Il sasso in cui la leggenda vuole che San Zeno fosse solito pescare nell’Adige, come suona la scritta : “Hoc super incumbens saxo prope fluminis undam Zeno pater tremula captabat arundine pisces”. Chiesa di San Zeno in oratorio, Verona.
CAPO VIII
SOMMARIO. – Cronaca di Coronato – Narrazione della Cronaca – Esigenze degli ipercritici – Se le asserzioni della Cronaca possano avere un fondo di verità – Residenza di S. Zeno – Valore della Cronaca – La Leggenda di S. Geminiano – Vita di S. Zeno per un Monaco Benedettino – Apologo di S. Bernardino.
La più antica vita di S. Zenone, che possediamo, è una Cronaca scritta da un certo Coronato cittadino veronese, di professione notajo, vissuto sulla fine del secolo VII, o sul principio del secolo VIII. Egli stesso si dice Coronatus Notarius. Dovea essere uno degli ufficiali, ai quali i vescovi affidavano la redazione dei loro atti e più tardi la tutela e l’esatta applicazione delle loro costituzioni; questi ufficiali, detti Notarii, spesso usavano compilare le gesta dei vescovi che aveano governato la diocesi. In due codici dei sermoni di S. Zeno, quelli di Reims e di Lobia, Coronato è detto venerabilis: in quest’ultimo e da Giovanni Mansionario è detto vir christianissimus. L’opera sua si può compendiare in queste poche notizie (1).
S. Zenone, « a cunabulis benedictus et a ventre sanctificatus … ad hoc pertingere meruit, ut per vitam sanctam pastor in populo esse mereretur ».
Fatto vescovo di Verona, abitava insieme con altri uomini solitari in un luogo remoto; ogni giorno usava pescare nell’Adige, e pregava Dio che gli desse la grazia di poter predicare la fede di Cristo in Verona.
Un giorno, mentre pescava, vide un bifolco insieme col carro trascinato nel fiume dai buoi inferociti; conoscendo ciò esser opera del demonio, fece un segno di croce, ed i buoi ricondussero il carro sulla riva. Il demonio indispettito entrò nella casa di Gallieno (rex, princeps, imperator, secondo le diverse recensioni), ed invase l’unica sua figlia; Gallieno provati inutilmente altri rimedii, fece chiamare Zenone, il quale tosto liberò la figlia; allora Gallieno, datagli piena libertà di edificar chiese e predicare il cristianesimo, gli donò il suo diadema, che Zenone mise in pezzi per darne il ricavato ai poveri. Così Zenone potè liberamente predicare la fede, eresse chiese cristiane; abbattè il culto degli idoli; finchè «Dei voluntate receptus est in pace » (2).
Che cosa v’ha di vero in queste narrazioni? L’autore, uomo semplice e in pari tempo coscienzioso, raccolse nella sua cronaca le tradizioni popolari, che ai suoi tempi correvano tra i veronesi a riguardo del loro santo patrono. Ma insieme è pur certo, che, lasciando intatta la veracità in discutibile di Coronato, alcune delle tradizioni da lui raccolte non sono veritiere. Ora i critici odierni, qualora in una cronaca medioevale si trovi qualche narrazione favolosa, danno senz’altro a quella cronaca il nome di leggenda e dicono doversi rigettare come leggendarie tutte le narrazioni in essa contenute.
Noi, educati un po’ all’antica, non ci sappiamo adattare a questa critica inesorabile ed, a nostro credere, irragionevole; a noi pare sia dovere dello storico esaminare le singole narrazioni, e rigettare quelle che storicamente si provano favolose, accettare quelle che tali non si provano: a noi pare che non si deva presumere la falsità della narrazione, ma la verità; e che la provata falsità dell’una o dell’altra non dia prova sufficiente per dimostrare od almeno presumere la falsità delle altre e di tutta la cronaca.
Certamente non ammetteremo la santificazione di S. Zenone nel seno della madre. Neppure ci pare da ammettere così facilmente il racconto del carro e dei buoi ritirati sulla riva per il segno di croce fatto da S. Zenone (3): simili narrazioni sono un po’ troppo frequenti nelle leggende del medio evo. Neppure possiamo ammettere in tutte le sue particolarità la liberazione della figlia di Gallieno dal demonio; specialmente nell’esposizione comune presso gli scrittori veronesi; secondo i quali questo Galliena dovrebbe essere l’imperatore romano (260-268). Questo Galliena nel racconto di Coronato dovrebbe aver abitato in Verona, o vicino ad essa; e ciò non si verifica di Galliena imperatore: egli avrebbe permesso di edificare chiese cristiane ed abbattere i tempi degli idoli; e ciò non si può ammettere per la seconda metà del secolo III: lo stesso avrebbe donato a Zenone il proprio diadema; e ciò non può essere avvenuto, quando gli imperatori non usavano ancora il diadema imperiale.
Queste narrazioni, come sono nella cronaca di Coronato, certamente non si possono accettare; ma, siccome esse riferiscono le tradizioni volgari di Verona sulla fine del secolo VII, a noi pare che si possa e si deva in esse riconoscere un fondo di vero, sul quale la divozione volgare ha fabbricato.
La santificazione di Zenone nel seno materno certamente non è vera: ma è vero che S. Zeno già prima della fine del secolo VII godeva in Verona la fama di uomo santissimo fin dalla puerizia: del resto Coronato dice che Zenone fu « sanctificatus a ventre, benedictus a cunabulis »: le quali frasi potrebbero significare che S. Zeno fu da Dio predestinato a fare cose grandi nella sua Chiesa, o che fu battezzato tosto dopo la nascita contro l’uso abbastanza frequente del secolo (IV).
Neppur sarà vero, se così vogliono i critici, il racconto del carro e dei buoi salvati da S. Zeno. Il P. Gallonio, Filippino, in margine alla lezione del breviario, che riferiva questo fatto, pose la postilla: «credat qui vult ». Noi non saremo tra costoro; ma quale prova si ha per escludere questo miracolo, quando d’altronde è provato che S. Zenone ed in vita e dopo morte ha operato molti miracoli, come ne attesta S. Petronio e dopo di lui la costante tradizione della Chiesa veronese? Se i critici esigono prove positive per ammettere un fatto asserito, perchè non si esigeranno prove positive per negare il fatto stesso, quando esso ha a suo favore, non solo la possibilità e verosomiglianza, ma ancora altri argomenti, sian pur d’indole generale, ma indipendente da colui, che lo asserisce? Del resto, non insisteremo nell’affermar come vero questo prodigio: a noi basta constatare che presso i veronesi nel secolo VII era assai viva la memoria dei miracoli operati da S. Zeno, e particolarmente della sua potenza contro il demonio.
Quanto alla fanciulla, che S. Zeno liberò dal demonio, un dotto consultore della congregazione dei Riti volle che per essa venissero significate le anime, che S. Zenone predicando la fede di Gesù Cristo liberò dalla schiavitù del demonio (4). Questa spiegazione per sè è possibile; ma perchè non ne sarà possibile una più letterale e propria, quando si spogli la narrazione di Coronato da quanto si trova in essa di leggendario?
Gallieno non può essere l’imperatore; ma può essere benissimo un personaggio assai ricco e potente, che vivesse in Verona o non lungi da Verona. Coronato, secondo due recensioni della sua cronaca, non lo dice imperator, ma in una rex, nell’altra princeps. Secondo l’Itinerarium Antonini, a poca distanza da Verona sulla via che conduce a Trento si trovava nel sec. VI una località detta Palatium e Domus Gallieni (5). Quale difficoltà vi è ad ammettere che S. Zenone abbia liberato dal demonio una figlia di questo principe, che questo a riconoscenza abbia donato una somma di danaro od un oggetto prezioso al suo benefattore, e che un discendente di lui, come dice in fine la cronaca, abbia eretto una chiesa nella quale fu sepolto il corpo di S. Zeno? Tutto questo si può accettare come vero, nonostante che non si possa ammettere che quel Galliena sia l’imperatore romano.
La medesima cronaca dice che S. Zeno insieme con altri uomini solitarii abitava in un luogo remoto. Qui nulla di incredibile. Dov’era quest’abitazione di S. Zeno? Ordinariamente i nostri ritengono che fosse là, dove poi fu sepolto il suo corpo ed edificata in suo onore la splendida basilica. Quest’opinione avrebbe una conferma in ciò che abbiamo riferito dell’antecessore mediato di S. Zeno, S. Procolo; avrebbe altra conferma nel fatto che là fu poi sepolto il suo corpo. Noi (senza alcun documento) ameremmo avesse dimorato presso il luogo, dove, o egli stesso, od altri poco dopo di lui, edificò la chiesa detta ad Martyres, presso la cripta della chiesa attuale di S. Stefano. La nostra argomentazione sarebbe quasi a priori.
I martiri, dai quali fu appellata quella chiesa, difficilmente appartengono ad un’epoca posteriore a S. Zeno: dovrebbe aversene qualche memoria e qualche narrazione ben minuta e certa, e non ne abbiamo alcuna. Se essi appartengono all’epoca delle persecuzioni romane (e lì presso era lo stadium), quel luogo dove furono posti i loro corpi dovette essere in somma venerazione presso i veronesi e presso il loro vescovo; ed è ben naturale che S. Zeno presso quelle preziose reliquie ponesse la sua residenza. Ci conforta in questa opinione un argomento a posteriori, l’idea diffusa tra i nostri, che la chiesa di Santo Stefano fosse l’antica cattedrale di Verona. – Ed allora, perchè S. Procolo abitò così fuori della città? Perchè visse in tempo di persecuzioni, mentre S. Zeno visse in tempo di imperatori cristiani. – Perchè il corpo di S. Zeno non fu sepolto nella chiesa ad Martyres? Non sapremmo dare una risposta soddisfacente: ma forse si volle collocarlo vicino a quello d’un altro santo vescovo, venerato dai veronesi, quale fu S. Procolo: del resto là in quell’epoca era la Via dei sepolcri.
Che S. Zeno pescasse nell’Adige non piace ad alcuni critici recenti; essendo che si ridurrebbe il gran vescovo al mestiere di pescatore: perciò vorrebbero che per pesca presa simbolicamente, si avesse ad intendere che Zenone era « piscator hominum »(6). Noi non avremmo difficoltà alcuna ad ammettere questa particolarità nel senso proprio e letterale; quando sappiamo che nel secolo IV sotto imperatori cristiani, parecchi vescovi delle città di provincia erano poveri, e lo stesso S. Zenone dice di se stesso: «pauper sum »(7); e la località ad Martyres era presso la riva dell’Adige, ed era fuori della città, al di là della porta romana. Nè, ammettendo che egli usasse pescare, crediamo di ridurlo al mestiere di pescatore, quasi che egli andasse poi a vendere il pesce per le vie; basterebbe ammettere che egli pescasse talvolta, sia per onesta ricreazione, sia per uso suo e dei sacerdoti che seco aveva domestici. In queste nostre idee sulla fanciulla liberata dal demonio e sulla pesca esercitata da S. Zenone abbiamo il suffragio di un altro dotto consultore della S. Congregazione dei Riti (8).
Le altre notizie dateci dalla cronaca di Coronato non hanno nulla, che non sia certo da altre fonti. Consta che egli abbattè dovunque il culto degli idoli: se non sappiamo che abbia edificato molte chiese, sappiamo almeno di una, resa angusta per la moltitudine dei fedeli. Osserviamo che riguardo alla morte di S. Zenone la cronaca esclude positivamente il martirio, dicendo: «Dei voluntate receptus est in pace »,
Da questo breve esame sulle narrazioni della cronaca apparisce quale giudizio sia a dare sul valore della cronaca stessa. Essa non è assolutamente puerile, insulsa e priva di alcun fondamento storico, come vollero taluni (9); nè è un documento storico dei fatti appartenenti alla vita ed alle opere di S. Zenone, come vollero altri (10). Essa è un documento storico delle tradizioni, che correvano presso i fedeli veronesi sulla fine del secolo VII e sul principio del secolo VIII; le quali tradizioni, basate in origine in un fondo di vero, furono un po’ alla volta amplificate e svisate secondo l’uso assai comune nella prima parte del medio evo.
Nè contro l’autorità così limitata della cronaca di Coronato si può opporre la somiglianza perfetta, che essa ha con la prima delle due Vite di S. Geminiano, ben nota nella chiesa modenese li. Dal confronto dei due documenti è chiaro che questo dipende da quello, trae origine da esso, e che anzi è di provenienza veronese. Il compilatore della leggenda di S. Geminiano, volendo dir cose meravigliose del suo protagonista, le trasse dalla cronaca di Coronato, ripetendo i medesimi fatti con lievissime varianti: qualcuna di queste sta soltanto nel nome.
Dove Coronato dicea « Zeno », la leggenda modenese ha posto « Geminianus »; dove egli dicea «Gallieni », questa ha sostituito « Joviani »(12); anzi la leggenda riportò pure il miracolo narrato da S. Gregorio, benchè a Modena non vi sia alcun fiume. Probabilmente questa leggenda sarà opera dei primi decennii del secolo XII; quando il corpo di S. Geminiano dalla chiesa antica fu trasportato alla cattedrale attuale (13). Forse in quell’epoca cominciò pure a celebrarsi in Verona la memoria di S. Geminiano, come si trova notato al giorno 31 gennaio nel Carpsum, e questa nota appartiene appunto al principio del sec. XII (14).
Il Maffei « pubblicò un’altra Vita di S. Zenone, di cui dovrebbe esser autore un monaco benedettino del monastero di S. Zeno nel secolo XII (15). Questa Vita riporta quasi intiera quella scritta da Coronato, senza però nominarlo: ammette la santificazione di Zenone prima della nascita: determina l’epoca di S. Zeno, dicendo espressamente che quel Gallieno, di cui liberò la figlia dal demonio, era l’imperatore di questo nome, figlio di Valeriano, e ponendo la sua morte al giorno 12 aprile dell’anno 301; aggiunge il miracolo della risurrezione di un morto, e la favoletta del pesce rubato a Zenone dai messi dell’imperatore: in fine aggiunge la storia della traslazione del corpo di S. Zeno nella Basilica edificata dal re Pipino e dal vescovo Rotaldo, la chiamata e l’intervento di S. Benigno, la favoletta della merla. In questa Vita evidentemente furono accumulate altre volgari tradizioni a quelle che aveva raccolte Coronato (d).
A titolo di curiosità riporteremo una’ storiella, o forse meglio un apologo, che troviamo nel secolo XV nei sermoni di S. Bernardino da Siena: «S. Zenone vescovo di Verona, quando era ancora chierico del b. Ambrogio e giovanetto puro e santo, mentre un giorno accompagnava per città il beato Ambrogio, benchè fosse maturo per gravità di costumi, scoppiò in un riso di insolita leggerezza. Accortosi con meraviglia di ciò il santo vescovo, gli chiese la causa di quella leggerezza. Al quale l’innocente giovanetto rispose: “Padre, ho veduto il demonio addormentato sullo strascico di quella donna, che ci va avanti; e, mentre essa in quel tratto di luogo fangoso alzò lo strascico per non lordarsi, il demonio addormentato rotolò nel fango, e l’ho veduto tutto impantanato“. La quale cosa considerando Sant’Ambrogio, ammirò la mondezza di cuore e la perspicacia d’intelletto del suo chierico, e ringraziò il Signore ed umilmente riconobbe di non aver avuto pari perspicacia da vedere il demonio ». Così S. Bernardino (16).
NOTE
1 – THOMASSINUS, Vetus et nova Ecclesice disciplina, Tom. I, Lib. II, Cap. 104 (a).
2 – Si trova presso UGHELLI, Italia sacra, Tom. V, HENSCHENIUS, Acta Sanctorum, Aprilis, Tom. II.; BALLERINI, Prolegomena. Dissert. I, Cap. II.
3 – Il P. Calenzio a questa narrazione pose in margine «apocrypha », Così CALENZIO, Voto … , pag. 14 (b).
4 – Così il P. LANA nel suo Voto, pag. 10, e più espressamente nella Dissert., pag. 24.
5 – Così, il MAFFEI nella Lettera a Coleti, De priscis Veran. Episcop., presso Istoria teol., Append., pag. 240 ed UGHELLI, Italia sacra. Ma nell’Itinerarium Antonini, pressi i BOLLANDISTI, Acta SS. Majj 11, e la Patralogia del MIGNE, LXXII, e Corpus script. eccl. XXX (Vindob, 1898), questo Palatium o Domus Gallieni non si trova.
6 – Così il P. LANA nel suo Voto, pag. 9, 10, e Dissert., pag. 23 (c).
7 – S. ZENONIS, Sermones, Lib. II, Tract. XLIV, 2. Cfr., GIULlARI, Op. cit., pag. 25S, Nota f.
8 – P. CALENZIO nel suo Voto, pag. 29. Vedi anche GIULlARI, Op. cit., pag. 258.
9 – Presso LANA, Dissertazione, pag. 26.
10 – CENCI, Dissertazioni storico cronol., Diss. III.; BONACHI, S Zenonis epoca; GILARDONI, Osservo teol., Dissert. sull’epoca di S. Zeno, § IV; DIONISI, Epoca di S. Zeno, nella difesa di Coronato.
11 – Presso BERTOLOTTI, Monumenti storici modenesi. Le due Vite di S. Geminiano (Modena 1886).
12 – Tentò di rivendicarla CAVEDONI, Cenni storici intorno alla vita … di S. Geminiano (Modena 1856).
13 – Vedi BERTOLOTTI, Op. cit., pag. 49.
14 – MAFFEI, Istoria diplom., pagg. 315-334. Vedi anche BIANCOLINI, Chiese di Verona, Lib. I, pagg. 75-99.
15 – Vedi SPAGNOLO nel Bollettino, anno 1914, pag. 133.
16 – S. BERNARDINUS SEN., Sermo XLVII.
ANNOTAZIONI AL CAP. VIII (a cura di A. Orlandi)
(a) pag. 58, nota 1: Venezia, 1760, p. 427.
(b) pag. 59, nota 3: tutta la nota va modificata così: Il Gallonio a questa narrazione pose in margine « apocrypha ». Così CALENZIO, Voto … , in Congregatio (sacra) Rituurn Veronen., Approbationis novi oiiicii in honorem S. Zenonis, Romae, 1880, p. 14.
(c) pag. 62, nota 6: in Congregato (sacra) Rituum Veronen., Approbat. cit., p. 10 e Dissertazione, ibidem, p. 35.
(d) pag. 64: la cronaca (o discorso) di Coronato recentemente fu edita in stampa d’arte insieme col «Ritmo pipiniano » in onore di S. Zeno: CORONATUS NOTARIUS, Il sermone sulla vita di S. Zeno col Rhythmus tradotti da Carrara, Verona, 1957.
Per il racconto della traslazione, si veda: G.B. PIGHI, Traslazione e miracoli di S. Zeno – Introduzione e versione, Verona, 1977.
Il sermone di Coronato e il racconto della traslazione si trovano con traduzione anche in: G.P. MARCHI – A. ORLANDI – M. BRENZONI, Il culto di S. Zeno nel veronese, Verona, 1972.
Fonte: srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIE