Feb 17 2009

I Primati culturali ed economici dei regni di Napoli e delle due Sicilie:

Category: Regno delle Due Siciliegiorgio @ 14:37

 

 

1735: Prima Cattedra di Astronomia, in Italia, affidata a Napoli a Pietro De Martino

1751: Il più grande palazzo d’Europa a pianta orizzontale, il Real Albergo dei Poveri

1754: Prima Cattedra di Economia, nel mondo, affidata a Napoli ad Antonio Genovesi

1762: Accademia di Architettura, una delle prime e più prestigiose in Europa

1763: Primo Cimitero italiano per poveri (il “Cimitero delle 366 fosse”, nei pressi di Poggioreale a Napoli, su disegno di Ferdinando Fuga)

1781: Primo Codice Marittimo nel mondo (opera di Michele Jorio)

1782: Primo intervento in Italia di Profilassi Anti-tubercolare

1783: Primo Cimitero in Europa ad uso di tutte le classi sociali (Palermo)

1789: Prima assegnazione di “Case Popolari” in Italia (San Leucio presso Caserta).

 Prima istituzione di assistenza sanitaria gratuita (San Leucio)

1792: Primo Atlante Marittimo nel mondo (Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, Atlante Marittimo delle Due Sicilie. (vol. I) elaborato dalla prestigiosa Scuola di Cartografia napoletana)

1801: Primo Museo Mineralogico del mondo

1807: Primo “Orto botanico” in Italia a Napoli di concezione moderna,

(Per approfondire, vedi la voce Orto botanico di Napoli.)

1812: Prima Scuola di Ballo in Italia, annessa al San Carlo

1813: Primo Ospedale Psichiatrico italiano (Reale Morotrofio di Aversa)

Dopo la restaurazione (Regno delle Due Sicilie) 

1818: Prima nave a vapore nel mediterraneo “Ferdinando I”

1819: Primo Osservatorio Astronomico in Europa a Capodimonte

1832: Primo Ponte sospeso (il Ponte “Real Ferdinando” sul Garigliano), in ferro, in Europa continentale

1833: Prima Nave da crociera in Europa “Francesco I”

1835: Primo istituto italiano per sordomuti

1836: Prima Compagnia di Navigazione a vapore nel Mediterraneo

1837: Prima Città d’Italia ad avere l’illuminazione a gas

1839: Prima Ferrovia italiana, tratto Napoli-Portici, poi prolungata sino a Salerno e a Caserta e Capua.

1839: Prima galleria ferroviaria del mondo

1839:Prima Illuminazione a Gas di una città italiana (terza in Europa dopo Londra e Parigi) con 350 lampade

1840: Prima Fabbrica Metalmeccanica d’Italia per numero di operai (1050) a Pietrarsa presso Napoli

1841: Primo Centro Vulcanologico nel mondo presso il Vesuvio.

1841: Primo sistema a fari lenticolari a luce costante in Italia

1843: Prima Nave da guerra a vapore d’Italia (pirofregata “Ercole”), varata a Castellammare.

1843: Primo Periodico Psichiatrico italiano pubblicato presso il Reale Morotrofio di Aversa da Biagio Miraglia

1845: Prima Locomotiva a Vapore costruita in Italia a Pietrarsa.

1845: Primo Osservatorio Meteorologico italiano (alle falde del Vesuvio)

1848: Primo esperimento di illuminazione a luce elettrica d’Italia a Lecce, per opera di mons. Giuseppe Candido. Illuminazione dell’intera piazza in occasione della festa patronale.

1852: Primo Telegrafo Elettrico in Italia (inaugurato il 31 Luglio).

1852: Primo Bacino di Carenaggio in muratura in Italia (nel porto di Napoli).

1853: Primo Piroscafo nel Mediterraneo per l’America (Il “Sicilia” della Società Sicula Transatlantica di Salvatore De Pace: 26 i giorni impiegati).

1853: Prima applicazione dei principi Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi

1856: Primo Premio Internazionale per la Produzione di Pasta (Esposizione Internazionale di Parigi

 premio per il terzo Paese del mondo come sviluppo industriale).

1856: Primo Premio Internazionale per la Lavorazione di Coralli (Mostra Industriale di Parigi)

1856: Primo Sismografo Elettromagnetico nel mondo costruito da Luigi Calmieri

1859: Primo Stato Italiano in Europa produzione di Guanti (700.000 dozzine di paia ogni anno)

1860: Prima Flotta Mercantile d’Italia (seconda flotta mercantile d’Europa) e prima Flotta Militare (terza flotta militare d’Europa).

1860: Prima nave ad elica (Monarca) in Italia varata a Castellammare.

INOLTRE

-Più grande Industria Navale d’Italia per operai (Castellammare di Stabia 2000 operai)

-Primo tra gli Stati italiani per numero di Orfanotrofi, Ospizi, Collegi, Conservatori e strutture di Assistenza e Formazione.

– Istituzione di Collegi Militari (La Scuola Militare Nunziatella il più antico Istituto di Formazione Militare d’Italia, ed uno dei più antichi del mondo

– Prime agenzie turistiche italiane

– La più bassa percentuale di mortalità infantile d’Italia.

– La più alta percentuale di medici per abitanti in Italia.

– Prima città d’Italia per numero di Teatri (Napoli), il Teatro San Carlo il più antico

  teatro operante in Europa, costruito nel 1737

– Prima città d’Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli).

– Primo “Piano Regolatore” in Italia, per la Città di Napoli.

– Prima città d’Italia per numero di Tipografie (113, in Napoli).

–  Prima città d’Italia per numero di pubblicazioni di Giornali e Riviste.

– Primi Assegni Bancari della storia economica (polizzini sulle Fedi di Credito)

– La più alta quotazione di rendita dei titoli di Stato (120% alla Borsa di Parigi).

–  Il Minore carico Tributario Erariale in Europa.

–  Maggior quantità di Lire-oro nei Banchi Nazionali (dei 668 milioni di Lire-oro, patrimonio di tutti gli Stati italiani messi insieme, 443 milioni erano del regno delle Due Sicilie).

 – Monopolio mondiale dello zolfo, avendo oltre 400 miniere di zolfo, copriva circa il 90% della produzione mondiale di zolfo e affini

Poi arrivarono i BARBARI


Feb 17 2009

LA CARTA DI CHIVASSO (19-12-1943) – Alle radici della Lega Nord

(Nella eterna speranza che la capiscano anche i giornalisti)

Questo importante documento firmato da autorevoli esponenti della resistenza antifascista piemontese attesta come le idee di identità dei popoli, autonomia e federalismo fossero ben presenti al momento di ricostruire sulle rovine lasciate dal fascismo una società moderna e realmente democratica.

Le notevoli intuizioni storiche in esso contenute ed il bene che ne sarebbe derivato dalla sua applicazione,  sono state invece ignorate sia dal Partito comunista, il cui atteggiamento in materia seguiva la più rigida impostazione accentratrice giacobina e leninista,  sia dalla Democrazia cristiana, fortemente legata agli interessi della burocrazia romana lasciata in eredità dal vecchio regime.

DICHIARAZIONE DEI RAPPRESENTANTI DELLE POPOLAZIONI
ALPINE

Carta redatta a conclusione di un convegno
clandestino tenutosi in  Chivasso il 19-12-1943 e
firmata dai resistenti

Émile Chanoux,   Ernesto Page,
  Gustavo Malan,   Giorgio Peyronel,   M. A. Rollier,
 Osvaldo Coisson,

e nota come:   CARTA DI CHIVASSO.

NOI POPOLAZIONI DELLE VALLI ALPINE

CONSTATANDO che i venti anni di mal governo
livellatore ed accentratore sintetizzati dal motto
brutale e fanfarone di “Roma doma” hanno avuto per le
nostre valli i seguenti dolorosi e significativi
risultati:

a)  OPPRESSIONE POLITICA attraverso l’opera dei suoi
agenti politici ed amministrativi (militi, commissari,
prefetti. federali, insegnanti), piccoli despoti
incuranti ed ignoranti di ogni tradizione locale di
cui furono solerti distruttori;

b)  ROVINA ECONOMICA per la dilapidazione dei loro
patrimoni forestali ed agricoli, per l’interdizione
della emigrazione con la chiusura ermetica delle
frontiere, per l’effettiva mancanza di organizzazione
tecnica e finanziaria dell’agricoltura, mascherata dal
vasto sfoggio di assistenze centrali, per la
incapacità di una moderna organizzazione turistica
rispettosa dei luoghi; condizioni tutte che
determinarono lo spopolamento alpino;

c)  DlSTRUZIONE DELLA CULTURA LOCALE per la
soppressione della lingua fondamentale locale, laddove
esiste, la brutale e goffa trasformazione dei nomi e
delle iscrizioni locali, la chiusura di scuole e di
istituti locali autonomi, patrimonio culturale che è
anche una ricchezza ai fini della emigrazione
temporanea all’estero;

AFFERMANDO

a)  che la libertà di lingua come quella di culto è
condizione essenziale per la salvaguardia della
personalità umana;

b)  che il federalismo è il quadro più adatto a fornire
le garanzie di questo diritto individuale e collettivo
e rappresenta la soluzione del problema delle piccole
nazionalità e la definitiva liquidazione del fenomeno
storico degli irredentismi, garantendo nel futuro
assetto europeo l’avvento di una pace stabile e
duratura;

c) che un regime Federale repubblicano a base
regionale e cantonale è l’unica garanzia contro un
ritorno della dittatura, la quale trovò nello stato
monarchico accentrato italiano lo strumento già pronto
per il proprio predominio sul paese; fedeli allo
spirito migliore del Risorgimento

DICHIARIAMO quanto segue

AUTONOMIE POLITICHE AMMINlSTRATIVE

1)  Nel quadro generale del prossimo stato italiano che
economicamente ed amministrativamente auspichiamo sia
organizzato con criteri federalistici, alle valli
alpine dovrà essere riconosciuto il diritto di
costituirsi in comunità politico-amministrative
autonome sul tipo cantonale;

2)  come tali ad esse dovrà comunque essere assicurato,
quale che sia la loro entità numerica, almeno un posto
nelle assemblee legislative regionali e cantonali;

3)  l’esercizio delle funzioni politiche ed
amministrative locali (compresa quella giudiziaria)
comunali e cantonali, dovrà essere affidato ad
elementi originari del luogo o aventi ivi una
residenza stabile di un determinato numero di anni che
verrà fissato dalle assemblee locali;

AUTONOMIE CULTURALI E SCOLASTICHE

Per la loro posizione geografica di intermediarie tra
diverse culture, per il rispetto delle loro tradizioni
e della loro personalità etnica, e per i vantaggi
derivanti dalla conoscenza di diverse lingue, nelle
valli alpine deve essere pienamente rispettata e
garantita una particolare autonomia culturale
linguistica consistente nel:

1)  diritto di usare la lingua locale, là dove esiste,
accanto a quella italiana, in tutti gli atti pubblici
e nella stampa locale;

2)  diritto all’insegnamento della lingua locale nelle
scuole di ogni ordine e grado con le necessarie
garanzie nei concorsi perché gli insegnanti risultino
idonei a tale insegnamento.

L’insegnamento in genere
sarà sottoposto al controllo o alla direzione di un
consiglio locale;

AUTONOMIE ECONOMICHE

Per facilitare lo sviluppo dell’economia montana e
conseguentemente combattere lo spopolamento delle
vallate alpine, sono necessari:

1)  un comprensivo sistema di tassazione delle
industrie che si trovano nei cantoni alpini
(idroelettriche, minerarie, turistiche, di
trasformazione, ecc.) in modo che una parte dei loro
utili torni alle vallate alpine, e ciò
indipendentemente dal fatto che tali industrie siano o
meno collettivizzate;

2)  un sistema di equa riduzione dei tributi, variabile
da zona a zona, a seconda della ricchezza del terreno
e della prevalenza di agricoltura foreste o
pastorizia;

3)  una razionale e sostanziale riforma agraria
comprendente:

a)  l’unificazione per il buon rendimento dell’azienda,
mediante scambi e compensi di terreni e una
legislazione adeguata della proprietà famigliare
agraria oggi troppo frammentaria;

b)  l’assistenza tecnico-agricola esercitata da
elementi residenti sul luogo ed aventi ad esempio
delle mansioni di insegnamento nelle scuole locali di
cui alcune potranno avere carattere agrario;

c)  il potenziamento da parte delle autorità della vita
economica mediante libere cooperative di produzione e
consumo;

4)  il potenziamento delle industria e
dell’artigianato, affidando all’amministrazione
regionale cantonale, anche in caso di organizzazione
collettivistica, il controllo e l’amministrazione
delle aziende aventi carattere locale;

5)  la dipendenza dall’amministrazione locale delle
opere pubbliche a carattere locale e il controllo di
tutti i servizi e concessioni aventi carattere
pubblico.

Questi principi, noi rappresentanti delle
Valli Alpine vogliamo vedere affermati da parte del
nuovo Stato italiano, così come vogliamo che siano
affermati anche nei confronti di quegli italiani che
sono e potrebbero venire a trovarsi sotto il dominio
politico straniero.

Fonte: Europa al plurale


Feb 17 2009

I popoli sanno sfidare i loro governanti

Category: Autonomie Indipendenze,Società e politicagiorgio @ 08:57

Solo così si puo cambiare davvero il destino di un paese

Un’altra questione deve essere sollevata e discussa: e cioè se il ricorso alla “disobbedienza civile” costituisca una prerogativa da riconoscere a ciascun cittadino, e da esercitare individualmente o in forma collettiva.

Alla prima domanda si deve rispondere affermativamente: ogni persona, in quanto titolare di diritti  naturali indisponibili, è legittimata a partecipare alla “disobbedienza civile”, quando sussistano naturalmente i presupposti più sopra illustrati.

Ma circa l’esercizio di tale prerogativa, sembra evidente che esso debba spettare ad una pluralità consistente di cittadini.

Non credo che per dare vita a una campagna di “disobbedienza civile” sia “necessario creare un movimento o un partito appositi; tuttavia, penso che questo salutare strumento di lotta politica, per essere efficace (al limite: irresistibile) debba radicarsi nelle convinzioni di uno strato abbastanza diffuso della società.

In un determinato momento storico, la ribellione pacifica dei cittadini può cambiare il destino di un Paese soltanto se essa diventa la bandiera di un gruppo che, oltre ad avere dimensioni estese, possegga al suo interno un minimo di organizzazione e quindi esplichi capacità operativa.

Il carattere collettivo di una protesta aggiunge a quest’ultima  un “plusvalore” indispensabile.

E questa considerazione introduce ad un ultimo argomento.

Mi rendo conto che agli occhi delle persone più timorate e amanti dell’ordine (ad ogni costo) la proposta disegnata in queste pagine di una concreta e organica “disobbedienza civile”, possa rappresentare una prospettiva di instabilità e di contestazione delle istituzioni: la premessa ad un “disordine permanente”.

È una impressione profondamente sbagliata.

I popoli liberi e meglio ordinati sono quelli che si permettono ogni tanto di ribellarsi: che non temono di impugnare le decisioni dei loro governanti, ma che tornano poi ogni volta a rifondare, con più solida persuasione, l’ordinamento in cui vivono.

La “disobbedienza civile” è così una sorta di “valvola di scarico”, la quale consente ai cittadini di evitare il pericolo dell’obbedienza per abitudine o pigrizia, e quindi di recuperare una fiducia attiva e convinta nel resto delle istituzioni.

Fonte: srs di Gianfranco Miglio


Feb 17 2009

Il cittadino ha il diritto di ribellarsi

Category: Autonomie Indipendenze,Società e politicagiorgio @ 00:09

Giangranco Miglio spiega i fondamenti teorici dello sciopero fiscale contro i detentori del potere.

La ripulsa degli obblighi fiscali costituisce abitualmente insieme lo scopo e la modalità della “disobbedienza civile”. E non per caso.

L’appartenenza consapevole ad una qualsiasi convivenza civile e politica genera abitual mente l’impegno ad una contribuzione finanziaria (o a prestazioni in natura) finalizzata a remunerare i servizi offerti  dalla convivenza medesi ma ai suoi membri.

A rigore di logica, ogni individuo dovrebbe essere tenuto  a pagare soltanto le prestazioni di cui usufruisce personalmente,  secondo il modello del rapporto, di scambio in trattenuto con tutti gli altri suoi simili e che gli consente di sopravvivere.

Ma già la funzione “pubblica” fondamentale e originaria – che consiste nel garantire il rispetto dei contratti di scambio conclusi (pacta sunt servanda) e la sicurezza dei cittadini e dei loro beni comporta una spesa collettiva per la gestione degli strumenti necessari (magistrati, polizia etc.) coperta con la raccolta di tributi variamente ripartiti e riscossi.

È quasi inutile rammentare che, sulla base di questa primordiale obbligazione – con la crescita della cosiddetta “civiltà materiale”, e quindi con la moltiplicazione dei “bisogni” – si è stratificata una mole imponente di “spese” (e quindi di contribuzioni) la cui dilatazione ha coinciso con il rafforzamento incessante dell’autorità di chi governa: “avere potere” significa, prima di ogni cosa, essere in grado di togliere risorse finanziarie dalle tasche di alcuni cittadini per trasferirle a quelle di altri, o alla disponibilità privata di chi comanda.

E l’investitura politica, con il passare del tempo, è diventata soprattutto, e primariamente, “mandato a tassare”: cioè licenza che i cittadini (inconsapevoli) accordano ai governanti di manipolare i loro redditi, e dunque una ricchezza “privata”, la quale, se accumulata nel rispetto della legge, dovrebbe essere invece intangibile.

È evidente infatti che su quanto una persona guadagna – vivendo in mezzo ai suoi concittadini, scambiando le sue prestazioni con loro e osservando le regole giuridiche del “mercato” – nei concittadini stessi ne i detentori del potere possono vantare alcuna pretesa, fondata sul diritto naturale.

La norma contenuta nell’articolo 53 della Costituzione italiana: “Tutti sono tenuti a concorrere  alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, non si radica in una regola di diritto (il quale “diritto” è sempre e soltanto una realtà individuale: solo gli individui, infatti, sono soggetti di diritti, e non le collettività)  ma discende da una scelta ideologica assolutamente opinabile).

Secondo ragione quell’articolo dovrebbe recitare:

Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche nella misura in cui  essi fruiscono delle stesse”

Neanche  i principi della “progressività” e della “proporzionalità” dell’imposizione fiscale nascono dalla logica del diritto, ma entrano in Costituzione perchè si fondano su una decisione di maggioranza, e dunque, in sostanza, sulla sopraffazione dei più a danno dei meno; perché nessuno riuscirà mai a dimostrare che ciò che piace a tre persone è “più vero” (o “migliore”) di quanto preferiscono due; e la regola della “maggioranza” riconduce ad una sola presunzione: quella della forza.

Analogo è il caso dei precetti che si vorrebbero derivare da un presunto impegno alla ”’solidarietà”, e cioè a giovare gratuitamente ai propri simili; rispettabile e nobile quanto si vuole, questo non è un dovere fondato sul diritto, ma un obbligo che nasce da una fede religiosa o da un codice etico secolare: valido soltanto per coloro che accettano quella fede o quel codice.

Ciò che manca è un “ponte logico” il quale consenta di passare dal coerente sistema dei diritti individuali ai presunti doveri verso il prossimo.

Non si può infatti pensare di vedere colmato questo vuoto dalla constatazione brutale che, se chi è in grado di guadagnare non rende partecipi della sua fortuna coloro i quali guadagnare non sanno, questi ultimi gli impediranno poi, presto o tardi, di sopravvivere.  Qui stiamo ragionando di diritti, e tutt’al più di diritti violati: non stiamo cercando di legalizzare la violenza.

Certo i detentori del potere, di ogni tempo e di ogni luogo, hanno sempre considerato gli averi dei sudditi (e poi dei cittadini) come pienamente disponibili, collocando i prelievi di ricchezza di gran lunga in prima fila tra gli atti di governo.

La situazione si è recentemente molto aggravata perché la natura, là struttura e la dimensione delle operazioni finanziarie rendono difficilmente percepibili tali “estorsioni”.

È notorio che, per accorgersi di un furto, bisogna avvertire materialmente l’atto dell’asportazione: se di una esportazione i danneggiati non si percepiscono l’effetto entro un certo arco di tempo, è come il se il furto non fosse mai avvenuto.

Esemplare a tale riguardo è l’esperienza che hanno fatto gli italiani .

Le colossali ruberie di denaro pubblico (e in parte più modesta anche privato) ad opera di personaggi e di affaristi politici, costituiscono una gigantesca sottrazione di risorse, perpetrata ai danni dei cittadini di questo paese.

Il fenomeno lo si sospettava (certo non nelle sue reali dimensioni macroscopiche): ma l’opinione pubblica non avvertiva, e non avverte nemmeno ora, l’impoverimento di cui è stata fatta segno.  Di modo che le reazioni sono tutt’al più desolate o ironiche: difficilmente riflettono l’indignazione e l’ira del derubato.

Senza dubbio, quando il prelievo, e soprattutto la sperequazione fiscale (vale a dire la cattiva amministrazione) incidono pesantemente e improvvisamente sul tenore di vita dei cittadini, questi ultimi si ribellano.

Non è un caso se le maggiori rivoluzioni politiche d’Occidente (quella puritana nell’Inghilterra del Seicento, e quella francese del 1789) sono state innescate da  gravi controversie in materia di tassazione.

Del resto tutti sanno che le istituzioni parlamentari – spina dorsale dei moderni regimi politici- sono nate proprio per garantire i cittadini dalla rapacità impositiva dei governanti:  “No taxation without representation!”..

E infatti i primi coaguli di “rappresentanza” si ebbero quando i principi cercarono di sostituire il non eccelso auxilium militare dei non-nobili con una contribuzione finanziaria (per comprarsi più efficienti mercenari).

La legittimazione della classe parlamentare si deformò nel tempo: ma, nella sua accezione originaria, il “mandato di rappresentanza” – che lega i cittadini elettori ai loro “procuratori” (deputati) – fu lo strumento adeguato attraverso il quale i soggetti “tassabili” negoziavano con i detentori del potere la natura e l’estensione delle imposte.  Sulla base dunque di una relazione schiettamente contrattuale.

Soltanto la progressiva trasformazione in senso assolutistico della sovranità (e la crescente arroganza di chi la detiene) hanno condotto a pensare invece l’autorità politica come depositaria della sapienza economica, e arbitra esclusiva della fortuna dei cittadini, ridotti, con le loro risorse e i loro beni, alla totale merce di chi quell’autorità impersona.

Le maggioranze parlamentari di oggi hanno raggiunto, in tema di asservimento fiscale dei cittadini, risultati che i principi assoluti di un tempo non si erano mai sognati.

Chi non appartiene alle, categorie dei privilegiati e dei protetti, è ormai un suddito “taillable et corvéable à merci”.

Il problema, naturalmente, non è di negare a chi comanda il potere di tassare: ma di discutere la struttura e l’incidenza del sistema impositivo e, soprattutto, la legittimità di talune imposte.

Fonte: srs di Rinfranco Miglio /Lo scritto è tratto da Disobbedienza Civile, Oscar Mondadori, 1993