Archeologi al lavoro nella necropoli di Desmontà di Albaredo
ALBAREDO, Località Desmontà: La campagna di scavo conclusasi a dicembre ha portato alla luce nuovi reperti di Paola Bosaro. Rinvenute altre 83 sepolture complete di corredi funerari Dal 1982 ad oggi il numero è arrivato a quota 324
La necropoli di Desmontà non finisce mai di stupire gli archeologi. L’ultima campagna di scavo, conclusasi a metà dicembre, ha permesso di portare alla luce ben 83 sepolture con corredi funerari in bronzo. Si tratta di elementi ornamentali della vita quotidiana come spilloni e fibule, deposti nelle buche al termine dei riti funebri assieme alle ossa combuste del defunto.
Lo scavo di quest’anno si è svolto in due fasi successive, nei mesi di febbraio e di dicembre, e ha interessato un’area già parzialmente indagata nel 1990. Le ultime decine di tombe studiate dagli esperti sotto la direzione del soprintendente ai Beni archeologici del Veneto Luciano Salzani si aggiungono alle 324 già scoperte dal 1982 a oggi. L’area bonificata finora è enorme: circa 25mila metri quadrati. E non è finita qui. Le aree a nord e ad ovest dell’eccezionale cimitero paleoveneto rimangono ancora da scoprire.
Desmontà è la necropoli maggiormente estesa e con il massimo numero di tombe di tutto il territorio veronese. Il rito funebre di questa civiltà prevedeva la cremazione della salma. In rarissimi casi si seppellivano le ceneri dentro un’urna cineraria. Gli antichi abitanti del luogo preferivano spargerle in una piccola fossa scavata nel terreno. «Le analisi dei carboni rinvenuti nelle buche hanno documentato che il legno utilizzato era soprattutto quello di quercia», continua il soprintendente. Ciò significa che mille anni prima di Cristo il territorio del Colognese era molto diverso da quello attuale. Invece delle vaste pianure dimoravano boschi verdeggianti di roveri.
Il progetto di ricerca in tutti questi anni è stato finanziato dall’Unione Adige-Guà, dalla Regione e dai Comuni di Cologna e Albaredo. «Le testimonianze archeologiche recuperate sono state destinate al museo di Cologna, dove nel recente passato sono state fatte alcune mostre», ricorda Salzani. «Alcuni anni fa abbiamo rivenuto reperti straordinari, come una coppia di schinieri che ha pochissimi confronti in Italia, e una tomba di bambina con il corredo di un poppatoio».
Il piedino nella tomba non è un biberon
Il piedino biberon di Desmontà
Il celebre poppatoio a forma di piedino di Desmontà non convince tutti. Su «Diogene», giornale pubblicato dall’avvocato in pensione Giovanni Coeli, si avanza una nuova ipotesi sul suo uso. Il prezioso manufatto in terracotta, trovato nella tomba di una bambina morta 30 secoli fa, sarebbe stato una lucerna, non un biberon per il latte.
Coeli, per provarlo, prende spunto dai reperti di epoca romana. «Fino ad oggi non era mai stato rinvenuto alcun biberon con quella forma, tanto che il reperto albaretano è stato definito dagli archeologi un unicum nel suo genere», ricorda. «Moltissimi invece gli esempi di piedini usati come lucerne dagli antichi.
C’è una simbologia negli oggetti trovati nelle tombe. Il biberon non sarebbe più servito alla bimba defunta. La lucerna al contrario poteva indicarle dove mettere i piedi nel lungo viaggio nell’aldilà». Dalla Soprintendenza archeologica escludono questa interpretazione e non commentano. A sconfessare Coeli sarebbero le caratteristiche del manufatto: il piedino non consentirebbe un uso per illuminare perché provocherebbe l’uscita del combustibile. (P.B.)
Fonte: srs di Paola Corsaro; da L’Arena di Giovedì 17 Gennaio 2008; PROVINCIA, pagina 40
(VR 20 dicembre 2009)