Quote latte, allevatori del Friuli beffati
La procura di Roma apre un fascicolo per l’ipotesi di falso sui dati di Agea. Oltre 400 gli imprenditori locali danneggiati
UDINE. Multati, trattati da truffatori per aver sforato le quote latte. Costretti a chiudere le aziende. Eppure innocenti. Ma non c’erano sforamenti. E quelle multe non erano dovute.
La denuncia. Per almeno mezzo migliaio di allevatori friulani si profila una svolta storica sulla travagliata vicenda delle Qri (quote individuali di riferimento disciplinate dalla legge 469/92).
Dopo la denuncia presentata da 150 allevatori delle province di Udine, Pordenone e Gorizia, e da realtà consortili come quella di Cospalat, Cooperativa Nord Est, Cospa Interregionale e Latteria San Giacomo, rappresentati dall’avvocato Cesare Tapparo, ora le indagini dei carabinieri delle politiche agricole e alimentari coordinate dalla magistratura sono approdate a una svolta.
Il gip. Il gip Giulia Proto di Roma, cui sono confluite le indagini avviate dalla procura di Udine e di Pordenone assieme a quelle di quasi una settantina di procure italiane dove sono approdate le denunce degli altri allevatori, ha disposto il rinvio degli atti al pm di Roma affinchè valuti in merito a un’iscrizione a carico dei funzionari della Agea per il reato di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale.
E se da un lato il gip su istanza del pm Attilio Pisani, ha accolto l’istanza di archiviazione per il procedimento a carico di ignoti che ipotizzava la truffa, dall’altro ha dato avvio a un altro procedimento con eventuale nuova iscrizione a carico dei funzionari di Agea per il reato di falso.
Gli sforamenti. «Dal 1996 ai giorni nostri per oltre 400 allevatori friulani lo sforamento delle quote latte ha rappresentato una sciagura – spiega l’avvocato Cesare Tapparo –. Tanto che oltre il 70% delle aziende dalla metà degli anni Novanta a oggi ha chiuso i battenti, sia a causa del crollo del prezzo del latte sia a causa delle sanzioni per gli eccedentari».
Alcuni si sono visti arrivare multe da 2 milioni di euro, ai «più fortunati sono stati bloccati con il sistema compensativo i contributi comunitari, dai Pac ai Psr, ma non solo, ai meno fortunati come a molti allevatori della Cooperativa nord est di Pordenone, è scattato il sequestro preventivo, una vicenda che dal tribunale del Riesame ora è passata in Cassazione.
Eppure tutte le impugnazioni proposte dagli allevatori e le denunce presentate a partire dalla fine del 2011 sulla scorta delle risultanze dell’indagine svolta dai carabinieri del Mipaf erano fondate.
«È emerso – sintetizza Tapparo – che i dati di consistenza di stalla e di produzione lattiera delle aziende erano inattendibili e sulla presunta alterazione di quei dati il gip avrebbe ravvisato quanto meno una colpa grave da parte dell’Agea, se non il reato di truffa».
La beffa. Peccato che per quello scherzo centinaia di aziende hanno chiuso i battenti, e in molti casi i titolari si portino ancora dietro i debiti. Resta da verificare quale fine facessero i fondi dai prelievi realizzati per via compensativa e quale fosse il meccanismo che ne governava il ciclo.
Tutti al Tar. Ora, come spiega l’avvocato Tapparo, «la prima priorità e ottenere una sospensiva dal Tar sui prelievi – provvedimento che abbiamo già ottenuto per 17 allevatori e che molti altri attendono, visto che sono circa 200 gli eccedentari attualmente in regione. Poi – aggiunge – dovremo attendere gli esiti dell’indagine e gli eventuali rinvii a giudizio per costituirci parte civile, non solo per le aziende che hanno denunciato, ma anche per le centinaia di aziende che ormai hanno chiuso e che sono state comunque danneggiate. Attendiamo giustizia – conclude Tapparo – speriamo solo non arrivi troppo tardi e, soprattutto, quando non ci saranno più i fondi per risarcire gli allevatori danneggiati».
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QUOTE LATTE: GIP ROMA, FUNZIONARI AGEA MODIFICAVANO ALGORITMO CALCOLO
(AGENPARL) – Roma, 15 novembre 2013
– Il Tribunale Ordinario di Roma, Sezione dei Giudici per le Indagini Preliminari il 13 novembre 2013 ha emesso la seguente ordinanza di archiviazione a seguito di una precedente opposizione già presentata da tempo.
Il G.I.P, dottoressa Proto Giulia, titolare del procedimento iscritto a carico di ignoti per il reato di cui all’art. 640 del c.p fatte le seguenti premesse:
“letta la richiesta di archiviazione formulata dal P.M, letti gli atti di opposizione alla richiesta di archiviazione del procedimento, sentite le parti all’udienza camerale del 16 ottobre 2013, osserva quanto segue: “Affrontando preliminarmente il problema delle quote latte non revocate, con debita percezione dei contributi, da parte di terzi l’indagine ha evidenziato, che le quote latte da revocare per la mancata produzione di latte ovvero, per le produzioni inferiori al 70% della quota latte assegnata erano certamente superiori rispetto a quelle effettivamente revocate; tale omissione è certamente ascrivibile ai funzionari AGEA, organo competente in materia, con conseguente danno ai produttori gratuitamente. Tuttavia così come era evidenziato nell’informativa 10.5.2011 del Comando dei Carabinieri delle Politiche Agricole e Alimentari, la situazione accertata determina una responsabilita’ dell’AGEA quanto meno per “colpa Grave”. Ebbene in mancanza di elementi che possano far evincere l’elemento psicologico del reato per cui si procede – ossia il dolo – non può dirsi integrata la truffa: la colpa grave, non consente di ritenere il fatto penalmente rilevante, pur essendo assai grave la condotta tenuta dai funzionari che, in ogni caso, deve essere fatta valere in altre sedi. Né appare allo stato possibile integrare le indagini anche al fine di verificare, chi ha percepito il contributo comunitario in quanto l’accertamento in ordine alle revoche non intervenute sulla scorta dei dati in possesso della Polizia Giudiziaria, riguarda campagne di anni per i quali è maturato il termine di prescrizione del reato (campagna 2003-2004). Peraltro, a seguito di delega di indagine da parte del PM, la P.G non era in grado di precisare a quale soggetto ascrivere le condotte, anche al fine di stabilire la competenza territoriale. Quanto alla non corretta qualificazione, delle quote latte, che ha cagionato ingenti danni sia ai produttori che allo Stato Italiano a causa della comminazione di sanzioni per aver “sforato”, la singola quota latte attribuita, si concorda con il P.M. nella parte argomentativa in ordine ad un mero errore di natura contabile per gli anni in cui ancora la questione non era all’attenzione dei media e prima che venissero comminate le sanzioni: non può infatti ipotizzarsi il reato di truffa in quanto a fronte del danno cagionato, mancherebbe l’ingiusto profitto in favore dei soggetti agenti – funzionari AGEA – che pertanto non avrebbero avuto interesse a falsificare il dato, con conseguente impossibilità di ravvisare l’elemento psicologico del reato ( da qui la deduzione del P.M. del mero errore di natura contabile). Tuttavia ciò che non convince è che merita approfondimento, è la condotta tenuta successivamente dai funzionari di AGEA che, per giustificare l’errore commesso ( e quindi evitare responsabilita’ contabili) hanno chiesto la modifica dell’algoritmo, ossi a dei criteri di calcolo del numero dei capi potenzialmente da latte. Sulla scorta delle S.I.T del dott. Di Sotto si evince che inizialmente l’algoritmo – che si basa sul lavoro della commissione Mariani- prese in considerazione come criteri per individuare gli animali potenzialmente in grado di produrre latte, l’elenco delle razze, il numero dei giorni di presenza dell’animale in stalla e l’età dell’animale che in una prima fase era quella impresa tra i 24 mesi e 10 anni di età. Successivamente, così come confermato dal dottor Luigi Possenti dell’ I.Z. venivano modificati i criteri per l’ottenimento dell’algoritmo e del limite massimo di età passiva da 120 mesi dell’animale a 999 mesi (ossia 82 anni di età)! Ciò avvenne per espressa richiesta dei funzionari di AGEA, con l’evidente fine di giustificare il dato in eccesso che aveva determinato le sanzioni: in particolare la volontà di modificare tale limite proviene dal dott. Cerquaglia che, nella mail inviata alla dott.ssa Di Gianvito ed Isocrono del 13.7.2007 indicata la necessità di innalzare il limite massimo dell’età dell’animale da 120 a 999 mesi ( all.91 all’info del 4.11.2010). A questa segue la mail del 23.7.2007 sempre inviata da Cerquaglia agli stessi interlocutori, in cui si dice espressamente che l’innalzamento del limite massimo a 999 mesi “ è esattamente quello che vorremmo “ (cfr. all. 92 info). In tal modo portando al limite massimo da 120 mesi a 999 mesi si ha una differenza in aumento di 300 mila capi: Scrivono i carabinieri delle Politiche Agricole e Alimentari che in considerazioni di semplici ed elementari nozioni riportate alla pagina 130 della Informativa già citata “si deduce come la vita media – per lattazione – di un capo bovino non possa andare oltre gli 8 anni, quindi non si spiega come possa essere stato elaborato ed imposto un algoritmo che prenda in considerazione un limite di età superiore ai 100 mesi”( cfr. cit. pag.130)”. E’ evidente che ciò determina significative differenze nel calcolo della produzione nazionale di latte sulla scorta di tali criteri rispetto ai criteri che tengano conto del reale potenziale di produttività di latte dell’animale. Tale dato non rispondente alla realtà, il cui inserimento è stato fortemente voluto dai funzionari di AGEA, che non potevano certo ignorare la sua inverosimiglianza, comporta calcoli non rispondenti al vero, calcoli che vengono inseriti in atti il cui contenuto deve pertanto ritenersi ideologicamente falso. Pertanto, se è vero che non può ipotizzarsi il reato di truffa non altrettanto può dirsi in ordine al reato di falso. Vero è che il G.I.P non può “ordinare” al P.M iscrizioni per reati diversi, tuttavia può “sollecitarlo” per nuove iscrizioni. P.Q.M Visti gli art. 408 e ss. Cpp . e 125 del D lgs. N. 271/1989; dispone l’archiviazione del procedimento in ordine al reato per cui vi è stata iscrizione (art. 640 c.p) con la restituzione degli atti al P.M, affinchè valuti in merito ad una eventuale nuova iscrizione a carico dei funzionari dell’AGEA, previa identificazione, per il reato cui all’art. 479 c.p.
Fonte: visto su BASATA CASTA del 18 novembre 2013
Link: http://bastacasta.altervista.org/p6599/
ZAIA: SONO STATO IO, DA MINISTRO DELL’AGRICOLTURA, AD AVER VOLUTO L’INCHIESTA DEI CARABINIERI SULLE QUOTE LATTE
martedì 19 novembre 2013
Venezia – ”Totale fiducia nella magistratura sulla vicenda quote latte”. Il presidente del Veneto, Luca Zaia da ex ministro dell’agricoltura assicura “io fatto il mio dovere, ora si faccia chiarezza”.
Il governatore del veneto ha quindi ricordato che da ministro aveva fatto condurre un’indagine dai Carabinieri che fu poi consegnata alle Procure “adesso, da quanto so, sono partiti gli avvisi, abbiamo totale fiducia nella magistratura”.
Zaia ha quindi ribadito che ”quei 2,4 miliardi pagati a causa di dati sbagliati sono un danno per gli agricoltori individualmente, ma soprattutto un danno per il Paese che ha pagato multe non dovute all’Europa”.
A Zaia si aggiunge la protesta delle associazioni di allevatori: “E’ arrivata l’ora di fare chiarezza sulla legittimita’ o meno delle multe applicate nel sistema italiano delle quote latte”.
Cosi’ il presidente della Copagri, Franco Verrascinaa proposito della questione delle quote latte. “Pur non avendo mai condiviso tale sistema, – continua Verrascina – noi abbiamo sempre operato per mantenere o far convergere gli allevatori nel rispetto delle regole.
Di solito in Italia 30 anni sono un tempo sufficiente per dare soluzione a grandi questioni rimaste irrisolte. E’ tempo che cio’ avvenga anche per le multe sulle quote latte”.
“Non una ma piu’ commissioni d’inchiesta negli anni hanno messo in forte dubbio la legittimita’ delle multe, quando non hanno esplicitamente parlato di errori. Se da una seria, serena e approfondita verifica – sostiene il presidente di Copagri – dovessero emergere irregolarita’ ma non da parte degli allevatori, occorrera’ rifondere i danni loro causati e portare alla luce le reali responsabilita’ per giungere ad una definitiva soluzione del problema. Nel frattempo, fin quando non si arrivera’ a tale soluzione, va sospeso ogni provvedimento di riscossione e di pagamento in atto”. (Adnkronos)
Fonte: visto su IL NORD del 19 novembre 2013
Link: http://www.ilnord.it/index.php?id_articolo=1850#.Uoto8RYjW7Q.facebook
IL PASTICCIACCIO “QUOTE LATTE” E LA BUFALA DELL’ALGORITMO
Il fantasma delle quote latte perseguiterà l’Italia anche dopo che dovesse essere morta. C’è da giurarlo. In questi giorni ne abbiamo avuto un rigurgito. Una gip di Roma, dopo oltre tre anni di inchiesta condotta da un pm che aveva chiesto l’archiviazione, ha ritenuto, la signora, di rinviare di nuovo gli atti alla Procura perché verifichi l’ipotesi del reato di falso da parte dei funzionari di Agea, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, l’ente governativo che presiede alla gestione delle quote latte e del cosiddetto prelievo supplementare sugli allevatori che superano i limiti di produzione.
In particolare la gip non ha potuto tenere in vita il reato di truffa, in quanto dall’inchiesta non sono stati ravvisati i termini di un illecito vantaggio tratto dai funzionari di Agea. Insomma, secondo il giudice delle indagini preliminari romano i dirigenti di Agea avrebbero falsificato alcuni dati, ma non si capisce a vantaggio di chi.
Il rinvio degli atti alla Procura è servito a rinfocolare gli animi di coloro – allevatori splafonatori e ipermultati in particolare – che sempre hanno contestato il sistema delle quote latte e che mai hanno ritenuto di doversi mettere in regola rispetto alle multe. Una storia infinita, appunto, che mai e poi mai arriverà a conclusione. Se non fosse che l’Italia nel corso di quasi vent’anni ha pagato alla Ue la bellezza di 4,4 miliardi di euro di multe, soldi che Bruxelles non si sogna nemmeno nell’anticamera del cervello di restituire, in quanto per aprire almeno la pratica ha sempre preteso da Roma documenti che comprovassero l’irregolarità del sistema, documenti annunciati e mai arrivati, nonostante gli annunci roboanti della coppia governativa Tremonti-Bossi, sempre respinta con perdite. Di più: la Ue contesta ora all’Italia l’estrema lentezza con cui negli anni sta recuperando dagli allevatori splafonatori le multe anticipate dal pubblico erario.
Ma veniamo all’ultima inchiesta. La decisione della Gip romana di non archiviare ruota intorno al famoso “algoritmo”, grazie al quale, secondo la vulgata comune, sarebbero state ricomprese nelle vacche in fase di lattazione anche i capi da 82 anni, che notoriamente non solo non danno latte, ma addirittura manco sono in vita. In questo modo, è la tesi della Gip, ma a suo tempo anche dei contestatori il sistema, il parco italiano delle vacche in lattazione sarebbe stato aumentato di 300 mila capi, quel tanto sufficiente a giustificare la maggiore produzione dichiarata a Bruxelles, maggiore produzione che dunque sarebbe farlocca con la conseguenza che l’Italia non avrebbe dovuto essere destinataria di alcune multa o prelievo supplementare che dir si voglia.
Il famoso algoritmo, secondo questa versione, sarebbe stato voluto dai funzionari di Agea, e applicato alla Banca dati nazionale di Teramo, non si sa a che fine se non quello di coprire a posteriori la scellerata decisione di qualche buontempone di dichiarare alla Ue una produzione italiana di latte superiore a quella reale. Insomma, gli italiani sono già di per sé abituati a farsi male da soli, ma stavolta avrebbero dato il meglio: si sono fatti male due volte senza che qualcuno ne abbia tratto vantaggio. Ohibò!
Veniamo a qualche spiegazione tecnica.
1) La Banca dati di Teramo, che certifica il numero delle vacche in lattazione in Italia ai fini di una verifica di coerenza rispetto alla produzione del latte dichiarata dagli allevatori, fino a qualche anno addietro non era ritenuta del tutto credibile da parte dei funzionari Ue che, dunque, chiesero ai funzionari di Agea, di introdurre un algoritmo di correzione rispetto ai dati forniti. Quando poi, intorno al 2009-2010, a seguito di numerose verifiche, la Ue certificò di suo pugno che la Banca dati di Teramo s’era messa in linea e i suoi dati erano da ritenersi corrispondenti al numero reale delle vacche presenti sul territorio nazionale, l’algoritmo di correzione introdotto nel sistema informatico andava vanificato. E come venne vanificato in accordo con Agea? Rendendolo assurdo e ininfluente: portandolo a 999 mesi, esso in linea teorica ammetteva nella banca dati le vacche fino a 82 anni, sapendo tutti benissimo che mucche di quell’età non esistono sulla faccia della terra. In sostanza l’algoritmo non doveva correggere più nulla e fu posto nelle condizioni di non avere più alcuna influenza diretta nei valori della Banca dati di Teramo, da quel momento ritenuta credibile nei suoi dati.
2) Il secondo motivo di debolezza nella decisione del gip sta nel voler sostenere che, grazie all’algoritmo modificato, sarebbe stato innalzato di circa 300 mila capi il numero delle vacche in lattazione, in modo cioè da giustificare la maggior produzione di latte dichiarata dall’Italia a Bruxelles. Anche questo è un falso problema, perché le dichiarazioni di produzione a Bruxelles Agea le comunica sulla base delle fatturazioni che essa stessa raccoglie settimanalmente dai produttori. Se si avvalora l’ipotesi sostenuta dalla Gip che Roma avrebbe dichiarato a Bruxelles negli anni più latte di quello prodotto, la responsabilità non potrebbe ricadere che sui produttori, ma bisognerebbe anche spiegare perché gli allevatori in anni e anni di lavoro avrebbero dichiarato ad Agea di aver fatturato più latte di quanto prodotto: questo sarebbe un ulteriore assurdo tutto italiano. La Banca dati di Teramo – corretta dall’algoritmo o integrale che fosse nei dati – serviva e serve per una verifica di coerenza fra le dichiarazioni di fatturazione degli allevatori e i capi da loro posseduti. Punto.
Per dirla tutta non si è mai visto, tantomeno in Italia, una categoria di produttori che dichiara la propria produzione attraverso le fatturazioni e che poi contesta di aver dichiarato troppo, cioè di aver fatturato più di quello che avrebbe dovuto. Converrete che c’è qualcosa che non va. E’ l’ennesimo capitolo, come detto, di una storia che non vuol finire e dentro la quale le responsabilità non stanno da una parte sola. Un gran pasticcio all’italiana, un pasticciaccio di latte.
Fonte: visto su L’Indipendenza del 22 novembre 2013