La pietra focaia (fr. pierre à feu; sp. pietra de chispa, pedernal; ted. Feuersin; ingl. flint). Nome comune dato alla selce piromaca, così chiamata per la sua proprietà di produrre scintille di fuoco se sfregata intensamente e sottoposta ad urto.
Minerale fossile, si trova in noduli e straterelli entro rocce calcaree, derivato dalla deposizione e successiva diagenesi di resti di organismi a scheletro siliceo (scheletri di radiolari, spicole di spugna).
E’ una varietà di calcedonio (Si 02), compatto e variamente colorato in rosso, bianco, giallo, bruno, nero e varianti, la cui colorazione si crede dovuta alla sostanza organica.
L’uso della pietra focaia per accendere il fuoco risale all’età preistorica, quando l’uomo usava particolari pietre (selce, quarzite, pirite contenete ferro) che strofinate tra loro producevano scintille che, cadendo su erbe e foglie secche, provocavano fuoco.
Quando nel 1991 in alta Val Senales (BZ), venne ritrovato Otzi, la “mummia di Similaun”, nel suo corredo aveva selce, pirite, ed un pezzo di fungo-esca per accendere il fuoco.
Un sistema per accendere il fuoco consisteva anche nel far girare un bastoncino di legno all’interno di un foro ricavato in un altro pezzo di legno: per il calore suscitato dalla frizione, la polvere di legno prodotta finiva con l’incendiarsi.
Questo metodo fu migliorato con l’utilizzo di un archetto: la cordicella dell’arco veniva avvolta intorno al bastoncino, e muovendo l’archetto avanti e indietro si faceva ruotare lo stecco a gran velocità, rendendo più agevole I ‘accensione.
Plinio (Nat. Hist., VII, 198) ricorda Pyrodes di Cilicia come suo mitico inventore, ed accenna alla percussione col ferro e all’accensione dei funghi secchi.
Per ottenere rapidamente la fiamma, si adoperavano fuscelli intrisi nello zolfo, commerciati nelle città (Marziale, 1, 41; X, 3).
Lo strumento per battere la pietra doveva essere poco diverso dall’acciarino moderno, detto focile in latino ed in volgare nel medioevo.
Con la scoperta dell’acciaio (XII° sec.), il sistema di far fuoco diventò più facile: battendo un pezzetto di acciaio (chiamato accendiesca, acciarino o assalino) contro il taglio di una selce, produceva scintille.
Veniva utilizzata come esca un pezzo di fungo d’albero, chiamato “fomes fomentarius” che tagliato sottile ed essiccato, produceva una piccola brace che, unita a foglie ed erba secca, attizzava il fuoco.
La pietra focaia nelle armi da fuoco portatili sostituì la miccia per incendiare la carica. L’uso fu introdotto nel Cinquecento, mediante un congegno detto acciarino a martellina o a pietra, donde il nome di fucili e pistole a pietra.
Veniva usato un piccolo pezzo quadro di silice, che si applicava fra le ganasce del cane della batteria, stringendovelo con apposite viti.
La parte assottigliata che batteva sull’acciarino ed incideva la polvere del bacinetto, si chiamava filo; la parte più grossa, opposta al filo, tallone.
Nel congegno di sparo la pietra focaia, posta tra le ganasce del cane, andando a battere sulla faccia della martellina, ne asportava minuscole particelle di metallo incandescente; queste, cadendo nella scodellino, accendevano la polvere che dava fuoco alla carica.
Dopo 20 o 30 colpi la pietra focaia doveva essere sostituita o nuovamente appuntita mediante un apposito martelletto.
Tale sistema fu usato per i fucili da guerra fin oltre il periodo napoleonico, fino all’invenzione della capsula fulminante.
Nel 1900 il conte austriaco Welsbach inventò una pietra focaia artificiale: un composto di una lega di ferro e magnesio con cerio, successivamente chiamata pietrina. La pietrina sostituì la selce, che fu messa a riposo
Fino a pochi anni fa, a Brandon, in Inghilterra, un vecchio artigiano continuava questa attività, per un mercato europeo ed americano di hobbisti del tiro ad avancarica con l’acciarino in selce.
Verso la fine del ‘700 nasce lo zolfanello, l’antenato del fiammifero: un bastoncino intriso di zolfo che messo vicino all’esca (fungo) si accende prendendo fuoco. Cinquant’anni dopo il chimico inglese John Walker inventò i fiammiferi: un bastoncino con una capoccia intrisa di una mistura di sostanze combustibili, quali zolfo e resine; strofinato su una carta vetrata, si accende per frizione.
Divennero noti come luciferi, cioè di portatore di luce e fuoco. Nel 1850 un chimico svedese brevetta i fiammiferi di sicurezza, appunto chiamati svedesi
Nel territorio veronese la selce è chiamata “folenda”. Il nome potrebbe derivare da fògola, fogolènda, cioè dal latino focus; dunque pietra-folenda è la pietra che deve dare fuoco.
La Lessinia e la montagna veronese tutta, sono stati luoghi importanti per la produzione delle pietre focaie, sia acciarino domestico che da fucile, con mercati di dimensione europea.
Centinaia di persone lavoravano a tempo pieno in queste mansioni di “artigianato-industriale” con folandieri e bati-assalini (assalini-acciarino). Da Cerro Veronese fino a S. Mauro di Saline nascono numerosi siti di lavorazione della selce. Molti contadini della Lessinia lasciano il lavoro della terra per occuparsi di estrarre selci dal terreno, per poi lavorarle.
Nel 1885 il prof. Wirckow in una seduta di Etnologia relazionava: “è memoria che al tempo delle guerre napoleoniche la sola ditta L. Boldrini esportava da Verona cento barili al giorno di pietra da fucile, contenente ognuno ventimila pezzi”. (duemilioni di pezzi al giorno)
Bibliografia:
G.Chelidonio; le feste e le tradizioni del fuoco in Lessinia, Bettinelli, 1999
G.Chelidonio; le pietre del fuoco: folènde veronesi e selci europee, Catalogo n° 42 mostre Cassa Risparmio VR VI BL, Verona, 1987
Peterson H.L,: armi da fuoco nei secoli, Mondadori, Milano, 1962
Tomelleri L,: antichi mestieri a Cerro veronese, in tradizioni e folclore nel veronese, ediz. Il Veronese, Verona, 1979
Aut. Vari: l’affascinante storia delle invenzioni, Selezione dal R.D., 1983
Fonte: da srs di di Luigi dott. Bertaso e Franco Avesani, folendaro.
3 Agosto, 2016 06:22
[…] http://www.veja.it/2009/12/03/la-pietra-focaia-e-l%E2%80%99accensione-del-fuoco/ […]