Integrazione
In nome di questa parola alata, Integrazione, si tende, a volte, a minimizzare, magari adombrando l’accusa di razzismo, laddove, invece, ci sono smarrimento e sofferta paura di perdere un pezzo della propria identità…
Isabella Bossi Fedrigotti per il “Corriere della Sera“
Il problema, lo si è visto, comincia nelle scuole materne e dell’infanzia dove le graduatorie danno la priorità alle famiglie con reddito basso.
È questo il motivo per cui i bambini italiani molto spesso sono – schiacciata – minoranza, a volte uno solo in classe in mezzo ai piccoli stranieri, a volte nessuno perché i posti sono tutti quanti occupati da chi ha la precedenza. Continua alle elementari dove non ci sono graduatorie però ci sono i numeri, nel senso che, essendo il tasso di natalità più elevato tra gli stranieri, un po’ dappertutto nel Paese ormai ci sono classi con netta predominanza di immigrati e uno, due, tre alunni italiani soltanto. E anche nelle scuole medie il problema comincia a essere all’ordine del giorno.
Ben si possono comprendere le perplessità o anche le proteste dei genitori italiani che vedono i figli in condizione di sentirsi stranieri in classe, minoranza tra bambini che si esprimono in altre lingue o, se anche conoscono la nostra, hanno culture e tradizioni spesso distantissime. Per non parlare di eventuali diversità di preparazione che possono – si sa – rallentare la didattica.
E altrettanto bene si comprendono le ansie e le incertezze di direttori e presidi costretti a misurarsi con il difficile compito di formare classi almeno un poco equilibrate. Si devono considerare segno di razzismo queste ansie, queste perplessità e proteste? Ovvio che l’intolleranza vi si può mischiare, ma per lo più sembra trattarsi di normale, condivisibile preoccupazione di fronte a un fenomeno mai vissuto prima, per il quale in qualche caso la vita può apparire capovolta, minoranza straniera gli italiani e maggioranza autoctona, invece, gli immigrati.
Integrazione è la parola alata, l’esortazione virtuosa che viene ripetuta un po’ dappertutto: ma quale forza d’integrazione possono avere due o tre alunni italiani in una classe dove ce ne sono venticinque o trenta extracomunitari? In nome di questa parola alata, invece di rassicurare, cercando soluzioni, si tende, a volte, a minimizzare il problema, magari adombrando l’accusa di razzismo, laddove, invece, ci sono soprattutto smarrimento, sconcerto e, sì, anche paura: sofferta paura – e non può essere un delitto – di perdere un pezzo della propria identità.
Fonte: visto su DAGOSPIA del 19 settembre 2013