Feb 15 2009

FRASI DI POLITICI, ED ALTRE IMPORTANTI PERSONALITÀ ISRAELIANE

David Ben Gurion, durante la guerra: «Se io sapessi che è possibile salvare tutti i figli (ebrei) di Germania trasferendoli in Inghilterra, e solo metà di loro trasferendoli nella terra di Israele, sceglierei la seconda possibilità; perchè di fronte a noi non abbiamo solo il numero di questi figli, ma il progetto storico del popolo di Israele»

(Shabtai Teveth, «Ben Gurion», 1988,).

«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca dei terreni e il taglio di tutti i servizi sociali per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba»

(David Ben-Gurion, maggio 1948, to the General Staff. Da «Ben-Gurion, A Biography», di y Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York 1978).

«Dobbiamo espellere gli arabi e prendere i loro posti»

(David Ben Gurion, 1937, «Ben Gurion and the Palestine Arabs» Shabtai Teveth, Oxford University Press, 1985).

«Non esiste qualcosa come un popolo palestinese. Non è che siamo venuti, li abbiamo buttati fuori e abbiamo preso il loro paese. Essi non esistevano»

(Golda Meir,dichiarazione al The Sunday Times, 15 giugno 1969).

«Come possiamo restituire I territori occupati? Non c’è nessuno a cui restituirli»

( Golda Meir, marzo, 1969).

«…Uscimmo fuori, e Ben Gurion ci accompagnò sulla porta. Allon ripetè la sua domanda: cosa si deve fare con la popolazione palestinese? Ben Gurion scosse la mano con un gesto che diceva: cacciarli fuori».

(Yitzhak Rabin,è un passo censurato delle memorie di Rabin, rivelato dal New York Times, 23 ottobrer 1979)

«Saranno create, nel corso dei 10 o 20 anni prossimi, condizioni tali da attrarre la naturale e volontaria emigrazione dei rifugiati da Gaza e dalla Cisgiordania verso la Giordania. Per ottenere questo dobbiamo accordarci con re Hussein e non con Yasser Arafat».

(Yitzhak Rabin, citato da David Shipler sul New York Times, 04/04/1983)

«I palestinesi sono bestie con due zampe»

(Menachem Begin, primo ministro di Israele 1977-83, davanti alla Knesset, citato da Amnon Kapeliouk, “Begin and the Beasts”, New Statesman, June 25, 1982.)

«La partizione della Palestina è illegale. Non sarà mai riconosciuta… Gerusalenne fu e sarà per sempre la nostra capitale. Eretz Israel sarà restaurato per il popolo d’Israele; tutto e per sempre»

(Menachem Begin, il giorno dopo il voto all’Onu per la partizione della Palestina).

«I palestinesi saranno schiacciati come cavallette… le teste spaccate contro le rocce e i muri»

( Yitzhak Shamir, primo ministro in carica, in un discorso ai «coloni» ebraici, New York Times 1 aprile, 1988).

«Israele doveva sfruttare la repressione delle dimostrazioni in Cina (nei giorni di Tienanmen, ndr.) quando l’attenzione del mondo era concentrata su quel paese, per procedere alle espulsioni di massa degli arabi dei territori (occupati)»

(Benyamin Netanyahu, all’epoca vice-ministro degli esteri, già primo ministro, davanti agli studenti della t Bar Ilan University; citazione tratta dal giornale isrealiano Hotam, 24 novembre 1989).

«Se pensassimo che anzichè 200 morti palestinesi, 2 mila morti ponessero fine alla guerriglia in un colpo solo, useremmo molto più forza…»

(Ehud Barak, primo ministro, citato dalla Associated Press, 16 novembre 2000).

«Mi sarei arruolato in una organizzazione terroristica»:

(risposta di – Ehud Barak a Gideon Levy, il noto giornalista di Ha’aretz che gli aveva domandato cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese)

«Noi dichiariamo apertamente che gli arabi non hanno alcun diritto di abitare anche in un centimetro di Eretz Israel… Capiscono solo la forza. Noi useremo la forza senza limiti finchè i palestinesi non vengano strisciando a noi»

(Rafael Eitan, capo dello stato maggiore di Tsahal, citato da Gad Becker in «Yedioth Ahronot», 13 aprile 1983).

«E’ dovere dei leader israeliani spiegare all’opinione pubblica, con chiarezza e coraggio, alcuni fatti che col tempo sono stati dimenticati. Il primo è: non c’è sionismo, colonizzazione o stato ebraico senza l’espulsione degli arabi e la confisca delle loro terre»

(Ariel Sharon, allora ministro degli esteri, ad un discorso tenuto davanti ai militanti del partito di estrema destra Tsomet – Agence France Presse, 15 novembre 1998).

«Ciascuno deve darsi una mossa, correre e arraffare quante più alture possibile per espandere gli insediamenti (ebraici), perchè tutto ciò che prendiamo adesso rimarrà nostro… Tutto ciò che non arraffiamo andrà a loro»

(Ariel Sharon, stesso discorso di cui sopra).

«Israele ha il diritto di processare altri, ma nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato di Israele»

(Sharon, primo ministro, 25 marzo 2001, BBC Online).

«Quando avremo colonizzato il paese, tutto quello che agli arabi resterà da fare è darsi alla fuga come scarafaggi drogati in una bottiglia»

(Raphael Eitan, Capo di Stato Maggiore delle forze armate israeliane, “New York Times”, 14/4/1983).

«Noi possediamo varie centinaia di testate atomiche e missili, e siamo in grado di lanciarli in ogni direzione, magari anche su Roma. La maggior parte delle capitali europee sono bersagli per la nostra forza aerea»

(Febbraio 2003, Martin Van Creveld, docente di storia militare all’Università Ebraica di Gerusalemme)

«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle loro terre, per ripulire la Galilea dalla sua popolazione araba. C’è bisogno di una reazione brutale. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo straziarli senza pietà, donne e bambini inclusi. Durante l’operazione non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti».

(1967, Ben Gurion, il “padre” di Israele)


Feb 15 2009

Raccomandazioni dal Talmud

Category: Popoli e nazioni,Religioni e rasiegiorgio @ 09:26

 

Non è permesso derubare un fratello, ma è permesso derubare un non ebreo, poiché sta scritto (Levitico XDC, 13) “Non deruberai il tuo vicino”. 

Ma queste parole, dette da Jahvé, non si applicano a un Goy che non è tuo fratello.

 (BabaMezia, 6 la)

 

Un ebreo può mentire e spergiurare per condannare un cristiano. 

Il nome di Dio non è profanato quando si mente ai cristiani.

(BabaKama, 113a, 113b)

 

E’ un grave peccato fare un regalo ad un Gentile. 

Ma è permesso dare l’elemosina al povero dei Gentili, 

visitare i loro malati  e dare gli ultimi onori ai loro defunti e consolare i loro parenti per mostrare pace, 

cosi che il Gentile possa pensare che gli ebrei sono loro buoni amici nel mostrare loro consolazione.

(Aboda Zarah, pag. 20)

 

Una cosa perduta da un Goy può non solo essere tenuta dall’uomo che l’ha trovata, ma è anche proibito ridargliela indietro.

 (Schuican Aruch, Choschen Hamischpath, 266, I)

 

Gli ebrei devono sempre cercare di imbrogliare i cristiani.

(Zohar I 160a)

 

Quelli che fanno del bene ai cristiani non risorgeranno mai dai morti.

(Zohar I 25b)

 

Al tempo del Cholhamoed il disbrigo di ogni tipo di affare è proibito. 

Ma è permesso praticare l’usura sui Gentili,  perché la pratica dell’usura su un Gentile in ogni momento piace al Signore.

(Schuican Amch, Orach Chailìi, 539)

 

Quando un non ebreo deruba un ebreo, deve restituirgli tutto,  ma se avviene il contrario, l’ebreo non deve restituire nulla. 

Inoltre, se un non ebreo uccide un ebreo, deve essere ucciso anche lui, ma non il contrario. 

(Talmud, Sanhedrin, 57a).

 

E¹ giusto per una bambina di tre anni avere rapporti sessuali.

(Talmud, Abodah Zarah, 37a, Kethuboth, 11b, 39a, Sanhedrin, 55b, 69a,b, Yebamoth,

12a, 57b, 58a, 60b).

 

I rapporti sessuali con un bambino al di sotto degli 8 anni d’età sono leciti. 

(Talmud, Sanhedrin, 69b)

 

Quando un uomo compie rapporti omosessuali con un bambino al di sotto dei 9 anni d’età,  non è da condannare. 

(Talmud, Sanhedrin, 54b, 55a)

 

Gesù nacque bastardo.

(Talmud, Yebamoth, 49b)

 

Maria era una prostituta. 

(Talmud, Sanhedrin, 106a,b)

 

Gesù fu punito e mandato all¹inferno dove fu gettato in escrementi ribollenti. 

(Talmud, Gittin, 56b, 57a).

 

Tutti i Gentili sono solo degli animali,  quindi tutti i loro bambini sono bastardi. 

(Talmud, Yebamoth, 98a)

 

E¹ giusto divorziare dalla propria moglie se rovina il cibo,  o se si trova una donna più bella.

(Talmud, Gittin, 91a)

 

Dalla nascita, l’israelita deve cercare di svellere gli sterpi della vigna, cioè sradicare ed estirpare i goyim dalla terra, 

poiché non può essere data a Dio Benedetto  maggior letizia che quella di adoprarci a sterminare gli empi  e i cristiani del mondo.

(Talmud, Sefer Israel, 180)

 

Quando un ebreo ha un Gentile nelle sue mani,  un altro ebreo può andare dallo stesso Gentile, 

prestargli denaro e truffarlo in sua vece,  così da rovinare il Gentile. 

Poiché la proprietà di un Gentile,  secondo la nostra legge, non appartiene a nessuno,  e il primo ebreo che passa ha pieno diritto di prendersela.

 (Talmud, Schuican Amen, Choschem Hamischpath, 156)

 

Il rabbino Jochanan dice: 

Un goi che ficca il naso nella Legge è colpevole di morte.

(Talmud, Sanhedrin, 59a)

 

Se un ebreo compra da un Akum un recipiente per usarlo a tavola,  sia che sia fatto di metallo,  di vetro o di piombo, anche se è nuovo, 

lo dovrà lavare in un Mikvah [grande catino],  o in una cisterna che tenga quaranta quarti d’acqua.

(Talmud, Dea, 120,1)

 

Se si può dimostrare che qualcuno ha tradito Israele tre volte,  o che ha dato il denaro di israeliti agli Akum [Cristiani], 

si dovrà trovare il modo, dopo prudente considerazione,  di eliminarlo dalla faccia della terra. 

(Talmud, Choshen Hamm, 388,15)

 

Il nome di Dio non è profanato quando,  per esempio, un ebreo mente ad un goi dicendo: 

Io ho dato qualcosa a tuo padre, ma egli è morto;  tu me lo devi restituire, purchè il goi non sappia che tu stai mentendo.

(Talmud, Babha Kama, 113b)

 

Il rabbino Jehuda gli ha detto [al rabbino Chezkia]: 

E’ degno di lode colui che è capace di liberarsi dai nemici di Israele,  e sono molto degni di lode i giusti che si liberano da essi e li combattono.

Il rabbino Chezkia chiese, Come dobbiamo combatterli?

Il rabbino Jehuda disse, Con saggi consigli farai guerra contro di loro. (Proverbi, cap. 24,6). 

Con che tipo di guerra? 

Il tipo di guerra che ogni figlio d’uomo deve combattere contro i suoi nemici,  e che Giacobbe usò contro Esaù  quando possibile, con l’inganno e la frode. 

Essi devono essere combattuti senza posa,  fino a che il giusto ordine non sia ristabilito. 

E’ perciò con soddisfazione che dico che noi ci dobbiamo liberare da loro e regnare su di loro.

(Talmud, Zohar, I,160a)

 

Al tempo del Cholhamoed il disbrigo di ogni tipo di affare è proibito. 

Ma è permesso praticare l’usura sui Gentili, 

perché la pratica dell’usura su un Gentile in ogni momento piace al Signore.

(Talmud, Schuican Amch, Orach Chailìi, 539 )

 

Anche il migliore dei Goyim dovrebbe essere ucciso.

(Talmud, Abhodah Zarah, 26b, Tosephoth)

 

Il rabbino Eliezer disse: 

E’ permesso tagliare la testa di un ‘idiota’ [uno degli abitanti della terra]  nella festa della Riconciliazione quando cade in giorno di Sabato. 

I suoi discepoli gli dissero:  rabbino, dovresti piuttosto dire sacrificare. 

Ma egli rispose: Niente affatto, è infatti necessario pregare mentre si sacrifica, e non c’è bisogno di pregare quando si decapita qualcuno. 

(Talmud, Pesachim, 49b)

 

Gli Akum che non sono nostri nemici non devono essere uccisi direttamente,  ciò non ostante essi non dovranno essere salvati dal pericolo di morte. 

Per esempio, se vedete uno di essi cadere in mare, non tiratelo su a meno che egli non vi prometta del denaro.

(Talmud, Iore Dea, 158,1)

 

Se vedete un eretico che non crede nalla Torah cadere in un pozzo con una scala,  affrettatevi immediatamente e portatela via dicendogli 

Devo andare a prendere mio figlio giù da un tetto.  Ti riporterò la scala immediatamente o qualcosa del genere. 

I Kuthaei, comunque, che non sono nostri nemici  e che si prendono cura delle pecore degli israeliti, non devono essere uccisi direttamente,  ma non devono essere salvati dalla morte.

(Talmud, Choshen Hammischpat, 425,5)

 

Una cosa perduta da un Goy può non solo può essere tenuta dall’uomo che l’ha trovata,  ma è anche proibito ridargliela indietro. 

(Talmud, Schuican Aruch, Choschen Hamischpath, 266, I)

 

Nota:   “non ebreo-gentile”. 

Un non ebreo, che non è figlio del patto, e che è soggetto solo alle sette leggi noachidi è detto gentile. 

Il matrimonio misto con un gentile conduce all’assimilazione ed è considerato come l’abbandono della religione d’Israele. 

La famiglia di una persona che ha contratto un matrimonio misto usava osservare una settimana di lutto per lei, come se fosse morta. 

Molte leggi relative ai cibi furono inserite per mantenere le distanze.

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Feb 14 2009

Talmud

Category: Popoli e nazioni,Religioni e rasiegiorgio @ 22:59

Il Talmud (תלמוד) (che significa insegnamento, studio, discussione dalla radice ebraica LMD) è uno dei testi sacri dell’Ebraismo: diversamente dalla Torah infatti, il Talmud è riconosciuto solo dall’Ebraismo, che lo considera come la Torah orale, rivelata sul Sinai a Mosè e trasmessa a voce, di generazione in generazione, fino alla conquista romana. 

Il Talmud fu fissato per iscritto solo quando, con la distruzione del Secondo Tempio, gli ebrei temettero che le basi religiose di Israele potessero sparire.

Il Talmud consiste in una raccolta di discussioni avvenute tra i sapienti (hakhamim) e i maestri (rabbi) circa i significati e le applicazioni dei passi della Torah scritta, e si articola in due livelli:

la Mishnah (o ripetizione) raccoglie le discussioni dei maestri più antichi (giungendo fino al II secolo);

la Ghemarah (o completamento), stilata tra il II e il V secolo, fornisce un commento analitico della Mishnah.

Il Talmud è anche conosciuto con il nome di Shas, acronimo di Shisha Sedarim, i sei ordini (Zeraim, Moed, Nashim, Nezikin, Kodashin, Tahorot) in cui è divisa la Mishnà. La suddivisione del Talmud è identica a quella della Mishnà: i Shisha Sedarim si suddividono in Massechtot – trattati, i quali a loro volta sono composti da capitoli.


Secondo la tradizione ebraica la Torah scritta non può essere applicata senza la Torah orale.

 

La trasmissione della Torah orale

 

Nel 587 a.C., il tempio di Salomone viene distrutto e il popolo ebraico deportato in Babilonia. Allora fu necessario precisare in che modo mantenere una vita ebraica in terra d’esilio e in mancanza del santuario di Gerusalemme. 

Questa è stata l’opera degli scribi (Sopherim), fondatori della sinagoga, interpreti della Torah scritta e maestri della Torah orale.

Dopo il ritorno da Babilonia, i tre ultimi profeti (Aggeo, Zaccaria e Malachia), lo scriba Esdra, poi gli uomini della Grande Sinagoga assicurarono la trasmissione della tradizione orale, che passa successivamente attraverso i farisei e le loro grandi scuole (Yeshivoth).

 

La formazione del Talmud

 

Presto, di fronte a situazioni nuove e a divergenze di scuola, fu necessario ricavare dalla Torah, scritta e orale, le decisioni pratiche. 

Questa fu opera dei rabbini e specialmente dei 71 membri del Sinedrio.

Più tardi le persecuzioni e la necessità di tener conto della distruzione del secondo Tempio (70 d.C.) e della diaspora ebraica, indussero Rabbi Akiva e poi Rabbi Meir a raccogliere e a classificare gli appunti dei loro allievi. 

All’inizio del III secolo, Rabbi Yehudah Hanassì, soprannominato il Santo, li ordinò in 60 trattati, raggruppati in sei ordini, il cui insieme costituisce la Mishnah (Insegnamento da ripetere), compendio della Torah orale e destinato a essere imparato a memoria. 

La Mishnah è scritta in ebraico, benché l’aramaico già a quell’epoca fosse la lingua corrente anche in Palestina.

Col passare degli anni e con l’insaprirsi della situazione degli Ebrei, divenne evidente che il testo della Mishnah era troppo conciso per poter essere usato correntemente come guida di Halachah. Si venne quindi alla redazione del Talmud.

 

I Maestri del Talmud ed il loro insegnamento

 

Maestri della Mishnah sono chiamati Tannaim (Insegnanti). Quelli della Ghemarà accettarono soltanto il titolo di Amoraim (Interpreti). 

Quanto a coloro che redassero il testo definitivo, essi si considerarono modestamente come Saboraim (Opinanti). Molti di questi illustri rabbini esercitavano il mestiere di artigiano.

Il messaggio del Talmud si presenta in due forme: quella della Halakhah (Via da seguire) che riguarda le prescrizioni legali, e quella della Haggadah (Racconto), consistente in racconti di episodi, alcuni dei quali possono parere immaginosi e in parabole che spesso ricordano i Vangeli.

L’insieme costituisce una vera enciclopedia delle conoscenze dell’epoca (matematica, medicina, astronomia ecc.).

 

Il Talmud ha autorità per tutte le generazioni, tant’è che oggi vi è un vero risveglio di studi talmudici.

 

In ogni epoca i quesiti posti al Talmud hanno permesso di applicarlo tenendo conto dei nuovi dati scientifici, economici, sociali. 

Così viene garantita la continuità della tradizione vivente, da Mosè ai giorni nostri.

 

La tradizione orale, messa per iscritto, continuò a essere materia di discussione e approfondimento in Palestina e a Babilonia: la Ghemar‡ (complemento) è il commentario prodotto dagli Amoraim (i Maestri della Ghemarà III-V secolo).

 

Mishnah e Ghemara = Talmud (insegnamento; abbreviazione di Talmud Torah). Ne esistono due redazioni diverse per contenuto, metodo e lingua: il Talmud Palestinese (Talmud Yerushalmi, TY), terminato verso la fine del IV secolo, e il Talmud Babilonese (Talmud Bavli, TB), di un secolo più tardi. 

Ambedue commentano la metà circa dei trattati della Mishnah, quello di Babilonia in modo assai più esteso. 

Le circostanze storiche spiegano come il TB abbia presto eclissato il suo corrispondente palestinese e sia stato considerato come il solo canonico e normativo. 

Il testo della Mishnah ha numerose varianti nei due Talmudim (plurale di Talmud), al punto che si è persino pensato a due recensioni.

 

Il TB contiene il doppio di haggadot (insieme delle tradizioni non giuridiche) rispetto al TY, ove aveva posto tra i midrashim. 

Il Talmud si presenta come il verbale conciso e appena ritoccato delle dispute accademiche (coi nomi dei protagonisti): e ciò spiega la ricchezza esuberante del suo contenuto, come pure la difficoltà della sua interpretazione. 

La redazione del Talmud Bavli risale al periodo compreso tra Rav e Shmuel, ossia la prima metà del terzo secolo e la fine dell’attività di Ravina (499). 

Le accademie talmudiche più importanti avevano sede a Sura, Pumbedita, Nehardea, Machoza, Mata Mechasya e Naresh.

 

Opera di virtuosi consumati nell’esegesi e nel diritto, che attingono alle risorse della dialettica per cavare tutti i significati possibili da un testo e motivare i propri punti di vista, la Ghemara affronta, spesso senza ordine e continuità, ogni specie di argomenti (casistica, filosofia, morale geografia, zoologia, botanica, superstizioni e credenze popolari), esprime le opinioni più diverse e contraddittorie, ma senza imporle; per questo J. Neusner mette in risalto giustamente questa «undogmatic quality of Talmudic discourse» (Invitation to the Talmud 241). 

Anzi, una delle caratteristiche più sorprendenti delle discussioni talmudiche è l’appassionata ricerca della verità da parte dei Maestri, ognuno dei quali difende la propria opinione fino a quando non capisce che la ragione è dalla parte dell’avversario. 

Questa illimitata onestà intellettuale in un dibattito religioso è forse una delle caratteristiche più affascinanti dello studio talmudico.

 

Il Talmud ci è giunto quindi in due versioni diverse: il Talmud di Gerusalemme (Talmud Yerushalmì) (redatto tra il IV e il VI secolo nella Terra d'[[Israele) e il Talmud di Babilonia (Talmud Bavlì) (redatto tra il V e il VII secolo in Babilonia). 

 

Il Talmud Babilonese, la cui Ghemarà è scritta in aramaico e che fu compilato inizialmente da rav Ashi e terminato da Ravina, ambedue capi della famosa Yeshivah di Sura, è molto più lungo di quello di Gerusalemme. 

Quest’ultimo viene impropriamente chiamato Talmud Yerushalmi (Talmud di Gerusalemme), poiché in realtà non fu redatto nella città del Santuario bensì a Tiberiade. Il Talmud Yerushalmi differisce dal primo per il linguaggio, lo stile e la terminologia. 

Oggi, di quest’ultimo possediamo solo quattro dei sei ordini: Zeraim, Moed, Nashim e Nezikin (in cui mancano però ‘Eduyot e Avot), oltre alle prime tre sezioni di Nidda. 

Secondo il Rambam fu Rabbi Yochanan, aiutato dai suoi discepoli, a compilare il Talmud Yerushalmi durante l’ultimo quarto del terzo secolo e.v.

 

Durante il VIII secolo nacque il movimento dei Qaraiti, che respingono l’autorità del Talmud e accettano la Scrittura (Aiqra’) come unica norma. Le edizioni del TB riproducono l’editio princeps di Venezia (1520-1524). Molte contengono anche i 12 «Piccoli Trattati» considerati non canonici.

 

Il Talmud ricchezza sconosciuta

 

Nel Medioevo le comunità ebraiche erano esposte a vessazioni, persecuzioni e sfruttamento economico.

 

Mal conosciuto negli ambienti cristiani, il Talmud divenne ben presto il bersaglio preferito. 

A Parigi, nel 1240 fu istruita una parodia di processo, cui seguì il rogo solenne di 24 carri di copie del Talmud sequestrate agli ebrei. 

Da quel momento, e per secoli, il Talmud fu vietato in molti luoghi; presso la Chiesa cattolica fu inserito nell’Indice dei libri proibiti e ritenuto un testo che un cristiano poteva leggere solo previo consenso del proprio vescovo.

 

Nell’opinione pubblica, questa condanna ebbe come effetto la diffidenza: si era convinti che il Talmud contenesse «cose malvagie, contro ogni ragione e diritto», cose che gli ebrei utilizzavano per trarne «malefici». 

Gli autori antisemiti avrebbero sfruttato questo tema fino ai nostri giorni. Anche i filosofi del XVI secolo, che pure reclamavano l’emancipazione degli ebrei, consideravano il Talmud una raccolta di «leggi ridicole». 

Certe diffidenze dovute all’ignoranza del contenuto del testo, tendono a permanere ancora adesso.

 

L’emancipazione dai vincoli religiosi più stretti rende, d’altra parte, possibile la lettura del testo attraverso l’uso di categorie ermeneutiche scevre da significati aggiuntivi: il Talmud è un libro poetico, tuttavia non è possibile ridurne la portata con una interpretazione laterale. 

Come sostiene il mistico Friedrich Christoph Oetinger nei pensieri, «La sacra scrittura non conosce una morte eterna».

 

 

Fonte: Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

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Feb 14 2009

Francia, le musulmane nelle scuole cattoliche per indossare il velo

Category: Religioni e rasie,Scuola e universitàgiorgio @ 22:27

MARSIGLIA  (Francia)

Migliaia i giovani di fede islamica che frequentano istituti cattolici per aggirare le legge sulla laicità

Frequentare una scuola cattolica per indossare il velo islamico.

In Francia sono ormai decine di migliaia le ragazze musulmane che studiano in istituti cattolici privati per aggirare la legge sulla laicità dello Stato che vieta di ostentare simboli religiosi nelle scuole pubbliche francesi.

 Il New York Times dedica un ampio reportage a questo crescente fenomeno e sottolinea che le giovani musulmane scelgono gli istituti cattolici proprio perché qui sono tollerati tutti i simboli religiosi, anche quelli appartenenti a religioni diverse da quella cattolica romana.

CIFRE 

La maggior parte degli studenti, in alcuni istituti privati cattolici, è di religione musulmana. 

Addirittura nel collegio di St. Mauront, a Marsiglia, la presenza di alunni di fede islamica raggiunge la percentuale record dell’80%. 

Gli istituti musulmani in Francia sono solo quattro e per questo le 8.847 scuole cattoliche sono diventate l’ultimo rifugio per quei tanti musulmani che considerano la legge sulla laicità dello Stato qualcosa di ingiusto e liberticida. 

Secondo le statistiche diffuse dagli insegnanti francesi oggi le scuole cattoliche transalpine sono frequentate da circa due milioni di ragazzi: oltre il 10% degli studenti sono di religione musulmana.

TOLLERANZA 

Gli alunni di origine musulmana che frequentano la scuola cattolica di St. Mauront si dichiarano felici di non studiare in un istituto pubblico: 

«Qui almeno c’è rispetto per la nostra religione» taglia corto Nadia, studentessa di 14 anni di origine algerina. 

«Nelle scuole pubbliche non potrei mai indossare il velo». 

Anche gli esponenti del mondo religioso musulmano fanno notare le contraddizioni insite nella scuola francese. 

«La laicità è diventata la religione di Stato e la scuola repubblicana il suo tempio» afferma Imam Soheib Bencheikh, ex Gran Muftì di Marsiglia e oggi fondatore dell’Istituto di Alti Studi Islamici.

 «È ironico, ma oggi la Chiesa Cattolica è molto più tollerante dello Stato francese quando si parla di Islam» conclude Bencheikh che ha una figlia che frequenta una scuola cattolica. 

Gli istituti cattolici in Francia hanno un costo relativamente basso rispetto ai collegi privati delle altre nazioni: in media i genitori spendono 1400 euro per le scuole medie inferiori e 1800 euro per quelle superiori.

LIBERTÀ RELIGIOSA 

Jean Chamoux, direttore dell’istituto di St. Mauront, lavora in questa scuola da circa 20 anni: 

«A differenza della scuola pubblica noi crediamo nella libertà religiosa» afferma il preside. 

«Se proibissi alle ragazze di portare il velo, la metà degli studenti che oggi sono in queste classi non andrebbe a scuola. Preferisco averli qui, parlare con loro e spiegare che esse sono ragazze fortunate perché possono scegliere». 

Naturalmente anche nel collegio di St. Mauront non regna sempre l’armonia. 

È lo stesso preside Chamoux a confessare che probabilmente una minoranza delle studentesse è costretta dai genitori a portare il velo. 

Inoltre quando vi sono le lezioni di nuoto, tanti familiari fanno rimanere a casa le proprie figlie per evitare che mostrino parti del corpo o che nuotino in piscina con dei ragazzi. 

Infine Chamoux sottolinea che anche le libertà religiose hanno un limite: quando gli studenti musulmani gli hanno chiesto di togliere dalla classe il crocifisso per poter pregare «liberamente» durante i giorni del Ramadan, egli non ha voluto sentire ragioni e non ha mosso dalla parete il simbolo cristiano.

 

CRITICHE

 

Le considerazioni dei fautori del secolarismo sono totalmente diverse da quelle del preside Chamoux. 

Secondo costoro bisognerebbe rafforzare ulteriormente lo spirito laico dello Stato affinché alcuni dei valori occidentali quali il rispetto della donna e le libertà personali continuino ad essere principi inviolabili: «Il velo è un simbolo sessista e attesta la sottomissione della donna all’uomo» afferma Xavier Darcos, ministro dell’educazione francese. 

«Nella nostra scuola repubblicana non vi può essere posto per la discriminazione sessuale».

 

 

 

Fonte: srs di Francesco Tortora /da www.corriere.it/30 settembre 2008


Feb 14 2009

Oh Allah, uccidi gli ebrei, annienta l’America e Israele

Category: Popoli e nazioni,Religioni e rasiegiorgio @ 12:47

 

Brani da un sermone tenuto dal presidente ad interim del Consiglio Legislativo dell’Autorità Palestinese Ahmad Bahr (membro di Hamas), trasmesso dalla tv sudanese il 13 aprile 2007

 

Ahmad Bahr : “Voi sarete vittoriosi su tutta la faccia della Terra. Voi siete i padroni del mondo, su tutta la faccia della Terra. Sì, il Corano dice: Voi sarete vittoriosi, ma solo se sarete credenti. Ad Allah piacendo, voi sarete vittoriosi, mentre America e Israele saranno annientate.

Io vi garantisco che la potenza del credo e della fede è più grande della forza di America e Israele. Loro sono codardi, come è scritto nel libro di Allah: Voi troverete in loro i popoli più ansiosi di proteggere la propria vita. Sono dei codardi ansiosi di vivere, mentre noi desideriamo morire nel nome di Allah. Ecco perché l’America si trova col naso nel fango in Iraq, in Afghanistan, in Somalia e dappertutto.

 

 L’America sarà annientata, mentre l’islam rimarrà. La volontà dei musulmani vincerà, se sarete credenti.  Oh musulmani, io vi garantisco che la potenza di Allah è più grande della forza dell’America, dalla quale tanti sono oggi accecati. Alcuni sono accecati dalla potenza dell’America. A costoro noi diciamo che, con la forza di Allah, con la forza del Suo Messaggero, noi siamo più forti dell’America e di Israele. 

 

Io vi dico che noi proteggeremo la resistenza, giacché il nemico sionista capisce solo il linguaggio della forza. Esso non riconosce né la pace, né gli accordi. Non riconosce nulla, e capisce solo il linguaggio della forza.  

Il nostro popolo palestinese che combatte la jihad saluta il fratello Sudan.

 

La donna palestinese dice addio a suo figlio e gli dice: Figlio, va’ e non essere codardo. Va’ e combatti gli ebrei. Lui le dice addio e compie un’azione di martirio. Cosa dice questa donna, quando viene chiesta la sua opinione, dopo il martirio di suo figlio? Lei dice: Mio figlio è carne della mia carne, sangue del mio sangue. Amo mio figlio, ma il mio amore per Allah e il Suo Messaggero è più grande del mio amore per mio figlio.

Sì, questo è il messaggio della donna palestinese, che aveva più di 70 anni: Fatima Al-Najjar. Aveva più di 70 anni, ma si fece esplodere lei stessa per Allah, abbattendo molti criminali sionisti.

 

Oh Allah, sconfiggi gli ebrei e i loro sostenitori. Oh Allah, sconfiggi gli americani e i loro sostenitori. Oh Allah, contali e uccidili tutti, fino all’ultimo. Oh Allah, dà loro una giornata di tenebre. Oh Allah che inviasti il Libro, motore dei cieli vincitore dei nemici del Profeta, sconfiggi gli ebrei e gli americani, e donaci la vittoria su di loro”.

 

Fonte: da MEMRI, http://memri.org/bin/latestnews.cgi?ID=SD155307

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Feb 14 2009

Non esitiamo a dichiarare che l’Islam è pronto a dominare il mondo…

Category: Popoli e nazioni,Religioni e rasiegiorgio @ 12:03

 

“Non esitiamo a dichiarare che l’Islam è pronto a dominare il mondo… 

Dobbiamo credere che l’Islam non sia affatto delimitato dai confini geografici, da gruppi etnici o dalle nazioni…  Dobbiamo prepararci a dominare il mondo”

 

Mahmud Ahmadinejad, Presidente della
Repubblica  Islamica dell’Iran, 5 gennaio 2006


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Feb 13 2009

Il buon politico

Category: Monade satira e rattatuje,Società e politicagiorgio @ 19:57

 

Il  buon politico trasforma ogni soluzione in un problema 


Feb 13 2009

LA VOCE DEI BIFOLCHI

Category: Monade satira e rattatujegiorgio @ 17:11

 

CONFIDA IN DIO E TIENI BEN ALL’ASCIUTTO LA POLVERE DA SPARO.

 

EL BOARO


Feb 13 2009

Verona. Dott.ssa Anna Adele Corato, la veterinaria di Astor

Category: Mondo animalegiorgio @ 14:21

 

Un medico veterinario per il mio cane Astor

 

AAAAAAHHHHHH…..   Ancora qua!!!

Gio’, mondo  cane,  portami via subito.

A me non interessa se  questa è per te, una bella, brava, simpatica, dolce e gentile veterinaria, che è l’umano migliore di Verona per me.

L’ultima volta che l’ho vista mi ha solo e semplicemente  tagliato  le palle.

Pertanto portami via, e di corsa.

Grrrrrrr….

 

Dott. Anna Adele Corato 

Presso Ambulatorio  Veterinario 

Via Nepote 8

Verona

Telefono: 045/892,23,23

Cellulare: 347/141,10,81

P. IVA 03690280235


Feb 13 2009

Tasse, tasse, tasse

Category: Economia e lavoro,Società e politicagiorgio @ 09:41

 

La legittimazione del prelievo fiscale nello Stato moderno è lo strumento perfezionato del totalitarismo: grazie al suo aumento, al tempo stesso, si sviluppano gli apparati dello Stato, cresce la capacità di controllo sulla società e si riducono le libertà delle famiglie e delle persone (perché sempre più dipendenti dallo Stato e sempre più espropriate dei loro beni). 

Storicamente, è di sinistra l’aumento della pressione fiscale come mezzo per accrescere le funzioni dello Stato (e il relativo potere). 

E’, invece, di destra il proposito di restituire libertà economica con la riduzione del prelievo fiscale (e il relativo ridimensionamento della invadenza della iniziativa statale). 

Il binomio sinistra-tasse è storicamente inscindibile, tanto che la tassazione è il termometro per misurare il grado di spostamento o di collocazione a sinistra di una compagine governativa.

 

Fonte:nr


Feb 13 2009

Il primo esodo dalmata – E tutta un’ altra storia

Uno dei miti più persistenti del nazionalismo è quello dell’italianità della Dalmazia. Per molto tempo si è detto che la Dalmazia fosse abitata da una consistente minoranza italiana, che in ogni caso fosse egemone, rappresentasse la vera cultura e identità locale. L’idea insomma era che – indipendentemente dall’origine etnica – tutti si sentissero italiani o aspirassero ad esserlo. Il convincimento si basava su due assunti. Il primo aveva a che fare con la lunga appartenenza di larga parte della Dalmazia alla Serenissima e con l’identificazione semplicistica di Venezia con l’Italia. Il secondo che gli slavi appartenessero a una cultura inferiore, subordinata e che la loro evoluzione sociale e culturale non potesse che portarli alla italianizzazione. Entrambe le convinzioni si basavano su quanto era avvenuto sotto la Repubblica, quando gli indigeni effettivamente diventavano nel tempo “veneziani”, assimilando la cultura, gli usi e la lingua di Venezia. Il mito era stato creato dai patrioti dalmati italiani o italianizzati che hanno partecipato alle vicende risorgimentali, nelle quali la Dalmazia compare spesso in progetti di azioni militari.

Il dogma dell’italianità è rafforzato dall’irredentismo degli inizi del 900 e soprattutto dalla sua componente dannunziana che pretendeva la “liberazione” e l’annessione dell’intera regione fino allo spartiacque delle Dinariche. A questi principi era ispirato il Patto di Londra del 1915, con il quale l’Italia era entrata in guerra tradendo i propri alleati. La Dalmazia, ma anche l’Istria e il Tirolo meridionale sono perciò stati i 30 denari del tradimento italiano e non potevano portare niente di buono. In realtà la situazione locale era molto diversa. La Dalmazia aveva una composizione etnica molto diversificata: c’era gente che parlava italiano (in realtà veneto) , ma la maggioranza era rappresentata da croati e da serbi, con consistenti presenze tedesche, ungheresi, ebree, rumene e albanesi. Tutti erano stati per secoli felici sudditi veneziani: qui venivano reclutati i fedelissimi Schiavoni (da Schiavonia, Sciavonia, terra degli Sciavi-Slavi) . La lingua franca e colta era il veneziano e tutti lo parlavano e capivano, assieme al proprio idioma. Nell’area si parlava anche il dalmatico, una lingua neolatina, simile al friulano, che si è estinta alla fine del XIX secolo. La sola parziale eccezione era rappresentata dalla Repubblica di Ragusa che aveva conservato una sua lunga indipendenza, pur subendo la forte influenza culturale della Serenissima.

La condizione di pacifica convivenza era continuata sotto l’Austria (che si era annessa col Congresso di Vienna sia la Dalmazia veneziana che Ragusa) , che ne ha rispettato tutte le culture. Il primo censimento che tenesse conto delle etnie (in realtà delle lingue) è quello del 1910, secondo il quale in Dalmazia c’erano 610. 000 Slavi e 17. 900 Italiani (11. 600 a Zara, 2. 357 a Spalato, 444 a Curzola, 265 a Brazza, 586 a Lesina, 149 ad Arbe, 968 a Sebenico, 526 a Ragusa, 538 a Cattaro e altri piccoli gruppi sparsi) . Fiume era censita a parte e qui i risultati davano 25. 600 Italiani, 26. 600 Slavi e 6. 000 Ungheresi. Si è dibattuto sulla validità dei dati costruiti sulla “lingua d’uso” e non sulla “lingua di famiglia”: Ghiglianovich e i più accesi nazionalisti hanno sostenuto che gli Italiani fossero addirittura 100. 000, il governo italiano ha ipotizzato la cifra di 50. 000. Cambia poco. Resta il fatto che fossero comunque una piccola minoranza e che ci fosse molta commistione interetnica. Si era creata una cultura dotata di caratteri distintivi propri, originari e straordinari. Tutto è stato guastato dai nazionalismi di due Stati inventati che avevano bisogno di creare un identitarismo per giustificare la propria esistenza. Gli italiani quello italiano, capziosamente indicato come erede e continuatore di Venezia.

Gli jugoslavi per giustificare la creazione del regno SHS (serbo, croato e sloveno) che altro non era che il frutto dell’espansionismo imperialista serbo. Dopo la conclusione della grande guerra, l’Italia ha preteso il rispetto del Patto di Londra ma anche l’annessione di Fiume. Si trattava della solita ingordigia nazionalista giustificata dall’enorme costo umano della guerra appena conclusa e dal fatto che croati e sloveni avessero combattuto fino all’ultimo per l’Austria e che dovessero perciò considerarsi degli sconfitti. Queste pretese cozzavano con le preoccupazioni per una eccessiva espansione italiana da parte degli anglo-francesi, memori del modo poco limpido con cui l’Italia era entrata in guerra e come fosse sopravvissuta essenzialmente grazie all’aiuto economico ma anche militare alleato e che non meritasse perciò troppe concessioni territoriali. Si scontravano anche con le pretese e con l’abile politica diplomatica dei serbo-jugoslavi e con i principi di nazionalità sostenuti dal presidente americano Wilson. L’Italia si era già assicurata il Sud Tirolo e gran parte dell’Istria ed ora voleva annettersi un’area dove gli italiani erano solo il 2, 9% della popolazione, e concentrati in poche città della costa. Alla fine di un lungo tira e molla in cui si era anche inserita l’avventura dannunziana a Fiume e un tentativo di colpo di mano su Traù, si è arrivati agli accordi di Rapallo del 1920 con i quali l’Italia ha ottenuto la città di Zara e le isole di Lagosta e Pelagosa.

L’esercito italiano sgombera completamente i territori destinati alla Jugoslavia solo nel 1922, dopo quasi 4 anni di polemiche e di manifestazioni di arroganza da parte di alcuni irresponsabili esponenti locali del nazionalismo italiano, di contrapposizioni nazionalistiche, di cattiva gestione del periodo di occupazione militare, che avevano ormai devastato il clima di civile convivenza fra le comunità e messo in difficoltà gli italiani rimasti in territorio jugoslavo. Il governo italiano chiede per loro garanzie che Belgrado si dichiara disposta a concedere a condizione che siano applicate anche agli slavi in territorio italiano. Il ministro italiano De Martino rifiuta l’accordo dicendo all’intermediario francese Berthelot che “all’Italia, in quanto grande potenza, non era richiesta l’accettazione delle garanzie per le minoranze”. È lo stesso atteggiamento arrogante tenuto in Sud Tirolo, che ha portato a una lunga scia di tragedie. Il risultato immediato di tale politica è stato il primo esodo di dalmati, molti dei quali si sono trasferiti in Italia, nelle nuove provincie istriane o nell’enclave di Zara. Serve ricordare che anche molti slavi si fingono italiani o italianizzati per usufruire dei vantaggi dell’esodo e per fuggire da una condizione economica senza prospettive.

Il governo italiano ha fornito la cifra di 2. 585 esuli (3. 381 secondo i rappresentanti locali) che, sommati ai 6. 802 italiani residenti in Jugoslavia censiti nel 1927 portano a un totale di circa 10. 000 persone che – anche comprendendo gli abitanti di Zara– dà una cifra somigliante a quella del tanto criticato censimento austriaco del 1910 e comunque molto lontana dai numeri entusiastici forniti dai nazionalisti. Se gli esuli sono relativamente pochi in numero assoluto, essi rappresentano però circa un terzo della componente italiana. Gran parte dei rimasti lascerà la Dalmazia dopo la seconda guerra mondiale. Come detto, la Dalmazia costituiva uno straordinario scenario di tranquilla e operosa multiculturalità, garantito dalla grande civiltà di Venezia e di Vienna. La soluzione più intelligente sarebbe stata la costituzione di uno Stato dalmata autonomo, una sorta di Repubblica di Ragusa ricostituita e allargata. Nel 1919 un progetto del genere era stato ipotizzato sotto la forma di una Lega delle città marine, ma i tempi non erano maturi, i due nazionalismi contrapposti erano troppo aggressivi e ottusi, e Wilson decisamente non era austriaco. Oggi quel mondo è largamente scomparso: se ne sono andati quasi tutti gli “italiani”, le comunità minori sono state disperse o assimilate, i serbi sono stati cacciati alla fine del secolo scorso, e la regione è massicciamente croata. Una civiltà straordinaria è andata perduta a causa di una sommatoria di imbecillità jugoslave e italiane. Almeno la Jugoslavia è sparita.

Fonte:   Srs di  Gilberto Oneto


Feb 12 2009

Il protocollo di Wannsee (20 gennaio 1942)

Martin Luther

“Nel corso della soluzione finale gli ebrei saranno instradati, sotto appropriata sorveglianza, verso l’Est, al fine di utilizzare il loro lavoro. Saranno separati in base al sesso. Quelli in grado di lavorare saranno condotti in grosse colonne nelle regioni di grandi lavori per costruire strade, e senza dubbio un grande numero morirà per selezione naturale. Coloro che resteranno, che certo saranno gli elementi più forti, dovranno essere trattati di conseguenza, perchè rappresentano una selezione naturale, la cui liberazione dovrà essere considerata come la cellula germinale di un nuovo sviluppo ebraico (come mostra l’esperienza della storia)” .

Fonte: ministero degli Esteri tedesco, documenti di Dr. Martin Luther, sottosegretario del Ministero degli Esteri.

PS

Della serie: Le cause delle morti  saranno compatibili con il protocollo


Feb 12 2009

Eluana, morte compatibile con protocollo, Lo ha detto il procuratore di Trieste Deidda.

Category: Giustizia Legula e Legulei,Società e politicagiorgio @ 22:18

 

Il procuratore chiama la morte assistita  “applicazione del protocollo”. 

Sono parole che mi evocano le inquietanti memorie e orrori del secolo  appena trascorso.

Se non sbaglio Rudolph Hess chiamava il campo di sterminio  Auschwitz: “campo di lavoro correzionale”, Lenin chiamava la pena di morte: “misura di difesa sociale”. Se non altro, è, una alterazione  del linguaggio


Feb 12 2009

L’ECONOMIA È MESSA DAVVERO MALE.

Category: Monade satira e rattatujegiorgio @ 19:28

 

La crisi è tale che oggi, a Central Park, ho visto un piccione che dava da mangiare a una vecchietta


Feb 12 2009

Esempi di Vita – Steve Paul Jobs agli studenti di Stanford: “Non accontentatevi mai”

Category: Cultura e dintorni,Informatica,Scuola e universitàgiorgio @ 17:02

Il 12 giugno 2005 è stata la giornata speciale per i laureandi di Stanford, una delle più famose università al mondo, con sede nel cuore della Silicony Valley. Ma è stata anche la  giornata speciale di Steve Jobs, invitato a tenere il commencement address, il discorso augurale per i neo-laureati.

Il vostro dovere è “non accontentarvi e pensare l’impossibile”. Questo il consiglio di Steve Jobs ai laureati di Stanford ai quali ha parlato nei giorni scorsi. 

Ecco,  l’intervento del fondatore Apple che è un sunto della sua filosofia  per il lavoro e per la vita. 

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