RISORGIMENTO. L’ALTRA VERITA’
Il sovrano non era all’altezza di governare, ma amava donne, caccia e affari: voleva comprarsi persino Venezia…
Dopo la disfatta di Novara, gli misero in bocca una frase che, molto probabilmente non aveva mai pronunciato perché non era in grado di pensarla; «I Savoia conoscono la via dell’esilio, non quella del disonore».
Vittorio Emanuele II esordì in condizioni assai complicate, a Vignale, in una cascina appena abitabile, a un tiro di schioppo dal campo della battaglia di Novara. La sconfitta del suo esercito era stata definitiva e irrimediabile. Carlo Alberto – persino coraggiosamente – aveva abdicato e gli aveva lasciato il peso del trono con le responsabilità che comportava. Il suo futuro e, per la verità, anche quello del suo Stato e della sua gente, era punteggiato da troppi interrogativi che lui non poteva sciogliere perché non dipendevano da lui. Il destino dei Savoia era – ovviamente – nelle mani di chi aveva vinto espugnando il nemico. Vittorio Emanuele II incontrò il generale vincitore Radetzky.
I libri che si studiano a scuola lasciano intendere che si trattò di uno scontro fra titani. Da una parte un vecchio reazionario, intenzionato ad approfIttare del successo e, quindi, a punire quell’insignificante Piemonte, cancellandolo dalla carta geografica e dall’elenco dei diritti. Dall’altra, un re di fresca nomina, giovane per età e per esperienza ma risoluto nel rispettare i principi della libertà e della Costituzione, non importa quali fossero i costi da pagare. Gli misero in bocca una frase che, molto probabilmente, non pronunciò mai, soprattutto perchè non era in grado di pensarla: «I Savoia conoscono la via dell’esilio, non quella del disonore».
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