Feb 12 2009

L’identità del padre di Tutankhamon è scritta nella Pietra

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 13:17

 

Una iscrizione su un blocco  di calcare potrebbe risolvere finalmente uno dei più grandi  misteri della storia: l’identità del padre del giovane  faraone Tutankhamon.

Un enigma dell’Egittologia, su cui storici e semplici appassionati si sono concentrati invano in passato, dovrebbe verosimilmente aver trovato soluzione, alla luce di un ritrovamento casuale, ma non per questo meno prezioso. 

Zahi Hawass, Direttore del Supremo Consiglio delle Antichità del Cairo, ha recentemente rinvenuto nel magazzino del sito archeologico di El Ashmunein (250 km a sud della capitale), la parte mancante di una lunga epigrafe, che, combinata con quella già nota, rivela un dato di portata storica straordinaria: Akhenaton, il faraone cosiddetto “eretico”, il primo monoteista della storia, fu il padre naturale di Tut Ankh Amon.

I due blocchi, trovati separatamente in tempi diversi, giacciono in un deposito di antichità adiacente alla zona archeologica, esterna al villaggio di El Ashmunein e provengono come molti altri dal locale tempio fatto erigere 100 dopo il periodo di Akhenaton, da Ramses II (attorno al 1250 a. C.). 

Costui, instancabile costruttore di edifici religiosi, volti a celebrarne le gesta, utilizzò nell’erezione di questo santuario parecchi blocchi della vicina Amarna, città, dove Akhenaton concentrò il proprio potere e che ai tempi di Ramses era semiabbandonata e aveva perso ogni centralità.

Ebbene sulla nuova epigrafe è gravato che Tutankhamon fu figlio di Akhenaton, così come è specificato che anche Ankhesenamon, sposa di Tut, fu figlia del medesimo padre (diverse furono invece le madri: Nefertiti per la giovane sposa, mentre a questo punto quella del faraone-bambino potrebbe essere proprio Kiya). 

Viene poi precisato che i due prossimi regnanti si sposarono giovanissimi ancora ad Amarna, quindi nel periodo oscuro e drammatico della fine del monoteismo amarniano e della successiva restaurazione del politeismo tebano.
Sembrerebbe di arguire, se la scoperta di Hawass fosse – come pare – confermata, che Tutankhamon, generato da una sposa successiva a Nefertiti, sia stato dunque più giovane della propria consorte Ankhesenamon, nata invece dal connubio Akhenaton-Nefertiti: ma sono tutti dati genealogici su cui riflettere, magari con il contributo di future scoperte.


“In ogni caso un simile, importante ritrovamento rende giustizia a una parentela ad oggi accettata da pochi: si era sempre pensato, quale genitore di Tutankhamon, o ad Amenophis III sulla base di un’altra stele, che dunque va corretta (costui in realtà fu il nonno) o a Smenkhkhara, probabile faraone tra Akhenaton e lo stesso Tut”, precisa Hawass.



Fu quel periodo (II metà del XIV sec. a. C.) contrassegnato dal monoteismo amarniano, i cui precisi contorni sfuggono: fu introdotto da Amenophis IV, che in virtù del nuovo credo religioso in onore del dio Sole Aton, assunse appunto il nome di Akhenaton. Egli spostò il centro del regno 500 km più a nord della precedente capitale (Tebe, oggi Luxor), destituendo le potenti classi sacerdotali tebane, legate alle numerose divinità del pantheon egizio, di ogni loro funzione; in questo fu aiutato dalla bellissima sposa Nefertiti, valida consigliera politica e splendida madre di sei figlie. 

Al declinare della fortuna di Nefertiti, Akhenaton si risposò e mantenne saldo il potere per altri anni, fino a quando il precedente “status quo” fu ripristinato per precisa volontà cospiratoria della potente casta sacerdotale tebana (anche se i particolari del declino di Amarna sfuggono). L’azione di restaurazione fu pilotata dall’abile consigliere Ay, che affidò proprio a Tutankhamon il primo trono di nuovo a Tebe: insomma fu Tut strumento della controrivoluzione, che cancellava il sogno di Amarna e di Akhenaton; di quell’Akhenaton, che ora la storia ha rivelato essere stato suo padre.

 

Fonte: Il  Sole 24 ore, del 21 Novembre 2008/Discovery Channel – 17 Dicembre 2008


Feb 11 2009

Le fobie – é tutta un’altra storia – di Marco Pirina

Nel 2007 è uscito un libro   “La repubblica mai nata”  che dimostrava   che  nel referendum del 1946 non si fecero votare Istriani, Dalmati e LA MAGGIOR PARTE dei molti aventi diritto delle Venezie, rendendo legalmente nullo il referendum  e illegittima la repubblica italiana stessa , nata dalla negazione del voto di troppi, ben più dello scarto di voti vicenti .

Ma studiando come mai Istriani e Dalmati non furono fatti votare nel 1946 ,  si è  rivisto una storia, e non solo  delle Foibe. ben diversa da quelle ufficiali. Il fatto è che si stanno aprendo gli archivi internazionali finora chiusi, e da loro emerge prepotente una storia ben diversa da quella normalmente raccontata; ma che le Foibe sono state un GENOCIDIO voluto da Italiani e Jugoslavi a danno del popolo veneto, che ancora oggi continua nella forma di oblio culturale e negazione delle libertà politiche che portano alla servitù economica.

Ora anche un altro autore, Marco Pirina, dice sostanzialmente le stesse cose, ma egli ne ha maggiormente  approfonditamente  la questione e pubblicato nel 2008 un libro ricco di documenti che la raccontano.

La storia della Repubblica Italiana ne esce massacrata e infranta.

I  fondatori della Repubblica pagarono Tito per estendere il dominio anche fino al Garda, e pagarono FINO AGLI ANNI ’60  per tenere PRIGIONIERI  I VENETI NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO JUGOSLAVI !!

Colpevoli di questo genocidio furono i maggiori PADRI DELLA “PATRIA” Italiana, da De Gasperi a Togliatti, da Pertini a Rossi  da  Parri a Valiani .

In pochi minuti nella intervista che allego Pirina dice una quantità di cose dense di riferimenti che sono TERRIFICANTI per chi ha studiato la vicenda.

Illudersi di censurare per sempre queste cose come ancora  fa Napolitano è veramente da stupidi.

http://www.youtube.com/watch?v=lpWhDMLDYt8&eurl=http://www.palmerini.net/blog/?p=318

Fonte: liberamente  tratto da  srs di Loris Palmerini


Feb 11 2009

Ma… una volta non erano i nazisti

Category: Società e politicagiorgio @ 06:55

 

 

Forse  a scuola mi hanno  raccontato  una balla, ma una volta, non  erano i nazisti che nei campi di sterminio sopprimevano  gli andicappati, i deformi, i disabili,  i malformati, i malati cronici e terminali?


Feb 10 2009

Padre di faraone

Category: Bibbia ed Egittogiorgio @ 17:17

Da giovane, ovvero molti anni fa, lessi il Corano e la Bibbia  e la conseguenza, fu che rischiai di diventare un ateo.

Regalai il Corano a un amico e relegai in cantina la Bibbia con la promessa di non metterci più il naso. Promessa mantenuta per molti anni, ma adesso che mi hanno mandato in pensione,  che posso pensare e parlare in dialetto, ed ho intrapreso la mia strada nel diventare un vecchio scemo rincojonido, e per giunta mezzo sacagnà, che spera sempre nella pazienza del prossimo per le monade ch’el dise; ho deciso di levarmi uno di  quei tarli, che  furono il frutto  di quelle letture,  e che mi ha accompagnato  per anni.

Quando lessi nella Genesi  la storia di Giuseppe, fui colpito da un brano, che narrava di quando, in tempo di carestia i fratelli di Giuseppe intrapresero il loro secondo viaggio in Egitto per acquistare il grano. La prima volta Giuseppe  aveva nascosto la propria identità ai parenti che lo avevano venduto come schiavo. Questa seconda volta invece si rileva a loro e diceva per  rassicurarli:

“NON VOI MI AVETE MANDATO QUI, MA DIO: E’ LUI MI HA FATTO PADRE DI FARAONE”.

Non potevo credere di aver letto quella frase, la rilessi per sicurezza, non una, ma,  dieci, venti volte, il significato non cambiava,  “Lui mi fa fatto padre di faraone”

Uno dei più importanti patriarchi biblici aveva dato la paternità  a un Faraone, un ebreo era diventato “Dio dell’Egitto”. Era la verità più lontana dal mio pensiero di credente, una verità che non solo non accettavo, ma che mi dava fastidio.

Adesso quel tarlo lo  voglio estirpare,  e dove è possibile togliermi ogni dubbio, mettere in chiaro la verità, perché  parafrasando quel vecchio detto : “la verità vi farà liberi” io voglio essere libero. Mettiamoci al lavoro, riapriamo le librerie,  recuperiamo i vecchi hard disk e vediamo che monade otteniamo.


Feb 10 2009

Riparo Solinas a Fumane di Verona

Category: Verona archeologia e paleontologiagiorgio @ 14:58

 

Il Riparo Solinas di Fumane, è localizzato sopra la località Cà Gottolo lungo la vecchia strada che va da Fumane alla frazione Molina.

Fu scoperto nel 1962 da Giovanni Solinas con il figlio Alberto Solinas, entrambi appassionati e studiosi della Paleontologia e della Preistoria locale. 

Il Riparo fu abitato per un lunghissimo periodo che va da circa 60.000 anni fa con presenze dell’Homo neanderthalensis (Uomo di Neanderthal), dall’Homo sapiens dell’Aurignaziano, circa 34.000 a 32.000 anni fa fino al crollo della grotta che si presume risalga a 25.000 anni fa conseguenza ed effetto di una glaciazione.

 

Viene considerato da molti il sito più importante in Europa per il lungo periodo di utilizzo e per caratteristiche proprie.  Si unisce ad un sistema di presenze preistoriche nel nord veronese che ha le più ampie ed importanti ed accessibili nel Riparo Soman, Riparo Tagliente nel Covolo di Camposilvano, nel sistema di grotte ai piedi del Ponte di Veia, nel Castelliere delle Guaite e in una miriade di presenze minori, frequentabili e documentate.

 

Il Riparo Solinas di Fumane è stato strutturato come un insolito museo.
Con il contributo di una fondazione bancaria locale è stato reso accessibile alle visite del pubblico.

 Non ha accessibilità comoda per le persone diversamente abili per la sua localizzazione a centinaia di metri dal parcheggio più vicino e su una strada in forte salita. 

Il lavoro di musealizzazione è stato curato da un gruppo di architetti guidati da Arrigo Rudi.

La struttura ha due entrate, la prima è diretta sulla strada con una struttura di legno lamellare e plastica trasparente al fine di permettere l’entrata più alta possibile di luce naturale più un accesso secondario nella parte interna del bosco che permette di entrare nella parte alta della grotta evitando il percorso con scale a pioli.  È in evidenza, e spiegato, lo scavo stratigrafico, datato col sistema del radio carbonio. 

Ogni strato è evidenziato con i reperti trovati: carboni, carcasse di animali con le relative zone di macellazione, le schegge e le selci, sostanze organiche e strumenti.  Il riparo vero e proprio fu abitato in tempi più recenti e fu colorato con ocra rossa, con resti di più focolari.  Particolare importante è la presenza di una fossa usata come deposito dei rifiuti lasciando la grotta sgombra di essi. 

 

Dalla parete si sono staccati disegni in ocra.  Ad oggi ne sono stati identificati cinque, di cui un paio molto conosciuti, il primo rappresenta uno sciamano disegnato con un copricapo di con corna e con in mano un oggetto votivo, l’altro raffigura un animale, un felide o un mustelide. 

Il riparo era abitato prevalentemente dalla primavera all’autunno con uno spostamento invernale in zone meno fredde. In termini di datazione vi sono attinenze con i ritrovamenti nel sud est francese. 

Una parte degli oggetti è presente al Museo di Sant’anna d’Alfaedo. 

I reperti trovati vanno da selci e da utensili di osso a oggetti ornamentali, conchiglie e denti di cervo. 

Il ritrovamento di resti animali ha permesso una conferma della fauna della zona: la volpe, la iena, il lupo, l’orso bruno, la lince, il gatto selvatico e il leone delle caverne questi resti sono successivi anche alla presenza umana.   Vista la recente scoperta, dovrebbe trattarsi dell’unico importante sito dove visita e ricerca coesistono. 

La struttura entra nel sistema museale della Lessinia che coinvolge in prima istanza la Comunità Montana della Lessinia e in secondo piano l’Ente Parco e il comune. 

 

La ricerca attualmente è guidata dalle Università di Ferrara e Milano, ma è aperta alle collaborazioni internazionali, tantoché la recente inaugurazione è stata coordinata dal professor Janusz Kozlowski di Cracovia attuale presidente della Commissione Europea del Paleolitico Superiore.

 

Fonte: Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.


Feb 10 2009

Alberto Solinas

Category: Persone e personaggigiorgio @ 10:08

 

Ho l’abitudine di guardare sempre avanti, di non lasciare mai una mia giornata vuota. Il tempo “libero” l’ho dedicato ha quelle grandi eredita’ lasciatami da mio padre: l’intelligenza, la passione per la storia, lo studio. 

Una passione così forte da far diventare una vera e propria fede  quella citazione di Cicerone “ignorare ciò che è avvenuto prima che tu fossi nato, è come non vivere” 

 Mio padre Giovanni fu un maestro eccezionale.  I suoi studi iniziarono in quel di Verona negli anni trenta: fu un’ attività frenetica, che spaziava dalla comprensione della cultura locale,  alla conoscenza della propria storia fino a terminare nella  ricerca  della preistoria, allora agli inizi.  Ogni momento libero dalla scuola era dedicato alla ricerca. 

La sua attività cessò bruscamente nel 1972.  Fu per me un fatto naturale continuarne gli studi. 

Ormai sono più di 80 anni che la mia famiglia è impegnata in questo lavoro, di ricercatori liberi, indipendenti, e con l’abitudine di pensare sempre ad alta voce, per questo scomodi e combattuti.

Se c’è una cosa che rimpiango è di non essere riuscito, malgrado tutta la nostra volontà, ad impedire la cancellazione di molte memorie storiche e culturali del nostro patrimonio trascorso. Comunque finche’ le forze mi sosteranno, la lotta continuera’. 

 

Alberto Solinas

Tag: ,


Feb 09 2009

Vicenza Valsugana: Mario Pontarollo una vita di contrabbando

Category: Persone e personaggi,Veneto e dintornigiorgio @ 18:33

Vicenza Valsugana: Mario Pontarollo  una vita di contrabbando

 

di Gianni Sartori 

 

Il  14 maggio del 1995 Ë scomparso uno degli ultimi contrabbandieri della Valsugana, Mario Pontarollo. 

Dopo solo  un paio di mesi moriva anche la moglie, Florinda Moro. 

Penso non sia retorico affermare che,  insieme a Mario e a Florinda, se n’ E’ andato un  pezzo di Storia. 

Abitavano a Sasso Stefani, in  Valsugana, presso Valstagna. 

Ero capitato per  caso in questa contrada qualche anno fa, quando il sentiero dei contrabbandieri, detto anche  dei carpenedi, non era ancora stato segnalato dal CAI. 

Il percorso mi venne indicato da Mario  che, con un certo orgoglio, racconto’ di averlo  percorso infinite volte (di notte, anche con la  neve) con in spalla il sacco pieno di tabacco. 

Di contrabbando naturalmente. 

Dall’incontro con  Mario e la moglie non ricavai soltanto le indicazioni per una nuova escursione, ma anche la  consapevolezza che coltivazione e commercio  del tabacco, oltre che nell’economia, sono stati  alquanto rilevanti nella storia e nella cultura  della vallata. 

Al punto che si potrebbe quasi parlare di rapporti simbiotici tra i ì Canalotiî doc e  l’Erba Regina (secondo altri: della Regina). 

Rapporti che con il tempo si rivestirono di significati e valenze simboliche, inestricabilmente intrecciati con il senso di appartenenza e di identita’. 

Gli eventi che portarono all’introduzione della pianta (presumibilmente avvenuta tra il XVI e il XVII sec.) sono in gran parte avvolti nel mistero. 

Circola ancora la leggenda di un anonimo benefattore (alcuni parlano di un monaco, di un eremita…) che avrebbe fatto dono di alcuni preziosi semi ai poveri diseredati della valle, a quel tempo alquanto depressa e sottosviluppata. 

Dato che all’epoca vigeva una sorta di interdizione e un severo controllo, i semi sarebbero stati introdotti abusivamente, pare dalla Francia, nascosti in un bastone da pellegrino cavo all’interno. 

»’  evidente come questa storia ricalchi l’analogo racconto in merito all’introduzione nel Veneto del baco da seta. 

Anche in quel caso, peraltro documentato, fu un monaco a portarsi appresso dall’Oriente il prezioso lepdottero, nascondendo i bruchi (i famosi cavalieri ghiotti delle foglie del moraro) o forse le crisalidi, nel cavo di un bastone. 

All’inizio l’esotica solanacea veniva coltivata non per essere fumata ma per le sue qualita’ terapeutiche e medicamentose. Solo successivamente l’Erba (della) Regina venne ìsqualificataî e le sue foglie ridotte a prosaico trinciato (forte per lo piu’). 

Pare  che i primi tentativi di coltivazione si registrassero proprio a Valstagna e Oliero e forse anche a Sasso Stefani dove risiedeva il nostro contrabbandiere superstite. 

I primi contratti notarili tra Venezia e Valstagna risalgono al 1763. 

I diritti cosi’ acquisiti dai Canaloti vennero riconosciuti e convalidati persino durante la breve parentesi napoleonica. 

Lo stesso avvenne poi con Francesco I d’Austria. 

Ma i prezzi ufficiali restavano irrisori e i locali trovavano conveniente continuare ad ìesportarloî e rivenderlo per proprio conto. 

Cosi’ andarono le cose fino al 1866, quando con l’unita’ d’Italia la situazione divenne alquanto difficile. 

Infatti la Regia Amministrazione Italiana riusciì in breve tempo a provocare il deprezzamento del prodotto e anche il conseguente abbandono di molte masiere coltivate a tabacco. 

L’introduzione della nuova prassi di misurare il quantitativo in base non piu’ al peso ma al numero delle foglie fu alquanto deleteria per i valligiani.

Contemporaneamente la repressione del contrabbando divenne ancora piu’ dura, toccando livelli mai visti in precedenza. 

In proposito e’ interessante osservare come sia sempre esistita una notevole sfasatura tra l’opinione istituzionale del contrabbandiere  (considerato alla stregua di un volgare delinquente) e il prestigio di cui ancora gode tra i valligiani. 

E piu’ lo Stato criminalizzava i contrabbandieri,  piu’ cresceva l’identificazione e la solidarieta’ della popolazione. 

Ovviamente tributi e balzelli non erano graditi e questo favoriva la percezione del contrabbando come un “non crimine” e una forma di ribellione.  

Anche perche’ tutti, chi piu’, chi meno, vi erano partecipi e ne traevano sostentamento, integrandolo nell’economia locale. 

La scarsa collaborazione fornita  alle forze dell’ordine determino’ un inasprimento della repressione che si spinse a veri e propri eccessi, anche a livello legislativo, sproporzionati rispetto all’entita’ del reato.

Questo soprattutto con l’avvento dello stato unitario. 

 

Leggi speciali contro i contrabbandieri

 

Dopo il 1866 si comincio’ ad arrestare sistematicamente anche coloro che solo “si accingevano a compiere il crimine”. 

 

In questi casi non ci si limitava piu’ alla confisca della merce (come avveniva precedentemente) ma il tentativo veniva equiparato alla consumazione del delitto stesso. 

In pratica chiunque venisse scoperto con carichi sospetti nella zona veniva quasi sempre arrestato preventivamente. 

Questo naturalmente non accadeva solo in Valsugana e dintorni, ma capitava un po’ dovunque sulle Prealpi venete. 

Si contrabbandassero foglie di tabacco, fiammiferi, pietre focaie, sale, carte da gioco o altri generi di monopolio e non. 

Ce lo ricorda il gran numero di sentieri denominati non a caso ìdei contrabbandieriî. 

Quello del Fumante attraverso cui si poteva accedere al Carega, quello del Pasubio ora denominato “Baglioni”, quelli che  collegano la Val d’Adige con la Lessinia… 

Proprio in questi ultimi paraggi si conserva memoria nientemeno che di un “Inno dei Contrabbandieri”, il cui testo la dice lunga sulla sostanziale divergenza di opinioni in materia di legalita’ tra istituzioni e masse popolari. 

La pratica del contrabbando non si esauriì con  l’annessione del Veneto e nemmeno con la fine della prima guerra mondiale. 

Le magre condizioni di vita e la quasi monocoltura del tabacco (una sorta di condanna al prezzo governativo) imposero ai canaloti una continua deroga agli ordinamenti in vigore. 

Unica alternativa al contrabbando era, ovviamente, l’emigrazione. 

Esperienza questa che il nostro Mario ebbe ampiamente modo di sperimentare. 

Da questo punto di vista le vicende dei coniugi Pontarollo sono state emblematiche. 

Mi raccontava la signora  Florinda che da giovane era andata regolarmente in bici fino a San Pietro in Gu’ (ma talvolta si spingeva fino a Treviso) con il tabacco sotto i  vestiti e nella cesta, ben nascosto sotto il figlio piu’ piccolo del momento (ne ha avuti sette). 

Per avviarsi doveva aspettare mezzogiorno, quando i finanzieri smettevano per un po’ di controllare le strade. 

Era costretta a darsi al contrabbando soprattutto nei periodi in cui Mario lavorava all’estero (in Germania, in Africa…). 

Del resto era questa una esperienza comune a gran parte delle donne della Valsugana. 

I mariti emigranti per periodi piu’ o meno lunghi e le femene casa a  spetare i schei; che qualche volta arrivavano,  qualche altra no. 

Intanto dovevano tirar vanti e tirar su i fioi. 

Mario Pontarollo ricordava che le sue vicessitudini cominciarono molto presto, a quattro anni. 

All’epoca la sua casa venne a trovarsi praticamente in prima linea. Completamente distrutta dai bombardamenti, pote’ essere ricostruita solo nel dopoguerra. 

Nel frattempo ando’ sfollato (ma lui preferiva definirsi profugo) con il resto della famiglia. 

L’ultima volta che ci eravamo visti,  Mario mi aveva chiesto notizie sullo stato del “suo” sentiero, probabilmente con un po’ di nostalgia. 

Non ricordava di essersi mai spinto oltre il  bordo soprastante dell’Altopiano, dove il sentiero sbuca in un pascolo. 

Arrivato lassu’ consegnava il carico a chi lo stava aspettando, tirava i schei e tornava in valle. 

Praticamente per tutta la vita aveva alternato contrabbando ed emigrazione. Tranne quando la patria si ricordo’ di lui  per la “parentesi di guerra” in Grecia e Albania. 

 

Ma questa era un’altra storia… 

 

Anno II, N. 5 – Maggio-Giugno 1996

Fonte: – Quaderni Padani  38

 

 

 

INNO DEI CONTRABBANDIERI  DELLA LESSINIA 

 

Noàntri contrabandèri 

vegnemo su da Ala 

e co la carga in spala 

pasemo el confin 

 

Noàntri contrabandàri 

semo sensa creansa 

bastonemo la finansa 

sensa farse ciapar 

 

Noantri contrabandèri 

ghe disemo al brigadiere 

che una de ste sere 

la pele ghe faren 

 

No ghe sarà Vitorio 

e gnanca Garibaldi 

che co i so stronsi caldi 

el ne sapia fermar 

 

 

L’itinerario 

 

(Sentiero dei Carpenedi o dei Contrabbandieri) 

 

Come ho detto la casa di Florinda e Mario fa  angolo con l’attacco del sentiero; in quel di Sasso Stefani (metri 170), nei pressi di Valstagna. 

Nel primo tratto l’itinerario ricalca una vecchia mulattiera. 

Piuttosto ripida, sembra piu’ un impluvio lastricato che un normale sentiero. Ottimo, oltre che per far scorrere l’acqua, per “segare” subito le gambe dei domenicali. 

E anche per smorzare gli entusiasmi di qualche ultraquarantenne irriducibile. 

Non sottovalutatelo e adottate un passo regolare, cercando poi di mantenerlo per tutto il percorso. 

Ci si inoltra tra le masiere, protetti da alti muri a secco da dove sporgono file austere di gradini in pietra, senza sbocco dato che costituiscono l’accesso ai magri campicelli. 

A circa 300 metri di quota la mulattiera se ne  va per conto suo sulla sinistra, mentre ai viandanti conviene proseguire lungo il solco vallivo. 

In questo tratto il pendio si fa meno ripido e il sentiero non e’ piu’ acciotolato ma ghiaioso ed erboso, alternativamente. 

Punta decisamente verso un accenno di selletta, una sorta di tacca, di  incisione sulla vostra destra. 

L’intaglio rompe la continuita’ del crinale brullo, spoglio di vegetazione ma costellato di caratteristiche guglie,  eteree nell’eventuale foschia o circonfuse di luce contro il cielo terso (salendo, al mattino il sole e’ alle vostre spalle). Alla vostra sinistra troneggiano imponenti e impervie le pareti del Sasso Rosso. 

Il valico, come vedrete, Ë costituito da una galleria della prima guerra mondiale che permette di accedere comodamente alla Val Calieroni. 

Il  termine veneto di ‘caliero’ qui sta ad indicare le caratteristiche marmitte di roccia prodotte dall’erosione. 

Nel periodo invernale fate attenzione ai festoni di stalattiti di ghiaccio che pendono dalla volta. 

Per un tratto si prosegue quasi in piano, lungo un leggiadro sentierino, non esente comunque da rischi oggettivi per distratti. 

Il sentiero quindi si infila nel bosco e risale con decisione. 

Qui il percorso torna ripido, quasi scosceso. 

Ricalca in parte un vecchio sentiero di guerra, come testimoniano le numerose ferite mai rimarginate delle trincee. 

Ancor piu’ numerose e deturpanti le tracce lasciate sui tronchi dai zelanti segnapista di professione. 

Le indicazioni biancorosse si sprecano. Nel senso letterale. 

Il percorso utilizza un sistema di cengie naturali e l’escursione si mantiene stimolante grazie ad alcuni tratti relativamente esposti: fare attenzione con neve ghiacciata. 

E’ in situazioni del genere che l’abitudine indotta a orientarsi  cercando non le tracce naturali del sentiero (ovvero dove posare i piedi) ma i segni di vernice sui tronchi dei faggi, puo’ rivelarsi alquanto controproducente. 

Ancora un ultimo sforzo e al vostro sguardo,  presumibilmente ormai appannato dal sudore della fronte, appariranno le pareti precipiti sulla Val Gadena. 

Intanto il sentiero vi ha condotto nella parte sommitale della Val delle More, a due passi dalla cima del Sasso Rosso (1196 metri). 

Da qui ci si puÚ spingere verso Col Carpanedi (a nord), in cerca del raccordo con Val Gadena da utilizzare per il rientro. 

 

 

Anno II, N. 5 – Maggio-Giugno 1996 

 

 

Fonte: Quaderni Padani – 39


Feb 09 2009

La Bellezza di una Donna

Category: Veja migiorgio @ 17:41

La bellezza di una donna non si basa sugli abiti che indossa, la figura che porta o il modo in cui porta i capelli.

La bellezza di una donna si vede dai suoi occhi perché questa è la porta del suo cuore, il luogo dove l’amore risiede.

La bellezza di una donna non è un neo sul viso, ma la vera bellezza in una donna si riflette sulla sua anima.

Sono le cure che lei dona amorevolmente, la passione che dimostra.

La bellezza di una donna con il tempo, può solo crescere…


Feb 09 2009

I giovani e lo sballo, ovvero la sindrome dei polli

Category: Società e politicagiorgio @ 11:33

 

Oggi lo sballo è di moda: il modus vivendi e l’ambiente “normali” a molte persone, soprattutto ai giovani, risultano noiosi e cercano di rompere la monotonia cambiando il risultato nella percezione dei loro sensi: una scarica di adrenalina insomma, piccola o grande, che si può ottenere circondandosi di colori accesi, sniffando coca, andando contromano in autostrada, gettando pietre dai cavalcavia e, al limite, ammazzando qualcuno, così, tanto per sfizio, l’importante è che sia diverso dalla realtà di tutti i giorni.

L’insieme di questi fenomeni li definirei come “sindrome del pollo in gabbia” come da ragazzo ho potuto constatare nelle grandi gabbie che mio padre aveva installato in soffitta per l’allevamento di questi pennuti: si beccavano a vicenda fino ad uccidersi. 

Al limite si potrebbe dire che le guerre siano necessarie per garantire all’uomo uno spazio vitale o quantomeno limitare l’affollamento su questo pianeta che non ha una superficie illimitata e quindi non può essere tale l’incremento demografico: se non ci pensa l’uomo a limitare le nascite ci penserà la natura (che non è né pietosa né comprensiva) con gli attuali effetti dello stress da sovraffollamento (tanto per cominciare), finendo con ben più drastiche conseguenze in campo alimentare ed energetico.

Vi pregherei di non replicare a questo post ma di digerirlo in silenzio. 

Italo

 

Fonte: srs di Italo


Feb 09 2009

Padri della Patria: Liborio Romano

Category: Italia storia e dintorni,Regno delle Due Siciliegiorgio @ 11:14

 

Se c’è un liberale del Risorgimento che meriterebbe di stare in un Pantheon, insieme ai vari padri della patria  (li conoscete  tutti, Cavour,  Garibaldi,  Mazzini, Vittorio Emanule Il) è certamente Liborio Romano, il grande liquidatore del Regno delle Due Sicilie. 

L’uomo che mise la camorra a presidiare Napoli, ma non lo si può scrivere  sui libri di  storia!  Altrimenti ai giovani meridionali potrebbero girare le scatole e, quando terminano le scuole,  invece  di andarsene a lavorare,  metterebbero tutto a soqquadro.

Figlio più illustre di Patù. Primogenito di una nobile e antica famiglia dalle tradizioni liberali, completò gli studi a Lecce, si laureò in Giurisprudenza a Napoli nella cui Università fu anche professore. 

Sin da giovane visse intensamente l’impegno politico frequentando gli ambienti legati alla Carboneria e diventando interprete appassionato delle più alte idealità del Risorgimento italiano, e per questo fu sospeso dall’insegnamento universitario. 

Nel 1860, quando ormai con Francesco II stavano per consumarsi gli ultimi atti del Regno dei Borboni, a Napoli Liborio Romano detto “Don Libò”, era  ormai conosciuto in tutti gli ambienti come il più brillante principe del Foro partenopeo.


Venne nominato prima Prefetto di Polizia e subito dopo Ministro dell’Interno e della Polizia, e si trovò nella necessità  di traghettare tramite Garibaldi, il Regno di Napoli dai Borboni ai Savoia,  la situazione era esplosiva, a Napoli poteva succedere di tutto.


In quel frangente il nostro Don Libò, scese a patti con la camorra locale,  rimasta fino allora relegata ai margini del sistema civile,  coinvolgendone gli esponenti di spicco nel lavoro di mantenimento della quiete pubblica. 

E così avvenne: la calma e l’ordine regnarono sovrani.

Garibaldi poté giungere solo e senza armi alla Stazione ferroviaria di Napoli, accolto da Liborio Romano in persona circondato da un popolo in festa.

Nelle Elezioni politiche del gennaio 1861, le prime del Regno d’Italia unita don Liborio fu il Deputato più votato in Italia, eletto in ben otto collegi elettorali: il 20 luglio 1865 si chiudeva la sua esperienza parlamentare.

Le premesse per il futuro disastro istituzionale  vi erano  tutte; la calma era solo apparente.

 

Come al solito ai naviganti l’ardua risposta.


Feb 08 2009

Da MARONI a “maroni”

Category: Media e informazione,Società e politicagiorgio @ 20:15

 

Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet

C’è poco da fare.  Quando arrivano là, la libertà la perdono sempre per strada

In questi giorni il Senato ha approvato un emendamento, inutile, dannoso  e illiberale.

Da far invidia alla Corea del Nord

 

Art. 50-bis.
(Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet

 

1. Quando si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet, il Ministro dell’interno, in seguito a comunicazione dell’autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l’interruzione della attività indicata, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine.

2. Il Ministro dell’interno si avvale, per gli accertamenti finalizzati all’adozione del decreto di cui al comma 1, della polizia postale e delle comunicazioni. Avverso il provvedimento di interruzione è ammesso ricorso all’autorità giudiziaria. Il provvedimento di cui al comma 1 è revocato in ogni momento quando vengano meno i presupposti indicati nel medesimo comma.

3. I fornitori dei servizi di connettività alla rete internet, per l’effetto del decreto di cui al comma 1, devono provvedere ad eseguire l’attività di filtraggio imposta entro il termine di 24 ore. La violazione di tale obbligo comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000, alla cui irrogazione provvede il Ministro dell’interno con proprio provvedimento.

4. Entro 60 giorni dalla pubblicazione della presente legge il Ministro dell’interno, con proprio decreto, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con quello della pubblica amministrazione e innovazione, individua e definisce i requisiti tecnici degli strumenti di filtraggio di cui al comma 1, con le relative soluzioni tecnologiche.

5. Al quarto comma dell’articolo 266 del codice penale, il numero 1) è così sostituito: “col mezzo della stampa, in via telematica sulla rete internet, o con altro mezzo di propaganda”.».

 

PS

Personalmente mi sarei aspettato, da una governo che si proclama liberare e democratico, che la chiusura di un qualunque  sito internet,  cosa gravissima, visto che va ha ad  intaccare comunque la libertà di pensiero e di espressione, avvenga  solo dopo un regolare processo e con sentenza di colpevolezza, invece…  si parla   bene  e si razzola malissimo,  anzi, è uno schifo.

 

DIFENDIAMO  LA LIBERTA’ DI PENSIERO E  DI PAROLA,   QUALUNQUE ESSA SIA


Feb 08 2009

Disse Marina

Category: Veja migiorgio @ 19:10

 

Incontrerai persone che ti chiederanno di fare cose che non condividi.

Devi solo dire:   Io sono Chiara Battocchio e non condivido queste cose,  e ti guarderanno con rispetto


Feb 08 2009

Tolo da Re – Poesia par Verona

Category: Verona pensieri e parolegiorgio @ 10:47

 

Verona: boca che ride

tra ‘l monte e la pianura,

primadòna sicura

da la vosse che no stona mai.

 

Verona: un “si” da sposa

ai brassi verdi de l’Adese

che i palpa,

i la caressa,

che streta i se la tien.

 

Verona de San Zen

vescovo pescador

de anime e de trote,

moro de pèle,

amigo dei pitòchi:

pàr che ‘l li varda ancora

co l’òcio tondo de la so ciesa,

largo,

maraveià.

 

Verona de la Bra:

che l’è ‘n anel da festa

co l’Arena par brilante.

 

Verona de Piassa Dante,

calda, sentà,

nemiga de la prèssia,

la gà in corpo Venessia

ma in l’anima Cangrande.

 

Verona che se spande

nei colori de Piassa Erbe,

maridando in beléssa

i toni grisi dei palassi veci

col verde dei radeci,

el gialo de la suca,

el rosso de le fraghe.

E quela Costa picà via

l’è na virgola de poesia

veronese balénga,

sempre viva.

 

Verona de Sotoriva

coi pòrteghi che itien in coparèla

na rosària de secoli

che ga i caroi

ma che l’è sempre fresca,

che l’è de piera

e mai no la ghe pesa.

 

Verona de la cesa:

el Vescovado,

el Domo,

che mete in sudissiòn

tute intorno le case

che le pàr pensierose

e le tase,

e le prega.

 

Verona de la Carega

che pàra via i pensieri:

la canta,

la sganàssa,

la dise tuto co na parolassa

vècia, nostrana e mata.

 

Verona stefanata

che vive da pitòca el sogno lustro

de na pignata d’oro.

E la strùssia ma l’è contenta

e l’alegria e la passiènsa

mai no ghe cala.

 

Verona de l’amor:

da Giulieta e Romeo

ai basi a scotadéo

longo l’Adese

quando vien sera.

 

Verona cusiniera:

le paparèle,

i gnochi,

bigoli co la renga

la bona pastissada,

el dìndio,

la pearàda,

polenta coi osèi,

le tripe,

el minestron.

 

Verona del vin bon

che l’è paron de casa

de le mile ostarie:

in piassa o in fondo ai vicoli,

nete o sporche,

bele o brute,

ma gh’è nel cor de tute

na parola che la fa sponsàr la vita.

 

Verona: boca che ride

tra ‘l monte e la pianura

primadòna sicura

da la vosse che no stona mai. 

 

 

 Tolo da Re


Feb 08 2009

Che cosa rimarrà di tutto questo…

Category: Veja migiorgio @ 09:45

Quello che mi rimarrà,  è il triste  ricordo di un padre assassino…


Feb 08 2009

Berto Barbarani- I va in Merica

Category: Verona pensieri e parolegiorgio @ 00:32

Capolavoro del Grande Berto  che descrive il dramma della Grande Emigrazione in America. 

La poesia e’ divisa in due parti: la descrizione del territorio con la carestia  e la dura decisione di partire 

 

Fulminadi da un fraco de tempesta,

l’erba dei prè, par ‘na metà passìa,

brusà le vigne da la malatia

che no lassa i vilani mai de pèsta; 

 

ipotecado tutò quel che resta, 

col formento che val ‘na carestia,

ogni paese el g’à la so angonia

e le fameie un pelagroso a testa! 

 

Crepà, la vaca che dasea el formaio,

morta la dona a partorir ‘na fiola,

protestà le cambiale dal notaio, 

 

na festa, seradi a l’ostaria, 

co un gran pugno batù sora la tola: 

«Porca Italia» i bastiema: «andemo via!»

 

E i se conta in fra tuti.- In quanti sio?

– Apena diese, che pol far strapasso;

el resto done co i putini in brasso,

el resto, veci e puteleti a drio”. 

 

Ma a star quà, no se magna no, par dio,

bisognarà pur farlo sto gran passo,

se l’inverno el ne capita col giasso,

pori nualtri, el ghe ne fa un desìo!

 

-Drento l’Otobre, carghi de fagoti, 

dopo aver dito mal de tuti i siori,

dopo aver fusilà tri quatro goti; 

 

co la testa sbarlota, imbriagada, 

i se dà du struconi in tra de lori,

e tontonando i ciapa su la strada !

 

 

Fonte: srs di Alberto Barbarani


« Pagina precedentePagina successiva »