(fonte: Miguel Urbano Rodriguez)
Shlomo Sand fu oggetto di una valanga di insulti in Israele quando pubblicò il libro dal titolo “Come fu inventato il Popolo ebraico”.
Il testo smonta miti biblici che costituiscono la base dello Stato sionista di Israele.
Professore di Storia Contemporanea all’Università di Tel Aviv, Shlomo Sand nega che gli ebrei siano un popolo con un’origine comune e sostiene che fu una specifica cultura e non la discendenza da una comunità arcaica unita da legami di sangue lo strumento principale del fermento protonazionale.
A suo avviso, lo “Stato ebraico di Israele” lungi dall’essere la concretizzazione del sogno nazionale di una comunità etnica con più di 4000 anni, fu invece reso possibile da una falsificazione della storia stimolata, nel XIX secolo, da intellettuali come Theodor Herzl.
Mentre accademici israeliti insistono nel sostenere che gli ebrei sono un popolo con uno specifico DNA, Sand, fondandosi su una documentazione esaustiva, ridicolizza questa tesi senza alcun fondamento scientifico.
Non vi sono ponti biologici tra gli antichi abitanti dei regni di Giudea e di Israele e gli ebrei attuali.
L’immaginario delle persone si è notevolmente nutrito del mito etnico, le cui radici affondano nella Bibbia, fonte del monoteismo ebraico. Proprio come l’Iliade, l’Antico Testamento non è opera di un unico autore. Sand definisce la Bibbia come “biblioteca straordinaria” scritta tra il VI e il II secolo a.C. Il mito comincia con l’invenzione del “popolo eletto” al quale fu annunciata la terra promessa di Canaan.
Non ha fondamento storico l’interminabile viaggio di Mosè e del suo popolo verso la Terra Santa e la sua successiva conquista. E’ importante ricordare che l’attuale territorio di Palestina era allora parte integrante dell’Egitto dei faraoni.
La mitologia degli esili successivi, diffusasi nei secoli, finì per acquisire l’apparenza di una verità storica. In realtà fu modellata a partire dalla Bibbia e ampliata dai pionieri del sionismo.
Le espulsioni di massa di ebrei da parte degli assiri sono un’invenzione. Non se ne trova traccia consultando le fonti storiche credibili.
Il grande esilio di Babilonia è falso come quello delle grandi diaspore.
Quando Nabucodonosor conquistò Gerusalemme distrusse il Tempio ed espulse dalla città una parte delle élite. Ma allora Babilonia era la città di residenza, per scelta autonoma, di una numerosa comunità ebraica. Fu essa a costituire il nucleo delle creatività dei rabbini che parlavano l’aramaico e che introdussero importanti riforme nella religione di Mosè. E’ importante notare che soltanto una piccola minoranza di questa comunità andò in Giudea quando l’imperatore persiano Ciro conquistò Gerusalemme nel VI secolo a. C.
Quando i centri della cultura ebraica di Babilonia si disgregarono gli ebrei emigrarono a Bagdad e non verso la “Terra Santa”.
Sand dedica un’attenzione speciale agli “Esili” come miti fondatori dell’identità etnica.
Le due “espulsioni” degli ebrei nel periodo romano, la prima con Tito e la seconda con Adriano, che avrebbero costituito il motore della grande diaspora, sono oggetto di una profonda riflessione dello storico israeliano.
I giovani imparano nelle scuole che “la nazione ebraica” fu esiliata dai Romani dopo la distruzione del secondo Templio da parte di Tito, e successivamente, da parte di Adriano nel 132. Basterebbe il testo fantasioso di Flavio Giuseppe, che testimonia la rivolta degli zeloti, per togliere credibilità all’attuale versione ufficiale.
A suo parere, i romani massacrarono circa 110.000 ebrei e ne arrestarono 97.000. Questo avvenne in un’epoca in cui la popolazione totale della Galilea -a detta degli odierni demografi- era molto inferiore al mezzo milione.
Gli scavi archeologici degli ultimi decenni a Gerusalemme e in Cisigiordania hanno sollevato molti problemi insuperabili agli accademici sionisti che “spiegano” la storia del popolo ebraico prendendo come riferimenti infallibili la Torah e la parola dei Patriarchi. Le smentite dell’archeologia turbano gli storici. E’ provato che Gerico era poco più di un villaggio, senza le poderose mura che la Bibbia cita. Le rivelazioni sulle città di Canaan hanno allarmato anche i rabbini. L’archeologia moderna ha seppellito il discorso dell’antropologia sociale religiosa.
A Gerusalemme non sono state trovate vestigia delle grandiose costruzioni che, secondo il Libro, la trasformarono nel decimo secolo a. C., l’epoca dorata di Davide e Salomone, nella città monumentale del “popolo di Dio” che abbagliava quanti la conoscevano. Né palazzi, né mura, né ceramiche di qualità.
L’utilizzo della tecnologia del carbonio 14 ha consentito di arrivare ad una conclusione. I grandi edifici della regione Nord non furono costruiti all’epoca di Salomone.
“Non esiste in realtà nessuna traccia – scrive Shlomo Sand – relativa all’esistenza di questo re leggendario la cui ricchezza è descritta nella Bibbia in termini paragonabili solo ai poderosi regni di Babilonia e di Persia”. Se un’entità politica è esistita nella Giudea del X secolo a. C., sostiene lo storico, può solo essere stata un microregno tribale e Gerusalemme soltanto una piccola città fortificata.
E’ altrettanto significativo che nessun documento egiziano faccia riferimento alla “conquista” da parte degli ebrei di Canaan, territorio che allora apparteneva al faraone.
Il silenzio sulle conversioni
La storiografia ufficiale israelita, nell’erigere a dogma la purezza della razza, attribuisce alle successive diaspore la formazione di comunità ebraiche in decine di paesi.
La Dichiarazione di Indipendenza di Israele afferma che gli ebrei furono obbligati nel corso dei secoli a tentare di ritornare al paese dei loro antenati. Si tratta di una grossolana menzogna che falsifica la Storia.
La grande diaspora è un’invenzione, come le altre. Dopo la distruzione di Gerusalemme e la costruzione di Aelia Capitolina solamente una piccola minoranza della popolazione fu espulsa. La maggior parte di essa rimase nel paese.
Qual è dunque l’origine degli antenati dei 12 milioni di ebrei, oggi esistenti al di fuori di Israele ?
Rispondendo a questa domanda, il libro di Shlomo Sand ha distrutto anche il mito della purezza della razza, di etnia ebraica.
Un’abbondante documentazione raccolta da storici di prestigio mondiale rivela che nei primi secoli della nostra era ci furono massicce conversioni al giudaismo in Europa, in Asia e in Africa.
Tre delle quali furono particolarmente importanti e mettono a disagio i teologi israeliti.
Il Corano dice che Maometto incontrò a Medina, durante la sua fuga dalla Mecca, grandi tribù giudaiche con le quali entrò in conflitto e finì per espellerle. Ma non chiarisce che nell’estremo sud della penisola arabica, nell’attuale Yemen, il regno di Hymar adottò il giudaismo come religione ufficiale. E va detto che arrivò per restare. Nel settimo secolo, l’Islam si insediò nella regione ma, dopo tredici secoli, quando si formò lo Stato d’Israele, decine di migliaia di yemeniti parlavano arabo, continuando a professare la religione giudaica. La maggioranza emigrò in Israele dove, attualmente, è discriminata.
Il giudaismo affonda le radici anche nell’Impero Romano. La questione ha risvegliato l’attenzione dello storico Dione Cassio e del poeta Giovenale.
In Cirenaica, la rivolta degli ebrei della città di Cirene ha richiesto la mobilitazione di diverse legioni per combatterla.
Però fu soprattutto nell’estremità occidentale dell’Africa che si verificarono conversioni in massa alla religione rabbinica. Una parte considerevole delle popolazioni berbere aderì al giudaismo e ad esse si deve la sua introduzione in Andalusia.
Furono questi magrebini coloro che difesero nella penisola iberica il giudaismo, i pioneri dei sefarditi che, dopo l’espulsione dalla Spagna e dal Portogallo, si esiliarono in diversi paesi europei, nell’Africa musulmana e in Turchia.
Molto importante per le sue conseguenze fu la conversione al giudaismo dei Khazari, un popolo nomade turcofono, imparentato con gli unni, che proveniva dall’Altai e si stabilì, nel IV secolo, nelle steppe del basso Volga.
I Khazari, che accettavano di buon grado il cristianesimo, costruirono un potente stato giudaico, alleato di Bisanzio nelle lotte all’Impero Romano d’Oriente contro i Persiani Sassanidi.
Questo dimenticato impero medievale occupava un’area enorme, dal Volga alla Crimea e dal Don all’attuale Uzbekistan. Scomparve dalla storia nel secolo tredicesimo, quando i Mongoli invasero l’Europa distruggendo tutto al loro passaggio. Migliaia di Khazari, fuggendo dalle Orde di Batu Khan, si dispersero per l’Europa Orientale. Fu insperata la loro principale eredità culturale. Grandi storici medievalisti come Renan e Marc Bloch e lo scrittore ungaro-inglese Arthur Koestler identificano nei khazari gli antenati degli askenaziti le cui comunità in Polonia, in Russia e in Romania hanno svolto un ruolo cruciale nella colonizzazione giudaica della Palestina.
Uno Stato neo-fascista
Secondo Nathan Birbaum, l’intellettuale ebreo che inventò nel 1891 il concetto di sionismo, è la biologia e non la lingua e la cultura, che spiega la formazione delle nazioni.
Per lui, la razza è tutto. E il popolo ebraico sarebbe stato quasi l’unico a preservare la purezza del sangue attraverso i millenni.
Egli morì senza capire che questa tesi razzista, prevalendo, avrebbe cancellato il mito del popolo sacro eletto da Dio.
Gli ebrei sono il frutto di una catena di diversi incroci. Chi attribuisce loro identità e cultura proprie, nonché fedeltà a una tradizione religiosa radicata, falsifica la Storia.
Nei passaporti dello stato ebraico di Israele non è accettata la nazionalità di israeliano. I cittadini a pieno diritto scrivono “giudeo”. I palestinesi devono scrivere “arabo”, nazionalità inesistente.
Essere cristiano, buddista, mazdeista, musulmano, o indú deriva da una scelta religiosa, non è una nazionalità. Nemmeno il giudaismo è una nazionalità.
In Israele non c’è matrimonio civile. Per gli ebrei è obbligatorio il matrimonio religioso, anche se si è atei.
Questa aberrazione è inseparabile da molte altre in uno Stato confessionale, di etnocrazia liberale costruita su dei miti; uno Stato che ha sostituito l’yiddish, parlato dai pionieri del “ritorno in Terra Santa”, con l’ebraico sacro dei rabbini, sconosciuto al popolo di Giudea che si esprimeva in aramaico, la lingua nella quale fu redatta la Bibbia, a Babilonia e non a Gerusalemme.
Lo “Stato del popolo ebraico” si definisce democratico. Però in realtà nega la legge fondamentale approvata dalla Knesset. Non può essere democratico uno Stato che tratta come paria di nuovo tipo il 20% della popolazione del paese, uno Stato nato dal mostruoso genocidio in terra straniera, uno Stato le cui pratiche presentano sfumature di stampo neofascista.
Il libro di Shlalom Sand sull’invenzione del popolo ebraico è oltre che un lucido saggio storico, un atto di coraggio.
Fonte: srs di Miguel Urbano Rodrigue, da Poisonus, del 1 febbraio 2013
Link: http://poisonus.ilcannocchiale.it
COME FU INVENTATO IL POPOLO EBRAICO
Quanto segue è l’autorevole smantellamento di un mito; All’ annosa questione se gli ebrei formano una nazione risponde uno storico israeliano, poiché contrariamente all’opinione comune, la diaspora non nasce con l’espulsione degli ebrei della Palestina, ma da successive conversioni in Africa del Nord, in Europa del Sud ed nel Medio-Oriente. Ecco qualcosa che farà vacillare una delle basi del pensiero sionista, secondo la quale gli ebrei sono i discendenti del regno di Davide, ma non gli eredi dei guerrieri berberi o dei cavalieri kazari.
La spiegazione di Shlomo Sand, storico e professore all’università di Tel-Aviv:
Qualsiasi Israeliano sa, senza l’ombra di dubbio, che il popolo ebreo esiste da quando ha ricevuto la Torah(1) nel Sinai e che egli è il discendente diretto ed esclusivo del popolo eletto.
Tutti noi siamo convinti che questo popolo, fuggito dall’Egitto, si stabilì “sulla terra promessa”, dove fu eretto il regno glorioso di Davide e di Salomone, diviso in seguito nei regni di Giuda e di Israele. Inoltre nessuno ignora che questo popolo ha conosciuto l’esilio due volte: dopo la distruzione del primo tempio, nel VI° secolo prima di Cristo, quindi in seguito a quella del secondo tempio, nell’anno 70 dopo Cristo.
In seguito per il popolo ebreo vi furono peregrinazioni di circa due mille anni: le sue tribolazioni lo condussero nello Yemen, in Marocco, in Spagna, in Germania, in Polonia e fino in Russia, ma riuscì sempre a preservare i legami di sangue tra le sue Comunità così lontane fra loro. In questo modo la sua unicità non fu alterata.
Alla fine del xx° secolo, le condizioni divennero propizie per il suo ritorno nell’antica patria. Senza il genocidio nazista, milioni di ebrei avrebbero ripopolato naturalmente Eretz Israel (la terra di Israele) poiché era il loro sogno da venti secoli.
Vergine, la Palestina attendeva che il suo popolo originale venisse a farla rifiorire. Dato che apparteneva a lui solo, non a questa minoranza araba, sprovvista di storia, arrivata là per caso. Giuste erano dunque le guerre condotte dal popolo errante per riprendere possesso della sua terra; e criminale l’opposizione violenta della popolazione locale.
Da dove viene quest’interpretazione della storia ebraica?
È l’opera, dalla seconda metà del xix° secolo, di rimanipolatori, di talento, del passato, la cui fertile immaginazione ha ideato, sulla base di pezzi di memoria religiosa, ebraica e cristiana, una sequenza genealogica continua per il popolo ebreo. La storiografia abbondante del giudaismo comporta, certamente, una pluralità di approcci. Ma le polemiche nel suo ambito non hanno mai rimesso in discussione l’essenzialità delle concezioni elaborate soprattutto alla fine del XIX° secolo ed all’inizio del XX°.
Quando apparivano scoperte suscettibili di contraddire l’immagine di questo lineare passato, esse quasi non beneficiavano di alcun eco. L’imperativo nazionale, tale una mandibola fermamente chiusa, bloccava ogni tipo di contraddizione e deviazione rispetto alla versione dominante. Le specifiche istanze di produzione della conoscenza del passato ebreo – i dipartimenti esclusivamente dedicati “alla storia del popolo ebreo”, separati dai dipartimenti di storia (chiamati in Israele “storia generale”) – hanno in gran parte contribuito a questa curiosa “emiplegia”. Anche il dibattito, di carattere giuridico, su “chi è ebreo?”non ha preoccupato questi storici: per loro, è ebreo qualsiasi discendente del popolo costretto all’esilio due mille anni fa.
Questi ricercatori “autorizzati” del passato non parteciparono neppure alla discussione “dei nuovi storici”, iniziata alla fine degli anni 1980. La maggior parte degli attori di questo dibattito pubblico, in numero limitato, veniva da altre discipline o da orizzonti extra-universitari: sociologi, orientalisti, linguisti, geografi, specialisti in scienza politica, ricercatori in letteratura, archeologi; essi formularono nuove questioni sul passato ebreo e sionista. Si contavano anche nelle loro file laureati venuti dall’estero. Dai “dipartimenti di storia ebrea” giunsero, in compenso, soltanto degli echi apprensivi e conservatori, rivestiti di una retorica apologistica a base di idee ricevute.
Il giudaismo, religione proselitista
In breve, in sessanta anni, la storia nazionale è maturata pochissimo, e l’evoluzione improbabile nel prossimo futuro. Eppure, i fatti messi a giorno dalle ricerche pongono ad ogni storico onesto domande sorprendenti a primo acchito, ma tuttavia fondamentali.
La bibbia può essere considerata come un libro di storia?
I primi storici ebrei moderni, come Isaak Markus Jost o Léopold Zunz, nella prima metà del XIX °secolo, non la pensavano così: ai loro occhi, l’Antico Testamento è un libro di teologia che ha costituito le comunità religiose ebree dopo la distruzione del primo tempio. È stato necessario attendere la seconda metà dello stesso secolo per trovare storici, in primo luogo Heinrich Graetz, titolare di una visione “nazionale” della bibbia: hanno trasformato la partenza di Abramo per Canaan, l’uscita dell’Egitto o anche il regno unificato di Davide e Salomone in resoconti di un passato nazionale autentico. Da allora gli storici sionisti non hanno cessato di ribadire queste “bibliche verità”, diventate prodotti di consumo quotidiani dell’istruzione nazionale.
Ma ecco che nel corso degli anni 1980 questi miti fondatori vacillano. Le scoperte “della nuova archeologia” contraddicono la possibilità di un grande esodo nel XIII° secolo prima della nostra era. Inoltre Mosè non ha potuto fare uscire gli ebrei dell’Egitto e condurli verso “la terra promessa” per la semplice ragione che all’epoca questa… era nelle mani degli Egiziani. Non si trova del resto alcuna traccia di una sommossa di schiavi nell’impero dei faraoni, né una conquista rapida del paese di Canaan perpetrata da elementi stranieri.
Non esiste neppure un segno dei sontuosi regni di Davide e di Salomone. Le scoperte del decennio passato mostrano l’esistenza, all’epoca, di due piccoli regni: Israele, più potente, e Juda, la futura Giudea. Gli abitanti di quest’ultimo regno non subirono nessun esilio nel VI° secolo prima della nostra era: solo l’élite politica ed intellettuale dovettero installarsi a Babilonia. Da questo decisivo incontro con i culti persiani sorgerà il monoteismo ebreo.
L’esilio dell’anno 70 della nostra era, ha effettivamente avuto luogo?
Paradossalmente, questo “evento fondatore” nella storia degli ebrei, da cui la diaspora trae la sua origine, non ha dato luogo al minima ricerca. Per una semplice ragione: i Romani non hanno mai esiliato nessun popolo su tutto il lato orientale del Mediterraneo. Ad eccezione dei prigionieri ridotti in schiavitù, gli abitanti della giudea continuarono a vivere sulle loro terre, anche dopo la distruzione del secondo tempio.
Una parte di loro si convertì al cristianesimo nel IV° secolo, mentre la grande maggioranza si congiunse all’Islam in occasione della conquista araba al VII° secolo. La maggior parte degli ideatori sionisti lo sapevano: come Yitzhak Ben Zvi e David Ben Gourion, rispettivamente il futuro presidente e il fondatore dello Stato di Israele; lo hanno scritto fin nel 1929, anno della grande sommossa palestinese. Tutti e due citano più volte il fatto che i contadini della Palestina sono i discendenti degli abitanti dell’antica Giudea(2).
Poiché non c’è mai stato un esilio dalla Palestina romanizzata, da dove vengono i numerosi ebrei che popolano il bacino del Mediterraneo fin dall’antichità?
Dietro la cortina della storiografia nazionale si nasconde una stupefacente realtà storica. Dalla sommossa dei Maccabei, nel II° secolo prima della nostra era, alla sommossa di Bar-Kokhba, al II° secolo dopo G.C., il giudaismo fu la prima religione proselitista. Gli Asmonei avevano già convertito di forza gli Idumenei del sud della Giudea ed gli Itureeni di Galilea,e annessi al “ popolo di Israele”. Sulla base di questo regno giudeo-ellenico, il giudaismo si espanse in tutto il Medio-Oriente e il Mediterraneo. Nel primo secolo della nostra era apparve, nell’attuale Kurdistan, il regno ebreo di Adiabène, e non sarà l’ultimo regno a “giudea-dizzarsi”: altri lo faranno successivamente.
Gli scritti di Flavio Giuseppe non costituiscono la sola testimonianza dell’ardore proselitista degli ebrei. Da Orazio a Seneca, da Giovenale a Tacito, molti autori latini ne esprimono il timore. Il Mishna e il Talmud(3) autorizzano questa pratica della conversione – anche se, di fronte alla pressione ascendente del cristianesimo, i saggi della tradizione talmudica esprimeranno riserve al suo riguardo.
La vittoria della religione di Gesù, all’inizio del IV° secolo, non mette fine all’espansione del giudaismo, ma rilega il proselitismo ebreo ai margini del mondo culturale cristiano. Nel V° secolo appare così, nei territori dell’attuale Yemen, un regno ebreo vigoroso dal nome di Himyar, i cui i discendenti conserveranno la loro fede dopo la vittoria dell’islam e fino ai tempi moderni. Inoltre i cronisti arabi ci danno la notizia dell’esistenza, nel VII° secolo, di tribù berbere giudaizzate: di fronte alla spinta araba, che raggiunse l’Africa del Nord alla fine di questo stesso secolo, appare la figura leggendaria della regina ebrea Dihya el-Kahina,che tentò di fermarla. Alcuni Berberi giudaizzati prenderanno parte alla conquista della penisola iberica, che pose le basi della particolare simbiosi tra ebrei e musulmani, caratteristica della cultura ispano-araba.
La conversione di massa più significativa si verifica tra il Mar Nero ed il Mar Caspio: riguarda l’immenso regno kazaro, nel VIII° secolo. L’espansione del giudaismo, dal Caucaso all’Ucraina attuale, genera comunità multiple, che le invasioni mongole del XIII°secolo respingono in gran numero verso l’est dell’Europa. Là, con gli ebrei venuti dalle regioni slave del Sud e degli attuali territori tedeschi, porranno le basi della grande cultura yiddish(4).
Questi resoconti delle origini plurali degli ebrei appaiono, in modo più o meno titubante, nella storiografia sionista verso gli anni 1960; sono in seguito gradualmente rese marginali prima di scomparire dalla memoria pubblica in Israele. I conquistatori della città di Davide, nel 1967, avrebbero dovuto essere i discendenti diretti del suo regno mitico e non gli eredi di guerrieri berberi o di cavalieri kazari. Gli ebrei fanno allora figura di “etnie” specifiche che, dopo due mila anni d’esilio e d’erranza, ha finito per ritornare a Gerusalemme, la sua capitale.
Ma i fautori del resoconto lineare ed indivisibile non mobilitano soltanto l’insegnamento della storia: fanno appello anche alla biologia. Dagli anni ’70, in Israele, una successione di ricerche “scientifiche” cerca di dimostrare, con tutti i mezzi, la prossimità genetica degli ebrei del mondo intero. “La ricerca sulle origini delle popolazioni” rappresenta ormai un campo legittimato e popolare della biologia molecolare, mentre il cromosoma Y maschile ha conquistato un posto d’onore al fianco di una Clio ebrea(5) nella ricerca sfrenata dell’unicità dell’origine “del popolo eletto”.
Questa concezione storica costituisce la base della politica identitaria dello Stato di Israele, ma è là che il dente duole! Essa dà infatti luogo ad una definizione esistenzialista ed etnocentrica del giudaismo, che alimenta una segregazione che mantiene divisi gli ebrei dai non ebrei -sia gli Arabi, che gli immigranti russi o i lavoratori immigrati-.
Israele, sessanta anni dopo la sua fondazione, rifiuta di concepirsi come una repubblica che esiste per i suoi cittadini. Circa un quarto di loro non sono considerati come ebrei e, secondo lo spirito delle sue leggi, questo Stato non è loro. In compenso, Israele si presenta sempre come lo Stato degli ebrei del mondo intero, anche se non si tratta più di profughi perseguitati, ma di cittadini che di diritto vivono in piena uguaglianza nei paesi in cui risiedono. In altre parole, una etnocrazia senza frontiere giustifica la discriminazione rigorosa che pratica nei confronti di una parte dei suoi cittadini invocando il mito della nazione eterna, ricostituita per raccogliersi “sulla terra dei suoi antenati”.
Scrivere una storia ebrea nuova, oltre il prisma sioniste, non è dunque cosa facile.la luce che vi viene divisa si trasforma in forti colori etnocentrici. Ora, gli ebrei hanno sempre formato comunità religiose costituite, generalmente da conversioni, in diverse regioni del mondo: non rappresentano dunque “un etnos” fautore di una stessa origine unica e che si sarebbe spostato al seguito di un’erranza di venti secoli.
Lo sviluppo di qualsiasi storiografia come, più generalmente, il processo della modernità passa in un dato momento, si sa, per l’invenzione della nazione. Questa fu il sogno di milioni di esseri umani nel XIX° secolo e durante una parte del XX°. La fine di quest’ultimo secolo ha visto questi sogni iniziare a rompersi. I ricercatori, in numero sempre crescente, analizzano, dissecano e smantellano i grandi resoconti nazionali, ed in particolare i miti dell’origine comune care alle cronache del passato. Gli incubi d’identità di ieri faranno posto, domani, ad altri sogni d’identità. Sul modello di ogni personalità fatta di identità fluide e variate, la storia è anch’essa un’identità in movimento.
Note
(1)Testo fondatore del giudaismo, la Torah — la radice ebraica yara significa insegnare — è composta dai primi cinque libri della Bibbia, o Pentateuco : Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio.
(2) Cf. David Ben Gourion e Yitzhak Ben Zvi, « Eretz Israël » nel passato e nel presente (1918, in yiddish), Gerusalemme, 1980 (in ebraico) e Ben Zvi, La Nostra popolazione nel paese (in ebraico), Varsavia, Comitato esecutivo dell’Unione della giovinezza e Fondo Nazionale ebreo, 1929.
(3) La Mishna, considerata come la prima opera della letteratura rabbinica, è stata completata nel secondo secolo DC. Il Talmud riassume tutte le diserzioni rabbiniche sulla legge, i costumi e la storia degli ebrei. Esistono due Talmud: quello della Palestina scritto tra il terzo e il quinto secolo, e quello babilonese, terminato alla fine del quinto secolo AC.
(4) Parlato dagli ebreo dell’Europa Orientale, lo yiddish è una lingua slavo-tedesca che comprende alcune parole derivanti dall’ebreo.
(5)Nella mitologia greca, Clio era la musa della storia.
Titolo originale: Comment fut inventé le peuple juif di Shlomo Sand.
Fonte: Altra Informazione
Link: http://www.altrainformazione.it/wp/come-fu-inventato-il-popolo-ebreo/#!prettyPhoto
SHLOMO SAND: ‘COME FU INVENTATO IL POPOLO EBRAICO’. BEST-SELLER ISRAELIANO INFRANGE IL TABÙ NAZIONALE
Nessuno è rimasto maggiormente sorpreso di Shlomo Sand quando il suo ultimo lavoro accademico è rimasto per 19 settimane nella classifica dei best-sellers israeliani, e che tale successo questo professore di storia lo abbia ottenuto a dispetto del fatto che il suo libro contesta il più grande tabù di Israele.
Il dott. Sand sostiene che l’idea di una nazione ebraica, la cui necessità come sicuro rifugio è stata originariamente sostenuta per giustificare la fondazione dello stato di Israele, è soltanto un mito inventato poco più di un secolo fa.Esperto di storia europea all’Università di Tel Aviv, il dott. Sand ha condotto estese ricerche storiche ed archeologiche volte a sostenere non solo questa sua affermazione ma anche molte altre, tutte egualmente controverse.
Oltre a ciò, Sand afferma anche che gli ebrei non furono mai esiliati dalla Terrasanta, che la maggior parte degli ebrei attuali non ha alcun collegamento storico con la regione chiamata Israele, e che abolire lo stato ebraico è l’unica soluzione politica per porre fine al conflitto con i palestinesi.Il successo di “Come e quando fu inventato il Popolo Ebraico” (traduzione letterale del titolo inglese dell’opera, N.d.T.) sembra destinato a ripetersi in tutto il mondo; la prima edizione francese, uscita il mese scorso, si sta vendendo così in fretta che sono già state necessarie tre ristampe.
Le traduzioni procedono in almeno una dozzina di lingue diverse, incluso l’Arabo e l’Inglese, ma si prevede una forte opposizione della lobby pro-Israele quando il libro verrà presentato negli Stati Uniti dal suo editore inglese, la Verso Books, l’anno prossimo.
Per contro Sand dichiara che gli israeliani si sono dimostrati, se non proprio solidali, almeno curiosi nei confronti di tale argomento.Tom Segev, uno dei principali giornalisti del paese, ha definito il libro “affascinante e stimolante”.
Sorprendentemente, ha dichiarato il dott. Sand, la maggior parte degli accademici israeliani suoi colleghi si sono astenuti dal confutare le sue argomentazioni, con l’unica eccezione di Israel Bartal, professore di Storia Ebraica all’Università ebraica di Gerusalemme. Scrivendo sul quotidiano israeliano Ha’aretz, il dott. Bartal non si è impegnato tanto nel controbattere le argomentazioni del dott. Sand; ha piuttosto dedicato la maggior parte dell’articolo a difendere la propria professione, limitandosi a suggerire che gli storici israeliani non erano così ignoranti circa la natura inventata della storia ebraica, come sosteneva il dott. Sand.L’idea del libro cominciò a prendere forma molti anni fa, racconta Sand, ma volle attendere fino a poco tempo fa. “Non posso affermare di essere particolarmente coraggioso nel pubblicare quest’opera solo ora” ha dichiarato. “Ho preferito aspettare fino a quando sono diventato professore di ruolo. C’è un prezzo da pagare nel mondo accademico israeliano se si esprimono punti di vista di tal genere.”La principale argomentazione del dott. Sand è che, fino a poco più di un secolo fa, gli ebrei si ritenevano tali solo in virtù della comune religione. All’inizio del XX secolo, afferma, gli ebrei sionisti misero in dubbio questa idea e cominciarono a creare una storia nazionale intentando l’idea che gli ebrei fossero esistiti come popolo separato dalla propria religione.
Ugualmente, aggiunge, l’idea sionista attuale che gli ebrei fossero obbligati a tornare dall’esilio alla Terra Promessa, era completamente estranea al giudaismo.
“Il sionismo ha cambiato l’idea di Gerusalemme. In passato i luoghi santi erano visti come posti da desiderare, non da viverci. Per 2.000 anni gli ebrei sono rimasti lontani da Gerusalemme non perché non potessero tornarci, ma bensì perché la loro religione lo proibiva fino a che non fosse tornato il messia.”La sorpresa maggiore durante le sue ricerche si ebbe quando cominciò a esaminare i reperti risalenti all’epoca biblica.
“Non sono stato allevato come sionista, ma come tutti gli altri israeliani ho sempre dato per scontato che gli ebrei fossero un popolo che viveva in Giudea, e che nel 70 dopo Cristo ne fossero stati scacciati dai Romani. Ma quando cominciai ad esaminare le prove scoprii che i regni di Davide e di Salomone erano soltanto leggende”.
”Allo stesso modo per quanto riguarda l’esilio. In effetti è impossibile spiegare l’essere ebrei senza l’esilio; ma anche in quel caso, quando cominciai a cercare libri di storia che descrivessero gli eventi relativi a questo esilio, non riuscii a trovarne alcuno; neppure uno solo”.
”Ciò perché i Romani non esiliarono il popolo: come dato di fatto, gli ebrei in Palestina erano principalmente contadini, e tutte le prove confermano che rimasero sulle loro terre”.
Sand crede invece che una teoria alternativa sia molto più plausibile: l’esilio fu un mito propagandato dai primi cristiani per convertire gli ebrei alla nuova fede. “I cristiani volevano che le successive generazioni di ebrei credessero che i loro antenati erano stati esiliati come punizione divina”.Così, se non c’è stato un esilio, come è accaduto che moltissimi ebrei si siano ritrovati dispersi per il mondo prima che l’attuale stato di Israele cominciasse ad incoraggiarli a “tornare”?
Il dott. Sand afferma che, nei secoli immediatamente precedenti e successivi all’era cristiana, il giudaismo erano una religione di proselitismo alla disperata ricerca di conversioni. “Questo si ritrova nella Letteratura romana dell’epoca”.
Gli ebrei viaggiavano in altri paesi cercando gente da convertire, specialmente nello Yemen e fra le tribù berbere del Nord Africa; secoli dopo il popolo del regno Cazaro, in quella che è l’attuale Russia meridionale, si sarebbe convertito in massa al giudaismo, dando origine agli ebrei askenaziti dell’Europa centrale ed orientale.Il dott. Sand evidenzia lo strano stato di negazione nel quale vive la maggior parte degli israeliani, facendo notare che i giornali avevano dato ampio risalto alla recente scoperta della capitale del regno Cazaro vicino al Mar Caspio.
Ynet, il sito web del più popolare quotidiano israeliano, Yedioth Ahronot, titolò: “Archeologi russi trovano la capitale ebrea da lungo perduta”. Eppure nessun altro giornale, aggiunge Sand, aveva considerato l’importanza di questa scoperta in confronto con la tradizione corrente della storia ebraica.Il resoconto del dott. Sand suscita, come lui stesso annota, una ulteriore domanda: se la maggior parte degli ebrei non ha neppure mai lasciato la Terrasanta, che cosa è stato di loro?
“Non si insegna nelle scuole di Israele, ma molti dei primi leaders sionisti, incluso David Ben Gurion (primo capo del governo di Israele), ritenevano che i palestinesi fossero i discendenti degli ebrei originari di quell’area; e ritenevano anche che si fossero successivamente convertiti all’Islam”.
Il dott. Sand attribuisce la reticenza dei suoi colleghi a confrontarsi con lui ad un’implicita ammissione da parte di molti che l’intero edificio della “storia ebraica” insegnata nelle università israeliane sia costruito come un castello di carte. Il problema con l’insegnamento della storia in Israele, spiega Sand, risale ad una decisione, presa nel 1930, ridividere la storia in due discipline distinte: la storia generale e la storia ebraica. Si è ritenuto opportuno che la storia ebraica avesse un suo proprio campo di studio in quanto l’esperienza ebraica era considerata unica. “Non c’è alcun dipartimento di politica o sociologia ebraica in alcuna università. Soltanto la storia viene insegnata in questo modo, e ha consentito agli specialisti di storia ebraica di vivere in un mondo molto isolato e conservatore, nel quale non sono toccati dai moderni sviluppi della ricerca storica. Sono stato criticato in Israele per aver scritto di storia ebraica quando invece la mia specializzazione è la storia europea. Ma un libro come questo richiedeva uno storico che avesse familiarità con gli standards concettuali della ricerca storica utilizzati dagli accademici di tutto il resto del mondo”.
Pubblicato in origine su The National, Abu Dhabi | 9/10/2008 |
Fonte_ da Arianna editrice del 20 ottobre 2008
Link: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=21810
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28 Gennaio, 2014 10:40
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