Viktor SUVOROV
La storia non è quella dei vincitori
Il 22 giugno 1941 le truppe tedesche di Hitler, in un’estrema reazione per prevenire l’attacco di Stalin, invadono l’Unione Sovietica, e bloccano l’invasione dell’Europa.
Intervista di M. Quadri a Viktor SUVOROV al secolo Vladimir Rezun agente del Servizio Segreto Militare (GRU) dell’Unione Sovietica.
Tratta da: La Nuova Europa, n. 1, 2001.
SECONDA GUERRA MONDIALE STORIA E BATTAGLIE
Stalin e l’invasione di Hitler
2001- Nel giugno di quest’anno si compiranno sessant’anni da quel drammatico 22 giugno 1941 in cui le truppe tedesche invasero l’Unione Sovietica, dando alla guerra una svolta fatale per il nazismo, e creando involontariamente il cliché della “lotta antifascista” guidata dal socialismo.
Su questa guerra non è stato ancora scritto tutto: troppe reputazioni da difendere, da una parte e dall’altra, hanno contribuito a tenere nascosti molti fatti anche essenziali.
L’interpretazione della guerra di cui disponiamo è quella manichea dei vincitori; per questo, a sessant’anni di distanza, siamo ancora intenti a scavare negli avvenimenti nascosti, grazie al fatto che poco alla volta cadono alcuni divieti.
Un contributo originale in questo senso è stato dato da uno scrittore russo, Viktor Suvorov, ex funzionario dei servizi segreti militari sovietici e storico autodidatta, è uscito anche in Italia il suo primo libro su Stalin e la seconda guerra mondiale, “Stalin, Hitler. La rivoluzione bolscevica mondiale”.
Il libro sostiene una tesi a dir poco rivoluzionaria: l’attacco a sorpresa di Hitler all’Unione Sovietica nel 1941 fu in realtà un’estrema reazione per prevenire l’attacco di Stalin.
Una simile tesi comporta un vero ribaltamento della storiografia del ‘900, che normalmente considera l’opposizione antifascista dell’URSS socialista (e la lotta antifascista della sinistra in genere) come il nodo cruciale del XX secolo.
Se veramente Stalin si preparava a invadere l’Europa, significa che la sua opposizione a Hitler era solo strumentale, in vista del più ampio scontro con le democrazie dell’Europa occidentale.
La tesi di Suvorov è dunque di quelle che suscitano polemiche infuocate.
Viktor Suvorov è lo pseudonimo di Vladimir Bogdanovich Rezun, nato nel 1947, figlio di un ufficiale dell’Armata Rossa.
Ha compiuto studi militari all’Accademia Suvorov e alla Scuola militare superiore di Kiev.
Dopo aver partecipato all’invasione della Cecoslovacchia nel ’68, nel 1970 è entrato nel GRU (i servizi segreti militari) e in questa veste ha risieduto a Ginevra dal 1974 al 1978.
Quello stesso anno ha chiesto asilo politico in Inghilterra ed è stato condannato a morte in Unione Sovietica.
Ha scritto diversi libri sulla vita nell’esercito e sull’intelligence sovietica.
Ma ha raggiunto la fama con la serie di libri (già cinque) sul problema della guerra fra Hitler e Stalin.
In Russia i suoi libri hanno venduto 4 milioni di copie; grande successo hanno avuto anche in Germania, Polonia, Bulgaria, Inghilterra e Francia. In Italia è appena uscito il primo volume della serie, che in russo s’intitola “La rompighiaccio”.
Per cercare di ricostruire la vicenda delle sue ricerche, ci dica quando ha visto la luce per la prima volta il libro.
Nel 1981 il libro era già pronto per la stampa, ma allora non trovai un editore, erano ancora i tempi di Brezhnev.
Con l’inizio della perestrojka capii che era venuto il mio momento e incominciai a pubblicare degli stralci su varie riviste.
Ad esempio il settimanale “Russkaja mysl'” di Parigi ne pubblicò alcuni capitoli nel 1985.
Ma il libro completo è uscito solo nel 1989 in Germania; in Russia è stato pubblicato nel 1992.
La prima tiratura era molto limitata (320.000 copie) ma la seconda ha raggiunto i due milioni. E poi ci sono state altre edizioni.
Il libro ha provocato molte reazioni in Russia?
Tantissime. A casa ho 16 metri cubi di lettere da parte dei lettori.
Sono molto orgoglioso del fatto che mi scrivano per confermare la mia tesi; moltissime lettere, oltre che dalla Russia, provenivano anche dalla Germania.
In questo modo mi sono trovato in possesso del più grosso fondo di manoscritti sulla seconda guerra mondiale esistente oggi; sono testimonianze di ex militari o dei loro figli, che hanno affidato le proprie memorie a me e non ai centri di ricerca.
La reazione in Russia è stata enorme; il libro ha avuto più di tremila recensioni, da quelle osannanti a quelle assolutamente negative.
Alcuni dicevano che ho completamente ragione e che non c’è niente da discutere.
Altri dicevano che copro di fango la mia patria, che è inutile rivangare cose così spiacevoli.
Ma io penso che quando si scrive di storia non ha alcuna importanza che sia piacevole o spiacevole; se teniamo conto di quello che piace o non piace, di quel che serve o non serve, immediatamente usciamo dall’ambito della storia ed entriamo in quello della propaganda.
Non mi considero uno storico, io semplicemente cerco di fare chiarezza su ciò che è successo.
Il mio unico criterio è quello di scoprire se una cosa è vera oppure no, se si tratta di un fatto o di un’invenzione.
Io ho usato solo fonti accessibili; l’ho dichiarato sin dalla prima pagina: tutto quello che dico può essere verificato da chiunque sui giornali “Pravda” e “Krasnaja zvezda”, negli scritti di Lenin e Marx, nei discorsi di Stalin e dei nostri marescialli, Zhukov, Konev, Rokossovskij.
E’ tutto scritto nero su bianco. Io per principio non uso documenti segreti.
Alcuni giornalisti, proprio qui in Italia, hanno scritto che Suvorov ha accesso a materiali segretissimi, ma non possiamo essere sicuri che questi materiali esistano veramente.
In realtà io ho detto esplicitamente sin dalla prima pagina che non ho nessun documento segreto; chiunque può verificare tutto di persona.
Può dirci in breve da cosa è nato il suo interesse per questo argomento?
Il mio interesse è iniziato da alcune considerazioni molto semplici.
1941, inizia la guerra.
Hitler attacca e sbaraglia l’esercito regolare sovietico, 5 milioni di uomini. Il nostro esercito si sbanda immediatamente.
Noi sovietici abbiamo 24mila carri armati, Hitler ne ha solo 3.000.
In più i carri sovietici sono molto migliori di quelli tedeschi.
Eppure Hitler sgomina tutte queste forze in pochissimi giorni. E la nostra propaganda dice che siamo stati degli idioti, che non abbiamo saputo combattere, eccetera.
La cosa strana è che poi tutti questi idioti sono tornati capaci e hanno sconfitto Hitler, hanno vinto la guerra e hanno occupato Berlino, metà Europa e un pezzo di Asia.
Ma un idiota non può diventare intelligente.
Il maresciallo Zhukov nel ’41 è un incompetente e nel ’42 è il grande generale di Stalingrado.
Il fatto è che non si tratta di idiozia ma di qualcos’altro.
Un altro elemento ancora. La nostra propaganda aveva un ritornello costante: “tutto va per il meglio”.
La nostra agricoltura prosperava, il nostro esercito era il più forte, il nostro balletto era il migliore; persino i cataclismi naturali erano un segreto di Stato.
Questa regola ha una sola eccezione: sul 22 giugno del 1941 la nostra propaganda ha detto di tutto, che i nostri carri armati erano pessimi, che il nostro esercito era stato decapitato e non c’erano comandanti in capo competenti né buoni ufficiali; che i nostri aerei erano delle carrette e che insomma eravamo stati degli incapaci.
Quand’ero all’Accademia militare mi fu detto che non si doveva parlare né occuparsi della grande sconfitta sovietica subita nell’ottobre del 1941 nella regione di Kiev.
Nel 1942 c’era stato un altro rovescio militare presso Char’kov, e poi ancora in Crimea; inoltre nella primavera dello stesso ’42 il generale Vlasov con la II armata d’assalto fu preso in una sacca mentre cercava di liberare Leningrado e venne fatto prigioniero.
Su tutti questi episodi da noi non si è mai fatta parola.
Invece, della sconfitta del 1941 si davano anche i particolari: quanti aerei avevamo perso, quanti carri armati, eccetera.
Era su tutti i giornali.
Prendiamo ad esempio la battaglia di Stalingrado che pure ci ha visti vincitori: dove mai si è detto quante perdite abbiamo avuto? Era un segreto.
Invece le perdite del giungo 1941 non erano un segreto.
Come mai i fatti dell’ottobre ’41 erano stati nascosti, mentre quelli del giugno ’41 erano sbandierati in tutti i modi?
Tutto questo mi incuriosiva.
E finalmente ho intuito che il fatto di ripetere pubblicamente quanto eravamo stati stupidi era il classico atteggiamento di chi cerca di nascondere la propria responsabilità.
La nostra propaganda ha insistito sull’incompetenza di Stalin, dei generali e della truppa, sulla pessima qualità dei carri armati e degli aerei, per nascondere il progetto d’aggressione.
Per questo ho incominciato a interessarmi del problema e ho trovato diversi dati documentari.
Quando studiavo all’Accademia militare, ciascuno di noi doveva scrivere una tesina su qualche argomento riservato, perché gli insegnanti potessero giudicare se era adatto al lavoro di ricerca, all’insegnamento o a qualche altro impiego.
Io per distrarre l’attenzione ho trattato vari argomenti, ma poi mi sono scelto in particolare il tema dell’anno 1941.
Le informazioni le ho poi raccolte in una serie di libri (cinque in tutto), di cui quello uscito ora in italiano è solo il primo.
Per fare qualche esempio: ho trovato una carta militare tedesca della zona di confine, tracciata nel giugno 1941; dalla carta si può capire la distribuzione delle forze alla vigilia dell’invasione tedesca: a destra e a sinistra della linea di confine si osservano forti concentramenti di truppe, rispettivamente dell’Armata Rossa e della Wehrmacht.
Il concentramento delle truppe tedesche è comprensibile, visto che stanno per attaccare; ma quello delle truppe sovietiche?
Parecchi chilometri più a est del confine, dietro la linea di fortificazione sovietica, che si chiamava «linea Stalin», non ci sono truppe.
Nessuno difende queste fortificazioni, mentre tutto il nostro esercito sta sul confine.
Qui le fortificazioni senza esercito, dall’altra parte l’esercito senza fortificazioni.
Non sembra molto strategico.
I nostri aeroporti si trovano a ridosso del confine, a volte a 8-10 chilometri di distanza, il che vuol dire che basta un puntatore scelto tedesco per distruggere a cannonate gli aeroporti e il nostro stato maggiore.
In più negli aeroporti gli aerei stanno uno vicino all’altro, basta colpirne uno con una granata per farli saltare tutti (come di fatto è avvenuto).
Anche l’esercito è disposto in modo strategicamente illogico: ci sono concentrazioni di truppe in due zone avanzate in territorio nemico, così da avere i tedeschi su tre lati, basta che questi sfondino da una parte per creare immediatamente una sacca (come di fatto è avvenuto).
Inoltre il mar Nero, con i suoi porti e l’accesso al bacino carbonifero del Donbass, non hanno nessuno che li difenda.
Allora mi sono reso conto che dal punto di vista difensivo siamo all’assurdo, ma guardando la situazione dal punto di vista offensivo ci troviamo una certa logica.
Ad esempio a sud, dov’è concentrata una grossa parte dell’Armata Rossa, passa l’oleodotto che porta il petrolio dalla Romania alla Germania.
Allora non si tratta di un macroscopico errore, ma dei preparativi per invadere l’Europa.
Del resto consideriamo la situazione nella prima metà del ’41: il nostro continente è dilaniato da una guerra intestina, l’America è neutrale, anzi aiuta l’Unione Sovietica sul piano militare.
Per Stalin si presenta l’occasione ideale per cercare di prendersi l’Europa.
Nessuno ha ancora le armi atomiche, quindi nessuno potrebbe fermare l’Armata Rossa in quel modo; Stalin aspetta solo il momento giusto per farsi avanti.
Ecco perché l’Armata Rossa è uscita oltre la linea di difesa e si è portata sul confine; ecco perché è concentrata verso sud: si prepara a tagliare la via del petrolio romeno.
Nei mesi precedenti all’entrata in guerra, in URSS viene pubblicato un libretto dal titolo “Breve manuale di conversazione militare russo-tedesco per soldati e sottufficiali”, Mosca, 29 maggio 1941 (ne ho trovata casualmente una copia in un mercatino a New York).
Ce ne sono anche altre edizioni fatte a Leningrado il 5 giugno; a Kiev il 7 giugno, a Odessa, a Minsk. In tutto 5 milioni di copie.
Ho visto per la prima volta questo libriccino quando studiavo all’Istituto superiore.
Avevamo un’enorme biblioteca, con un’intera sezione di vocabolari in tutte le lingue del mondo.
Io studiavo inglese e tedesco, ed ero andato a cercare qualcosa di piccolo da leggere per rinfrescare il mio tedesco.
Così scoprii questo manuale e la sua lettura mi lasciò esterrefatto.
Tra le frasi suggerite ai soldati sovietici (frasi che figurano prima in russo, poi tradotte in tedesco ma traslitterate in cirillico, e infine in tedesco vero e proprio), troviamo ad esempio:
“Come si chiama questa città?”,
“Come si chiama questa stazione?”,
frasi che suonano ben strane in bocca a dei soldati che si preparano alla difesa del suolo nazionale.
Più avanti troviamo anche questa frase:
“Non avete niente da temere, presto arriverà l’Armata Rossa”.
Ancora un altro elemento.
Quando incominciò la guerra, venne fatto prigioniero il figlio di Stalin, Jakov Dzhugashvili, che era comandante di una batteria d’artiglieria.
Abbiamo il verbale degli interrogatori che gli fecero i nazisti.
Gli fu chiesto come mai l’artiglieria sovietica, che era la migliore al mondo, combattesse così male.
E lui rispose che mancavano le carte per fare i puntamenti; senza le carte non si poteva combattere, neanche l’aviazione poteva farne a meno.
In realtà ho trovato i documenti a comprova che sul confine l’Armata Rossa abbandonò 4 milioni di carte.
Non però quelle del territorio sovietico dove si stava combattendo, ma carte militari molto precise della Prussia orientale, della Cecoslovacchia, della Polonia; tutte stampate nel marzo 1941.
Quando i tedeschi invasero, i nostri non erano in grado di difendersi sul proprio territorio.
La propaganda insisteva nel dire che non eravamo pronti alla guerra, invece lo eravamo, solo non a una guerra difensiva, ma a una offensiva.
Alcuni lettori mi hanno inviato alcune di queste carte militari, ritrovate fra i ricordi di guerra del padre, o del nonno.
Ad esempio una carta della Prussia orientale mi è stata mandata recentemente da un tenente colonnello della polizia ucraina; suo padre aveva fatto la guerra e l’aveva conservata.
Queste carte sono una specie di paradosso: ma come, ci prepariamo alla difesa e abbiamo una carta del territorio nemico?
Molti, che hanno letto i miei libri, mi mandano documenti che hanno in casa e che confermano in modo circostanziato la verità delle mie asserzioni.
E un altro fatto ancora: Hitler aveva preparato 4.000 paracadutisti, Stalin ne aveva preparati un milione, che non usò mai.
Era una cosa fatta alla luce del sole, se ne scriveva apertamente sui giornali, negli anni ’30, sulla “Pravda”, su “Krasnaja zvezda”; era una psicosi nazionale, tutti si lanciavano col paracadute.
Ma perché prepararne così tanti? Nel paese si faceva la fame, ma Stalin aveva comprato dall’America la seta per i paracadute.
Poi iniziò la guerra e non li usarono mai più. Perché allora li avevano preparati?
Per attaccare alle spalle l’Europa.
Hitler aveva conquistato tutta l’Europa, Cecoslovacchia, Belgio, Olanda, Polonia, Francia.
Stalin aveva aiutato Hitler a distruggere tutta l’Europa, usandolo come una rompighiaccio.
Lo stesso aveva fatto all’interno del paese, ordinando a Ezhov di distruggere tutti i nemici, e questi lo aveva fatto.
Poi Stalin aveva ammazzato Ezhov, dicendo che la repressione era tutta colpa sua.
Hitler era per Stalin uno strumento uguale riguardo all’Europa.
Voleva fargli distruggere tutto: combattere contro i partigiani jugoslavi, probabilmente contro l’America, combattere in Africa contro gli inglesi; doveva sbarcare in Inghilterra.
Ma alle spalle di Hitler, l’Armata Rossa sarebbe uscita dai suoi confini.
Per questo erano pronti gli aeroporti sul confine; avevamo persino dei carri armati aviotrasportati.
Nessuno aveva questi mezzi negli anni ’40.
Ma quando Hitler sferrò l’attacco Stalin non li poté usare, come non usò mai i paracadutisti, o i carri armati veloci, perché tutto questo sul territorio sovietico era inutile.
La data prevista per l’invasione era stata fissata al 6 luglio del 1941.
Hitler riuscì a precederla di un paio di settimane.
Tutti questi fatti verificabili dovrebbero però trovare delle conferme anche nei documenti segreti conservati negli archivi…
Sì. Dopo la pubblicazione del mio primo libro in Russia c’è stata una forte reazione, e molti storici che hanno accesso agli archivi hanno cercato e trovato conferme alla mia tesi, conferme di cui si è parlato anche sulla stampa.
Ad esempio, nel giugno del 2000, quando avevo appena finito di scrivere “Il suicidio”, il mio ultimo libro su Hitler, dagli archivi del presidente della Federazione Russa è stato riesumato un documento super-segreto (in copia unica, manoscritta) in cui è esposto il piano del maresciallo Zhukov per l’attacco alla Germania, datato 15 maggio 1941.
Un’altra storica, Tat’jana Semënovna Bushueva, ha trovato dei documenti importantissimi.
Attualmente gli archivi sono accessibili con più libertà, diversi storici ci lavorano e poi mi comunicano i frutti delle loro ricerche.
La decisione di Stalin di invadere l’Europa fu una sua idea o aveva radici più profonde?
Karl Marx riteneva che la rivoluzione socialista dovesse essere solo mondiale, ha sempre parlato solo di rivoluzione mondiale; anche Lenin pensava che la rivoluzione dovesse essere mondiale.
Lenin creò la Terza internazionale come stato maggiore della rivoluzione mondiale, e diceva sempre che doveva vincere o l’uno o l’altro fronte, e aveva ragione.
L’Unione Sovietica era una società che non poteva esistere accanto a un’altra normale, che avrebbe costituito l’esempio di una vita diversa.
Per questo anche Stalin riteneva che bisognasse diffondere questo regime a tutto il mondo, altrimenti l’Unione Sovietica si sarebbe disintegrata e non avrebbe potuto sopravvivere.
E aveva perfettamente ragione.
Quando Hitler lo attaccò, Stalin era convinto che la guerra fosse persa e nel 1945 era ancora convinto di aver perso; nel 1945 si rifiutò di assistere alla parata della vittoria.
E a chi gli chiedeva perché, rispose:
“Voi non lo capite ma noi abbiamo perso la guerra, prima o poi l’Unione Sovietica si disintegrerà perché non siamo riusciti a conquistare non dico il mondo, ma neanche l’Europa”.
Quindi alla sua domanda rispondo che: Stalin non aveva vie d’uscita; qui non c’entra l’imperialismo russo. Non è questo.
La differenza è che l’impero russo poteva fermarsi nella sua espansione (tant’è vero che hanno rivenduto l’Alaska),
mentre l’Unione Sovietica non si poteva fermare, doveva diffondersi a tutto il mondo o morire.
Fonte: http://www.storialibera.it
28 Aprile, 2011 11:41
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1 Settembre, 2012 14:10
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