Giuseppe Mazzini
RISORGIMENTO. L’ALTRA VERITA’
La sollecitazione del maestro del “pensiero e azione” si riferiva agli interessi di Adriano Lemmi, che partecipava alle manovre per l’assegnazione dello sviluppo delle ferrovie del Sud e servi per finanziare “Il popolo d’Italia”, un giornale napoletano di tendenza filo-repubblicana.
«lo soltanto vi dico che mentre altri farebbe suo prò di ogni impresa, egli mira a fondare la Cassa del partito e non la sua». Nero su bianco, scritto su lettera intestata e autografato con la firma di Giuseppe Mazzini il quale, ricercato dalla polizia come rivoluzionario aveva difficoltà a partecipare personalmente alle riunioni ma poteva “indirizzare” la discussione affidandosi a una quantità di amici che non gli mancavano. Giuseppe Garibaldi e Francesco Crispi erano i destinatari e si affrettarono ad accontentare l’amico in esilio.
Difficile sostenere con certezza che questa fu la prima tangente dell’Italia finalmente unita. Allora -come oggi – la corruzione non veniva certificata con timbri e marche da bollo. Tuttavia, in questo caso, il documento c’è ed è inequivoco. Accettando qualche margine di approssimazione, non è impossibile sostenere che gli affari sporchi sono cominciati con quella lettera di raccomandazione.
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