di LUIGI FRESSOIA
In politica si avvicendano cose grosse che non dovrebbero passare così velocemente nel dimenticatoio, è il caso del Piano del Lavoro che la Cgil ha presentato il 25 gennaio scorso, molte pagine, vaste programme, la parola lavoro ripetuta mille volte, lavoro qui lavoro là, però la parola impresa compare una sola volta per perorare la riduzione delle contribuzioni pubbliche in suo favore (e su questo devo dire che siamo d’accordo: le imprese il denaro devono produrlo, non succhiare quello prodotto da altri).
Sta il fatto che non compare mai il concetto di impresa, la centralità dell’impresa, la naturale compresenza dell’impresa ove si voglia lavoro, il che è una enormità che sconfina nel comico: come infatti sarà mai possibile creare lavoro senza impresa? Senza numerose, crescenti, adeguate, diffuse, competitive imprese? Come non vedere che lavoro e impresa sono la stessa cosa, due facce della stessa medaglia, più precisamente due facce della stessa moneta, visto che di soldi si sta parlando? Queste elementari domande/constatazioni neanche sfiorano la Cgil (né sfiorano Landini, Fassina, Vendola, Ingoia e tutti i sociali di destra e sinistra che calcano la scena), tutta protesa -questo si legge nel documento cigiellino-a rastrellare alla mano pubblica altre montagne di denaro tramite ulteriore peso fiscale e “fondi europei” (come se questi ultimi non fossero a loro volta tasse pagate a suo tempo), da impiegare in buona sostanza in una nuova grandinata di appalti pubblici e impiego pubblico ovviamente alla maniera consolidata, ovvero senza porsi neanche una domandina circa efficacia e beneficio di tali utilizzi…
Beati loro! Evidentemente per la Cgil il lavoro che interessa è solo quello pubblico, tuttalpiù delle imprese che dal pubblico dipendono. Ma è una comica: come non avere ancora capito che il denaro dello stato non si stampa di notte a piacimento bensì può provenire solo dalla ricchezza che imprese vere e lavoro vero sanno produrre? S’accorgeranno mai che nel 1861 quando l’impresa italiana era debolissima, i dipendenti pubblici erano appena 30.000 e adesso, grazie alla produttività di una miriade di imprese vere, lo stato può mantenere 3 milioni e mezzo di impiegati oltre a foraggiare un esercito di finte imprese dedite non a produrre ricchezza bensì a succhiare quella prodotta da altri? Se muoiono le imprese vere che producono ricchezza vera, dove mai prendere gli oceani di quattrini che costano il pubblico impiego e gli appalti pubblici? Misteri gaudiosi!
Il così detto Piano del Lavoro certifica che la guerra di classe non disarma mai, si dovrebbe solo riconoscere che è guerra tra produttori e parassiti, tra non garantiti e garantiti, tra chi paga le tasse e chi le consuma, ove la Cgil sta coi secondi senza se e senza ma, bontà sua, ma tramite un uso fraudolento della parola lavoro. Essa perora in verità “posti”, ma non lavoro. Non per nulla ha quattro milioni di iscritti però in gran maggioranza pensionati e sempre meno operai, quadri, tecnici, insomma sempre meno la gente che lavora sul serio, e ci credo, mica scemi! Come dice il saggio: puoi ingannare qualcuno per sempre o molti per un po’, ma ingannare tutti e per sempre è davvero arduo.
Come si può ancora oggi confondere la ricchezza reale (di chi produce denaro riuscendo a soddisfare i gusti e il portafoglio dei consumatori, cioè del mercato), con la ricchezza dilapidata in attività non produttive o non indispensabili? E infatti la comica più grossa del Piano è quando afferma che i 50 miliardi di spesa straordinaria perorata per i prossimi tre anni, porterebbero l’incremento di un buon 3,1 il pil nazionale, del 2,9% l’occupazione, del 3,4 il reddito disponibile, del 2,2% i consumi delle famiglie, dell’1,8% le esportazioni e ciliegina sulla torta la riduzione della disoccupazione di ben 7 punti! Oh per bacco, ma se così fosse perché non adottare di corsa il Piano cigiellino? Perché Bersani non ne fa la sua bandiera? Lasciamo perdere quelli di destra (che notoriamente godono solo a vedere la gente soffrire per strada), ma perché tutti gli altri compresi i pentiti Casini e Fini e lo stesso Mario Monti, non adottano a braccia aperte la ricetta camussina?
Roba da autentica psichiatria! Se infatti la reputano una sòla, è follia non dirlo urbi et orbi (cominciando a liberare l’Italia da cotanto inganno), se la considerano giusta non si capisce perché non farne il perno della campagna elettorale, dei programmi, della vita politica nazionale. Invece il Piano del Lavoro, apparso come un fantasma sui media il 25 gennaio, è già scomparso e nessuno ne parla più, la Cgil ha fatto il suo dovere di devozione ai miti antichi, tutti gli altri fingono di non vedere e non sentire. A noi la Cgil fa ridere, ma ci fa piangere il rispettoso silenzio, l’aura sacrale, l’omertà culturale di cui può godere da parte dell’intero arco costituzionale: nessuno osa smascherare cotanto populismo e populisti, falsari, demagoghi, imbonitori; della cgil, del keinesismo, dello statalismo e del sociale. Nessuno li inchioda alla logica conseguenza che spendere soldi senza aver prodotto ricchezza si può solo alla loro maniera antica: stampare denaro! Come se non sapessimo tutti cosa vuol dire e dove si va a finire. Neanche Berlusca gli ha mia fatto una risata in faccia, s’è limitato a dire che fanno demagogia. Sì è vero, ma bisognerà pure spiegarla ‘sta demagogia, sennò rimane verità di fede per tantissima gente, e pure laureati (sic!).
La causa, il motore di cotanta ignavia da parte di un esercito di sedicenti liberali, è la prudenza protomafiosa di non turbare troppo gli equilibri consolidati (come se non fossero questi stessi l’origine dei mali maggiori), un’intima ritrosia alla risaputa sfacciataggine della verità, il timore di danneggiarsi in una qualche maniera (nel farsi nemici dichiarati). Così, silenzio dopo silenzio, omertà dopo omertà, compiacimento dopo compiacimento, la Cgil può continuare imperterrita a camuffare la propria strutturata ignoranza (non sanno tecnicamente cos’è il denaro, come si forma, quanto dove e perchè), con l’aura della purezza e del martirio (come i tre sabotatori di Melfi), sì che i suoi militanti amano mostrarsi con minacciose casacche a caratteri cubitali, e atteggiarsi per le vie o davanti ai cancelli similmente a certe formazioni paramilitari di stampo sudamericano.
Post Scriptum: Quei numeri allegri della Cgil richiamano una verità negletta a proposito del pil. Assai meglio del pil (prodotto interno lordo=ricchezza nazionale annua) bisognerebbe parlare di pir, prodotto interno reale. Infatti nei pil viene considerata la spesa pubblica tutta intera, ma siccome per buona parte è improduttiva e parassitaria (forniture gonfiate, enti e impiegati inutili, appalti truccati, politici troppo numerosi e costosi, sostegno a imprese ammanicate), ecco che il pil non è veritiero. Infatti piace molto alla Cgil e a tutti gli statalisti, aiuta a confondere produttori e parassiti, in modo che questi ultimi possano continuare tranquilli nel loro privilegio di classe.
Fonte: srs di LUIGI FRESSOIA, da L’Indipendenza del 25 febbraio 2013
Link: http://www.lindipendenza.com/senza-impresa-non-si-crea-lavoro-spiegatelo-alla-cgil/