Prosegue l’analisi della censura operata su Mosè e sulla sua genealogia dei Sommi Sacerdoti Leviti. Un attento studio dei passi dei diversi libri che compongono La Bibbia fornisce la risposta ai perché di una omissione storica che ha funzionato per oltre due millenni.
In “Deuteronomio” e “Giosuè” si trovano numerose indicazioni dalle quali si desume che la famiglia di Mosè sopravvisse al profeta, entrò in Palestina al tempo della conquista e ricoprì la carica di sommo sacerdote a Silo. Si tratta per lo più di prove indirette, consistenti in omissioni importanti che nessuno poteva ignorare, a quell’epoca, e che dovevano necessariamente essere riportate nel testo.
In “Giudici”, invece, si cominciano a trovare le prime prove dirette ed esplicite.
Ben due capitoli il XVII e il XVIII sono dedicati ad una storia apparentemente strana ed avulsa dal contesto narrativo del libro stesso. Si parla infatti di un “certo” levita, figlio cadetto di un personaggio ignoto, che parte da Betlemme in cerca di fortuna e viene accolto in casa di un non meglio identificato Mica, che abitava sulla “montagna di Efraim” e che lo assume come suo “sacerdote” personale. Dopo varie vicende, il nostro sacerdote approda a Dan, dove fonda un santuario. Alla fine dei capitoli si scopre che questo levita “innominato” aveva un nome ben preciso, Gionatan, ed era figlio nientemeno che di Ghersom, il primogenito di Mosè. Questo versetto è importante perchè conserva l’evidenza di una censura e mostra come essa sia stata operata con interventi davvero minimi sul testo.
Nella versione della Bibbia tratta dal testo masoretico, infatti, il nome di Mosè è stato cambiato in quello di “Manasse“, semplicemente inserendovi una “n”. In tal modo il genitore di Gionatan diventa “Ghersom, figlio di Manasse“, personaggio che non esiste nella Bibbia. Manasse era il figlio primogenito di Giuseppe, morto in Egitto almeno mezzo secolo prima, e non ebbe alcun figlio di nome Ghersom. Che si tratti di un’interpolazione voluta per sviare l’attenzione da Mosè, appare più che evidente.
Nella versione greca detta dei LXX (tratta a sua volta da un testo ebraico più antico di quello masoretico), questa corruzione, invece, non è avvenuta. Qui c’è scritto chiaramente che si tratta proprio del figlio di Mosè.
Questi due capitoli di Giudici, quindi, confermano in maniera puntuale un’informazione molto importante, cioè che i figli di Ghersom erano sacerdoti per diritto di nascita; vale a dire che il sacerdozio era una condizione ereditaria, legata alla famiglia di Mosè.
C’è infine un ultimo particolare di estremo interesse, e cioè il fatto che “Gionatan, figlio di Ghersom, figlio di Mosè, e quindi i suoi discendenti, furono sacerdoti della tribù di Dan fino al giorno della deportazione dalla terra. Essi si eressero l’idolo che si era fatto Mica, che rimase in quel luogo per tutto il Tempo in cui la casa di Dio fu in Silo” (Gdc. 18,31).
É evidente da questo cenno che fra Gionatan e il santuario di Silo doveva esistere un legame diretto. La spiegazione più logica e immediata che balza alla mente è che il titolare del santuario di Silo fosse suo padre Ghersom.
Sulla base di queste indicazioni è possibile ricostruire le vicende della famiglia di Mosè con un buon grado di affidabilità. Prima della sua morte, in Transgiordania, Mosè deve aver affidato il potere religioso al suo primogenito Ghersom, trasmettendogli la carica di sommo sacerdote. Il potere civile fu invece assegnato ad interim a Giosuè che, per le sue capacità militari, era l’unico in grado di guidare la conquista della Palestina. Il resto della famiglia di Mosè ebbe come prerogativa la condizione del sacerdozio. All’atto della spartizione del territorio conquistato, Ghersom ebbe in eredità Silo, dove venne subito edificato il tempio cui affluivano le offerte da tutta la Palestina. Il titolare del tempio di Silo, in quanto sommo sacerdote, era la massima autorità d’Israele. Alla morte di Giosuè, nessuno subentrò al suo posto, per cui la guida del popolo ebraico dovette ricadere interamente nelle mani del sommo sacerdote.
I motivi della censura
Sappiamo per certo, proprio da numerosi passi del libro di Giudici, che a quell’epoca Silo era il centro politico e religioso d’Israele, dove il popolo ebraico conveniva tutti gli anni per portare le proprie offerte al tempio di Jahweh e dove veniva convocato nelle situazioni di emergenza. Ma il nome del sommo sacerdote non compare mai nel testo, ne viene mai evidenziato il ruolo della famiglia sacerdotale negli avvenimenti del periodo. Il testo è popolato soltanto di “leviti” senza nome e senza una provenienza precisa, che appaiono dotati di autorità immensa, senza però che ne venga specificata la fonte. L’opera del censore, a questo riguardo, è più evidente che mai nel testo di Giudici, perchè la mancata menzione di nomi, luoghi e fatti si avverte in modo immediato e diretto ed è tale da rendere incomprensibile buona parte degli episodi narrati e, soprattutto, da rendere impossibile inquadrare gli avvenimenti in una cornice storica che abbia minimamente senso.
È un libro confuso che, da un lato, a causa delle sue reticenze, lascia emergere il quadro di un periodo apparentemente in preda all’anarchia ed al disordine, sia politico che religioso, mentre, dall’altro, testimonia in maniera inequivocabile l’esistenza a Silo di una forte autorità centrale riconosciuta da tutto il popolo.
Bisogna notare che anche qui la censura è rivolta essenzialmente verso la famiglia di Mosè e l’identità del titolare del santuario di Silo, che, sulla base dell’analisi precedente, doveva essere appunto Ghersom, primogenito di Mosè. Ma perchè mai qualcuno si è preso la briga di cancellare dai primi libri della Bibbia proprio i discendenti di colui che è, in assoluto, il personaggio più grande ed importante di tutta la storia d’Israele?
La risposta a questa domanda scaturisce evidente dall’ analisi del testo biblico: i discendenti immediati di Mosè erano personaggi indegni e profondamente invisi alla popolazione ebraica, che mal tollerava il loro primato.
La ragione principale va “forse” ricercata nel fatto che i figli di Mosè non erano ebrei, o comunque non potevano essere considerati tali a pieno titolo. Erano nati da madre madianita e cresciuti fra i madianiti, quindi decisamente di cultura madianita. E gli Israeliti non sopportavano di essere sottoposti a qualcuno che non fosse di razza ebraica. Questo particolare sarebbe sufficiente a giustificare il desiderio di cancellarli dalle cronache d’Israele ed evitare un loro accostamento alla casta sacerdotale. Si aggiunga a questo che Ghersom era un personaggio dispotico e sanguinario, autore di azioni raccapriccianti.
Kusan Il terribile
Da un passo di Giudici, molto controverso e sicuramente manipolato, apprendiamo che, dopo la morte di Giosuè, il potere passo ad un certo “Kusan Risataim, re di Aram. Gli Israeliti stettero sottomessi a Kusan Risataim per otto anni. Allora gli Israeliti alzarono il loro grido a Jahweh, il quale suscitò un salvatore che li liberò: fu Othoniel, figlio di Qenaz...”.
Gli esegeti si sono sempre chiesti chi mai potesse essere questo personaggio, che sicuramente non era un re Arameo, ne risulta avesse un esercito, una sede, ne che avesse invaso la Palestina o compiuto azioni militari di alcun tipo.
La cosa più strana è il nome: “Kusan “. Infatti, non è un nome di persona ma di una località del paese di Madian, da cui venivano Zippora ed i figli di Mosè.
Si tratta senza dubbio di un soprannome, applicato sprezzantemente a qualcuno originario di quella località. Ci vuol poco a capire che si tratta proprio di Ghersom, succeduto a Giosuè nella guida del paese. La conferma ci viene data da uno scritto apocrifo del II secolo a.C. (L’Apocalisse di Mosè) che fornisce una versione di quei versetti leggermente, ma significativamente, diversa da quella fornita dal libro dei Giudici. Infatti, dice testualmente: “Dopo la morte di Giosuè, si pose a capo dei figli d’Israele, per ottanta anni, Kusan il terribile. Quindi guidò Israele per venti anni Othaniel, figlio di Kena… “.
“Kusan” è, evidentemente, il capo israelita che subentro immediatamente a Giosuè alla guida del popolo ebraico. Non un re straniero invasore, quindi, ma il titolare del tempio di Silo. E non venne sconfitto da Othaniel, come è scritto in Giudici. Kusan, quindi, era il soprannome con cui veniva indicato il titolare di Silo, massima autorità della Palestina.
Trasparente indicazione che si trattava proprio del figlio di Mosè, Ghersom, madianita cresciuto a Kusa. È un soprannome sprezzante, cui si aggiunge un appellativo che rivela chiaramente la natura maligna del personaggio. “Risataim“, infatti, significa dalla “doppia malizia”, tradotto dall’ apocrifo in “terribile” .
L’appellativo “terribile” lascia presumere che Gherson governasse con il terrore e fosse stato protagonista di fatti di sangue che avevano gettato Israele nella costernazione. In effetti, gli ultimi tre capitoli del libro sono dedicati ad un episodio raccapricciante in cui un “anonimo” “levita, che abitava all’interno delle montagne di Efraim” (Gdc. 19,1), squarta la moglie morta in seguito alle violenze subite da alcuni beniaminiti, ai quali lui stesso l’aveva abbandonata, e ne manda un pezzo a ciascuna delle tribù d’Israele, convocandole a Silo. Qui egli esige che la tribù di Beniamino venga completamente sterminata, donne e bambini inclusi (soltanto alcuni giovani furono risparmiati per poter perpetuare la tribù. Più tardi, fa sterminare anche gli abitanti di Jabes del Galaad, perchè non si erano presentati all’appello a Silo (Gdc. 21,8-12).
Dal contesto non resta alcun dubbio che l’anonimo levita protagonista di questo truculento episodio fosse il titolare del tempio di Sila, tutt’altro che “anonimo“, quindi; ma il suo nome è stato evidentemente cancellato per non coinvolgere la figura diMosè nel discredito che questi fatti gettavano sulla sua famiglia. Vendette così sproporzionate dimostrano un carattere dispotico e feroce, che certamente non servì ad aumentare la popolarità di Ghersom, già malvisto per il fatto di essere madianita.
Egli era senz’altro il personaggio più odiato e disprezzato dell’epoca ed i suoi successori non dovevano essere molto più popolari. Il disprezzo verso la famiglia sacerdotale di Silo traspare con piena evidenza anche dal libro successivo, quello di Samuele.
Il sommo sacerdote Eli e i suoi due figli Ofni e Fineas risultano impopolari ed invisi a tutti, vengono descritti come lestofanti avidi ed arroganti, interessati soltanto a depredare il popolo. In 1 Samo 2,12, si legge: “I figli di Eli erano uomini perversi: essi non conoscevano Jahweh ne il diritto dei sacerdoti presso il popolo. Ogni volta che uno offriva un sacrificio, veniva il servo del sacerdote, mentre si cuoceva la carne, con un tridente in mano, e lo ficcava nel caldaio: il sacerdote si prendeva tutto quello che il tridente tirava su… Il peccato dei giovani era molto grande davanti a Jahweh, poiché quegli uomini disonoravano le offerte di Jahweh“.
Se si considera che queste parole sono rivolte ai figli del sommo sacerdote, eredi essi stessi del sommo sacerdozio, si capisce bene di quale profonda impopolarità soffrisse la famiglia sacerdotale in quel periodo.
Si capisce anche come nessuno fosse desideroso di sottolineare la discendenza di tale famiglia dal sommo profeta Mosè e come il redattore, o un qualche copista del testo biblico, abbiano omesso deliberatamente ogni accenno che potesse stabilire in maniera evidente un legame fra Mosè ed i suoi discendenti. Mosè era il fondatore della religione ebraica, il garante supremo della legge: non poteva essere travolto, o anche solo toccato, dall’impopolarità e dalle malefatte dei suoi indegni discendenti. Occorreva creare una frattura. In seguito, ciò corrispose anche ad un’esigenza di legittimità della famiglia sacerdotale, che non aveva alcun interesse a sottolineare la sua discendenza madianita.
In un primo momento, quindi, si tentò di far sparire dal libro sacro le prove che legavano i discendenti di Mosè al profeta, e questo nell’unico modo possibile: facendo sparire i discendenti stessi. Si dovette esercitare la censura dei testi nel modo più discreto e lieve possibile, limitandosi a cancellare qualche riga qua e là ed a sopprimere o modificare qualche nome. Ne risultarono comunque delle vistose e rivelatrici incongruenze, per cui in un secondo tempo si cercò di mascherarle, trovando un sostituto che potesse assumersi la paternità della famiglia sacerdotale, con un minimo di credibilità.
Aronne venne a trovarsi in posizione ideale per quest’ operazione. Al tempo di Esdra, egli venne indicato, di punto in bianco e senz’alcuna giustificazione di tipo genealogico (come vedremo in seguito), quale antenato dei sacerdoti rientrati a Gerusalemme dall’esilio babilonese e, da allora in poi, questa è diventata la versione accettata in tutto il mondo ebraico. La famiglia di Mosè è scomparsa, sepolta nell’oblio, nonostante le numerose indicazioni della Bibbia che ne testimoniano l’esistenza. Per una qualche ragione che sfugge alla comprensione, nessuno ha mai osato indagare su questo argomento.
Il sommo Sacerdote Eli
Nel libro di Giudici si trovano le prove che la famiglia di Mosè sopravvisse alla morte del profeta ed entrò in Palestina, nonché la conferma che, questa famiglia era titolare del santuario di Silo e che ai suoi membri competeva il sacerdozio per diritto di nascita. Nei libri successivi si trovano numerose citazioni dei discendenti di Mosè che confermano tutto questo in maniera definitiva.
Esiste un modo per sapere con certezza chi abbia avuto Silo in eredità all’atto della spartizione. In Israele le cariche, come pure il possesso di beni e città, erano sempre ereditari. Basta quindi controllare chi fossero gli antenati del titolare del santuario di Silo ai tempi di Samuele, per scoprire chi l’abbia avuta in sorte all’atto della spartizione.
Nei libri di Samuele tutti i personaggi vengono identificati con le loro genealogie, di norma risalendo fino a Giacobbe per quelli importanti. Il primo libro, infatti, si apre con la genealogia completa di Samuele, che risale fino ad Efraim, figlio di Giuseppe. A maggior ragione, quindi, dobbiamo aspettarci che siano citati gli antenati del gran sacerdote Eli, titolare del tempio di Silo
Il personaggio più importante d’Israele, a quell’epoca. Ma, sorprendentemente, gli antenati di Eli non vengono citati da nessua parte. Neppure il nome di suo padre. E’ assolutamente incredibile. Il solito censore all’opera? Senza dubbio; ma c’è un passo, 1 Sam 2,27, in cui il censore lascia filtrare qualche informazione in merito ad un grande antenato di Eli, ovviamente senza riportarne il nome: “Un giorno venne un uomo di Dio a Eli e gli disse: Così dice il Signore: Non mi sono forse rivelato al tuo antenato mentre gli Ebrei si trovavano in Egitto come schiavi nella casa del faraone? Ed egli fu scelto fra tutte le tribù d’Israele per me, perchè facesse il sacerdote e salisse sul mio altare per far ascendere il fumo dei sacrifici, per portare dinanzi a me l’efod, affinché io dessi alla casa del tuo antenato tutte le offerte fatte mediante il fuoco dai figli di Israele? “.
Sulla base di queste parole, sembrerebbe non possano esserci dubbi che il “grande antenato” di Eli debba identificarsi con lo stesso Mosè: fu a lui ed a lui solo che Dio si rivelò mentre gli Ebrei erano in Egitto; lui fu sempre l’unico interlocutore diretto con Dio. Fu Mosè a consacrare il tabernacolo e ad offrire i primi sacrifici; fu lui ad ungere Aronne ed i suoi figli (Es. 29).
Tutti i moderni commenti esegetici, invece, sono concordi nel dire che si doveva trattare di Aronne; come voleva il nostro censore, del resto. Ma la cosa ha poco senso e non trova conferma nel testo. Di Aronne si conoscono tutte le città, e Silo non è fra queste. Mentre Ghersom, figlio di Mosè, e suo figlio Gionatan sono associati a Silo.
Dovendo scegliere fra i due, appare praticamente obbligatorio ritenere che il grande antenato di Eli, cui fa riferimento l’autore del libro di Samuele, fosse lo stesso Mosè. Se la famiglia di Mosè è realmente sopravvissuta, infatti, non ci può essere il minimo dubbio che debba aver avuto in possesso proprio il santuario di Silo, ed ovviamente la carica del sommo sacerdozio ad esso collegata. E che sia sopravvissuta è dimostrato non soltanto dai cenni che abbiamo già visto, ma anche da precise liste genealogiche sfuggite alla forbice del censore nei libri successivi, che forniscono anche indicazioni su quale fosse il ruolo assegnato ai discendenti di Mosè.
Le genealogie di Cronache
Nei libri di Samuele si possono seguire le vicende della famiglia di Eli, da cui discendono tutti i sacerdoti d’Israele, dalla distruzione del tempio di Silo fino al termine del regno di Davide, quando Gerusalemme divenne la capitale dei regni riuniti di Israele e di Giuda.
I due libri seguenti consentono di seguire la famiglia sacerdotale lungo i successivi quattro secoli, generazione dopo generazione. Abbiamo la certezza che l’ultimo gran sacerdote della serie, Giosedec (figlio del gran sacerdote Seraja, ucciso a Ribla da Nabuccodonosor), che venne deportato ancora fanciullo a Babilonia, discende in linea diretta da Zadoc e quindi, in definitiva, da Eli.
Zadoc, infatti, era figlio di Achitub, a sua volta figlio di Fineas, figlio di Eli.
A questo punto cominciano a riemergere nuove prove sulla presenza della famiglia di Mosè. In 1 Cronache 23,14 c’è scritto: “Riguardo a Mosè, uomo di Dio, i suoi figli furono contati nella tribù di Levi. Figli di Mosè: Ghersom ed Eliezer. Figli di Ghersom: Sebuel il primo. Figlio di Eliezer fu Recabia il primo. Eliezer non ebbe altri figli, mentre i figli di Recabia furono moltissimi“.
Di Ghersom viene citato soltanto il primogenito, Sebuel, mentre sappiamo da Gdc. 18,31 che aveva avuto per lo meno un altro figlio maschio, Gionatan. Di Eliezer viene citato il primo ed unico figlio, Recabia, ma specificando che quest’ ultimo ebbe molti figli. Questo passo fornisce certezze su un certo numero di punti importanti. Innanzitutto, ancora una volta, che la famiglia di Mosè gli è sopravvissuta ed ha avuto discendenti.
In secondo luogo, che questo fatto era ben noto in Israele e che non poteva non essere riportato nelle cronache di Giosuè, Giudici e Samuele; pertanto, l’ipotesi della censura esercitata sul testo, vuoi dal redattore stesso o da qualcun’altro successivamente, è confermata. In terzo luogo, ci fornisce l’evidenza che la famiglia di Mosè ha svolto un ruolo di primo piano nella vita religiosa e politica d’Israele.
Ulteriore conferma si trova sempre in Cronache, due capitoli più avanti; al versetto 24, si legge: “Sebuel, figlio di Ghersom, figlio di Mosè, era sovrintendente dei tesori. Tra i suoi fratelli, nella linea di Eliezer: suo figlio Recabia, di cui fu figlio Isaia, di cui fu figlio Ioram, di cui fu figlio Zicri, di cui fu figlio Selomit. Questo Selomit con i fratelli era addetto ai tesori delle cose consacrate, che il re Davide, i capi dei casati, i capi di migliaia e di centinaia e i capi dell’esercito avevano consacrate, prendendole dal bottino di guerra e da altre prede, per la manutenzione del tempio. Inoltre, c’erano tutte le cose consacrate dal veggente Samuele, da Saul figlio di Kis, da Abner figlio di Ner e da Ioab figlio di Zeruia; tutti questi oggetti consacrati dipendevano da Selomit e dai suoi fratelli“.
Stando a questo passo, ci sono sei generazioni fra Eliezer, secondogenito di Mosè, e Selomit, vissuto ai tempi di David: il conto torna. Torna anche il fatto che i discendenti di Mosè si trovassero a Gerusalemme, al tempo di Davide, e, soprattutto, che fossero in qualche modo collegati al nuovo tempio in costruzione. Ad ogni modo, questi versetti ci forniscono ancora una volta la certezza che la famiglia di Mosè non sia svanita nel deserto del Sinai, ma abbia seguito (o piuttosto guidato) gli Ebrei in Palestina ed abbia continuato a svolgere un ruolo di primo piano nella storia d’Israele. Ma quale? Il passo elenca per intero soltanto i discendenti del ramo cadetto, che facevano capo al secondogenito Eliezer, e che avevano l’incarico di custodi dei tesori consacrati. Un incarico di grande rilievo.
La linea principale della discendenza di Mosè, invece, si arresta, come al solito, con Sebuel, primogenito di Ghersom e, quindi, nipote di Mosè. Ma è evidente che deve aver avuto dei discendenti e ad essi doveva essere riservato un incarico ancora più importante e certamente superiore a quello dei discendenti di Eliezer: evidentemente, il sommo sacerdozio Sebuel, in quanto primogenito di Ghersom, gli era certamente succeduto nella carica di sommo sacerdote a Silo e, sicuramente, l’aveva trasmessa al suo primogenito. È proprio qui che la forbice del censore ha spezzato la linea di discendenza di Mosè. Nessuno viene mai indicato come figlio di Sebuel come, d’altra parte, nessuno viene indicato quale padre di Eli. Basta ristabilire il rapporto di parentela fra i due perchè tutta la vicenda della famiglia di Mosè risulti chiarita.
Non c’è dubbio che Eli fosse un discendente di Mosè anziché di Aronne. Di fronte ai pochi passi (due o tre al massimo) in cui si afferma che i sacerdoti discendono da Aronne, ci sono nella Bibbia innumerevoli prove esplicite e dirette che la famiglia di Eli, e dei sacerdoti suoi discendenti, non aveva niente a che spartire con Aronne.
Al tempo di Davide, per esempio, i discendenti di Aronne costituivano una famiglia a parte, ben distinta da quella dei sacerdoti. Alla morte del figlio di Saul, Is-Baal, tutti i capi d’Israele trattarono con Davide per passare al suo servizio. Di essi esiste una lista dettagliata in l Cronache 12, 23-40. Quando si arriva ai leviti, vengono citati espressamente “Ioiadà, capo della famiglia di Aronne, e con lui tremilasettecento; e Zadok, potente giovane di valore, e il casato dei suoi antenati, con ventidue capi“.
Un’altra notevole “svista” da parte del nostro censore! Fotografa la situazione dei leviti e dei sacerdoti al momento della riunificazione dei regni di Giuda e Israele. Da un lato c’erano i sacerdoti, con Zadok a capo; dall’altro i leviti discendenti da Aronne, che non erano sacerdoti, con a capo Ioiadà. Questo fatto è confermato anche in versetti successivi (2 Samo 8,15-18).
Controllando tutti i passi di Re, Cronache, Esdra e Neemia, si trova che sacerdoti e leviti vengono sempre nominati assieme, ma sempre ben distinti gli uni dagli altri, a sottolineare il fatto che si tratta di due diverse famiglie. Ci sono prove sufficienti, quindi, per affermare con certezza che il “grande antenato” di Eli era lo stesso Mosè, non Aronne. Ora, finalmente, il mistero della “scomparsa” della famiglia di Mosè sembra risolto. In realtà, quella famiglia non è mai scomparsa ma ha continuato a svolgere un ruolo di primissimo piano nella storia d’Israele e non soltanto in quella.
La famiglia dei sacerdoti d’Israele era costituita dai discendenti di Mosè e solo da loro, per diritto di nascita. Aronne non ha avuto alcun ruolo nella sua genesi. Una conclusione clamorosa, che va contro la tradizione consolidata oggigiorno, ma che appare inoppugnabile, sulla base dei dati forniti dalla Bibbia.
(Fine seconda parte di sette)
Fonte: srs di Flavio Barbiero da Hera numero 19, luglio 2001