Guglielmo Sinigaglia
Quella che vi proponiamo di seguito é la storia di Guglielmo Sinigaglia, che nel suo profilo Facebook
https://www.facebook.com/sinigaglia.guglielmo?fref=ts
si presenta cosi
Ex Ufficiale del Tuscania,ex Servizi Segreti, TESTIMONE DI USTICA costretto a fare il barbone per sopravvivere in san Babila a Milano – cercate la mia storia digitando su google: ” Guglielmo Sinigaglia”
ex Ten.Colonnello del Tuscania, ex Agente del SISMI,” servizi segreti militari”, TESTIMONE DI USTICA costretto a fare il barbone in San Babila (Milano), i ragazzi del “david icke meetup” mi aiutano per il collegamento internet.
CERCATE LA MIA STORIA DIGITANDO SU GOOGLE :”Guglielmo Sinigaglia”
GUARDATE ANCHE IL GRUPPO ” MOVIMENTO NEO BARBONICO” aderite se potete. Questo gruppo intende passare dal DIRE al FARE, grazie
Data di nascita: 11 gennaio 1953
Uomo
Guglielmo Sinigaglia interviene al Convegno DAVID ICKE Meetup – 11/09/2010
http://www.youtube.com/watch?v=EGO0pTUbof4&feature=player_embedded
Era Colonnello, ha scelto di vivere come un barbone per scampare alla morte, quando vedeva gli altri testimoni morire nei classici tragici incidenti… ha dovuto abbandonare la sua vita… leggete questa storia allucinante tutta italiana, o meglio italo/francese/inglese/americana…
(Staff nocensura.com)
Ci sono persone per bene, che per proteggere la vita di chi amano, sono obbligate a diventare “invisibili”, “fantasmi” senza fissa dimora, “alieni” fra i propri simili, su un pianeta troppo spesso ingrato, ma che amano con tutto il cuore.
Ecco la storia di Guglielmo Sinigaglia tratta da una serie di articoli usciti negli anni su diversi giornali. Cominciamo da qui: un estratto di quanto pubblicato su Repubblica, a pagina 21, sezione cronaca, il 6 novembre 1990.
“(…) ha 37 anni. E’ stato arruolato nella legione Straniera (…) matricola numero 155666, nome in codice Licaone (…) Il Dc 9 dell’ Itavia è stato abbattuto per errore. L’ ha colpito un missile, lanciato da un Mirage o più probabilmente da un sottomarino. Entrambi delle Forze armate francesi. Il tragico errore si compie al culmine di una convulsa e frenetica battaglia aerea-navale nel basso Tirreno, ingaggiata dopo il fallito tentativo di distruggere il jet che trasportava Gheddafi da Tripoli a Varsavia. L’ operazione era divisa in due fasi. La prima, nome in codice Tobruk, prevedeva il rifornimento di armi del Fronte rivoluzionario libico da una base in Sicilia, Petosino, piccolo centro a dieci chilometri da Mazara del Vallo. La seconda, nome in codice Eagles run to run, faceva scattare il piano per abbattere il jet che trasportava il colonnello libico. In Corsica, il legionario si allena a varie azioni. Eravamo circa duecento, ricorda, tutti del Gole, il Gruppo operativo Legione straniera. In tre iniziamo a volare con il Nimrod. Il 26 scatta l’ allarme. Le centrali operative erano due, a Decimomannu e a Calvi. Sapevamo che le nostre operazioni erano coordinate da quattro eminenze grigie: i francesi, gli inglesi, i tedeschi e gli italiani. Alle 18 e 30 del 27 giugno, mentre eravamo in volo sul Nimrod, arriva il segnale stabilito: L’ oiseau y vole, l’ uccello vola, in francese. E cioè che Gheddafi o Jallud erano in volo, da Tripoli a Varsavia, su un aereo civile. L’ abbattimento del jet doveva essere effettuato da un pilota libico lealista. Dai radar lo vediamo decollare con il suo Mig. Ma sorge un problema: il caccia non ha carburante sufficiente per attendere l’ obiettivo ed abbatterlo. Scatta allora l’ operazione di rincalzo. Dalla Corsica si alzano tre Mirage francesi con serbatoi supplementari e armati di missili capaci di centrare il bersaglio anche a 90 chilometri di distanza. Dalla Foch sarebbero partiti altri aerei di scorta e degli F 104 da Decimomannu. I Mirage della Foch dovevano soprattutto tenere fuori dall’ azione un Airbus dell’ Air France diretto a Barcellona, volo di cui noi eravamo a conoscenza. Nessuno, invece, ci aveva avvertito del Dc 9 che in quel momento stava volando da Bologna a Palermo. Dalla portaerei sovietica Kiev, che incrociava nel Golfo della Sirte, decollano intanto un Mig con i contrassegni libici e uno Yak 36 Stol. A noi ci viene ordinato di abbatterli. L’obiettivo proprio in quel momento vira verso Malta. Sugli schermi radar noi abbiamo due aerei: uno sappiamo essere l’ Airbus dell’ Air France, l’ altro crediamo sia il jet con Gheddafi o Jallud. Invece è il Dc 9 Itavia. Intanto scatta l’ ordine di colpire il Mig e lo Yak. L’ ordine riguarda tutti: gli F 104, i Mirage, e anche i sottomarini che si trovano nella zona. Tre francesi e uno inglese. Il missile è partito da un mezzo francese, gli unici in grado di centrare anche a distanza l’ obiettivo. L’ azione è convulsa, tirano tutti: viene giù un Mirage, ma il pilota si salva, e viene giù il Dc 9.
La testimonianza di Guglielmo Sinigalia termina qui. L’ ultimo capitolo di questa tragedia lo racconta tra i singhiozzi e le lacrime. Il pilota del Dc 9, spiega, è riuscito a far ammarare il suo aereo. La carlinga ha galleggiato fino alle 5,43 del mattino. Poi, una squadra di sommozzatori usciti dal sommergibile inglese l’ hanno fatta affondare con due cariche d’ esplosivo”.
Qualora qualcuno distrattamente, si chieda perchè la vita di questo testimone fu segnata per sempre e perchè ha dovuto allontanarsi da chi amava, lo invitiamo a leggere quanto segue.
USTICA 30 ANNI DOPO: INCIDENTI, SUICIDI E MORTI SOSPETTE
(da Oggi.it)
“Nella sciagura di Ustica non ci sono solo le 81 vittime del DC 9. C’è una serie di morti sospette e di testimoni scomparsi che lo stesso giudice Rosario Priore definisce: «Una casistica inquietante. Troppe morti improvvise». Vediamola questa lista che secondo il magistrato è di una decina di morti strane, ma forse sono di più.
3 agosto 1980 – In un incidente stradale perde la vita il colonnello Pierangelo Tedoldi che doveva assumere il comando dell’aeroporto di Grosseto.
9 maggio 1981 – Stroncato da un infarto muore il giovane capitano Maurizio Gari, capocontrollore della sala operativa della Difesa aerea a Poggio Ballone. Era di servizio la sera del disastro.
23 gennaio 1983 – In un incidente stradale perde la vita Giovanni Battista Finetti, sindaco di Grosseto. Aveva ripetutamente chiesto informazioni ai militari del centro radar di Poggio Ballone.
31 marzo 1987 – Viene trovato impiccato (la polizia scientifica dirà «In modo innaturale») il maresciallo Mario Alberto Dettori, in servizio a Poggio Ballone la sera del 27 giugno 1980. «Aveva commesso l’imprudenza di rivelare ai familiari di aver assistito a uno scenario di guerra», ha detto Priore.
12 agosto 1988 – Muore in un incidente stradale il maresciallo Ugo Zammarelli. Era in servizio presso il SIOS (Servizio segreto dell’aeronautica) di Cagliari.
28 agosto 1988 – Durante una esibizione delle Frecce Tricolori a Ramstein (Germania) entrano in collisione e precipitano sulla folla i colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelli. Quest’ultimo due giorni dopo doveva essere interrogato da Priore. La sera del 27 giugno 1980 si erano alzati in volo da Grosseto e avevano lanciato l’allarme di emergenza generale. Perché? Cosa avevano visto? I comandi dell’aeronautica militare e la Nato non lo hanno mai rivelato.
1° febbraio 1991 – Viene assassinato il maresciallo Antonio Muzio. Era in servizio alla torre di controllo di Lamezia Terme quando sulla Sila precipitò il misterioso Mig libico.
13 novembre 1992 – In un incidente stradale muore il maresciallo Antonio Pagliara, in servizio alla base radar di Otranto.
12 gennaio 1993 – A Bruxelles viene assassinato il generale Roberto Boemio. La sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità per la sciagura del DC 9 e per la caduta del Mig libico sulla Sila. La magistratura belga non ha mai fatto luce sull’omicidio.
21 dicembre 1995 – È trovato impiccato il maresciallo Franco Parisi. Era di turno la mattina del 18 luglio 1980 (data ufficiale della caduta del Mig libico sulla Sila) al centro radar di Otranto. Doveva essere ascoltato come testimone da Priore.
Fonte: da OGGI .IT. Aggiornato al 25 giugno 2010
Link: http://blog.oggi.it/news/2010/06/25/ustica-30-anni-dopo-incidenti-suicidi-e-morti-sospette
Penso che a questo punto non occorra una intelligenza superiore o extraterrestre, per comprendere quale motivo abbia indotto Guglielmo a diventare un senza tetto e allontanarsi dalle persone che ama.
E’ per proteggerle: come fra l’altro riportato da questo articolo scritto da Enrico Fovanna:
MILANO
– Era in servizio come colonnello del Sismi la sera del 27 giugno 1980, quando il Dc-9 Itavia precipitò nel mare di Ustica, con le sue 81 vittime. Oggi Guglielmo Sinigaglia, 46 anni, ex membro di Stay Behind, fa il barbone a Milano, pur risultando tra gli indagati eccellenti nell’inchiesta del giudice Priore. Il suo nome è finito nell’elenco degli inquisiti per reticenza, ma certo oggi lui sembra temere più qualcosa di oscuro e indecifrabile che la semplice violazione del segreto istruttorio. «Voglio stare ancora con mia moglie sussurra vedere mio figlio nascere e crescere. Ma quella sera fu guerra, sì, guerra vera. Priore ha ragione, tutto però finirà nel nulla tra meno di un anno, il 29 giugno del 2000. I reati militari cadono in prescrizione dopo 20 anni, un giorno e dodici ore». Corsa contro il tempo, dunque?
Nella borsa Guglielmo porta con sè fotocopie di documenti e tracciati radar, i cui originali sono in mani sicure, «avvocati e notai che li tirerebbero fuori nel caso mi succedesse qualcosa. Nomi da far tremare i palazzi romani, e non solo».
La carriera che porta Guglielmo dal Sismi alla vita da clochard, comincia trent’anni fa, quando a soli 16 anni entra all’Accademia Militare di Modena, fiore all’occhiello nella formazione di giovani 007. Tra i primi per punteggio, viene messo in incubatrice da quello che allora si chiamava il Sid e addestrato per divenire membro attivo dei servizi segreti. A 21 anni, entra a tutti gli effetti in Stay Behind, organizzazione grazie alla quale potrà addestrarsi all’estero con i Seals americani, i giovani Sbs inglesi(gli stessi che poi un giorno avrebbe indicato come i veri autori materiali dell’affondamento del DC-9) e la Legione Straniera. In 24 anni di servizio, da giovane sottotenente otterrà cinque passaggi di carriera, fino al grado di colonnello. Ma i suoi guai cominciano nel ’93, quando Andreotti, in seguito ai fatti di via Monte Nevoso, per decreto scioglie sostanzialmente la struttura, collocando al di fuori dell’apparato militare tutti i suoi componenti.
Da lì Guglielmo continuerà a rivendicare con testardaggine la propria posizione, con clamorose, ma vane proteste. Fino all’esaurirsi degli ultimi risparmi e alla scelta obbligata, vivere di elemosina. Proprio poco dopo aver messo incinta sua moglie, Diana. Ha una spalla rotta e dolorante, Guglielmo, pantaloni corti, scarpe da tennis, calzini, canottiera e bendaggio rigido. Vestito come l’ultimo dei disperati, da quasi sei mesi ha scelto di vivere per strada, di prendere botte e coltellate, di farsi una doccia a diecimila lire una volta ogni quindici giorni, di stare lontano dalla donna che gli darà un figlio, raccogliendo l’elemosina in corso Vittorio Emanuele, sotto le insegne del cinema Astra. Al suo fianco, fin dall’inizio c’è sempre un collega clochard, Silvio Diligenti, coetaneo, compagno di sventure ed ex maresciallo della Folgore. A Guglielmo la spalla l’ha rotta un altro disperato, la notte di un mese fa. Uno che gli aveva visto tirar fuori un telefonino, quando la moglie l’aveva chiamato, e che doveva aver pensato: se un barbone ha il cellulare, che cavolo di barbone sarà mai? E chissà cos’altro nasconde nel portafogli. E invece no, quel telefonino con scheda ricaricabile era un regalo di sua moglie, Diana Moffa, che vive a La Spezia. La donna che lo chiama, per sapere come sta, se lui la ama ancora, se quel figlio lo vedranno insieme, se davvero è ancora deciso a fare quella vita e fino a quando. Eh sì, perché Guglielmo il barbone, l’ex colonnello del Sismi che sa molto di quello che avvenne quella notte, ha deciso di fare il clochard per amore. La strada, per Guglielmo, non è solo dormire sotto la luna, sul marmo dei gradini di una chiesa con la spalla rotta e cercare di fermare i passanti con una frase di Esiodo, il primo poeta greco, su un pezzo di cartone («La vostra indifferenza uccide la nostra speranza»). La strada è soprattutto violenza. Pochi giorni fa, l’ultima aggressione: uno gnomo vestito di nero cerca di portargli via la scatola delle scarpe piena di monete, trentacinquemila lire in tutto. Lui, più alto di mezzo metro e largo il doppio, prova a reagire, brandendo l’unico braccio a disposizione. In tutta risposta l’altro gli punta un coltello alla gola. Intanto arriva Silvio, afferra il nano per le spalle e lo mette faccia a terra, ma nel frattempo una coltellata alla spalla e una al ginocchio di Guglielmo fanno in tempo ad arrivare lo stesso. «Ci si può fare una tal guerra tra poveri per l’elemosina?», sbraita ora Guglielmo. E se parlassimo della guerra, quella vera, che avvenne la sera del 27 giugno sui cieli di Ustica? Guglielmo Sinigaglia vorrebbe farlo il meno possibile. «Mi hanno preso troppo a lungo per mitomane». Già interrogato più volte, Guglielmo ha fornito la sua versione dei fatti: si trattò di un complotto occidentale per uccidere Gheddafi, che quella stessa sera era partito in aereo da Tripoli, e insediare in Libia un governo filo-occidentale. Le dichiarazioni, molte delle quali già agli atti, scendono poi nel dettaglio. «Qualche politico italiano avvisò il leader libico, che così atterrò a Malta. Nel frattempo il Dc-9 Itavia si infilò nell’aerovia denominata «zombie» (che in codice sta per «capo di stato ostile»), una sorta di corridoio tre chilometri per cinque. Un sottomarino francese lanciò un missile Standard, con carica di prossimità, che costrinse l’aereo ad ammarare bruscamente. Sulla superficie fu affondato con esplosivo Dynagel dagli Sbsinglesi».
Ma c’è dell’altro.
«La strage di Bologna fu architettata per distogliere l’attenzione da Ustica». Da chi?
«Fate voi».
Cosa prova quando pensa alle 81 vittime? «Penso che le vittime siano 117».
In che senso? «Aggiungerei i 36 testimoni morti in circostanze misteriose.
Uno scivola sulla buccia di banana sulla scala del metro a Termini, uno legge il giornale e non si avvede del paraurti di una macchina, un altro investito da un bambino di 4 anni col triciclo… Lasciando perdere quelli che si sono impiccati in casa».
Fonte: srs di Enrico Fovann, da Quotidiano.net del 2 settembre 1999
Link. : http://qn.quotidiano.net/1999/09/02/172369-Da-colonnello-a-barbone-per-paura-.shtml
Cominciate a capire? Noi a Guglielmo crediamo. E lo riteniamo un eroe. Uno dei tanti eroi invisibili, che per aver fatto il suo dovere, è ora obbligato a vivere lontano da chi ama, e in condizioni di vita che non merita. Che nessuno merita.
Adam Kadmon e il suo staff
Tratto da http://it.paperblog.com/guglielmo-sinigaglia-e-il-segreto-di-ustica-100159/
Fonte: da NOCENSURA di mercoledì 14 novembre 2012
Link: http://www.nocensura.com/2012/11/guglielmo-sinigaglia-da-tencolonnello.html
IL DC9 AMMARO’ E I SUB LO AFFONDARONO’
(da Repubblica.it)
ROMA Le nuove rivelazioni su Ustica? Interessanti. Bisogna vedere quanto ci sia di vero e quanto di fantasioso. Prima il racconto del soldato di leva che sostiene di aver fatto la guardia al Mig 23 precipitato sulla Sila la sera del 27 giugno del 1980 e non il 18 luglio, data ufficiale dell’ incidente. Poi la clamorosa testimonianza di un ex soldato della Legione straniera che svela, nei particolari, tutti i retroscena della strage del Dc 9. Il giudice Rosario Priore accenna ad un timido sorriso. Ha voluto ricominciare tutto daccapo. In un hangar dell’ aeroporto di Pratica di Mare si sta ricostruendo ciò che resta della carlinga del jet abbattuto dieci anni fa. Circa il 20 per cento dell’ intera struttura. Per completarla servono gli altri pezzi rimasti dentro la fossa del Tirreno. Il magistrato vuole recuperarli. Presto, entro poche settimane, si scenderà ancora una volta in fondo al mare per trovare ciò che non si è trovato finora. Oggi e domani Priore torna in Calabria per tentare di chiarire il giallo del Mig precipitato sui monti della Sila. Ha già disposto il sequestro di tutti i brogliacci e i registri della caserma Settimo di Cosenza. Sulla base di questi documenti risalirà ai militari in servizio intervenuti subito dopo lo schianto. Ascolterà soprattutto l’ ex caporale che ricorda bene le date dell’ incidente. E confronterà la sua versione con quella di un testimone che la notte della tragedia era presente. Lì, sopra Ustica. A bordo di un Nimrod, un quadrimotore inglese che svolgeva funzioni di aereo radar. Abbiamo visto ciò che è accaduto, ammette. L’ uomo di Ustica si chiama Guglielmo Sinigaglia, ha 37 anni. E’ stato arruolato nella legione Straniera come Giulio Sinotto, matricola numero 155666, nome in codice Licaone. Per 19 mesi ha raccontato la sua incredibile verità a due giornalisti di Panorama. I quali, dopo una serie di verifiche, hanno deciso di pubblicarla nel numero in edicola questa settimana. Vediamola, così come è stata confermata al giudice Priore che la scorsa settimana ha interrogato il testimone per tre giorni. Il Dc 9 dell’ Itavia è stato abbattuto per errore. L’ ha colpito un missile, lanciato da un Mirage o più probabilmente da un sottomarino. Entrambi delle Forze armate francesi. Il tragico errore si compie al culmine di una convulsa e frenetica battaglia aerea-navale nel basso Tirreno, ingaggiata dopo il fallito tentativo di distruggere il jet che trasportava Gheddafi da Tripoli a Varsavia. L’ operazione era divisa in due fasi. La prima, nome in codice Tobruk, prevedeva il rifornimento di armi del Fronte rivoluzionario libico da una base in Sicilia, Petosino, piccolo centro a dieci chilometri da Mazara del Vallo. La seconda, nome in codice Eagles run to run, faceva scattare il piano per abbattere il jet che trasportava il colonnello libico. In Corsica, il legionario si allena a varie azioni. Eravamo circa duecento, ricorda, tutti del Gole, il Gruppo operativo Legione straniera. In tre iniziamo a volare con il Nimrod. Il 26 scatta l’ allarme. Le centrali operative erano due, a Decimomannu e a Calvi. Sapevamo che le nostre operazioni erano coordinate da quattro eminenze grigie: i francesi, gli inglesi, i tedeschi e gli italiani. Alle 18 e 30 del 27 giugno, mentre eravamo in volo sul Nimrod, arriva il segnale stabilito: L’ oiseau y vole, l’ uccello vola, in francese. E cioè che Gheddafi o Jallud erano in volo, da Tripoli a Varsavia, su un aereo civile. L’ abbattimento del jet doveva essere effettuato da un pilota libico lealista. Dai radar lo vediamo decollare con il suo Mig. Ma sorge un problema: il caccia non ha carburante sufficiente per attendere l’ obiettivo ed abbatterlo. Scatta allora l’ operazione di rincalzo. Dalla Corsica si alzano tre Mirage francesi con serbatoi supplementari e armati di missili capaci di centrare il bersaglio anche a 90 chilometri di distanza. Dalla Foch sarebbero partiti altri aerei di scorta e degli F 104 da Decimomannu. I Mirage della Foch dovevano soprattutto tenere fuori dall’ azione un Airbus dell’ Air France diretto a Barcellona, volo di cui noi eravamo a conoscenza. Nessuno, invece, ci aveva avvertito del Dc 9 che in quel momento stava volando da Bologna a Palermo. Dalla portaerei sovietica Kiev, che incrociava nel Golfo della Sirte, decollano intanto un Mig con i contrassegni libici e uno Yak 36 Stol. A noi ci viene ordinato di abbatterli. L’ obiettivo proprio in quel momento vira verso Malta. Sugli schermi radar noi abbiamo due aerei: uno sappiamo essere l’ Airbus dell’ Air France, l’ altro crediamo sia il jet con Gheddafi o Jallud. Invece è il Dc 9 Itavia. Intanto scatta l’ ordine di colpire il Mig e lo Yak. L’ ordine riguarda tutti: gli F 104, i Mirage, e anche i sottomarini che si trovano nella zona. Tre francesi e uno inglese. Il missile è partito da un mezzo francese, gli unici in grado di centrare anche a distanza l’ obiettivo. L’ azione è convulsa, tirano tutti: viene giù un Mirage, ma il pilota si salva, e viene giù il Dc 9. La testimonianza di Guglielmo Sinigalia termina qui. L’ ultimo capitolo di questa tragedia lo racconta tra i singhiozzi e le lacrime. Il pilota del DC 9, spiega, è riuscito a far ammarare il suo aereo. La carlinga ha galleggiato fino alle 5,43 del mattino. Poi, una squadra di sommozzatori usciti dal sommergibile inglese l’ hanno fatta affondare con due cariche d’ esplosivo.
Fonte: srs di DANIELE MASTROGIACOMO, da Repubblica. it del 06 novembre 1990 , 21 sez. CRONACA
USTICA: COLPITO, AFFONDATO.
Gianluca Neri intervista Guglielmo Sinigaglia. Foto Gianluca Miano
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Intervista esclusiva a Guglielmo Sinigaglia, supertestimone della strage. La sua versione vale quattro attentati e una vita distrutta.
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di Gianluca Neri e Antonio Riccobon
Guglielmo Sinigaglia dorme sotto un portico ai margini di un giardinetto pubblico dietro ad una delle questure milanesi. Notizia spicciola da trafiletto in cronaca, se non fosse che Sinigaglia e’ uno dei testimoni chiave di Ustica, ed ha una verità scottante da raccontare che vale quattro attentati alla sua vita, e una vita da marciapiede. E’ una realtà che tenta di divulgare da parecchio tempo, ma la sua e’ una verità sconvolgente, al punto che nessuno ha mai avuto il coraggio di raccontarla per intero. Abbiamo incontrato questo controverso personaggio quasi per caso, perché spinto dalla necessità di uscire allo scoperto chiedendo la solidarietà dei media. Vive come un barbone, ma si definisce un “nuovo povero”. “Si usano molto liberamente i termini barbone e clochard – dice -, ma non e’ questa la terminologia corretta. Il barbone e’ uno che per scelta dorme per strada, ma e’ capace di fare nella sua vita una barca di soldi e la sera andare al ristorante. Poi ci sono gli altri, i nuovi poveri. Il nuovo povero e’ uno che non accetta la sua situazione, che non e’ capace di andare davanti ad una persona, fermarla, e chiedere: per favore, mi dai cento lire. L’unica cosa che riesce a fare un nuovo povero e’ chinare la testa e sedersi in un angolo, e se qualcuno vuole mette dentro mille lire. Purtroppo l’arte del chiedere ce l’hanno i clochard, non i nuovi poveri. Considerando che l’italiano e’ una bella lingua, sarebbe giusto attuare questi distinguo”. Questa distinzione semantica esiste già per sua fortuna nella realtà che lo circonda: infatti Sinigaglia non ha bisogno di chiedere. E’ una sera di marzo più fredda del dovuto, e conversiamo con lui per tre ore, seduti sulla panchina di un giardino pubblico. La gente della zona lo riconosce, lo saluta, e ad un certo punto arriva addirittura una signora con una pizza calda. Alle otto e mezza di sera abbiamo la necessità di fotocopiare la mole di documenti che ci mostra. Alle nostre spalle c’e’ una copisteria, chiusa, vista l’ora. Mentre Sinigaglia parla, il titolare torna a prendere le chiavi di casa che ha dimenticato in negozio; ha una certa fretta, ma gli chiediamo se può farci il favore, e ci dice: “Se sono per la storia di Guglielmo allora sono gratis”. E si parla di trecento fotocopie. Il nuovo povero Guglielmo Sinigaglia si presenta con una dignità insospettabile, per il genere di vita alla quale e’ costretto, se lo si vede avulso dalla sua realtà quotidiana, lo si può scambiare tranquillamente per un vecchio gentiluomo, sobriamente vestito. ”Vedi – dice -, la’ in un sacchetto ho il mio cappotto di cachemere, il mio buon vestito, la mia buona camicia e la mia buona cravatta, che indosso quando devo incontrare persone di una certa importanza, perché l’immagine ha una sua importanza. Ho uno scopo, voglio arrivare a qualcosa, e posso anche sopportare questa situazione per un po’. Ma nel momento in cui raggiungerò il mio bersaglio, o riuscirò finalmente a sistemarmi, o mi fanno fuori subito”.
SCENARIO DI GUERRA
Da quando il 27 giugno 1980 il DC9 Itavia con 81 passeggeri a bordo e’ precipitato in mare e’ stata fatta ogni sorta di ipotesi, dall’incidente all’abbattimento volontario. Fino al novembre 1990 su Ustica e il suo dramma sporadicamente vengono date notizie che sembrano più illazioni. La più ripetuta e’ quella che a bordo del DC9 vi fosse un terrorista neofascista, per cui venne collocata una bomba a bordo. Nel 1990 l’inchiesta passa dal giudice Vittorio Bucarelli al giudice Rosario Priore, che inizia una nuova opera investigativa: dispone un nuovo recupero dei rottami del relitto affidandolo non più alla società francese “Infremer”, ma ad una inglese, sicuramente non collegata ai servizi segreti.
Con le nuove audizioni fatte dal giudice Priore non si parla più di “tragedia” di Ustica, ma di “strage”. Il testimone che permette questa svolta e’ Guglielmo Sinigaglia, che in cinque giorni di testimonianza traccia un panorama di guerra, puntualizza e motiva lo scenario, dando corpo a fatti che in precedenza erano circolati solo come illazioni. Priore trova anche altri testimoni che gli permettono di incriminare 36 alti ufficiali con reati pesantissimi, tra cui l’alto tradimento.
Guglielmo Sinigaglia – tenente colonnello del SISMI, addestrato nella legione straniera ed ex guardaspalle di Komeini, sabotatore di prima linea a fianco dei ribelli afghani
[NDW: a me non sembra proprio corretto che il giornalista riporti queste cose come dati di fatto senza uno straccio di prova e senza nemmeno specificare che è solo la parola di Sinigaglia, ma immagino che non sia questa la sede per dirlo, hmmm ? ]
– afferma che quella notte era in corso l’operazione “Eagle Run to Run”, mascherata da un’esercitazione militare denominata “Sinadex”, che aveva lo scopo di abbattere l’aereo presidenziale del colonnello Gheddafi e favorire l’insediamento di un presidente filo occidentale in Libia. Sinigaglia però si spinge più in la’, e sostiene che l’aereo non fu abbattuto per errore e che non esplose in volo, ma riuscì ad ammarare.
Che ruolo ha avuto nell’operazione?
“Io ero a bordo di un velivolo denominato Nimrod, a capo di una squadra “presidenziale” composta da 2 italiani del GOS (Gruppo Operazioni Speciali), 2 francesi dell’SSE e 2 inglesi del SAS (Special Air Service), che aveva il compito di scortare il nuovo presidente libico che si sarebbe insediato al momento dell’insurrezione. Tutti gli uomini della squadretta indossavano tenute da combattimento completamente anonime ed armate non convenzionalmente, per cui in caso di morte o cattura sarebbero stati individuati come mercenari. Ho partecipato a tutta la pianificazione, e ho condotto in prima persona l’operazione “Tobruk 1″, che aveva lo scopo di armare gli insurrezionisti. Ho testimoniato cose che ho vissuto in prima persona. Il fatto che io sappia le dislocazioni di tutto e di tutti e’ perché io e il colonnello De Marol dovevamo saperlo ai fini operativi, dal momento che eravamo le due persone preposte a questa operazione”.
Lei a quale titolo e’ stato reclutato?
“Io non sono mai stato reclutato. Qui si parla di una carriera. Questi sono i lavori che ho sempre fatto. Che si trattasse di interventi in Iran, Centro Africa, Uganda, Libia o Libano, questa comunque era la mia vita. La gente che entra in Vagant Cosmic non viene contattata. Viene estrapolata dai corsi dell’accademia. Scelgono loro. Hanno preteso due lauree da noi, una in Economia e Commercio con tesi su diritto internazionale, e una in Ingegneria elettronica”.
E questo tipo di vita e’ finita dopo Ustica?
“No, e’ finita nel ’90, non nell’80. Infatti nell’82 a Beirut perdo un dito. La mia carriera non finisce con Ustica; finisce quando Andreotti, due giorni dopo dall’inizio della mia testimonianza, fa dichiarare illegale Vagant Cosmic, la più alta sezione dei servizi segreti in Europa, e automaticamente diventa illegale il nostro lavoro. Per la prima volta qualcuno, davanti alla magistratura, aveva parlato di Stay Behind, e quindi di Vagant Cosmic, che ne e’ la più alta espressione”.
E tutto questo succede dopo la sua testimonianza a Priore?
“Quelli come me rispondono soltanto se toccati. Non siamo mai noi a fare la prima mossa. E’ lo stupido a fare la prima mossa, il buon giocatore di scacchi non la avoca mai a sé. Anche se questa non era una partita di scacchi”.
INTRIGO INTERNAZIONALE
Quali erano le nazioni che hanno preso parte all’operazione?
“Quattro: Italia, Francia, Germania e Inghilterra. Ognuna con un suo compito particolare, con bersagli ben precisi. La Germania Occidentale partecipò con le Teste di Cuoio; il loro compito era quello di addestrare gli insurrezionisti all’uso delle armi e alle strategie destabilizzanti. L’Italia partecipò con le proprie stazioni radar e una squadra navale composta dalla Vittorio Veneto, oggi “Tuttoponte” Garibaldi,
[NDW: questa è la più clamorosa tra le ricorrenti sviste di Sinigaglia. Si tratta in realtà di due navi ben distinte, entrambe ancora in servizio al 2001]
dislocata al largo di Ustica, e dagli “Sparvieri”, imbarcazioni estremamente veloci, armate di missili in grado di colpire unità nemiche fino a 70 chilometri. I centri radar interessati all’operazione erano quelli di Martina Franca, Otranto, Iacotenente, Siracusa, Sigonella, Licola, DecimoMannu, e il centro Nato Verona AFFI.
La Francia partecipò con il GOLE (Groupement Operationale Lègione Etrangère), che aveva il ruolo operativo di guidare la presa di Tripoli da parte degli insurrezionisti; il REI (Regiment Etrangère de Infanterie), battaglioni con il compito di impedire la ritirata delle forze libiche dal Ciad; il GIRLE (Groupement d’Intervention Rapide Legione Etrangère), i cui obiettivi erano la cattura di Jallud e la distruzione del centro nucleare libico; e il FOCH, una squadra navale composta da 2 sottomarini dislocati al largo della Sicilia orientale.
[NDW: probabilmente Sinigaglia vuole dire che la squadra navale francese era composta dalla portaerei FOCH, classe Clemenceau, più due sottomarini non meglio identificati.]
L’Inghilterra era presente con l’SBS (Special Boat Service), una compagnia composta da 156 uomini e 27 ufficiali, divisi in 5 squadre ciascuna, un sommergibile e due velivoli Nimrod, posizionati uno tra Cipro e Creta per sorvegliare i movimenti della squadra navale sovietica e l’altro a largo di Ustica.
“Sinadex” era poi un’operazione di copertura Radar elaborata dal centro aeronautico di Borgo Piave, sotto il diretto controllo del centro radar di Verona AFFI. Nessuno aveva mai detto prima di me che sotto terra, sotto i campi di grano c’era una base in grado di fare queste cose. Gli inquirenti rimasero colpiti dall’esistenza di strutture come quelle di Borgo Piave e della base silana, e dell’interconnessione di esse con la “Synadex”. Rilevante e’ il fatto che vi sia una pista per velivoli da guerra in una zona ostica come la Sila.
Il fatto che quella sera si voleva abbattere Gheddafi e’ confermato anche da un’altra cosa: gli sarebbe stata concessa un’aerovia sull’Adriatico, non sul Tirreno, allungandogli il tragitto e costringendolo a passare sull’Italia, quando l’Italia può essere sfiorata soltanto marginalmente.
Tra l’altro le aerovie vengono concesse 24 ore prima. Ambra 17 quella notte veniva definita “Zombie”. “Zombie” sta per “Capo di stato ostile”.
[NDW: in realtà in codice NATO “Zombie” significa più semplicemente “velivolo nemico”.]
Gli aerei che transitano in quelle aerovie non possono essere scortati, perché c’e’ un patto tra le nazioni che vieta in assoluto che un velivolo civile, pur avendo a bordo un capo di stato, possa essere scortato da aerei militari armati”.
L’ABBATTIMENTO
Cosa successe la sera del 27 giugno?
“L’aereo dell’Itavia venne abbattuto alle 20:56. I piloti riuscirono a manovrare l’apparecchio per qualche minuto. Il missile colpì l’apparecchio solo con le appendici aerodinamiche, provocando uno squarcio non molto ampio, ma sufficiente a depressurizzarlo, ed esplose oltre. Per effetto della depressurizzazione alcuni passeggeri vennero risucchiati. I piloti, grazie alla loro esperienza, riuscirono ad ammarare alle 21:04. E’ strano che dalle indagini dell’autorità’ giudiziaria risulti che il cambio dei nastri che ha determinato un vuoto di 4 minuti sia avvenuto per “scopi dimostrativi ad un operatore della base di Marsala”. Da non credere: proprio mentre c’e’ un velivolo che sta precipitando”.
Quando vi accorgeste di avere colpito un aereo civile?
“Quando, a bordo del Nimrod, il capitano Keerstiens disse che il pilota era formidabile e talmente bravo da non poter essere libico”.
Secondo lei allora l’aereo non e’ esploso in volo, ma e’ riuscito ad ammarare.
“L’aereo ammara esattamente 8 minuti dopo essere stato colpito. E non sono soltanto io a dirlo, c’e’ anche la perizia Luzzatti. E’ importante il fatto che impieghi 8 minuti; se un aereo esplode in volo cade in due minuti. Il fatto che impieghi 8 minuti vuol dire che il pilota e’ riuscito a manovrare. La perizia Luzzatti sostiene anche che per poter virare l’aereo doveva avere ali e coda. Esclude poi che la coda si sia separata in aria, e afferma invece che la rottura avvenne per un violento colpo agente dal basso verso l’alto, con tutta probabilità al momento dell’impatto con l’acqua”.
Il missile viene sparato da un sommergibile. Nazionalità?
“Francese. Ma adesso fa bella mostra a Parigi, e’ diventato un museo galleggiante. Ci sono ancora i segni della rampetta messa apposta per quell’operazione. La Francia era una delle poche ad avere un sommergibile idoneo ad un’operazione del genere. I nostri erano troppo piccoli, e non avrebbero neanche retto alla spinta dello “Standard”, il tipo di missile utilizzato.
[NDW: in realtà non risulta da nessuna parte che il missile Standard potesse essere “retto”, e tantomeno trasportato e lanciato, da alcun sottomarino esistente nel 1980. Questo per il peso, quasi una tonnellata; per la lunghezza, quasi 10 metri; e per le sollecitazioni al momento del lancio. A meno che non si sia usato un SSBN, un sottomarino creato per lanciare missili nucleari – difficilmente credibile, sono troppo preziosi e secondo la stessa versione di Sinigaglia ci sarebbero stati navi e aerei in quantità per lanciare un semplice missile, quella notte, nell’area. Invece, si sa di esperimenti di lancio di piccoli missili antiaereo da sottomarini, ma si trattava di ordigni tipo Stinger, che non avrebbero potuto inquadrare ne’ raggiungere un aereo al di sopra dei 4-5000 metri.]
Una videocassetta, di cui parlò anche “l’Espresso”, dimostra la battaglia aerea avvenuta e certifica l’esistenza dello standard. Il giudice Priore chiede subito il recupero di quest’ultimo. Viene trovato, gli americani chiedono di poterlo esaminare, dopodiché sparisce.”.
Come e’ potuto succedere che abbiate colpito un aereo civile italiano mentre il vostro obiettivo era l’aereo di Gheddafi?
“Perché Gheddafi e’ stato avvertito dell’operazione in corso”.
E da chi e per quale motivo Gheddafi e’ stato avvertito?
“Bisognerebbe chiederlo ai due uomini politici che l’hanno fatto. Ma non li si può nominare”.
E Priore non ha agito contro questi due politici?
“Non ci riesce, perché nessuno fa i nomi. C’e’ un’entità politica, ma chi e’? Non si hanno foto o nomi in codice di questi personaggi. Io posso anche arrivarci per deduzione, ma non si può testimoniare una cosa se non si ha un supporto o un riscontro da fornire al giudice perché possa accertare qualcosa. Io ho detto che il generale Franco Pisano (che fu chiamato a presiedere la commissione di inchiesta che dichiarò che l’Aeronautica Militare non aveva svolto nessuna attività nella sera del 27 Giugno 1980 e pertanto non aveva avuto nessun ruolo e nessuna colpa nella sciagura aerea del DC 9 Itavia), ebbe un ruolo rilevantissimo nell’operazione “Eagle Run to Run”. Per questo mi ha denunciato per calunnia e diffamazione, affermando di essere comandante di una scuola di volo, per cui non poteva avere niente a che fare con Ustica. Invece in Ustica lui ha avuto un ruolo: era a Cagliari da cinque giorni, c’erano le prove del suo ingresso alla base di Decimomannu e c’era la prova tangibile che lui, nel momento in cui scattò l’operazione “Eagle Run to Run” era nella sala operativa. Per questo e’ stato incriminato con l’accusa di alto tradimento. In casi come questo si hanno nome, cognome e ruolo. Io so per certezza chi erano quei due politici, ma non posso dimostrarlo. Quindi, in pratica, non lo so”.
“E’ stato quindi possibile a due soli uomini politici italiani mandare a monte un’operazione di questo genere, organizzata dai servizi segreti di quattro nazioni e che probabilmente aveva richiesto lunghi tempi di preparazione?”
“Era preparata da mesi e mesi. In casi come questo non si va allo sbaraglio. Quella notte era in azione il “top dei top”: una mosca non poteva passare inosservata. L’unico modo di fermare l’operazione era quello di darci il DC9 Itavia. E che avessero intenzione di darci il DC9 Itavia e’ provato dal fatto che l’equipaggio di quell’aereo, civile, fosse militare”.
Lei sta dicendo che qualcuno ha messo di proposito il DC9 Itavia al posto dell’aereo di Gheddafi? Che e’ stata una cosa preventivata e non un errore?
“La rotta del velivolo era Bologna-Palermo: da nord-ovest per sud-est. Le sembra possibile che fossimo talmente stupidi da aspettare l’aereo di Gheddafi, che invece aveva come rotta sud-ovest per nord-est, e non capire su uno schermo radar che l’aereo sta andando a sud, quando noi ne aspettiamo uno che va a nord?
Come mai l’equipaggio del DC9 Itavia si comporta in questo modo anomalo?
“Come si può evincere dalla perizia Luzzatti, sembra quasi che quest’equipaggio sia avvezzo ad operare nell’ambito dei servizi segreti. Fa eccezione l’allieva di bordo Rosa De Dominicis. Pertanto, con una simile formazione, e’ ovvio che le risposte siano di tipo militare. Per cui, se viene detto al pilota di uscire dall’aerovia Ambra 13, che e’ quella che gli e’ stata assegnata, e di entrare in Ambra 17 invertendo la rotta, lui esegue”.
Ma dai radar avreste dovuto accorgervi dell’inversione di rotta.
“Noi controllavamo Ambra 17, perché aspettavamo qualcuno, non Ambra 13. Per cui se qualcuno fa fare al DC9 un’inversione di 180 gradi e lo fa passare nel punto Condor (un punto cieco per tutti i radar, che si trova al largo di Ustica) al posto dell’aereo di Gheddafi, noi troviamo il bersaglio”.
Quindi gli avrebbero detto verosimilmente di atterrare a Napoli?
“Si, a Napoli Capodichino”.
Ma non era un po’ tardi per farlo virare? Il DC9 era già in fase di atterraggio.
“Ci sono due modi per giustificare questa manovra. La prima e’ l’indisponibilità dell’aeroporto: al pilota vengono comunicati una nuova aerovia e un nuovo punto di atterraggio. La seconda e’ che per motivazioni particolari il comandante deve assoggettarsi a questo ordine, In questo caso come ho già detto le motivazioni sarebbero militari. L’Itavia ha sempre avuto contatti con i servizi segreti. Il pilota sapeva di avere a bordo roba nostra, per cui può aver pensato di dover atterrare a Napoli Capodichino, perché era a Napoli che doveva consegnare il materiale. In realtà, invece, era per farlo abbattere. I curriculum dell’equipaggio danno adito a presumere che la loro formazione sia di tipo militare o prettamente militare.
[NDW: nulla di strano, la stragrande maggioranza dei piloti civili provengono dall’aviazione militare. La prospettiva di una carriera successiva più remunerativa è addirittura il principale motivo dell’arruolamento, per molti.]
Vi sono documenti della perizia Luzzatti a pagina 5, ove risulta ad esempio, che il capitano Domenico Gatti ha conseguito il brevetto di pilota civile di terzo grado nel ’67, e quello di ufficiale di rotta di prima classe nel ’68. La cosa e’ alquanto strana: prima si devono conoscere le rotte, poi si può diventare piloti”.
Chi ha deciso di mettere in mezzo l’Itavia?
“Stranamente la compagnia aerea Itavia aveva come vice-presidente il generale Cinti. La presenza di un così altro ufficiale ingenera qualche perplessità, considerando anche che l’Itavia si avvaleva di velivoli a nolo. L’obiettivo per noi era Gheddafi. Però non potevano permetterci di farci abbattere il suo aereo se qualcuno invece intendeva proteggerlo. Se però non arriva l’aereo, come tutti i piani strategici dicono, sono pronte una seconda e una terza mossa da attuare, per cui l’insurrezione ci sarebbe stata comunque. Così ci viene dato in pasto un altro aereo, che viene abbattuto credendo sia quello di Gheddafi. Quando ci viene comunicato che l’apparecchio e’ civile, e’ troppo tardi per attuare i piani di emergenza e chiaramente l’operazione fallisce. C’e’ da rilevare in questo senso una cosa stranissima: il TG1 da’ notizia del velivolo Itavia disperso alle 21:15. L’aereo ha l’impatto alle 20:56; e’ passato troppo poco tempo per non destare il sospetto che qualcuno avesse interesse a comunicare subito ai media che un aereo civile era precipitato”.
Ma non sarebbe bastato non abbattere nessuno?
“No, perché quando scatta un’operazione del genere non e’ possibile fermarla. Hai dei piani strategici e sei inarrestabile. Nel momento in cui diventi operativo in queste cose non c’e’ niente e nulla che possa fermarti: neanche il Presidente della Repubblica”.
Perché Gheddafi non doveva essere abbattuto?
“Allora, adesso deve scattare la seconda analisi: l’operazione si ferma, va tutto a puttane. Per capire Ustica bisogna andare avanti nel tempo: due mesi dopo alcune lobby economiche riconquistano i pacchetti azionari detenuti dalla Libia. La FIAT ad esempio, da “Fabbrica Italiana Automobili Tripoli”, torna “Fabbrica Italiana Automobili Torino”; altro vantaggio strategico e’ che decade il protettorato libico su Malta, ove il regime di Gheddafi stava costruendo rampe di missili. L’Italia riesce ad ottenere il petrolio, nonostante le difficoltà. Bisogna ricordare che il petrolio libico e’ uno dei più pregiati perché contiene la più alta percentuale di benzina ricavabile dal greggio. E’ tutta una concatenazione di eventi”.
Dalla registrazione delle conversazioni tra i piloti si e’ scoperto che l’ultima parola di uno dei due e’ stata “Guar…”, che si presume stesse per “Guarda!”. Non avrebbe dovuto essere registrato anche l’ordine di passare da Ambra 13 ad Ambra 17 e di invertire la rotta?
“Quelle cassette sono stranamente più corte della durata del volo. Quando vennero trovate si scoprì quest’anomalia macroscopica. Considerando poi che il volo e’ decollato con un notevole, documentato ritardo, e che i due registratori entrano in funzione dal momento in cui si chiudono i portelli, pare ancora più strano che di questo lasso tempo non vi sia traccia nelle cassette. C’e’ anche la possibilità che queste ultime siano già state ritrovate in precedenza, e che siano state manomesse e ricollocate dov’erano.”.
L’AFFONDAMENTO
Cosa successe dopo che l’aereo ammarò ?
“Per inibire la procedura d’emergenza dopo l’ammaraggio avvertirono il comandante che aveva a bordo nella stiva degli ordigni al fosforo, e che l’applicazione di questa procedura avrebbe sicuramente provocato un’esplosione. Gli Sparvieri probabilmente imbragarono il velivolo
[NDW: a parte le scarse probabilità che i piccoli Sparviero potessero reggere a galla il DC-9 invece di essere trascinati a fondo a loro volta, è molto dubbio che a bordo abbiano attrezzatura adatta e tantomeno sommozzatori addestrati a questa manovra, che non mi risulta essere mai stata fatta da nessuno al mondo.]
per sostenerlo nel galleggiamento, in attesa che arrivassero i mezzi di soccorso. A bordo del Nimrod venimmo a sapere da loro che l’aereo era un velivolo civile italiano, e la base di Decimomannu ce lo confermò subito dopo. Il comandante del DC9 probabilmente diede disposizione di non abbandonare il velivolo, riuscendo a mantenere la tranquillità tra i superstiti, confortati nel vedere il velivolo imbragato. Stranamente un alto ufficiale della marina e poi deputato, Falco Accame, affermò in una nota dell’ADN Kronos che si potevano salvare parecchie vite umane dal DC9. Accame non specifica quale sia la fonte da cui attinge quest’informazione o se sia un episodio vissuto in prima persona. Resta certo però che l’onorevole Falco Accame ha sempre ribadito questa sua versione dei fatti.”
Che cosa avvenne a quel punto?
“Alle 23.30 il comando operativo diede ordine al sottomarino inglese, che aveva a bordo gli uomini del SBS, di recarsi nel punto in cui era ammarato l’aereo
[NDW: secondo la sequenza oraria di Sinigaglia, alla migliore velocità possibile significa che il sottomarino era a meno di 100km di distanza, parecchio lontano dalla Libia dove sarebbe dovuto essere.].
Gli ordini, impartiti in codice, furono di farlo inabissare con cariche morbide di Dynagel, dal momento che contro ogni dato scientifico l’aereo galleggiava ancora
[NDW: appunto, contro ogni dato credibile. Nei diversi casi di ammaraggio documentato pare che un aereo di linea non galleggi per di più di pochi minuti, persino senza squarci.].
La decisione dell’inabissamento “chirurgico” era stata presa perché i passeggeri e l’equipaggio potevano essere letali, considerando anche la presenza a bordo di un giornalista, che avendo vissuto sulla pelle un simile evento certamente non si sarebbe lasciato intimidire. I corpi recuperati indossavano il giubbotto salvagente ed erano privi di scarpe. Tutto questo comprova l’emergenza vissuta a bordo e il fatto che furono attuate tutte le misure di sicurezza previste in simili situazioni. I corpi erano anneriti dalla reazione provocata dal contatto con l’acqua salina del fosforo bicomponente che il DC9 stava trasportando. Invece i corpi recuperati a parecchie centinaia di miglia dall’ammaraggio, catapultati nel vuoto per effetto della depressurizzazione, erano privi di giubbotto di salvataggio. Un ulteriore dato che conferma l’ammaraggio e’ che tutte le vittime recuperate avevano i timpani rotti a causa della rapida discesa da 6200 metri a 3000 effettuata per annullare gli effetti della depressurizzazione”.
Chi era il giornalista che era a bordo dell’aereo?
“Era il fratello di Daria Bonfietti, oggi presidente dell’associazione parenti delle vittime di Ustica”.
Quanto tempo sarebbe rimasta la gente, viva, all’interno dell’aereo?
“Parecchie ore”.
Da chi e’ arrivato l’ordine di far affondare l’aereo?
“Dalle eminenze grigie. Ma bisogna capire chi sono le eminenze grigie: si può essere a livelli di primi ministri o di delegati di primi ministri”.
L’esplosivo per far esplodere l’aereo non ha lasciato tracce?
“Qualche traccia si’: qualcosa dalle prove metallurgiche si trova ancora”.
E’ stato trovato del TNT.
“Che, non a caso, e’ un componente del Dynagel”.
Ma non era un rischio usare un esplosivo di cui si sarebbero potute trovate tracce?
“Infatti il Dynagel lo si ritrova in componenti, ma non nell’integralità della miscela che lo compone. E’ un esplosivo particolarmente idoneo per un certo tipo di cose: la salinità dell’acqua marina lascia disperdere alcuni componenti e ne lascia ritrovare degli altri. Gli SBS non sono gli ultimi cretini: sanno quello che fanno”.
Di Mario Naldini cosa mi sa dire?
“Poco o niente: non era nella nostra sfera”.
E’ uno dei piloti delle Frecce Tricolori morto nell’incidente di Ramstein.
“La cosa più brutta di Ustica e’ quella di cercare di sporcare le persone, di assegnare loro ruoli che non gli appartengono e di fargli vestire abiti che non hanno. L’accusa che gli viene fatta, ovvero che fosse in volo quella sera, non e’ credibile. Anche perché ciò che doveva volare il 27 giugno 1980 e’ stato deciso nella pianificazione. Naldini non era sicuramente in volo quella notte o, se era in volo, non era sui cieli di Ustica”.
Quindi fare il suo nome sarebbe stato un tentativo di depistaggio?
“No, e’ stato usare una persona deceduta perché non può esporre la propria versione. Troppo facile parlare di chi non ha più la possibilità di replicare”.
I SOCCORSI
Fra l’altro, anche se si fosse trattato di un normale incidente, i soccorsi sono partiti con un ritardo clamoroso.
“Si, ma con un’eccezione: il Gipsi Buccaneer alle 21:04 captò, grazie ad uno sforamento di qualche secondo dell’ombrello elettronico che inibiva le comunicazioni, il “MayDay” dell’aeromobile Itavia che comunicava il punto stimato dell’ammaraggio. Il Gipsi Buccaneer cercò di farsi ripetere le coordinate dal DC9; rispose invece la Vittorio Veneto, comunicando di proposito un punto errato. Il comandante si diresse verso il luogo indicato dalla Vittorio Veneto, e dopo aver perlustrato attentamente senza trovare traccia dell’aereo, alle 02:00 decise di recarsi nel punto da loro stessi captato. Alle 05:30 giunsero a 3 miglia dal relitto. Fecero in tempo solo a vedere la timoniera affondare. Il comandante del Gipsi morì stranamente qualche anno dopo; l’ingegnere di bordo tentò di dire che cosa avvenne ma fu convinto a non farlo. Per la cronaca, dopo Ustica il Gipsi Buccaneer ottenne contratti vantaggiosi in Asia. Anche il traghetto Napoli-Palermo captò il punto d’ammaraggio diramato dalla Vittorio Veneto e deviò la sua rotta. La Vittorio Veneto, in ossequio agli ordini ricevuti, continuava a convogliare tutti i natanti lontano dal punto d’ammaraggio e, per rendere più credibile il punto, aveva inviato anche parte della squadra e alcuni elicotteri. Il punto nautico dove venivano inviati i soccorsi era un punto realistico, non reale, infatti era la zona dove si potevano trovare i corpi delle vittime scaraventate nel vuoto per l’effetto della depressurizzazione. La Vittorio Veneto venne poi mandata al carenaggio perché fosse trasformata nella “tuttoponte” Garibaldi,
[NDW: come già detto, questa è una svista colossale perché si tratta di due navi del tutto distinte. Non è una svista da poco perché Sinigaglia vi torna sopra ripetutamente e ne fa una prova del complotto per insabbiare la strage.]
permettendo così la smobilitazione di tutto l’equipaggio. Il recupero delle parti dell’aeroplano e del suo carico e’ potuto iniziare solo la mattina del giorno successivo all’incidente, a causa dell’oscurità e della forza del mare durante la nottata. Questa e’ la dichiarazione dell’ammiraglio, comandante della squadra della Vittorio Veneto. Il mare a Ustica era a forza due. Come fa una squadra come quella della Vittorio Veneto a non poter intervenire? E’ di carta? Col mare aforza due si fa tranquillamente il bagno. Il massimo di forza del mare a 10: quando è a 2 lo si può paragonare alla scia lasciata da un off-shore”.
RANDAGIO
Com’e’ che da ex tenente colonnello del Sismi e’ stato costretto a questo tipo di vita?
“E’ molto semplice: mi hanno bloccato tutte le prospettive finanziarie e le possibilità di lavoro. Che alternative può avere un uomo in queste condizioni? Andare a ritrattare, come hanno fatto altri, e avere il portafoglio pieno, oppure restare coerente con sé stesso. E’ così che ci si ritrova in mezzo ad una strada”.
E’ possibile che i servizi, nel corso di questi anni, non abbiamo mai tentato di ucciderla?
“Quattro volte. Però dopo l’ultima ho mandato un chiaro messaggio. Se io crepo allora non si tratterà più soltanto di coprire Ustica. Ustica verrà insabbiata, ma allora chi di dovere dovrà spiegare gli altri operativi che ho fatto: Afghanistan, Ciad, Iran. Ci sono tre notai che hanno in mano documenti che sono autorizzati a divulgare in caso di mia morte”.
Lei ritiene di essere ancora sotto controllo?
“Può darsi di si, come di no. Se si’, possono rimanere soltanto delusi, sarebbero soldi spesi inutilmente. Se no, vuol dire che sono abbastanza intelligenti”.
Si e’ ancora lontani dalla conclusione?
“Non ci può essere conclusione. La mia testimonianza ha provocato l’incriminazione di tutti questi generali, ed io nell’80 ero solo un capitano che comunque aveva alle spalle un operativo come quello dell’insediamento di Komeini in Iran. E’ possibile anche solo pensare che non ci sia un qualche generale che sappia molto più di me? Ustica e’ collegata a tante altre cose. A Vagant Cosmic soprattutto. La disintegrazione di Vagant Cosmic e’ importantissima per capire anche fatti di stretta attualità. Gente che era abituata ai soldi, e che tutto sommato ha svolto i lavori che gli erano stati commissionati, può anche essere portata a non accettare di avere le tasche vuote. Una parte di questi uomini, ad esempio, e’ stata reclutata per andare a combattere in Croazia. Gente come noi sul mercato ha un grande valore. Da qui possono nascere le deviazioni. Un esempio per tutti: la banda Savi, di cui si parla sempre a sproposito. Ebbene, secondo me la banda Savi non e’ niente più e niente di meno che un filo del Sisde che rientra sotto le squadrette “K”, “Scorpioni”, “Ossi”. La banda Savi e’ una di queste squadrette che ad un certo punto e’ sfuggita al controllo e si e’ messa a fare i fatti suoi. Questo spiegherebbe ad esempio perché utilizzassero armi in dotazione solo ai servizi segreti, come il famigerato fucile sottoposto a perizia balistica dopo la strage del Pilastro
[NDW: si trattava di un nuovissimo ma comune Beretta AR-70, tant’è vero che i Savi lo hanno comprato in un negozio d’armi.].
E’ mia opinione che non esistano appartenenti alle forze dell’ordine di qualsiasi livello che impazziscono di colpo. Se andavano a rapinare e’ perché sapevano di avere il culo coperto. E questo, ripeto, e’ solo un esempio.”
Quali sono, adesso, le sue richieste?
“Considerata la condizione in cui siamo, una roulotte sa già di casa. Ecco, vorrei solo una roulotte. Certo, sarebbe bello avere anche qualche soldo per potersi iscrivere ad artigianato. Potremmo, io e il mio compagno d’avventure, metterci in giro a lavorare come fanno ad esempio gli impagliatori di sedie, e magari potrebbe essere il primo passo per risalire. Bisogna anche considerare che ho un compagno di viaggio che non ha voce. Lui ha perso casa e lavoro, e adesso si ritrova sulla strada, senza prospettive. Io ho almeno Ustica di cui parlare: un filo di voce mi e’ rimasto, ma a nessuno verrebbe in mente di andare ad intervistare lui. Con una roulotte e la possibilità di lavorare, il trenta-quaranta per cento della gente che e’ per strada può risorgere. E un’operazione del genere su ogni singola persona e’ un investimento di cinque-seicento mila lire. Io e lui siamo comunque tra i più fortunati di Milano. I condomini dei caseggiati qui intorno ci rispettano, perché sanno che non facciamo niente di male. Ogni sera viene giù qualcuno, saluta, si interessa, fa domande, se ha qualcosa da mangiare ce la porta giù. Qui non siamo trattati male, ma e’ sempre la vita di un pavimento.”
Gianluca Neri, Antonio Riccobon
PRIMI ATTORI, COMPRIMARI E COMPARSE
Guglielmo Sinigaglia indica nel generale Franco Ferri, vice capo di Stato Maggiore e braccio destro del generale Bartolucci l'”eminenza grigia”, colui che coordina i depistaggi e gestisce il Generale Tascio.
Il generale Zeno Tascio (che nel 1979 assume il comando del SIOS) sarebbe stato il braccio operativo dei Generale Bartolucci. Sinigaglia afferma che egli ebbe un ruolo di primo piano nella vicenda del Mig precipitato sulla Sila. Tascio sapeva che il Mig di Yuri Grecko era arrivato in gennaio, eppure, una volta designato a condurre la commissione militare d’inchiesta giunse alla seguente conclusione: “Il velivolo libico non era armato e non era dotato di serbatoi supplementari. Se il Mig fosse veramente partito dalla Libia e fosse stato privo dei serbatoi supplementari non avrebbe poi potuto far ritorno alla base, dal momento che il Mig 23 ha un difetto poco noto: nello sganciare i serbatoi supplementari, cadono anche i traversini di sostegno, fatto che causa l’incendio del velivolo
[NDW: dopo molte ricerche questo fatto non risulta da nessuna parte. Un aereo da guerra dei serbatoi ha bisogno ma li deve sganciare quando entra in battaglia per guadagnare agilità, per cui la cosa sembra davvero poco credibile.].
Il SIOS per contrastare ogni eventuale ipotesi di collegamento tra Mig e DC9 si procurò alcune testimonianze di pastori che dichiararono di avere visto cadere il Mig il 18 Luglio. Tascio, secondo questa versione, depistò le indagini secondo le direttive impartite dalla CIA in sintonia con i suoi colleghi superiori: Bartolucci, Ferri, Melillo, Pisano, Rana. Il generale Lamberto Bartolucci fu sin dal primo momento in sintonia con l’ipotesi di cedimento strutturale formulata dai generali Rana, Mangani e Torrisi. E’ necessario chiarire che secondo i documenti ufficiali le manutenzioni ordinarie e straordinarie erano state sempre eseguite dall’Itavia nel pieno rispetto delle norme che fissano i parametri gestionali di un aeromobile. Al momento del decollo il velivolo, siglato I-TIGI presentava soltanto due anomalie: la scaletta di bordo posteriore non era in grado di rientrare elettricamente e il vetro di copertura del cronometro del copilota era rotto. Danni di questo tipo non sono in grado di incidere sulla sicurezza in volo di un aereo. Lamberto Bartolucci gestisce il caso Ustica senza esporsi in prima persona, basandosi sulle relazioni dei suoi collaboratori.
Sinigaglia ritrae il generale Rana come colui che, nell’incapacità di prendere una decisione ebbe un ruolo importantissimo nell’alterazione dei tracciati radar, ricevendo l’appoggio della CIA, nella persona di Howard Stone. Poco dopo la tragedia di Ustica il Generale Rana si sarebbe recato negli Stati Uniti portando con sè i tracciati di almeno cinque centri radar da manipolare, senza avere alcuna autorità per farlo. Rana avrebbe collaborato attivamente con il Generale Ferri e la CIA concertando il depistaggio che il Generale Tascio avrebbe poi effettuato.
Il Generale Franco Pisano avrebbe invece avuto un ruolo rilevantissimo nell’operazione “Eagle Run to Run”, e fu in seguito nominato presidente della commissione d’inchiesta dal Ministero della Difesa. Tale commissione operò per circa 9 anni e concluse le proprie indagini dichiarando: “L’aeronautica Militare non ha svolto nessun’attività nella sera del 27 Giugno 1980 e pertanto non ha avuto nessun ruolo e nessuna colpa nella sciagura aerea del DC 9 Itavia”. Pisano si smentisce da solo in seguito, una volta interrogato, affermando che l’aeronautica aveva fatto tutto ciò che poteva fare, consegnando i materiali a sua disposizione, senza averli visionati o interpretati. Franco Pisano ha denunciato Guglielmo Sinigaglia per calunnia e diffamazione, affermando di essere comandante di una scuola di volo, per cui non poteva avere niente a che fare con Ustica. Sinigaglia dimostrò invece che era a Cagliari da cinque giorni, che c’erano le prove del suo ingresso alla base di Decimomannu e che c’era la prova tangibile che lui, nel momento in cui scattò l’operazione “Eagle Run to Run” era nella sala operativa. In seguito fu accusato, in buona e numerosa compagnia, di alto tradimento.
Il Generale Giuseppe Santovito, capo del SISMI, sarebbe stato perfettamente a conoscenza di tutta l’operazione. Nel 1977 diede un nuovo impulso a “Stay Behind”, intensificandone la specializzazione e l’operatività portando la struttura da 260 uomini a 1400
[NDW: non sono affatto queste le cifre riportate dall’indagine parlamentare, che arrivano al massimo a 7-800. Certo è probabile che tale cifra sia errata, ma quella riportata in questa versione da quale fonte eccellente arriva ?]
(divisi in squadrette che variavano da 6 a 12 elementi). A capo di queste squadrette vennero selezionati 200 uomini non “bruciati”, appartenenti alla struttura preesistente.
Il Generale Paolo Inzerilli, vice del Generale Santovito e capo di “Stay Behind”, secondo Sinigaglia avrebbe designato le squadrette che avrebbero preso parte all’operazione. Con il comando diretto di “Stay Behind” ottenuto nel 1979, il Generale Inzerilli diede nuove configurazioni alla struttura, ampliò il programma addestrativo, e fece ottenere armi migliori.
Anche il generale Romolo Mangani sarebbe stato a conoscenza di “Eagle Run To Run”. Fu del resto il primo ad allinearsi al Generale Rana difendendo 3 ipotesi: il cedimento strutturale, l’effetto devastante di correnti a getto in quota e la bomba a bordo.
Sinigaglia dipinge l’ammiraglio Fulvio Martini come uno degli strateghi dell’organizzazione dell’insurrezione in Libia e dell’operazione “Eagle Run to Run”. Voci mai confermate e mai smentite dissero che Martini spinse affinché venisse diffusa la notizia che l’incidente si era verificato in seguito ad un errore di gestione dell’esercitazione “Sinadex”. Il CESIS sarebbe intervenuto ricordando che il segreto militare è il segreto di Stato.
Stando a quanto afferma Sinigaglia il capitano di vascello Sergio Bonifacio infranse per primo il segreto militare, recandosi dal procuratore e scavalcando la procedura gerarchica. In seguito il capitano Bonifacio modificò la sua prima versione e pose fine alla carriera militare.
Howard Stone, capo della CIA in Italia, consegnò al settimanale “Time” le foto in esclusiva del massacro compiuto a Tobruk in seguito al fallito tentativo di insurrezione. Fu un atto di forza incruento: gli americani segnalavano in questo modo che per compiere qualsiasi tipo di azione è necessario il loro benestare. Ingaggiò un braccio di ferro con il generale Santovito che portò alla caduta di quest’ultimo nell’ambito del SISMI.
Alessandro De Marenches, capo dello SDECE, nel dicembre del 1987 affermò in un’intervista che se avesse voluto parlare avrebbe potuto dire tutto riguardo ad Ustica ed altre operazioni attuate in collaborazione con l’Italia.
Il colonnello De Marol dell’SSE (Service de Securitè Etrangère) fu il vero pianificatore dell’operazione Tobruk. Quando al piano di destabilizzazione venne apportata la variante del Mig, non si dimostrò molto propenso a sostenere l’ipotesi ma dovette allinearsi agli ordini. Fu il primo ed unico a pagare per la mancata riuscita dell’operazione, e fu “dimissionato”. Per primo dichiarò che sospendere l’operazione Tobruk avrebbe aggiunto strage a strage, cosa che del resto si verificò, se si considera il massacro avvenuto.
Fonte: srs di Gianluca Neri e Antonio Riccobon, da SOTTOVOCE (Foto Gianluca Miano)
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