Paolo Turati
In Italia continuano le tensioni sulla legge di Stabilità. Il fuoco di fila proviene da tutti i fronti. La Voce della Russia ha chiesto all’illustre economista Paolo Turati, presidente della Fondazione Magna Carta Nord-Ovest e advisor di Istituzioni di art market & finance, di analizzare questa legge così discussa.
Le tasse sono camuffate, così l’Italia può morire, ha affermato l’esponente del centrodestra Sandro Bondi; Noi del pubblico impiego siamo il bancomat del Governo, ora basta o sarà sciopero, ha tuonato Rossana Dettori, segretaria generale della Funzione Pubblica per Cgil; Legge condivisibile ma del tutto insufficiente con il rischio che il Parlamento la tramuti in una porcata, ha dichiarato seccamente Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria; Questa manovra non esiste, ha commentato asciutto Yoram Gutgeld, il consigliere economico di Matteo Renzi; Nessuna scossa per il sistema. Per la crescita è investito meno dello 0,5% del Pil, ha spiegato Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma; Con questa legge il prelievo fiscale non è più legato ai servizi reali, ha infine chiosato Corrado Sforza Fogliani, presidente di Confedilizia. Insomma, è una manovra economica che non trova alleati né nelle parti sociali né paradossalmente tra chi ha contribuito a scriverla, cioè gli esponenti dei due partiti maggiori del governo Letta.
– Dott. Turati, ci spieghi: questa legge di Stabilità è proprio da buttar via?
– Credo che se il Parlamento non interverrà per correggerla, assisteremo all’ennesima occasione mancata per il nostro Paese: con l’aggravante che ci avviciniamo a passi rapidi verso il nostro “shutdown”. La direzione intrapresa dal Governo su alcuni argomenti, tra i quali il cuneo fiscale, era giusta. Risultano però essere totalmente sproporzionate le risorse messe in campo, come se si somministrasse uno sciroppo a un malato terminale.
– E sul fronte della pressione fiscale? Nel presentarla ai media, Letta e Alfano hanno enfatizzato il fatto che la manovra per la prima volta non mette mano al portafoglio degli italiani.
– Questa è una dichiarazione che ritengo fuori luogo: anzi mi pare che la manovra nasconda molte tasse, ora occultate tra le sue righe ma che poi andranno a impattare fortemente sull’italiano medio. Citiamo due esempi eclatanti. Il primo è la Trise, il tributo sui servizi comunali: un balzello sdoppiato sarà versato sia dai proprietari, sia da chi occupa l’immobile, in base al valore catastale di quest’ultimo. Tutti gli esperti che si sono cimentati in simulazioni hanno attestato che la sommatoria dei due tributi costerà ai contribuenti ben di più della vecchia Imu, garantendo all’erario un maggior gettito.
Il secondo esempio, realmente deleterio per il nostro Paese, è il nuovo ritocco al bollo statale per la consistenza dei depositi titoli. Si passa dall’1 all’1,5 per mille: una patrimoniale vera e propria, assai rilevante, che rischia di indurre a una fuga di capitali dall’Italia. Basti considerare che nel solo 2012, con l’aliquota all’1 per mille, sono usciti dal nostro Paese 350mld di euro. E pensare che da più parti si continua a invocare una nuova patrimoniale: ma qui esiste già de facto e mi pare anche più alta che in molti altri Paesi europei, se vi si aggiunge anche l’imposizione sui rendimenti da capital gain. Questo “ritocco” dello 0,5 per mille, facendo un calcolo per difetto dei risparmi degli italiani, potrebbe far sì che gli italiani paghino di tasca propria l’abbattimento del cuneo fiscale per le imprese.
– Peraltro è un ritocco che arriva dopo l’aumento dell’Iva…
– Esatto! E qui sta la “porcata” – non possiamo che definirla così – di uno Stato che ha costi per consumi intermedi (quali toner, cancelleria, carta igienica, bollette etc.) per oltre 140miliardi di euro. Costi che tutti sanno essere ben diversi tra le varie regioni italiane, con picchi fuori mercato in quelle del Sud. È mai possibile che il Governo non possa fissare un taglio del 7% che permetta di evitare l’aumento dell’Iva?
– Che cosa dovrebbe fare il Governo, a prescindere dalla questione dell’Iva?
– Dovrebbe rinegoziare i termini degli accordi europei. Per avere i conti in regola, l’Italia rischia lo shutdown entro due anni. È un paradosso, perché basterebbe un’Europa a due velocità, con una svalutazione del 30% della moneta per poter renderla nuovamente competitiva. Si pensi quanto sono grottesche le regole alle quali sottostiamo: nell’ultimo anno abbiamo pagato 64mld di euro per il Fondo Salva Stati e noi che siamo in recessione deflattiva fatichiamo a trovarne 10mld per un reale taglio del cuneo fiscale o 4mld per l’abolizione dell’Imu.
– Insomma, l’Italia morirà con i conti in ordine e con un bel plauso da parte dell’Ue.
– Proprio così. Abbiamo perso una guerra economica e ci vorrebbe un nuovo trattato di Versailles dove ci si guardi in faccia e si parli chiaro, per trovare una soluzione di sopravvivenza che stia bene a tutti. L’Italia è un mercato indispensabile per l’Ue, dal quale Germania e Francia non possono soltanto prendere: altrimenti viene meno l’essenza stessa dell’Unione.
Fonte: visto su LA VOCE DELLA RUSSIA del 29 ottobre 2013