Grazie alle camicie rosse venne incoraggiata la partecipazione della malavita organizzata, che scese in campo per soccorrere i vincitori e che, per la prima volta, entrò direttamente e per la porta principale nelle istituzioni italiane: insomma, “picciotti” e “capibastone” patrioti…
Dunque, per conquistare il Regno delle Due Sicilie, si poteva contare sull’aiuto “peloso” di Vittorio Emanuele II e Cavour, sul consenso “pratico” dell’intelligence inglese, sul “contributo” della massoneria di Edimburgo e sul tradimento dei vertici militari borbonici: Mancava ancora qualcosa? Venne incoraggiata la partecipazione della mafia che scese in campo per soccorrere i vincitori e che, per la prima volta, entrò di rettamente e per la porta principale nelle istituzioni italiane. Le grandi battaglie di oggi contro la malavita organizzata sono più difficili e più contorte anche perché, 150 anni fa, non si andò troppo per il sottile ad accreditare i banditi, vestendoli con il patriottismo tricolore.
UN ATTACCO SENZA DISCIPLINA
Dopo lo sbarco a Marsala, la prima battaglia combattuta avvenne il 15 maggio 1860. I libri di storia indicano il luogo dello scontro a Calatafimi. In realtà, Calatafimi era abbastanza distante. Senza correre il rischio di apparire pignoli, ma pretendendo qualche precisione e volendo mettersi d’accordo – almeno! – con la carta geografica, lo scontro avvenne a “Pianto Romano”: “Pianto” nel senso che era stata realizzata una piantagione di vite a “Romano”
Garibaldi si alzò di buon mattino per bere il caffé. Le cronache – non si sa quanto compiacenti – registrarono che «fischiettava come un innamorato». Dall’altra parte il generale Francesco Landi, con i suoi settanta anni compiuti, le varici alle gambe, la schiena in subbuglio e i calli ai piedi, non potendo correre il rischio di montare a cavallo, raggiunse in carrozza il luogo destinato al combattimento. Con calma. Aveva impiegato sei giorni per coprire una trentina di chilometri.
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