di GIAN LUIGI LOMBARDI CERRI
Per distrarre l’attenzione dei cittadini dai reali problemi del paese (e non solo, come vedremo più avanti) si scatena la caccia all’evasore. Ad ogni piè sospinto la colpa dei nostri guai è degli evasori. Quanto è fondata questa teoria? Vediamolo attraverso un piccolo, ma significativo, esempio. Vado dal barbiere e mi faccio fare shampoo, barba e capelli. Alla fine pago il conto. Il barbiere mi chiede X. Se avessi pagato in nero avrei, come minimo, risparmiato il 21 %, il che significa che il rientro dall’evasione lo pago io, modesto cittadino di serie B.
Completiamo l’esempio. Immaginiamo che il servizio di cui sopra venga reso dallo Stato, invece che dal privato. Questo porta subito a vedere che nel negozio del barbiere, invece di esserci una sola persona gli addetti diventano due (come succede in tutti gli uffici pubblici). I due sostituti del singolo privato, immediatamente, prevedono che il sottoscritto debba compilare una serie di moduli di domanda; uno per lo shampoo, uno per il taglio barba, uno per il taglio capelli corredando questi moduli con un certificato di nascita, un certificato antimafia (tra parentesi mi piacerebbe vedere un certificato antimafia compilato da un mafioso in cui il “correttissimo cittadino” dichiara di appartenere all’onorata società) e, come minimo, anche un certificato di residenza, il tutto a sportelli diversi, con impiegati diversi e in tempi diversi.
Tutto questo con abbondanti perdite di tempo e di denaro. (ecco uno dei punti fondamentali dove tagliare i costi). Questo farebbe sì che il conto passerebbe dai 20-30 € a 250-300 €, come regolarmente avviene per tutti i servizi pubblici. A che cosa serve, quindi, il recupero dall’evasione? Semplice: a pagare e mantenere un numero crescente di “barbieri statali”. Perché? Perché i casi sono solamente due. O l’obbiettivo è quello di fare gli interessi dei cittadini “pagatori di tasse” , oppure quello di mantenere un’ampia casta di fancazzisti, oltretutto incapaci. Riteniamo che l’obbiettivo vigente sia il secondo. Il tutto funziona oggi secondo il seguente meccanismo:
1.- La casta ha in mano le armi (non solo metaforiche) e provvede, nel frattempo, a cercar di privare i pagatori di tasse anche del più piccolo temperino (non si sa mai).
2.- La casta ha la stessa convinzione di Luigi XVI quando chiese al suo ministro Neckar: “Aumentando le tasse i cittadini fanno la rivoluzione?”. E dopo una risposta incerta del Ministro rispose: “Allora aumenti”.
3.- La casta sa che, una volta aumentate le tasse, non tornerà più indietro per ridurle, ma solo a cambiarne la denominazione (vedasi la tassa sulla guerra di Etiopia).
4.- La casta sa che tra riorganizzare sé stessa riducendo i costi ed aumentare le tasse per mantenere le proprie crescenti spese, la seconda opzione le risulta infinitamente la più comoda.
5.- La casta, come diceva Longanesi, è “buona a nulla, ma capace di tutto” e, quindi mette in moto continuamente la sua fervida fantasia per inventare promesse (che non manterrà mai in base al dettame che si è preoccupata di inserire subito nella “più bella costituzione del mondo”) e giustificazioni fasulle.
6.- La casta, salvo poche eccezioni, è incapace di installare e gestire un accettabile livello di organizzazione (se non per beccare soldi), anche ( e soprattutto) perché non è mai stata istruita adeguatamente al proposito (posto che abbia la capacità di imparare).
Abbiamo più sopra detto che una delle giustificazioni ricorrenti, in questo periodo, è quella degli evasori, onde risolvere i problemi italici. Ed è una bella invenzione, poiché le possibilità di impiego del recupero dell’evasione sono solo:
a.- Se il maggior recupero viene utilizzato per ridurre le tasse vigenti, il bilancio generale dello Stato rimane immutato, quindi decolla l’economia, ma il debito rimane alto.
b.- Se il maggior recupero va a coprire le maggiori spese allora aumenta ulteriormente la già elevatissima pressione fiscale, evitando però alla casta il taglio delle spese superflue, cosa che la danneggerebbe non poco.
E’ stato quindi doveroso (ahimè data la situazione semi fallimentare in cui si trova da decenni l’Italia) aumentare il carico fiscale, ma ancora più doveroso (nonché utile) sarebbe il taglio delle spese inutili e insieme, di grandissimo rilievo, la totale riorganizzazione dello Stato, fatta tuttavia non dai burocrati, a causa della loro già più volte provata incapacità culturale. Vogliamo un esempio (scelto tra migliaia) della costosissima disorganizzazione dello Stato? Eccola!
Quando il ministro Fornero ha chiesto all’INPS quanti pensionati (futuri esodati) sarebbero stati interessati dal suo provvedimento, gli è stata fornita una cifra. Il ministro sostiene che la cifra ammontava a 50.000 mentre il presidente INPS sostiene di aver comunicato 150.000. In entrambi i casi uno dei due personaggi (non essendo stato in gradi di fornire o di interpretare i dati) dovrebbe essere inviato all’agricoltura a spalare letame (e perché non tutti e due?). Guardate leggi e regolamenti. Sono il frutto di una mentalità a cavatappi dove le cose semplici vengono rese complicatissime, per cui non solo non riescono ad evitare le frodi, (anzi in molti casi le favoriscono), ma rendono impossibile e costosa la vita di chi le leggi vorrebbe rispettare. Questo perché?
Semplicemente perché non vi è travaso di persone (e di esperienze) tra impiego pubblico ed impiego privato, e quindi i burocrati sono privi di un bagaglio di esperienza fondamentale: quello di dover quotidianamente (pena il licenziamento) rispondere delle conseguenze del proprio operare.
Fonte: srs di GIAN LUIGI LOMBARDI CERRI, da L’Indipendenza del 30 aprile 2013