PIERRE BOURDIEU
Da un lato, una situazione economica e sociale inedita. Dall’altro, un dibattito pubblico mutilato, ridotto all’alternativa tra austerità di destra e rigore di sinistra. Come si definisce lo spazio dei discorsi ufficiali, per quale prodigio l’opinione di una minoranza si trasforma in «opinione pubblica»? È ciò che spiega il sociologo Pierre Bourdieu in questo corso sullo Stato tenuto nel 1990 al Collège de France e pubblicato questo mese.
UN TESTO INEDITO DI PIERRE BOURDIEU*
Un «uomo ufficiale» è un ventriloquo che parla in nome dello Stato: assume un portamento ufficiale – bisognerebbe descrivere la messinscena del personaggio ufficiale –, parla a favore e al posto del gruppo al quale si rivolge, parla per e al posto di tutti, parla in quanto rappresentante dell’universale. E a questo punto si arriva alla moderna nozione di opinione pubblica.
Cos’è questa opinione pubblica invocata dai creatori di diritto delle società moderne, delle società nelle quali il diritto esiste? È tacitamente l’opinione di tutti, della maggioranza o di coloro che contano, di quelli che sono degni di avere un’opinione. Penso che la definizione esplicita in una società che si pretende democratica, e cioè che l’opinione ufficiale è l’opinione di tutti, nasconda una definizione latente, e cioè che l’opinione pubblica è l’opinione di quelli che sono degni di avere un’opinione. C’è una sorta di definizione censuaria dell’opinione pubblica come opinione illuminata, opinione degna di questo nome. La logica delle commissioni ufficiali è quella di creare un gruppo in grado di dare tutti i segnali esterni, socialmente riconosciuti e riconoscibili, della sua capacità di esprimere l’opinione degna di essere espressa, e nelle forme convenienti.
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