Giu 29 2009

L’HOMO ERECTUS NON NASCE DAL SUSHI MA DAL FUOCO SOTTO LA BISTECCA

Category: Archeologia e paleontologiagiorgio @ 09:04

L’HOMO ERECTUS NON NASCE DAL SUSHI, MA DAL FUOCO SOTTO LA BISTECCA – LE SCOPERTE DI UNO DEI MAGGIORI ANTROPOLOGI USA: “SIAMO CIÒ CHE SIAMO, PERCHÉ ABBIAMO IMPARATO A CUOCERE IL CIBO – IN CERTI CASI IL CRUDO FA BENE. MA LE TOSSINE”…

GABRIELE BECCARIA PER LA STAMPA

Richard Wrangham, antropologo a Harvard, è un esploratore dei labili confini tra scimpanzè e umani e, studiando il balzo che ci ha resi Sapiens, si è imbattuto nelle leggi biochimiche di un piatto freddo e di uno caldo, con una prospettiva che sorprenderebbe il celebre Claude Lévi-Strauss, padre delle teorie su crudo e cotto. Risultato: ci sediamo a tavola con idee sbagliate.

Professore, lei spiega tutto in «Catching Fire», il saggio sulle nostre origini che sta facendo discutere: guai alle «crudité»?


«Il mio studio va contro l’idea che il cibo crudo sia un dieta naturale. O, almeno, non è stata così naturale negli ultimi 2 milioni di anni, come si crede».

Perché è un falso stereotipo?


«Spiego che ci sono conseguenze diverse per la salute. Certo, in certi casi il crudo fa bene. Per esempio se si vuole perdere peso. Riduce anche molti tipi di infiammazioni. D’altra parte, gli aspetti negativi sono molti di più, come l’esposizione a differenti tossine… Il punto della mia tesi sta nelle prove biologiche».

Le spiega?


«Abbiamo imparato a controllare il fuoco centinaia di migliaia di anni fa e quindi abbiamo introdotto il cibo cotto: da allora ne abbiamo bisogno, perché altrimenti soffriamo di una cronica scarsità energetica, che condiziona l’efficienza della nostra riproduzione. L’Homo Erectus lo dimostra».

Che prove ha raccolto?


«L’Erectus mostra nel corpo le conseguenze di un’alimentazione altamente “processata” a differenza degli altri ominidi. Sono segni legati solo all’uso di cibi cotti: denti piccoli e intestino ridotto».

La formula che lei usa è «Grande cervello e piccola pancia».


«Quando si è cominciato a sfruttare il cibo cotto, è probabile che siano diminuiti i costi per mantenere un grande intestino e, quindi, è stato possibile indirizzare le energie risparmiate verso altri organi: prima di tutto al cervello».

Come immagina il passaggio dalla scoperta del fuoco alla scoperta della «cucina»? Quanto tempo e sforzi ha richiesto?


«Per me, la risposta è legata alla scoperta di quanto sia facile per gli animali amare il cibo cotto: l’abbiamo osservato testando le grandi scimmie. Gli scimpanzè lo preferiscono, se riescono a procurarselo durante un incendio nella savana».

E quali sono le conseguenze per i destini dei nostri antenati?

«L’ipotesi è che impararono a controllare il fuoco per ragioni diverse, come difendersi dai predatori. Solo più tardi, casualmente, lo avvicinarono a fuoco, ma da quel momento, e con rapidità, direi perfino in poche settimane, capirono che migliorava il sapore dei cibi. E il miglioramento è legato a processi biologici decisivi, perché la cottura “esagera” il naturale processamento degli alimenti crudi, liberando con grande efficienza le proteine».

Dal cotto siamo passati alla cucina: per molti è un innegabile segno di creatività umana.


«In realtà, per me, è un’interpretazione moderna. I popoli raccoglitori-cacciatori, tranne poche eccezioni, cucinano sempre lo stesso cibo e sempre allo stesso modo».

Ciò si cuoce è più digeribile e più ricco. Ma lei aggiunge che, quando parliamo di calorie, facciamo confusione: perché?


«Calcoliamo le calorie dei cibi indipendentemente dal fatto che siano cotti o no ed è chiaramente un errore».

Un esempio?


«La farina: se non è cotta, passa nell’organismo senza essere digerita. E’ la dimostrazione che, contrariamente a quanto dicono le etichette, le calorie cambiano: i dati di un calorimetro non possono essere equivalenti a quelli che si manifestano con il metabolismo».

E’ un motivo dell’iper-nutrizione contemporanea?

«Penso che pochi calcolino davvero le calorie, ma è un fatto che i cibi siano sempre più digeribili e questo significa che assorbiamo più calorie di quanto è necessario».

Dalla biologia lei passa all’antropologia: è sicuro che le società nascano da una pentola?


«Il fatto di dover preparare il cibo ci ha reso vulnerabili, perché qualcuno può rubarlo. La nascita della proprietà, quindi, diventa possibile solo attraverso forti legami sociali».

E il ruolo della donna diventa decisivo, ma anche una sorta di maledizione: giusto?


«L’aspetto affascinante del cucinare è che non è legato alla quantità di cibo procacciato: è la donna che deve preparare il pasto. Se non lo fa, sarà punita. E non può aspettarsi solidarietà, perché non ha adempiuto al proprio compito».

Il cibo diventa così il «colpevole» di un’arcaica divisione sessuale del lavoro che spesso continua anche oggi?


«Sì. Le donne ottengono un “protettore” e gli uomini una garanzia nutritiva».

Non è un quadro consolante: ora, dopo il cibo, dove sta spostando l’attenzione?

«Studio che cosa ci ha resi Sapiens, dall’arte all’agricoltura: sono convinto che tutto ha avuto inizio dalle nuove logiche con cui gestire la violenza».

Fonte: srs di  GABRIELE BECCARI da la Stampa; Dagospia del 26,06,2009

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