Mar 20 2009

ALCE NERO

Category: Chiesa Cattolicagiorgio @ 22:22

 

Nella primavera del 1931 lo scrittore John G. Neihardt raccolse da Alce Nero un lunghissimo racconto, che trent’anni più tardi, nel 1960, pubblicò con il titolo di Alce Nero parla. Vita di uno stregone dei sioux Oglala. La narrazione di Alce Nero non riguardava solo le sue vicende personali, ma si intrecciava con la storia del suo popolo in guerra con i bianchi e con le sue visioni, che lo accompagnavano fin dall’età di nove anni. Come egli stesso affermava, non è la vicenda di un uomo che merita di essere raccontata, ma “è la storia di tutta la vita che è santa e buona da raccontare, e di noi bipedi che la condividiamo con i quadrupedi e gli alati dell’aria e tutte le cose verdi”.

Il libro divenne un caso editoriale, il caso dello sciamano indiano in lotta contro l’invasore bianco. In realtà Alce Nero non era affatto come era stato presentato. Al contrario, lo sciamano Lakota si era convertito ancor giovane alla fede cristiana e, al momento della lunga intervista di Neihardt, era diventato un catechista, un evangelizzatore a tempo pieno.

Un reale profilo di Alce Nero fu tratteggiato da Michael Steltenkamp (1989), che dimostrò come, al tempo dell’intervista con Neihardt, Alce Nero era da 25 anni un catechista Lakota, e lo sarebbe stato fino alla morte, nel 1950. Steltenkamp sostiene che Neihardt manipolò i testi originali per far passare la sua tesi sugli indiani “ribelli” al dominio dei bianchi.
Neihardt aveva nascosto che nel 1934 Alce Nero aveva sconfessato l’intervista concessa allo scrittore: “Ascoltate, dico parole vere. Un uomo bianco ha scritto un libro e ha raccontato quello che io avevo detto dei vecchi tempi, ma ha tralasciato i tempi nuovi. Perciò parlo nuovamente. Da trent’anni a questa parte sono un uomo diverso da quello che l’uomo bianco ha descritto. Io sono un cristiano. Sono stato battezzato trent’anni fa da un tonaca-nera chiamato Piccolo Padre. Trent’anni fa io ero un indiano tradizionale e avevo qualche conoscenza del Grande Spirito, Wakan Tanka. Ero orgoglioso, forse ero coraggioso, forse ero un buon indiano, ma adesso sono migliore. Anche San Paolo diventò migliore quando si convertì. Adesso so che la preghiera della Chiesa cattolica è migliore della preghiera della Danza degli Spiriti”.

Steltenkamp raccolse anche la testimonianza della figlia di Alce Nero, Lucy Looks Twice, che gli confermò che il padre: non parlava mai delle vecchie usanze. Era convinto che la sua grande visione, la Danza del Sole e tutte le cerimonia indiane, fossero connesse con il cristianesimo. Diceva che i Lakota erano come gli israeliti, come gli ebrei, che aspettavano Cristo.

 

Fonte: Wikipedia


Mar 20 2009

AREZZO

Category: Pensieri e parolegiorgio @ 22:08

Acquerello di Aurora Ziviani

ALLEGRIA

RADIOSO

ELEGANTE

ZEFIRO

ZITTO

ONDEGGIA


Mar 20 2009

Verona: In piazza Cittadella antico ramo dell’Adige

Category: Verona archeologia e paleontologiagiorgio @ 17:04

VIABILITÀ E ARCHEOLOGIA. Gli scavi hanno riportato alla luce dei manufatti travolti dalla celebre piena del 589

Si fa strada l’ipotesi che si tratti di fondamenta che furono divelte durante la rotta della Cucca

di Giancarlo Beltrame

 

Aprono la strada a ipotesi suggestive i reperti archeologici rinvenuti a cinque metri sotto il livello del suolo durante gli scavi per il parcheggio sotterraneo di piazza Cittadella. Essi segnalerebbero, infatti, la presenza sul posto di un ramo dell’Adige, utilizzato dai romani come canale di esondazione in caso di piena, che sarebbe però stato travolto da una tracimazione così violenta da travolgere e rovesciare anche protezioni massiccie come quelle venute alla luce duranti i lavori. E nella storia antica solo una piena fu così disastrosa, la celebre rotta della Cucca, dell’ottobre 589, raccontata da Paolo Diacono nella sua Storia dei Longobardi, che cambiò addirittura il corso del fiume nella pianura veronese. 

«In quel tempo», racconta lo storico medievale, «vi fu un diluvio nel Veneto e nella Liguria e in altre zone dell’Italia quale si ritiene non vi sia stato dai tempi di Noè. Terreni e fattorie divennero laghi e fu grande la strage sia di uomini che di animali. I sentieri furono distrutti, le vie scomparvero, e il fiume Adige crebbe tanto che, intorno alla basilica del beato Zeno martire, fuori delle mura della città di Verona, l’acqua arrivò alle finestre alte, sebbene, come scrisse anche il beato Gregorio, divenuto poi papa, non entrasse affatto nella basilica. Anche le mura di Verona furono abbattute in alcuni punti da questa inondazione che si verificò il 17 ottobre».

L’ipotesi è sposata da Giorgio Vandelli, dell’Archeoclub di Verona, che pensa a un ramo del fiume che da San Massimo giungesse sino a Porta Palio, per proseguire poi lungo la Valverde sino a San Luca, dove sarebbe avvenuta la tracimazione che avrebbe riversato l’acqua nella città, trasformata così in un’isola i cui abitanti erano di fatto prigionieri, travasandola poi anche nella vicina piazza Cittadella da dove sarebbe scesa verso la pianura.

«Se così fosse», dice Vandelli, «troverebbero fondamento quelle ricostruzioni storiche che parlano di una rete stradale antica molto più articolata di quanto si pensasse, con l’attuale corso Porta Nuova in corrispondenza della via Postumia, che avrebbe quindi seguito un percorso più alto a quello successivo di circa un paio di secoli di via Albere. Questo sarebbe stato reso possibile perché ci sarebbero stati da parte dei romani dei colossali lavori idraulici, la cui traccia è andata persa nel tempo, per il controllo del corso dell’Adige. Infine, si potrebbe persino anticipare la fondazione della Verona romana».

La risposta a queste che, per quanto suggestive, restano finora delle ipotesi, spetta a Giuliana Cavalieri Manasse, della Soprintendenza, che ieri pomeriggio era proprio sul bordo dello scavo a osservare i reperti riportati alla luce, che testimoniano quanto importanti possano essere gli antichi sassi sepolti sotto terra.

 

Fonte srs di Giancarlo Beltrame da L’Arena di  Venerdì 20 Marzo 2009 CRONACA,     pagina 7


Mar 20 2009

Basta “spegàssi” Verona si guarda ma non si tocca

Category: Verona dei veronesigiorgio @ 14:06

da “La posta della Olga” di Silvino Gonzato

“La tanto attesa conferenza dal titolo “Come Maria Walewska ha fatto cornuto il vecchio conte Attanasio” che il ragionier Dolimàn avrebbe dovuto tenere al baretto con proiezione di diapositive” scrive la Olga ” è stata rinviata perché, come ha detto l’oratore, ubi maior minor cessat, dove il maior è la millenaria césa dei Santi Apostoli che sta cadendo nel buso che ci hanno scavato davanti per costruire un parcheggio per le auto di pochi siori e il minor è sempre la césa che, a quanto pare, viene considerata meno importante della frégola dei siori di avere l’auto sotto casa.

Dopo il prologo del cavalier Osoppo che ha parlato delle crepe apertesi nel sacello delle sante Teuteria e Tosca, crepe in cui ormai “se pol infilàrghe la testa e se te scàpa dentro un butìn no te lo trovi più”, e lo sprologo del Bocaònta che el tira siràche anche per difendere i santi, il ragionier Dolimàn, parlando in dialetto latino, ha detto quello che tutti noi pensiamo”.

“E cioè che è ora di finirla di considerare Verona una città come tante altre dove si può sbusàre dappertutto che tanto non succede niente e, al massimo, si trova l’acqua (mai el vin), perché la nostra è una città da guardare e non toccare come la Beresina quando nella cantina del baretto fa la lap-dance (il palo lo interpreta di solito el Pèrtega che l’è magro come el mànego de la scoa) per i pensionati e l’oste Oreste el smòrsa la luce sul più bèlo. Qui dove (ubi) si tocca si fa uno spegàsso (spegàssum) e gli amministratori, dopo averci sbattuto il muso mille volte, dovrebbero aver imparato la lezione e sapere che al minimo scorlamento prodotto da un martello pneumatico (figurati una ruspa) succede che nelle tante cése o ghe rùgola zo dai brassi el Butìn a ‘na Madona o ghe se stàca el pesse dal baston de San Zen o ghe scàpa de man la lancia a San Giorgio o ghe scapa via el cagnéto a San Rocco”.

“E invece no i ga capìo un’ostia. Continuano a sbusàre e a programmare altri busi per sistemare le auto dei siòri che si fanno i pertinenziali, che vuol dire saltare direttamente dal water al sedile dell’auto, e senza risolvere il problema del traffico, obbligando tutti, siori, meno siori e poaréti, a lasciare l’auto fuori dalla città, in parcheggi pubblici da costruire dove è possibile come all’Arsenale dove invece si vogliono fare altre cose. Il dialetto latino non è difficile da capire perché è quasi uguale al dialetto del nostro dialetto. Dalle crepe delle cése si è passati alle crepe del poeta Birbarelli causate dalle vibrazioni del rasoio elettrico”.

 

Fonte:  srs Silvino Gonzato,  da L’Arena di Verona Venerdì 20 Marzo 2009, CRONACA, pagina 8


Mar 20 2009

Verona Chiesa Santi Apostoli, il cantiere «sorvegliato speciale»

 

Lo scavo per il parcheggio pertinenziale davanti alla chiesa dei Santi Apostoli FOTO MARCHIORI

LA CHIESA DANNEGGIATA. Si alza l’attenzione del Comune. La Sovrintendenza sistemerà la tela del Brentana

Tosi: «Se a causare le crepe sono gli scavi, stop ai lavori» E Di Dio stanzia 35mila euro per restaurare tetto e volte

Enrico Giardini

 

Crepe sui muri del sacello della santa Teuteria e Tosca sotto la chiesa dei Santi Apostoli, il Comune eserciterà un monitoraggio costante con i propri tecnici sullo stato del tempietto (risalente al 751) e sugli scavi per il parcheggio interrato in fase di costruzione nella piazzetta Santi Apostoli, per verificare se dall’escavazione possano o meno dipendere danni alla struttura.

«L’intervento è di un privato ed è stato autorizzato dalla scorsa amministrazione», spiega il sindaco Flavio Tosi, «e comunque verificheremo se c’è una correlazione fra danni e lavori del parcheggio.  Se appureremo che ce ne sono dovremo fermare il cantiere».

Intanto, con un emendamento al bilancio, l’assessore ai lavori pubblici, Vittorio Di Dio, ha destinato 35mila euro al parroco dei Santi Apostoli, monsignor Ezio Falavegna, affinché possano partire in tempi rapidi i lavori per restaurare e consolidare la parte interna del tetto e le volte della chiesa, parzialmente ceduti da quasi tre anni. I danni sono stati causati dal fatto che le due strutture lignee di sostegno della copertura, cedendo, hanno gravato sulle volte, facendo quindi cadere calcinacci all’interno della chiesa. Per evitare che ne cadano ancora a terra sono già stati attaccati ai muri una rete e un telo.

Esiste già un progetto di restauro e consolidamento del tetto e delle volte approvato dalla Sovrintendenza ai Beni architettonici, a cui si è sensibilizzato anche Massimo Raccosta, amministratore della Technital, la società di costruzioni che assiste il parroco nell’iter di restauro.

Grazie al finanziamento stanziato dal Comune e a quanto verrà raccolto nella sottoscrizione pro restauri alla chiesa dei Santi Apostoli lanciata dal Comune, sarebbe quindi possibile intervenire con una certa celerità. Anche perché, preoccupato per l’agibilità della chiesa, il parroco don Falavegna non ha escluso di poterla chiudere alle celebrazioni.

«Ma chiudere la chiesa sarebbe una sconfitta», spiega Di Dio, «perché privare i fedeli della possibilità di entrare in una chiesa splendida e di visitare il sacello delle sante Teuteria e Tosca significa rinunciare a un pezzo di cultura e storia della città, che devono venire prima di qualsiasi nostra comodità, come un parcheggio. Faremo ogni sforzo quindi per evitare che sacello e chiesa subiscano ulteriori danni. Ora però, con il finanziamento, i restauri del tetto potranno partire». Intanto la Sovrintendenza ha già stanziato soldi per restaurare la tela del Brentana, sull’altar maggiore.

 

Fonte: srs di Enrico Giardini da L’Arena di Verona Venerdì 20 Marzo 2009, CRONACA, pagina 8


Mar 20 2009

Verona: Ma i veri santi in questa città hanno le ruote

Category: Verona dei veronesigiorgio @ 07:40

«Di ritorno dal ristorante “Dal Ciupa”, due stelle Codeghìn (era l’anniversario del diploma del ragionier Dolimàn che ha invitato gli amici del baretto i quali però hanno dovuto pagare ognuno per sé e tutti per lui e signora)» scrive la Olga «abbiamo fatto una sosta per vedere la chiesa dei Santi Apostoli prima del crollo, dato per sicuro se si continuerà a scavarle davanti per fare il parcheggio. E già che c’eravamo, abbiamo dato ’n’ociàda, forse l’ultima, anche alle case della piazzetta che saranno coinvolte dal crollo della césa se non cascheranno prima. Il cinese Tan detto Tano, che guidava il pulmino del baretto, è andato ad aspettarci al di là del ponte de l’Àdese perché ha detto che le vibrazioni delle ruspe potevano crepare la marmitta e i specéti retrovisori. In realtà non voleva entrare in cèsa per paura che qualche santo gli cascasse sulla testa, dato che i santi, quando decidono di cascare, potrebbero scegliere le persone da colpire tra i devoti di altre religioni, tra cui quella cinese di cui ha la tessera il Tano».

«Abbiamo visto le crepe nei muri e ci siamo fatti il segno della croce con tutte due le mani. Il cavalier Osoppo, avendo un braccio al collo, se n’è fatto metà che, comunque, equivale a uno intero. Ci siamo chiesti in quale altra città sante come Teuteria e Tosca, le sante del sacello, sarebbero state sacrificate a santa Mercedes e a santa Audi e in quale altra città se ne sarebbero sbattuti dei santi apostoli fino al punto da farci un buso così fondo a pochi metri dalla loro césa che da quando sono cominciati i lavori l’è tuta un tremàsso. Prima vengono le auto e i parcheggi pertinenziali dove ci mettono le auto i siòri, e poi vengono le cèse, i santi e le Madonne».

«Una vecéta inginocchiata su un banco ci ha detto che da domenica prossima per chi entra in césa è obbligatorio il casco da cantiere e che è meglio vedere tutti i fedeli col casco che sentire un mòcolo a ogni calsinàsso che casca. Il mio Gino ha convenuto che in césa i mòcoli non si tirano ma si impìssano. Il fascista Trisorco ha detto che forse si può ancora rimediare stupàndo tutto, come è stato fatto in piazza delle Poste dove però il tremàsso era venuto alle rovine romane che, appunto perché rovine, meritano rispetto, «come mia moglie Nerina».

Uscendo dalla cèsa ci siamo resi conto che in questa città i veri santi sono quelli che hanno le rùe. Eccola lì «santa Cayenne» ha detto il Vittorino indicandoci un grosso catafalco nero. «Sta calmo, l’è un santo» ha detto il mio Gino al Tano che ostiava perché non riusciva a mettere in moto il pulmino».

 

Fonte: La posta della Olga di di Silvino Gonzato da L’arena di Verona di Giovedì 19 Marzo 2009, Cronaca pagina  9


Mar 20 2009

Verona: Emergenza Santi Apostoli. può cedere anche il tetto

 

LA CHIESA DANNEGGIATA. Non sono solo le crepe del sacello a preoccupare. Don Falavegna: «Urgente trovare i fondi»

Il parroco deve affrontare il problema dell’agibilità, la copertura è a rischio dopo il cedimento del 2006

 

Non ci sono solo i problemi del sacello delle sante Teuteria e Tecla a far dormire sonni poco tranquilli al parroco dei Santi Apostoli don Ezio Falavegna. Oltre alle crepe che si sono aperte (o allargate, a seconda dei punti di vista) nel tempietto del 751, il più antico del Veneto secondo alcuni studiosi, il sacerdote si trova ad affrontare l’agibilità stessa della chiesa parrocchiale, messa a repentaglio da un cedimento strutturale del tetto, che in caso di eventi meteorologici straordinari (ma non troppo), come una abbondante nevicata o una tempesta estiva particolarmente forte, potrebbe cedere.

Ed era stato proprio il fortunale dell’estate 2006 a provocare il cedimento.

«La copertura della chiesa», ha spiegato il professor Franco Lollis, presidente della Società delle Belle Arti e curatore architettonico dei due attigui edifici sacri, «è stata attuata in due fasi. C’è un tetto più antico, con la classica struttura a capriate triangolari, tipica delle chiese romaniche, che si appoggiano trasversalmente sulle pareti laterali e reggono la copertura. Su queste capriate, in epoca successiva, sono stati agganciati, da sotto, due lunghi travi, con il compito di sostenere il nuovo soffitto decorato. L’usura del tempo sulla parte lignea ha ora fatto sì che le due strutture di sostegno, che erano distinte, venissero a contatto, gravando in tal modo con tutto il loro peso sulle volte, che nel 2006 hanno ceduto parzialmente, facendo cadere molti calcinacci dell’intonaco».

L’allora parroco, monsignor Adriano Vincenzi, chiuse immediatamente la chiesa, riaprendola con molta prudenza dopo alcuni giorni. Successivamente fu stesa sopra l’intera navata dell’edificio una larga – e orrenda, a onor del vero – rete che sorregge un telo di plastica destinato a raccogliere eventuali calcinacci che dovessero ancora staccarsi, a protezione dei fedeli.

«Il problema», dice don Falavegna, «è reperire i fondi necessari a un lavoro più che mai necessario».

L’ingegner Massimo Raccosta, della Technital, la società che sta costruendo il parcheggio nell’attigua piazzetta, si è sensibilizzato al restauro, per il quale, ha riferito Lollis, c’è già un progetto approvato dalla Soprintendenza ai Beni architettonici, che potrebbe procedere abbastanza celermente una volta trovati i soldi per coprire le spese dell’intervento di sistemazione della chiesa consacrata nel 1194 dal vescovo Adelardo, dopo che la precedente era stata distrutta da un terremoto (altro evento che potrebbe avere conseguenze nefaste su un tetto così malmesso).

L’edificio, che ha subito vari rimaneggiamenti nel corso della storia, l’ultimo dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale, che l’avevano parzialmente danneggiata, contiene alcune opere d’arte assai pregevoli, come il «Sant’Agostino in meditazione» del periodo romano dell’Orbetto, l’«Adorazione dei Magi» di Felice Brusasorci, la «Pentecoste» di Simone Brentana o l’affresco «Cristo con la croce e san Rocco» del Giolfino, recentemente restaurato, assieme a quello della «Santissima Trinità» nell’altra cappella votiva ai lati dell’altare, per iniziativa del Lions Club Cangrande. (G.B.)

 

 

Fonte: L ’Arena di Verona di Giovedì 19 Marzo 2009,  CRONACA, pagina 9