Quattrocento anni fa, gli esseri umani, prima dell’avvento del capitalismo, si nutrivano con più di 500 specie diverse di piante.
Cento anni fa, con l’egemonia della rivoluzione industriale, si sono ridotte a 100 le specie diverse di cibo, che dopo l’aratura passavano ai processi industriali.
Da trent’anni, dopo l’egemonia del capitale finanziario, la base di tutta l’alimentazione dell’umanità è rappresentata per l’80% da soia, mais, riso, fagioli, orzo e manioca. Il mondo è diventato un grande supermercato, unico. Le persone, indipendentemente da dove vivono, si nutrono della stessa dieta di base, fornita dalle stesse imprese, come se fossimo i maiali di una grande porcilaia che aspettano, passivi e dominati, la distribuzione della stessa razione giornaliera.
C’è stata una enorme concentrazione della proprietà della terra, dei beni della natura e del cibo. Qual è la soluzione?
In primo luogo abbiamo bisogno di rinegoziare in tutto il pianeta il principio che il cibo non può essere una merce. Il cibo è l’energia della natura (sole più terra, più acqua, più vento) che muove gli esseri umani, prodotti in armonia e collaborazione con gli altri esseri viventi che formano l’immensa biodiversità. Tutti dipendiamo da tutti, in questa sinergia collettiva di sopravvivenza e di riproduzione. Il cibo è un diritto di sopravvivenza. E quindi, ogni individuo della terra dovrebbe avere accesso a questa energia per riprodursi, in maniera egualitaria e senza alcun vincolo.
Noi sosteniamo il concetto di sovranità alimentare, che è il bisogno e il diritto che in ogni territorio, ci sia un villaggio, una tribù, un insediamento, una città, uno stato e anche un paese, ogni popolo abbia il diritto e il dovere di produrre il proprio cibo. (João Pedro Stédile)
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