VIABILITÀ E ARCHEOLOGIA. Gli scavi hanno riportato alla luce dei manufatti travolti dalla celebre piena del 589
Si fa strada l’ipotesi che si tratti di fondamenta che furono divelte durante la rotta della Cucca
di Giancarlo Beltrame
Aprono la strada a ipotesi suggestive i reperti archeologici rinvenuti a cinque metri sotto il livello del suolo durante gli scavi per il parcheggio sotterraneo di piazza Cittadella. Essi segnalerebbero, infatti, la presenza sul posto di un ramo dell’Adige, utilizzato dai romani come canale di esondazione in caso di piena, che sarebbe però stato travolto da una tracimazione così violenta da travolgere e rovesciare anche protezioni massiccie come quelle venute alla luce duranti i lavori. E nella storia antica solo una piena fu così disastrosa, la celebre rotta della Cucca, dell’ottobre 589, raccontata da Paolo Diacono nella sua Storia dei Longobardi, che cambiò addirittura il corso del fiume nella pianura veronese.
«In quel tempo», racconta lo storico medievale, «vi fu un diluvio nel Veneto e nella Liguria e in altre zone dell’Italia quale si ritiene non vi sia stato dai tempi di Noè. Terreni e fattorie divennero laghi e fu grande la strage sia di uomini che di animali. I sentieri furono distrutti, le vie scomparvero, e il fiume Adige crebbe tanto che, intorno alla basilica del beato Zeno martire, fuori delle mura della città di Verona, l’acqua arrivò alle finestre alte, sebbene, come scrisse anche il beato Gregorio, divenuto poi papa, non entrasse affatto nella basilica. Anche le mura di Verona furono abbattute in alcuni punti da questa inondazione che si verificò il 17 ottobre».
L’ipotesi è sposata da Giorgio Vandelli, dell’Archeoclub di Verona, che pensa a un ramo del fiume che da San Massimo giungesse sino a Porta Palio, per proseguire poi lungo la Valverde sino a San Luca, dove sarebbe avvenuta la tracimazione che avrebbe riversato l’acqua nella città, trasformata così in un’isola i cui abitanti erano di fatto prigionieri, travasandola poi anche nella vicina piazza Cittadella da dove sarebbe scesa verso la pianura.
«Se così fosse», dice Vandelli, «troverebbero fondamento quelle ricostruzioni storiche che parlano di una rete stradale antica molto più articolata di quanto si pensasse, con l’attuale corso Porta Nuova in corrispondenza della via Postumia, che avrebbe quindi seguito un percorso più alto a quello successivo di circa un paio di secoli di via Albere. Questo sarebbe stato reso possibile perché ci sarebbero stati da parte dei romani dei colossali lavori idraulici, la cui traccia è andata persa nel tempo, per il controllo del corso dell’Adige. Infine, si potrebbe persino anticipare la fondazione della Verona romana».
La risposta a queste che, per quanto suggestive, restano finora delle ipotesi, spetta a Giuliana Cavalieri Manasse, della Soprintendenza, che ieri pomeriggio era proprio sul bordo dello scavo a osservare i reperti riportati alla luce, che testimoniano quanto importanti possano essere gli antichi sassi sepolti sotto terra.
Fonte srs di Giancarlo Beltrame da L’Arena di Venerdì 20 Marzo 2009 CRONACA, pagina 7