separebabouesalbaprataliaaraba&alboversoriotenebae&negrosemenseminaba gratiastibiagimusomnip[oten]ssempiterned[eu]s
Se pareba boves, alba pratalia araba
Albo versorio teneba, et negro semen seminaba.
Gratias tibi agimus onnipotens sempiterne Deus.
L’Indovinello veronese è un testo in corsiva nuova vergato tra l’VIII secolo e l’inizio del IX in forma d’appunto, a margine di una pergamena contenente un codice più antico[1].
È forse il più antico testo pervenuto che usi lingua romanza (i Giuramenti di Strasburgo sono datati a cinquant’anni più tardi) e rappresenterebbe un possibile atto di nascita del volgare in Italia, ma non tutti gli studiosi sono concordi e alcuni ritengono che si tratti ancora di latino (pur se con le evidenti aberrazioni[2]).
Il codice fu originariamente redatto in Spagna all’inizio dell’VIII secolo e giunse a Verona non troppo tempo dopo. Le due postille furono individuate nel 1924.
Fu Vincenzo De Bartholomaeis a scoprirne per primo il senso, con l’aiuto di una studentessa universitaria del I anno.[1] Al testo dell’indovinello si accompagna un testo (riga 3), stavolta in latino più sorvegliato: si tratta di una formula canonica di benedizione in latino, esterna all’indovinello, ma che gli studiosi hanno utilizzato, talvolta in maniera contrastante, per avallare le proprie ipotesi linguistiche.