Feb 21 2009

Stele di Kuttamuwa – Scoperto il piu’ antico monumento all’anima

La prima evidenza scritta della convinzione religiosa della separazione tra anima e corpo nelle antiche civiltà del Medio Oriente, è stata scoperta da un gruppo di archeologi americani nel sito di Zincirli, in Turchia, vicino al confine con la Siria. 

Fino a questo momento si riteneva che in tutte le culture semitiche (Arabi, Ebrei, Cananeo-Fenici, Cartaginesi) l’anima e il corpo fossero considerati indissolubili, tanto che la cremazione del defunti era espressamente vietata. Soltanto nelle popolazioni camite dell’Africa, come gli Egizi, si riteneva che dopo la morte l’anima sopravvivesse indipendentemente dal corpo.

Scavando nell’antica città di Sam’al, presso l’attuale Zincirli, gli archeologi dell’Università di Chicago hanno rinvenuto una stele di basalto, che risale a circa l’800 a.C., con scritte in una lingua semitica che sembra essere una arcaica variante dell’aramaico. La stele, pesante 400 chili e alta 1,2 metri, era stata fatta costruire da un funzionario reale, Kuttamuwa, come luogo di riposo della sua anima dopo la morte. 

 

Sulla stele si legge: “lo, Kuttamuwa, servo del re Panamuwa, ho provveduto in vita alla produzione di questa stele. L’ ho posta nella camera eterna e ho disposto un banchetto per (il dio della tempesta) Hadad, un montone per (il dio del Sole) Shamash, … e un montone per la mia anima che è in questa stele”.

 

Accanto alla scritta è incisa la figura di un uomo, presumibilmente Kuttamuwa, con la barba e un copricapo, nell’atto di sollevare un calice di vino,  mentre è seduto davanti a una tavola imbandita con pane e un’anatra arrostita. 

Un’immagine del genere, sottolineano gli studiosi, rappresentava un invito a portare offerte votive di vino e cibo davanti alla tomba di un defunto. Come ha precisato Joseph Wegner, egittologo dell’Universitàdella Pennsylvania, in Medio Oriente era pratica diffusa portare offerte votive ai morti, ma fino a questo momento non esisteva alcuna testimonianza del concetto della separazione tra anima e corpo in queste civiltà. Peraltro, il ritrovamento nel sito di urne che sembrano dovessero contenere le ceneri dei defunti fa supporre che le popolazioni di Sam’al praticassero la cremazione. La stele di Zincirli rappresenta dunque il più antico (e finora unico) “monumento all’anima” rinvenuto nel Medio Oriente.

Inoltre la scoperta getta una nuova sorprendente luce sulle credenze della vita ultraterrena nell’Età del ferro, e in particolare sulla credenza che l’identità, “l’anima”, del defunto, permanesse abitando all’interno del monumento su cui era stata tracciata la sua immagine, come sottolinea la frase finale dell’incisione

 

Fonte: Storica – National  Geographic – numero 1, marzo 2009


Feb 21 2009

LA PIETRA DI PALERMO: Il primo libro di storia dell’Egitto

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 19:46

L’importanza storica della pietra di Palermo è stata lungamente oscurata dalla famosa pietra di Rosetta, ma Jill Kamil dice che ora la sta riconsiderando come autentico documento storico dell’antico Egitto.
La cosiddetta pietra di Palermo è il più grande e meglio conservato dei frammenti di una lastra rettangolare di basalto, conosciuta come gli annali reali dell’Antico Regno d’Egitto. La sua origine è sconosciuta, ma può provenire da un tempio o da un’altra costruzione importante.


 

Dal 1866 la pietra è a Palermo in Sicilia – città da cui prende il nome – ed ora si trova nel Museo Archeologico Regionale “Antonio Salinas”. La parte restante misura cm 43 d’altezza per 30,5 di larghezza, mentre in origine si ipotizza che avesse una lunghezza di circa 2 metri ed un’altezza di 60 cm. 

Altri frammenti della stessa lastra comparvero sul mercato antiquario fra il 1895 ed il 1963 e sono ora nel Museo Egiziano al Cairo e nel museo Petrie, presso l’Università di Londra.


Estratta dagli annali reali, la “Lista dei Re” predinastici è nel registro superiore della pietra di Palermo. È seguita dagli annali del regno dell’Egitto dall’inizio sino ai re della quinta dinastia. Sotto ogni nome sono indicati gli anni degli eventi importanti, la maggior parte di una natura rituale, e l’altezza dell’inondazione del Nilo è notata alla parte inferiore. Circa 13 studi importanti sono stati intrapresi sui frammenti della pietra e, da quando i primi sono stati pubblicati da Heinrich Schöfer nel 1902, gli eruditi sono stati divisi quanto a come interpretare le implicazioni del testo. Alcuni hanno insistito che i re predinastici elencati sulla pietra effettivamente esistessero, anche se nessuna ulteriore prova ancora era emersa. Altri hanno mantenuto il parere che la loro inclusione su una lista di re era soltanto un espediente ideologico, per indicare che prima dell’unificazione delle due terre dell’Egitto superiore e inferiore, da parte di Narmer/Menes, c’era il caos. Disordine prima di ordine. Sconosciuta fuori della cerchia degli studiosi, la pietra non è abbastanza conosciuta dal pubblico, forse perché è in diversi frammenti e non le viene attribuito nessun valore artistico.


Ora, tuttavia, conosciamo la verità, perché gli archeologi hanno identificato 15 re predinastici, realmente esistiti, tra quelli elencati sulla pietra di Palermo. La pietra di Palermo, con la relativa serie di notazioni apparentemente enigmatica, può essere stata il primo documento storico dell’Egitto.
La pietra rivela che i re più antichi, prima dell’inizio del periodo storico, si spostavano ad ampio raggio e con una certa regolarità. Inoltre registra che nei primi periodi dinastici, fra il 2890 ed il 2686 a.C., si conosceva già la fusione del rame e si realizzavano statue. Inoltre che le campagne militari effettuate in Nubia portarono alla cattura di 7.000 schiavi e di 200.000 capi di bestiame. Si facevano spedizioni alle miniere di turchese del Sinai; e 80.000 misure di mirra, 6.000 unità di electrum, 2.900 unità di legno e 23.020 misure di unguenti erano importate da Punt, sul litorale della Somalia moderna. Non era una società primitiva dedita alle lotte, alla soglia della civilizzazione, ma una già stabilita che stava forgiando il proprio carattere e affermava la propria identità.


Quando Toby Wilkinson dell’università di Cambridge, autore del libro “Early Dynastic Egypt”, ha presentato un documento sulla pietra di Palermo al congresso internazionale di Egittologia tenuto a Londra nel dicembre 2000, ha rianimato l’interesse sulla pietra. Infatti, è stupefacente che in quest’epoca di tecnologie informatiche egli fosse il primo erudito a riunire ed esaminare tutti e sette i frammenti della pietra insieme. Ha citato le discussioni iniziali pro e contro l’importanza del testo ed ha concluso che è stato intagliato, come la pietra di Rosetta, come corredo ad un culto degli antenati, un progetto di una sequenza continua della successione fino al regno del re Sneferu della Quinta Dinastia, che raggiunse un gran picco di prosperità; nel periodo quando i grandi monumenti sono stati costruiti ed in cui non meno di 40 navi portarono legno da una regione sconosciuta fuori del paese.


Nella loro forma originale gli annali reali erano divisi in due registri. Il registro superiore a sua volta era suddiviso nelle parti che descrivono i nomi dei re predinastici con gli anni di regno e gli eventi importanti nei loro regni, seguiti dalle notazioni di tali eventi come l’inondazione del Nilo, il censimento biennale del bestiame, cerimonie di culto, tasse, la scultura, le costruzioni e la guerra. Sono elencati centinaia di regnanti. È il testo storico più vecchio sopravvissuto dell’Egitto antico ed è la base dei dati storici e delle cronologie successive.


Alcuni re hanno registrato esplicitamente che le divinità egiziane sono arrivate simultaneamente con il loro regno. Il dio Sheshat, per esempio, è stato associato con un’attività conosciuta come “allungamento della corda” (probabilmente riferendosi al fatto di misurare le zone per le costruzioni o i santuari sacri). Altri gettano le basi delle costruzioni che sono state denominate “trono degli Dei”. Tali attività erano considerate sufficiente importanti da servire da punti di riferimento e sono state espresse in tali termini specifici come la “nascita di Anubis”, “la nascita di Min” e la “nascita” di altri dei associati con fertilità e la potenza del maschio quale Min di Coptos e Heryshef che è rappresentato solitamente sotto forma d’un ariete.


Finora, tali notazioni sembravano avere poco significato. Ma oggi gli eruditi conoscono tanto più circa il periodo di formazione della civiltà egiziana che possiamo riconsiderare almeno 21 delle 30 entrate dispari sulla pietra di Palermo, particolarmente quelle che si riferiscono al fatto di creare le immagini degli dei da quelle dei re, perché la prova archeologica sostiene l’idea dello sviluppo uniforme del centro di culto; cioè, gli scavi effettuati in alcuni dei luoghi di stabilimento più antichi ne rivelano l’uniformità. Una caratteristica comune, per esempio, è che tutti i recinti sacri erano sottratti agli occhi del pubblico e circondati da muri. Un altro sono i ritrovamenti delle offerte votive, oggetti grezzi o cotti d’argilla che a volte si contano a centinaia, probabilmente fatte dagli artigiani locali per la gente semplice che desiderava fare le offerti al dio. Effettivamente, l’uniformità può essere veduta chiaramente negli stessi dei. In forma umana, o in un corpo umano con testa d’animale, d’uccello, di rettile o d’insetto, sono rimaste uguali agli archetipi per tutte le generazioni successive.


Abbastanza interessante è il fatto che gli dei mantennero caratteri vaghi durante la storia egiziana, più tardi descritti nei termini quale “quello di Ombos” (Set), “quello di Edfu” (Horus), “quella di Sais” (Neith) e “quello di Qift” (Coptos). Nessuno di loro era più importante degli altri. Le preghiere e gli inni indirizzati loro differivano soltanto negli epiteti e negli attributi. Era chiaramente il posto, non il dio, che importava, il posto scelto per la sua posizione strategica.


Il centro di culto della dea dalla testa d’avvoltoio Nekhbet, per esempio, era sulla sponda orientale del Nilo a Nekheb (Al-Kab moderno), che dava accesso al deserto orientale ricco di minerali con giacimenti di rame, d’agata e di diaspro. Quello di Pe (Buto) nel delta del Nilo, era un punto di partenza per il commercio con il Medio Oriente. Coptos (Qift) era quasi di fronte alla bocca del wadi Hammamat, la via più breve verso il Mar Rosso e le vene aurifere del deserto orientale.


La creazione delle immagini e l’istituzione dei centri di culto accennati sulla pietra di Palermo si trova anche nei testi della piramide (iscritti sulle pareti dai re che hanno regnato verso la conclusione dell’Antico Regno) e nel cosiddetto Dramma di Memphis (un testo sopravvissuto in una copia tardiva, esplicito sulla creazione dei culti, sull’istituzione dei santuari e sulla fabbricazione delle statue divine con i loro segni distintivi raffiguranti una pianta, un uccello o un animale totemico della comunità, “fatti con ogni legno, ogni pietra, ogni pezzo di creta”). 

 

Oltre all’identificazione con il re, servivano al livello popolare. Gli antichi Egizi giunsero a credere che la statua nel santuario tenesse la chiave per un buon raccolto, salute e fertilità e compivano gesti pii che non erano molto differenti da oggi, con le offerte e preghiere ai santuari dei santi cristiani e degli sceicchi musulmani. I gesti di devozione sono una pratica consacrata che ha chiare radici nel passato più antico.

 

Questo è così affascinante negli studi di Wilkinson sulla pietra di Palermo. I successi materiali di una condizione unificata dipendevano dalle risorse della terra e dal commercio e c’è ogni indicazione che la relativa gestione fosse stata tracciata sin dalla fase iniziale. La creazione dei centri di culto non solo ha neutralizzato le differenze fra i vari insediamenti dell’Egitto superiore e inferiore, ma ha generato un forte legame fra la gente di tutti gli strati della società. E, più importante, quando il re assisteva alle feste di “nascita” degli dei e faceva le dotazioni reali sotto forma di pane e torte, buoi ed altro bestiame, oche ed altri uccelli e vasi di birra e di vino, l’occasione della sua visita era accompagnata dalle celebrazioni annuali che comportavano il macello degli animali sacrificali in suo onore. Queste offerte, poste sull’altare del santuario e soddisfacenti una volta una funzione religiosa, erano prese dal “servi del dio” , ossia i sacerdoti che curavano i santuari e le statue degli dei, in parte per trattenerle ed in parte per distribuirle alla gente. La costruzione degli edifici per il culto reale sembra essere stato il progetto più importante del regno di ciascun re, ed assorbiva gran parte del reddito di corte. Il concetto che gli dei ed il re avessero richieste reciproche l’uno nei confronti dell’altro dovevano essere forti, ma c’era sempre il rischio della resistenza e quando questo accadeva il re, a quanto pare, negava la prestazione del culto. Nei testi della piramide (molti dei quali sono datati ai periodi predinastici, come quelli che comprendono le frasi che si riferiscono ad un periodo in cui i morti erano posti a riposare in semplici fosse nella sabbia ed in cui gli animali del deserto potevano profanare i corpi), sono le espressioni in cui il re enfatizza il fatto che ha potere sopra gli dei, e che è lui che “concede il potere e toglie il potere, cui nessuno sfugge”.


L’effetto di una tal minaccia su una comunità che già aveva una forte identità e sui “servi del dio”, che prestavano assistenza ai santuari, può essere immaginato bene. Arrivava alla minaccia di annientamento ed alla perdita di prestigio. Secondo Erodoto, sopravviveva una tradizione che sosteneva che Khufu, il costruttore della grande piramide, avesse chiuso nel Paese i templi. Fra le sue prescrizioni, ricordate sin dai tempi antichi, erano la “cacciata” di Horus; , la “cattura” di Horus; e la “decapitazione” di Horus;. In un cartiglio d’avorio trovato a Abydos che data al regno del re Den, della Prima Dinastia, il re è indicato in una posa che doveva diventare classica: mentre schiaccia un nemico con un randello levato.
Il re dell’Egitto, padrone degli accessi alle risorse naturali e alle terre vicine; e dei santuari costruiti agli dei, come è registrato sulla pietra di Palermo, possedeva e condivideva una caratteristica comune con i capi di molte antiche società? Era un signore della guerra?


La PROVA è che le immagini impresse in sigilli e terraglie del primo periodo dinastico rivelano le immagini dei Faraoni impegnati in varie attività rituali ed alcuni dei testi di accompagnamento si riferiscono a statue fatte d’oro e di rame. Questa immagine proviene dal quinto registro della pietra di Palermo e si riferisce ad una statua di rame fatta nel regno di Khesekhemwy, o del suo successore dello stesso nome. Qui è scritta la prova che il rame statuario era noto e prodotto molto prima delle immagini ben note di Pepi I e di Merenre, trovate nel tempio di Hierakonpolis ed ora nel museo egiziano. I re sono raffigurati talvolta con la corona rossa, a volte con quella bianca, come quello qui rappresentato. Alcuni bassorilievi mostrano il re che cammina, o che accenna un passo in avanti.


 

Fonte: Al Ahram Weekly, 12-18 febbraio 2009.


Feb 21 2009

Verona: La sfilata de «VENARDI GNOCOLAR 2009». Anche i Tosi ballano la tarantella

Category: Verona dei veronesigiorgio @ 16:41

Tra due ali di folla sfila in piazza Bra il carro «Anche i tosi ballano la tarantella» del gruppo Brusalitri di Oppeano: una maxicaricatura del sindaco Tosi circondato dai cartelli con i suoi ormai famosi divieti 

Si rinnova per la 479ª volta la tradizione del Carnevale di Verona, il corteo nelle strade del centro richiama cittadini di ogni età

Di Alessandra Galetto

Foto Marchiori

 

Partecipazione record nonostante il freddo, suggestivo anche lo spettacolo «by night» dopo il tramonto

In almeno 40mila hanno sfidato ieri un rigido pomeriggio di febbraio per seguire la sfilata dei carri e partecipare alla festa del 479° «Bacanal del Gnoco», il primo ad offrire i carri illuminati, al calar delle tenebre. Insomma un Venardi gnocolar con un corteo che si è chiuso in notturna. E, come avviene da qualche anno, ieri il carnevale veronese ha offerto anche quella vena ironica sui problemi dell’oggi e sull’attualità politica. 

Lo dimostrano i due carri «dedicati» al sindaco Flavio Tosi (nella foto, quello sui divieti istituiti), sindaco che anche con la sua partecipazione «popolaresca» alla sfilata, ha accentuato questo nuovo aspetto del Bacanal che «riflette» sul presente. 

Sarà ricordato come il carnevale di Flavio Tosi. 

E c’è da sperare che il 479° Papà del Gnoco, al secolo Pietro Robbi detto Sandokan, non sia un tipo troppo permaloso, perché il suo primato ieri pomeriggio ha rischiato di essere scalzato dal successo ottenuto dall’apparizione del sindaco Tosi tra la folla della Bra, salito di persona sui due carri a lui ispirati, il numero 39 intitolato «Se fossi sceriffo» ideato da Pozzomoretto, e il 49 «Anche i tosi ballano la tarantella» dei Brusalitri di Oppeano. Salito a metà del Liston sul primo e poi davanti a palazzo Barbieri sul secondo, Tosi ha salutato con cappello da sceriffo in testa la folla che lo applaudiva, togliendo almeno in parte la prima pagina al sovrano che (ancora) detiene il «piron», che nel caso della tradizione nostrana vale come scettro, cioè il Papà del Gnoco.

«Mi sono calato nella parte», ha ammesso il sindaco, a proposito del look da sceriffo, aggiungendo: «A carnevale ogni scherzo vale, anche questo. E poi ci ho guadagnato: nel carro sono stato ritratto più bello di quanto sia in realtà, mi è andata bene». 

Ma andiamo con ordine. La manifestazione, cominciata alle 14 circa con la partenza da porta Nuova del corteo lungo sei chilometri, costituito da una settantina di carri e oltre 7.500 figuranti, è stata favorita dal tempo: se il 2008 aveva visto una giornata grigia e nebbiosa, questa volta il cielo sereno, nonostante l’aria fredda, ha invogliato i veronesi a partecipare. 

Circa 40mila persone, secondo i dati forniti dai vigili, hanno assistito alla sfilata, con tutti i parcheggi a ridosso del centro presi d’assalto. Solo pochi però hanno resistito fino alla fine. Infatti che il 479° Bacanal del gnoco, oltre che come il carnevale di Tosi, potrà essere ricordato anche come quello del corteo senza fine: anche troppo lungo. È vero che gli organizzatori lo avevano annunciato e il patron Luigi D’Agostino, ieri prima delle 15 in Bra lo aveva ribadito: «La novità di questa edizione è l’arrivo in notturna a San Zeno, con i carri illuminati». Ma è finita verso le 21, oltre le previsioni.

Il colpo d’occhio c’è stato, va riconosciuto, maschere e carri dopo il tramonto sono apparsi suggestivi, ma eccessive pause tra un carro e l’altro, soprattutto nella seconda parte della sfilata, hanno reso difficile per il pubblico assistere a tutto lo spettacolo. 

Un peccato, perché proprio alla fine hanno sfilato alcuni dei nuovi carri, grandi e sgargianti nei loro colori: come «Dei e miti di oggi», «il Pandamonio», «Perbacco che Venere», «Inferno 2009». Da segnalare per l’ironia il carro riferito a Tosi, «Anche i tosi ballano la Tarantella»: il viso gigante del sindaco sbuca dall’Arena circondato dai cartelli dei «suoi» divieti: dai panini alla prostituzione, dall’accattonaggio agli alcolici.

Qualche problema si è avuto all’altezza della svolta di ponte Nuovo: alcuni carri, di grandi dimensioni, non sono riusciti subito a compiere la manovra necessaria per immettersi su lungadige Rubele e si sono incastrati, c’è voluto un intervento speciale per riprendere la sfilata. Anche questo ritardo ha reso più difficile per il pubblico seguire tutta la sfilata: quando gli ultimi carri sono passati, in giro c’era poca gente. Molto efficiente invece il servizio dell’Amia: già intorno alle 18.30 le macchine pulitrici erano in azione in stradone Maffei e corso San Fermo.A.G.

Fonte: srs di Alessandra Galetto,   da L’arena di Verona del  Sabato 21 Febbraio 2009

CRONACA, pagina 7 /Foto Marchiori


Feb 21 2009

Le aquile non volano a stormi

Category: Veja migiorgio @ 14:33


Feb 21 2009

IL FENOMENO SOTTOVALUTATO DELLE ISOLE DI CALORE URBANE

Category: Geografia e ambiente,Natura e scienzagiorgio @ 14:05

Ondata di calore del 2003 – Image courtesy of NASA

In un torrido pomeriggio di quell’Agosto del 2003, intrappolato, per motivi di lavoro, in una rovente Milano, recandomi per una passeggiata al Parco Sempione, fui assolutamente sorpreso da una sensazione di refrigerio che andava ben al di là delle mie aspettative. Quell’ondata di calore causò un incremento della mortalità di circa 35.000 persone su scala europea colpendo sopratutto le popolazioni delle grandi aree urbane del nostro continente.

Anche in assenza di tali episodi eccezionali non è però difficile rendersi conto delle marcate differenze climatiche esistenti tra le città e i loro immediati dintorni.

Considerando che quasi la metà della popolazione mondiale e circa i tre quarti di quella dei paesi sviluppati vivono ormai nelle città, stupisce la scarsa popolarità di cui il fenomeno delle isole di calore urbane (urban heat islands) gode tra i mass media.

Tale fenomeno infatti, oltre a riguardare un’altissima percentuale della popolazione mondiale, determina delle anomalie termiche locali ben superiori rispetto a quelle causate dal più noto global warming1. Da non sottovalutare, inoltre, l’effetto sulle precipitazioni con incrementi dell’ordine del 30% nei centri urbani rispetto alle zone periferiche e l’impatto su umidità e ventilazione.

Gli scarti termici positivi risultano notevoli durante la notte (particolarmente nella stagione invernale) mentre si attenuano notevolmente (e in taluni casi si annullano o diventano negativi) nelle ore diurne. Quest’ultimo fenomeno è attribuibile ai moti convettivi generati dall’isola di calore stessa che, rimescolando le masse d’aria, comportano l’afflusso di aria più fresca dagli strati più in alto nonché una convergenza nei bassi strati verso il centro di brezze che spirano dalla periferia.

Date le particolari peculiarità delle aree ad alta intensità urbana le cause del fenomeno delle isole di calore urbane vanno ricercate in un complesso insieme di fattori:

1. le proprietà dei materiali predominanti in termini di conducibilità e capacità termica determinano un maggiore assorbimento di energia solare. Le pareti degli edifici o l’asfalto delle strade possono, ad es., raggiungere, durante la stagione estiva, temperature fino a 90°C e oltre.

2. le caratteristiche orografiche delle città e le proprietà dei materiali predominanti in termini di emissività ed effetto albedo, danno luogo al cosiddetto “effetto canyon”. L’emissione in termini di radiazione infrarossa uscente da parte delle superfici urbane rimbalza su analoghe superfici a causa dell’assetto geometrico delle città, come in un gioco di specchi, rimanendo a lungo intrappolata tra le facciate degli edifici ed il fondo stradale prima di venire rilasciata nell’atmosfera.

3. la progressiva scomparsa dall’ambiente urbano della vegetazione annulla l’effetto dell’evapotraspirazione delle piante.

4. Per ogni grammo di acqua evaporata le piante assorbono 633 calorie

 

5. New York: le zone con più vegetazione sono più fredde – Image courtesy of NASA

6. Quest’ultima è legata alla fotosintesi clorofilliana che implica l’assorbimento da parte delle piante di grandi quantità di energia (luce nelle porzioni rossa e azzurro-violetta dello spettro visibile) per la produzione di NADPH2 e ATP3 utilizzati per ridurre l’anidride carbonica e sintetizzare gli zuccheri. Durante l’assunzione di biossido di carbonio dall’atmosfera le piante rilasciano, tramite le aperture stomatiche, vapore acqueo. In altre parole, le foglie colpite dai raggi solari, per poter assumere anidride carbonica dall’atmosfera, cedono acqua all’ambiente circostante sottoforma di vapore. Per tale passaggio di stato dell’acqua le piante necessitano di una notevole quantità di energia che sottraggono all’ambiente circostante4. Un’area di 100 mq a piante ad alto fusto può raggiungere un livello di traspirazione di 50.000 litri al giorno, sottraendo all’ambiente circostante circa 31.650.000 calorie, altrimenti assorbite dagli edifici e rilasciate come calore5. Un altro effetto microclimatico da non sottovalutare consiste nella riduzione della radiazione solare incidente su edifici ombreggiati da vegetazione.

7. la maggiore concentrazione di fattori inquinanti e in particolare degli aerosol ha un effetto misto e parzialmente mitigante per quanto riguarda il campo termico oltre a determinare un incremento delle precipitazioni e un minore soleggiamento.

8. l’immissione di calore artificiale generato da impianti industriali, impianti di condizionamento e riscaldamento, frigoriferi, mezzi di trasporto e altre fonti di calore aggiuntivo legate, in generale, alle attività antropiche.

9. i processi metabolici degli abitanti (umani e non) implicano un’aggiunta di circa 10-20 Watt per metro quadro e oltre6.


In ambito scientifico si tende a considerare il fenomeno delle urban heat islands come avente un impatto irrilevante7 o di modesta entità8 sui trend climatici globali.

Tali valutazioni non ci devono però indurre a minimizzare la portata delle trasformazioni climatiche negli ambienti nei quali viviamo imponendoci una diversa pianificazione delle città con una diversa attenzione ai materiali utilizzati includendo “pareti verdi”9, giardini pensili e “tetti verdi”.

In un contesto di global warming in cui le estati urbane sono sempre più a rischio, non possiamo permetterci il lusso di ignorare il fatto che una parete inverdita possa avere una temperatura invernale superiore di 5°C e una estiva di 30°C inferiore rispetto a una parete tradizionale10, oppure che sempre, una parete inverdita può ridurre la dispersione di calore di un edificio del 38%11 permettendo un enorme risparmio energetico.

Secondo uno studio dell’Università di Singapore12, invece, solo cambiando il colore della facciata dei palazzi da scuro a chiaro la temperatura della stessa può scendere di ben 6°C permettendo un risparmio energetico nelle abitazioni di circa il 9%. Lo stesso studio rilevava, inoltre, l’enorme effetto mitigante esercitato dalla presenza di parchi con differenze della temperatura dell’aria anche di 5°C tra le diverse zone dell’isola di Singapore13. Sempre questo studio, infine, rilevava come gli appartamenti situati nelle zone prospicienti i parchi avessero un consumo medio di energia inferiore di circa il 10% data la loro minore necessità di climatizzazione.

Concludendo possiamo dunque affermare che una più attenta pianificazione degli spazi urbani, con il contributo ad es. della bioedilizia, associata all’utilizzo di tecnologie che consentano un maggiore risparmio energetico possa avere potenzialmente enormi effetti mitiganti nell’ordine di grandezza di alcuni gradi ovvero tali, in molti casi, da controbilanciare localmente il trend positivo globale previsto per i prossimi decenni.

 

Note

1 Tale surriscaldamento è valutato nell’ordine degli 1-6°C (fonte: United States Environmental Protection Agency).

2 Nicotinammide adenina dinucleotide fosfato ridotto, composto riducente ad alta energia.

3 L’Adenosintrifosfato o ATP è un ribonucleotide trifosfato formato da una base azotata, cioè l’adenina, dal ribosio, che è uno zucchero pentoso, e da tre gruppi fosfato.

 

4 Per ogni grammo di acqua evaporata le piante assorbono 633 calorie.

5 F.Margelli (CNR-ISAC Laboratorio LaRIA), S. Rossi (CNR-IBIMET),. T.Georgiadis (CNR-IBIMET)

6 Vedi http://www.globe.gov/fsl/scientistsblog/?m=200702.

7 Thomas C. Peterson: Assessment of Urban Versus Rural In Situ Surface Temperatures in the Contiguous United States: No Difference Found (Journal of Climate, Volume 16, Issue 18, September 2003).

8 Secondo l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), l’effetto globale sulle terre emerse consisterebbe in un riscaldamento inferiore a 0,006°C per decade.

9 Per parete verde viene inteso un fronte edilizio ricoperto da specie vegetali aventi intrinseche caratteristiche rampicanti e/o ricadenti aggrappate direttamente o indirettamente, tramite supporti verticali di sostegno, alla muratura (Antonella Bellomo, “Pareti verdi”, 2003).

10 Rudi Baumann, Begrünte Architektur. Bauen und Gestalten mit Kletterpflanzen Callwey München 1985.

11 Häuser mit grünem Pelz, Minke / Witter, Fricke Verlag, 1983.

12 “A Study of Urban Heat Island in Singapore”, Associate Professor Wong Nyuk Hien, Programme Director, MSc (Building Science), National University of Singapore.

13 E’ questo il caso dell’area industriale di Tuas comparata alla zona ad alta densità di vegetazione vicino Tengah, nel nord-ovest dell’isola.

 

Bibliografia

http://en.wikipedia.org/wiki/Urban_heat_island

http://www.scienzaonline.com/ambiente/riscaldamento_della_citta.html

http://www.epa.gov/heatislands/

http://www.nus.edu.sg/corporate/research/gallery/research34.htm

http://geography.about.com/od/urbaneconomicgeography/a/urbanheatisland.htm

 

 

Fonte: da srs di Andrea Binetti/clima.meteogiornale /04 aprile 2007

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Feb 21 2009

Un anello di diamante, un velo sottile: è tutta l’atmosfera che abbiamo

La sonda automatica giapponese Kaguya ha da poco trasmesso quest’immagine splendida della Terra che eclissa il Sole, vista dalla Luna, scattata il 10 febbraio scorso.

Il Sole è quasi completamente occultato dal nostro pianeta, e illumina in controluce l’atmosfera terrestre, formando un anello sottile che rende molto chiaramente l’idea di quanto sia tenue lo strato d’aria nel quale vivono tutte le creature del nostro mondo e nel quale rigurgitiamo ogni sorta di porcherie.

A cosa serve l’esplorazione spaziale? A fare scienza, certo, ma anche, e forse soprattutto, a fornire immagini come questa, che più di mille grafici fanno capire quando sia fragile l’ambiente in cui viviamo. E ci fanno ricordare che è l’unico che c’è: rovinato quello, non possiamo andare al centro commerciale a comperarne un altro.

L’immagine è stata scattata mentre la Terra era parzialmente coperta dall’orizzonte lunare, che in questo fotogramma è buio e taglia l’anello dell’atmosfera terrestre in basso.

 

Fonte: JAXA/NHK/ attivissimo

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Feb 21 2009

Le Pasque Veronesi del 1797

Category: Verona storia e dintornigiorgio @ 08:05

Case Mazzanti

 

L’Armata d’Italia di Napoleone nel territorio della Repubblica di Venezia

 

Verso la fine del 1796 tutta la parte occidentale del territorio della Repubblica di Venezia è occupata militarmente dalle forze della Repubblica Francese: a una a una le città più importanti della terraferma — Bergamo, Brescia, Peschiera e Vicenza — vedono l’arrivo dell’Armata d’Italia, guidata dal generale Napoleone Bonaparte (1769-1821).

A Verona i francesi giungono il 1° giugno 1796 e s’impossessano subito dei forti della città come pure di varie chiese, adibite poi a ospedali e a ricoveri per la truppa.

Il rapporto fra cittadini e forze d’occupazione sarà sempre difficile, anche perché i francesi si comporteranno sistematicamente come occupanti e non come ospiti, come avrebbero dovuto sulla base dei rapporti ufficiali con la Repubblica di Venezia, la cui politica estera era espressa nella formula “neutralità disarmata”.

 

La situazione a Verona e la rivolta dell’aprile del 1797

Il 17 aprile 1797, dopo circa dieci mesi di permanenza della truppa straniera, la situazione della città di Verona era critica: non solo i francesi operavano sistematiche confische ai danni dei cittadini, ma tramavano anche con i giacobini locali al fine di incrinare la fedeltà dell’antica città verso il suo legittimo governo.

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