi sul fatto che, durante tutto questo intervallo di tempo, Silo fosse stata per Israele quello che più tardi sarebbe stata Gerusalemme. Ai tempi della spartizione del territorio fra le tribù di Israele, quindi, Silo era in assoluto la città più importante di tutta la Palestina. E il titolare del santuario, in quanto sommo sacerdote, era la massima autorità di Israele. L’autore del libro di Giosuè non poteva ignorare quella che era, in effetti, l’informazione più importante e significativa di tutto il libro, cioè a chi fosse stata assegnata la città ed il suo santuario.
Quindi, delle due l’una: o egli ha omesso deliberatamente di riportare la notizia, per qualche motivo che al momento ci sfugge, oppure essa è stata cancellata successivamente.
Se all’epoca della conquista il sommo sacerdote di Israele fosse stato Eleazaro, come vuole la tradizione consolidata ai tempi di Esdra, è logico aspettarsi che la città fosse assegnata a lui. Ma il libro di Giosuè non lo dice. Anzi, un controllo accurato del testo permette di stabilire con certezza che la città non fu assegnata a nessuno dei leviti e, tanto meno, ai discendenti di Aronne.
I leviti ebbero in tutto 48 città, distribuite fra le varie tribù, che sono nominate una ad una, comprese le quattro situate nella regione di Efraim, dove si trovava Silo: Sichem, Ghezer, Qibsajim e Bet-Roron. Tredici città, anch’esse elencate una ad una, vennero assegnate specificatamente alla famiglia di Aronne, vale a dire a Eleazaro, Itamar e ai loro figli. Di Silo neanche l’ombra! Ulteriore conferma è il fatto che Eleazaro fu sepolto a Ghibeat, chiara indicazione che questa fosse la sua città, passata poi in eredità a suo figlio Fineas.
Silo, quindi, non era stata assegnata ad un levita ne ad un discendente di Aronne, Eleazaro o suo figlio Fineas. Nondimeno, era sede del tempio a Jahweh e vi risiedeva la più alta autorità religiosa di Israele, il sommo sacerdote. Il fatto che nel libro di Giosuè non venga detta una singola parola da cui si possa arguire a chi fosse stata assegnata la città costituisce un’ omissione altrettanto clamorosa di quella relativa alla mancata menzione della famiglia di Mosè. Non è possibile che il narratore ignorasse proprio quelle che erano le notizie più importanti su tale spartizione, cioè a chi fosse stata assegnata Silo e quale fosse la parte di eredità toccata ai figli di Mosè.
L’ipotesi della censura diventa quindi una certezza.
Anche qui, come in Deuteronomio, essa riguarda due punti essenziali: la famiglia di Mosè e l’identità del sommo sacerdote, titolare di Silo. Prende consistenza, dunque, l’ipotesi che tra il sommo sacerdozio e la famiglia di Mosè ci fosse una relazione ben precisa e che Silo con il suo santuario fosse stata assegnata in eredità proprio a questa famiglia. Ipotesi che diviene certezza, in base alle informazioni sui discendenti di Mosè contenute nei libri successivi.
(Fine prima parte di sette )
Fonte: srs di Di Flavio Barbiero, da Hera n° 18 anno, giugno 2001