di ROMANO BRACALINI
Una Nazione, dice lo storico francese Ernest Renan, non è una lingua o una religione. L’esempio della Svizzera, con tre o quattro lingue e due religioni, lo conferma.
Ciò che fa una Nazione è la coscienza morale, insieme alla volontà di stare insieme.
Ora, nell’Italia d’oggi non vediamo nulla che la raccomandi come Nazione, né la coscienza morale, né la volontà di formare una comunità ordinata e solidale. Dice
Piero Gobetti, liberale antifascista: ”Abbiamo sempre saputo di lavorare a lunga scadenza, quasi soli, in mezzo a un popolo di sbandati che non è ancora una Nazione”. Nella catastrofe del fascismo egli vedeva il fallimento unitario”.
L’Italia, come al tempo degli antichi Stati, resta divisa in regioni e città. La partitocrazia ha sostituito il Principe ed ha occupato lo Stato con la burocrazia più inefficiente e tirannica e anche la più pagata.
Ma la frattura più insanabile e traumatica è quella tra il Nord e il Sud.
”La distanza tra Milano e Agrigento – scrive Indro Montanelli – non è astronomica, ma è pur sempre sproporzionata alla vastità del territorio misurata in chilometri quadrati. Tutto ciò che è iniziativa privata, cioè industria, agricoltura, commercio, ricchezza è monopolio del Nord, tutto ciò che è burocrazia e soprattutto polizia è monopolio del Sud. E questo crea il paradosso di una delle società più attive e intraprendenti, qual è appunto l’Italia settentrionale, amministrata da uno Stato meridionale, che sotto alcuni punti di vista ricorda quello egiziano di Faruk”.
All’epoca non si valutarono appieno le conseguenze di una simile unione ma col tempo l’Italia intera, quella buona e quella cattiva, è stata risucchiata nel Mediterraneo fino a lambire i lidi africani. Se l’Italia è molto peggiorata in un secolo e mezzo di storia unitaria, è soprattutto a causa di questa distonia tra i due capi della penisola. Siamo alla decomposizione dello Stato. La caduta del governo Letta è la prova che un governo è uguale all’altro e nessuno riesce a fare le riforme e abolire i privilegi di casta.
Fatta l’unità accadde che i partiti, le loro fazioni interne, le organizzazioni clandestine e le reti clientelari, specie nel Mezzogiorno, colonizzarono lo Stato in misura via via crescente, spogliandolo degli attributi dell’imparzialità e dell’efficienza.
Fu il fatale epilogo di un Paese sorto senza alcun senso etico della Nazione e senza il culto della libertà.
La criminalità resta la più grande risorsa economica. Il grande critico meridionale, Francesco De Sanctis, ebbe a scrivere alla fine dell’Ottocento: ”Lo spirito settario perdura ancora nelle abitudini italiane, trasfuso come un virus nel sangue della Nazione. Manca in Italia un assetto sociale ben equilibrato; così che la società è abbandonata a un rimescolìo confuso e vario, facendoci difetto le qualità fondamentali dei popoli grandi: ”La disciplina, il lavoro, il dovere, il carattere”.
Da una ventina d’anni l’Italia è entrata in una profonda crisi morale e istituzionale in cui regole, leggi, educazione civica hanno perduto ogni significato originario e non c’è più verso di frenare il malcostume dilagante, il disprezzo d’ogni convenzione.
E’ scaduto il livello culturale in generale. Il cinema italiano è fuori mercato. E’ roba da avanspettacolo. Gli attori parlano un italiano approssimativo con forti inflessioni dialettali prevalentemente del Sud.
Parecchie università sono scandenti, andrebbero chiuse. Ma servono a distribuire posti e privilegi.
Per trovare un lavoro non vale il merito ma il partito.
Solo il tiranno, in Italia, consente di bandire gli indugi e di fare ciò che le risse di partito non porterebbero mai a compimento.
Il Parlamento non ha alcun potere. Si limita ad approvare le decisioni del partito di maggioranza.
E’ l’Italia delle corporazioni e delle fazioni, come nel Rinascimento in cui affondano le radici della nostra scienza politica teorizzata da Machiavelli.
Il Principe deve governare con l’arbitrio e la menzogna se ciò serve a mantenere il potere. Il partito, moderno Principe, ha fatto propria la lezione di Machiavelli.
Come può l’Italia diventare una democrazia compiuta, se nei fatti la nega?
Le elezioni sono una formalità: servono a designare una maggioranza, un governo; ma poi vi saranno altri poteri a limitarne l’azione, a impedirne ogni decisione; e le riforme non si fanno. Il fascismo costruì le autostrade, la repubblica le rattoppa.
Mussolini era un tiranno, che abolì le leggi fondamentali. Ma la Repubblica non le ha restaurate.
Il rieletto presidente Napolitano ha travalicato da un pezzo i suoi poteri, ma nessuno dice niente, sempre a causa della mancanza di coscienza morale di cui parla Renan.
E dopo Letta, chiunque verrà sarà come lui o peggio.
Fonte: visto su L’Indipendenza del 30 settembre 2013