La posterla romana
VERONA — Riaffiorano i «segreti» storici negli scantinati di Casa De Stefani, sede un tempo di una casa farmaceutica, posta tra via Leoncino, dove dà la facciata principale, e vicolo Sant’Andrea. Un palazzo monumento, dove si racchiude una storia che va dall’età romana fino al ‘900.
Da tre anni si scava nelle cantine perché ciò che sta emergendo è una postierla romana, ovvero una porta secondaria di accesso alla città. «Ne abbiamo trovate altre tre nella cinta municipale di Verona spiega Giuliana Cavalieri Manasse, direttore del nucleo operativo di Verona della Soprintendenza Archeologica del Veneto – una in corte Farina, una in via Mazzini e una in via San Cosimo, ma nessuna così ben conservata».
Lo studio è ancora in corso, ma Giuliana Cavalieri Manasse spiega l’importanza del ritrovamento: una porta che dapprima sembrava solo un accesso pedonale alla città, ma che con l’avanzare dei lavori si è rivelata ben più complessa, con due fornici laterali più piccoli riservati ai pedoni e un grande fornice centrale di tre metri di ampiezza adatto al passaggio dei carri. A base quadrata, si alzava come una torre tra le mura. Struttura che si intravede ancora nella sagoma del palazzo. Il fornice centrale è posto a cavallo di un cardo il cui basolato è ancora perfettamente conservato. Lungo il perimetro murario che correva sulla traiettoria di via Leoncino, la porta era la prima uscita dalla città verso la campagna alla destra della ben più monumentale Porta Leoni.
Un ritrovamento, quello della porta a tre archi, che si colloca tra i tanti che lo Stato non riesce a finanziare e che Stato ed Enti Locali non hanno le risorse per valorizzare. Dopo i primi contributi allo scavo dello Stato, le indagini archeologiche sono state finanziate dai proprietari dell’edificio, che commentano: «Se qualcuno ama definire questi resti solo quattro sassi, e preferirebbe buttarli in padella, la nostra famiglia, anche chi non è direttamente implicato nella proprietà, ha preferito investire, non solo economicamente, per salvaguardare questi ritrovamenti ». Si ma poi qual è il destino per questi tesori sommersi?
Giuliana Cavalieri Manasse ha intascato quest’anno zero euro dal ministero per l’archeologia veronese e nutre poche speranze sui fondi richiesti per la realizzazione del Museo Archeologico a San Tomaso, nel quale dovrebbe trovare valorizzazione il lavoro di scavo e soprattutto di ricostruzione del Campidoglio durato più di vent’anni e presentato proprio ieri.
I lavori vanno avanti grazie al sostegno della Fondazione Cariverona o, in rari casi, di privati illuminati.
E il Comune, che dalla valorizzazione di questi tesori potrebbe trarre grande giovamento?
«E’ doveroso e auspicabile dice l’assessore ai Lavori Pubblici Vittorio Di Dio che sostiene l’ipotesi di creare un museo della Verona sotterranea che il Comune recuperi risorse e collabori in maniera continuativa con la Soprintendenza per la valorizzazione delle aree di scavo e per altri progetti di musealizzazione dei resti recuperati. Con quanto si è trovato sotto l’Arena, sotto corte Sgarzerie e in altre zone di Verona si può costruire un circuito di grande valore e di grande attrattiva turistica. Sarà mio impegno organizzare un incontro su questi temi appena possibile».
Fonte: srs di Camilla Bertoni; Corriere del Veneto 29/04/2009