Il Cardinale Dionigi Tettamanzi
Sull’immigrazione il Carroccio interpreta la gente. La Chiesa ambrosiana invece è lontana dal suo gregge
Molto spesso la Lega rappresenta le opinioni di gran parte della gente, ha le antenne nelle strade, nei bar, nei mercati, e intercetta gli umori, i pareri e le reazioni dei cittadini «normali», che vivono fuori e lontano dai palazzi del potere e dai santuari dell’informazione «politicamente corretta».
Il difficile rapporto con l’immigrazione e con gli stranieri che riempiono le città è il caso più tipico di distacco fra il Paese reale e quello ufficiale, prigioniero di clichè perbenisti e ingessato in una ragnatela di belle ipocrisie: così proprio su questo la Lega mostra il massimo grado di aderenza ai sentimenti popolari, a quella che con molta supponenza viene chiamata «la pancia» del Paese.
Ma a volte lo fa – e neppure questa è una novità – con toni sguaiati, con prese di posizione che paiono estemporanee e fuori misura, senza circostanziarle con ragionamenti dotti di qualità, senza adeguate pezze di appoggio culturali. Così poi è costretta – anche questo rientra in un frusto copione – a retromarce e avvitamenti che le fanno perdere parte del consenso acquisito.
La pantomima si ripropone in questi giorni con le accuse a Tettamanzi. Sul tema dell’immigrazione la larghissima parte della popolazione ha le idee piuttosto chiare e non ne può proprio più.
L’immigrazione non è ne una risorsa, ne una opportunità, ne una ricchezza, come taluni belli spiriti si affannano a ripetere. L’immigrazione è una sciagura per tutti: per quelli che sono costretti a lasciare il proprio Paese e per quelli che devono subirla. Gli immigrati, anche i migliori, anche quelli che hanno voglia di lavorare, non portano vantaggi se non a se stessi (se va bene) e ai pochi che ne sfruttano la presenza.
Per chi vive protetto da scorte e nei quartieri ricchi sono poco più di una curiosità sociale ma per tutti gli altri (la stragrande maggioranza della gente) sono un fastidio, un pericolo, sono la concorrenza in un mercato del lavoro non certo florido, sono lo sgretolamento di identità e abitudini, sono – soprattutto per i più deboli, poveri e anziani – un doloroso peggioramento delle condizioni di vita.
Fanno bene gli uomini di Chiesa a ricordare i doveri di accoglienza, solidarietà e carità, ma non possono ignorare che vanno esercitati innanzitutto nei confronti del prossimo (che, come dice chiaramente il termine, sono quelli più vicini per parentela e comunanza culturale) e senza che questo assuma i caratteri di sacrifici estremi che possono essere volontaria scelta di santità ma non un obbligo imposto alla totalità dei membri di una comunità.
Quelli che si presentano alle nostre porte non sono le vittime di cataclismi naturali o di sciagure imprevedibili, ma il risultato di politiche sociali sbagliate, di regimi politici inetti e criminali (che non sono una calamità piovuta dal cielo ma il risultato di connivenze e di responsabilità collettive), di scarsa iniziativa e capacità imprenditoriale (quando non di labile propensione alle attività lavorative) a fronte di una esuberanza riproduttiva senza freni. Si tratta di poveracci che cercano di stare meglio sfruttando condizioni create da altri, ma in qualche caso anche spinti da animosità e da religioni aggressive che intendono deliberatamente distruggere il nostro modo di vivere.
È giusto l’impegno per aiutarli, è giusto mostrare concreta solidarietà ma non è in ogni caso una soluzione trasferire i loro problemi a casa nostra: non si migliorano le loro condizioni e sicuramente si peggiorano le nostre, in un travaso infinito che può portare solo al disastro generale.
Da chi è preposto alla guida spirituale delle nostre comunità non vorremmo sentirci dire di subire tutto per favorire un prossimo-poco-prossimo che spesso non ha neppure attitudini troppo pacifiche, di sacrificare le nostre identità in un calderone di degrado e miserie, non vorremmo sentirci chiamati a una sorta di resa o suicidio collettivo. La Chiesa ambrosiana è sempre stata a fianco della sua comunità, non di chi la assale e minaccia di distruggerla.
Se la Lega sostiene cose giustissime in forme sbagliate, Tettamanzi impiega strumenti ineccepibili sul piano della forma e della buona educazione per far passare cose che la maggior parte del suo gregge giudica sbagliate. Con l’aggravante che lui è il pastore e che le sue pecorelle gli si sono affidate per essere ben guidate e difese: dai lupi ma anche dall’invasione di troppe pecorelle foreste.
Fonte: srs di Gilberto Oneto; da Il Giornale di giovedì 10 dicembre 2009; interni, pag. 9