Mar 12 2009

Legge Urbani, ovvero l’ arte italiana scompare dalla rete

Ecco un bel articolo che spiega le conseguenza  di una delle più belle legge che poteva  partorite questa decadente, confusionaria e incapace  legislazione italiana dove la sapienza  è un’opzione rarissima.

 

Esempio eclatante della totale mancanza di   rispetto  dello stato verso i sui cittadini, visto che è riuscita per i soli meri interessi di potentati economici, culturali e fiscali togliere l’usufrutto  dell’arte  e delle bellezze dell’ Italia agli stessi italiani e non solo.

 

Venerdì  21 dicembre 2007

Roma – Pochi giorni fa il Ministro Rutelli ha annunciato il rientro nel nostro territorio di opere d’arte italiane trafugate e portate illegalmente all’estero. 

Dal 21 dicembre al 2 marzo, sessantotto manufatti d’epoca romana, greco-romana ed etrusca, avranno temporaneamente casa in una mostra al Quirinale, di ritorno dalle teche di prestigiosi musei e gallerie di tutto il mondo (tra i quali il Metropolitan di New York), per poi trovare collocazione nei più importanti musei della penisola.

L’intellighenzia italiana, con in prima fila il ministro Rutelli, si è felicitata e congratulata per quello che rappresenta indubbiamente un notevole successo per i beni culturali nostrani.

Queste opere però – e non solo queste – sono condannate da una misconosciuta legge italiana ad un limbo burocratico dal quale sarà ben difficile tirarle fuori, e che rischia di consegnarle all’oblio più completo.

Il “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (che chiameremo Codice Urbani, dal nome del suo ispiratore), regola tutte le opere gestite da enti pubblici italiani, e sta creando non pochi problemi alla loro promozione nel mondo. 

Tale codice prevede il divieto assoluto di fotografare le opere in mancanza di un’autorizzazione dell’ente che le gestisce (museo, comune, ministero…). Per lo stesso motivo è vietata anche la riproduzione su internet.

Nel silenzio generale dei media, sotto la scure del Codice Urbani sono già passate l’Annunciazione di Leonardo, la Venere di Botticelli, il Bacco di Caravaggio ed altre notissime opere di Raffaello, Tiziano e Rembrandt: tutte scomparse dalla maggiore enciclopedia online del mondo. 

Ma non è tutto: altre decine e decine di fotografie di opere notissime stanno scomparendo proprio in questi giorni a causa della suddetta legge. 

E con loro, chissà quante altre nel silenzio di siti più piccoli spersi per la Rete.

Anche le opere appena recuperate rischiano la stessa sorte, con la tutto sommato piccola aggravante che il tempo per fotografarle è pure più ristretto. I reperti, infatti, dopo il breve periodo di permanenza al Quirinale, partiranno per le loro collocazioni definitive in musei e gallerie italiane. 

A chi volesse fotografarli per inviarne la foto alla nonna che vive in Svizzera, non resta che appostarsi davanti al Quirinale per intercettarli durante il loro ultimo viaggio verso la galera burocratica dei musei italiani (sempre che, com’è ovvio che sia, non siano già ora in gestione a un ente pubblico).

Il governo, interrogato sulla questione, ha recentemente confermato ufficialmente il ruolo e i poteri operativi di questa legge. Nella stessa dichiarazione, il sottosegretario ai beni culturali Andrea Marcucci ha chiarito incontrovertibilmente che anche la “Libertà di panorama” in Italia non esiste. 

Riassumendo: non solo non è possibile fotografare le moderne opere architettoniche pubbliche, non è nemmeno possibile fotografare quadri e sculture di qualsiasi epoca presenti nel territorio italiano.

In una società sempre più pervasa dalla tecnologia e dall’immediatezza di comunicazione, dove la maggioranza delle informazioni viene acquisita online, l’Italia si chiude dietro a leggi burocratiche e farraginose che stanno facendo scomparire tutta la sua arte dal Web: coi danni che questo comporterà nel breve ma soprattutto nel lungo termine.

E ora c’è già chi pensa che le opere trafugate stessero molto meglio nei musei che, fino ad oggi, le hanno esposte molto più liberamente.

 

Fonte Prima comunicazione 21,12,07

Luca Spinelli

luca.spinelli@deandreis.it


Mar 12 2009

Il Comitato italiano antipirateria

Category: Informatica,Media e informazionegiorgio @ 06:19

Roma – Continua la strana storia, tutta italiana, di quel decreto del Presidente del consiglio (DPCM 15 settembre 2008) che istituisce presso le istituzioni un “Comitato tecnico contro la pirateria digitale e multimediale”. Tale decreto è in vigore già da quasi due mesi, come annunciato dalla Gazzetta Ufficiale. Tuttavia se ne sa ancora molto poco.

Proseguono, intanto, le voci di critica e perplessità avanzate da varie associazioni, voci già raccolte nelle settimane scorse da Punto Informatico.

Dopo un’indagine online, però, siamo finalmente riusciti a trovarne una copia sul sito del governo. Poiché abbiamo a disposizione il testo, facciamo un’analisi critica del Decreto che istituisce il Comitato, riassumendo le parti salienti.

L’articolo 1 del decreto definisce i compiti del “comitato antipirateria”, ovvero:

a) coordinamento delle azioni per il contrasto del fenomeno;

b) studio e predisposizione di proposte normative;

c) analisi e individuazione di iniziative non normative, ivi compresa anche la eventuale stipula di appositi codici di condotta e di autoregolamentazione.

Oltre ad attività di tipo repressivo, perciò, tra i compiti del comitato non sembra prevista alcuna forma di studio o indagine né sul fenomeno della pirateria in sé, né sulle dinamiche della rete, né per la proposta di soluzioni deterrenti alternative alla semplice repressione (come per esempio il supporto della vendita di musica tramite canali legali). 

Ciò significa che il comitato agirebbe e lavorerebbe strettamente con un ottica repressiva o, nei casi migliori, etico/moralizzatrice (tramite il punto c). 

L’articolo 2 stabilisce chi sono i membri di detto comitato:

a) il segretario generale della presidenza del consiglio dei ministri, in qualità di coordinatore

b) il capo di gabinetto del ministero dei beni e attività culturali, in qualità di vice coordinatore

c) sei capi di gabinetto dei principali ministeri

i) il presidente della SIAE

j) due rappresentanti della presidenza del consiglio dei ministri

k) due rappresentanti del ministro per i beni e le attività culturali

l) due esperti del settore, nominati dal presidente del consiglio dei ministri d’intesa col ministro per le attività culturali

Molti rappresentanti delle istituzioni ma nessun membro indipendente, nessun membro delle associazioni dei consumatori, di quelle dei provider, nessun membro della società civile né della cultura, né dell’imprenditoria. 

Come se al tavolo per discutere il futuro della carta stampata italiana sedessero solo il ministro per i beni culturali e un “esperto” da lui stesso nominato. 

Infatti, gli unici due “esperti del settore” presenti nelle file del comitato dovranno essere nominati da Silvio Berlusconi in accordo con Sandro Bondi. 

Soggetti di cui almeno uno dei due non è proprio un profondo conoscitore del mezzo (come da lui stesso rivelato in una recente intervista).

L’articolo 3 indica le modalità di funzionamento del comitato. In particolare:

2. il comitato svolge audizioni, anche pubbliche, di esponenti delle categorie, associazioni, enti dei settori interessati.

3. si avvale di un proprio indirizzo internet per avviare una consultazione pubblica con le categorie interessate, con gli utenti del settore e con i cittadini.

Sebbene il proposito di svolgere audizioni pubbliche e di sfruttare un proprio indirizzo internet per la comunicazione con gli utenti e i cittadini sia confortante, mancano indicazioni chiare su come tale consultazione avverrà, su quale sia l’indirizzo internet cui fare riferimento (probabilmente questo), e soprattutto sulla effettiva considerazione che queste non meglio precisate “consultazioni” avranno in sede di decisione. Manca, in sostanza, un’auspicabile e fondamentale comunicazione trasparente.

In attesa di ulteriori e attesi chiarimenti dal governo, un sentimento di preoccupazione è diffuso: attualmente, infatti, ci troviamo di fronte ad un nutrito comitato ministeriale il cui unico e monotematico compito è la lotta alla pirateria. 

Un comitato composto da soli membri del governo e della SIAE: soggetti che, a prescindere da quale sia la propria opinione in materia di pirateria, difficilmente rappresentano tutti i movimenti vivi nel variegato mondo della cultura e della Rete.

Ebbene: quale autorità ha un comitato così composto per redigere codici etici e deontologici in totale autonomia sulla gestione di un fenomeno estremamente complesso come quello della pirateria? 

Quale reale utilità democratica può avere un tavolo di discussione al quale non sono invitati buona parte dei soggetti in causa se non per prendere il dolce (ovvero tramite le non precisate “audizioni”)? Quale senso ha un comitato formato per redigere leggi sul Web senza neppure alcun membro del ministero delle comunicazioni o del dipartimento per l’innovazione tecnologica?

È da tempo noto l’apprezzamento delle istituzioni italiane verso la cosiddetta “dottrina Sarkozy” in materia di pirateria. La dottrina francese, lo ricordiamo, prevede l’avvertimento graduale dell’utenza che viola il diritto d’autore fino a giungere a un distaccamento della connessione.

Il Comitato antipirateria istituito presso il Consiglio dei ministri, perciò, come preconizzato da alcuni, parrebbe sempre più il primo passo verso l’introduzione anche in Italia di una norma con gli stessi intenti (pur se già bocciata in sede europea).

In una società in cui il Web ha una rilevanza sempre più fondamentale nelle attività di tutti i giorni, secondo alcuni legislatori il diritto alla tutela dell’autore sembrerebbe quindi più importante di quei diritti fondamentali che la Rete stessa garantisce. Un po’ come se per punire chi ha detto una parolaccia gli si tagliasse la lingua.

 

Fonte: srs di Luca Spinelli