Ciborio longobardo della chiesa di San Giorgio Ingannapoltron di Valpolicella. Sull’antico ciborio si trovano delle iscrizioni in caratteri rustici, incise su due colonnine.
Sulla prima colonnina si può leggere:
(LATINO) « In nomine Domini Jesu Christi. De donis sancti Juhannes Bapteste edificatus est hanc civorius sub tempore domno nostro Lioprando rege et viro beatissimo pater nostro Domnico epescopo et costodes eius venerabilibus Vidaliano et Tancol presbiteris et Refol gastaldio Gondelme indignus diaconus scripsi »
(ITALIANO) « Nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo. Dai doni di San Giovanni Battista fu edificato questo ciborio, al tempo del sovrano nostro signore Liutprando e del venerabile nostro padre vescovo Domenico, e dei suoi custodi venerabili sacerdoti Vidaliano e Tancol, e del gastaldo Refol. Io Godelmo, indegno diacono, scrissi. »
Sull’altra colonnina:
(LATINO) « Ursus magester cum discepolis suis Juvintino et Juviano edificavet hane civorium, Vergondus, Teodoalfo scari »
(ITALIANO) « Maestro Orso con i suoi discepoli Iuvintino e Iuviano edificò questo ciborio. Scari Vergondo e Teodoalfo »
CAPO XVII
SOMMARIO. – Due serie di vescovi – Il vescovo Concessus – S. Mauro – S. Giovanni – Sante Tosca e Teuteria – S. Salvino – Ciborio di S. Giorgio di ValpoliceIIa – Sant’Alessandro – Sigeberto – S. Biagio – Sant’Annone.
Riavutasi la nostra chiesa dalle turbolenze dello scisma istriano, e ricuperata una tranquillità relativa dopo le vessazioni dei primi quarant’anni del regime longobardo (1), ricominciarono a fiorire in essa la fede e la pietà cristiana, per l’opera dei vescovi, che la illustrarono con la loro santità ed il loro zelo. Quasi tutti i vescovi di quest’epoca hanno culto liturgico nella chiesa veronese.
La serie dei vescovi, quale ci è data dallo Stato personale, non risponde, massime nei nomi, a quella che il De Rossi avea in qualche modo rilevato nel Velo di Classe. Daremo ambedue le serie dalla fine del secolo IV sino alla caduta del dominio dei Longobardi:
STATO PERSONALE VELO DI CLASSE
31. Pietro (598-612) Petrus
32. S. Mauro (612-622) . Concessus
33. S. Giovanni (622-626) . Maurus
34. S. Manio (627-637) . Romanus
35. S. Andronico (637-650) . Arborius
36. S. Vindemiale (650-665) . Valens
37. S. Salvino (663-680) . Clemens
38. S. Moderato (680-698) . Modestus
39. Domenico (698-712) . Dominicus
40. S. Alessandro (712-728) Ander o Andreas
41. Sigeberto (728-745) . Sigebertus (2)
42. S. Biagio (745-750)
43. S. Annone (750-772)
Anzitutto è da avvertire la diversa successione a riguardo del vescovo S. Mauro ed il suo antecessore o successore. Nel Velo di Classe non abbiamo il vescovo Giovanni; nè vi è posto per lui: eppure il suo episcopato è certo per altri documenti. Invece di lui abbiamo nel Velo un vescovo « Concessus »; ma prima, non dopo di S. Mauro. Come si può spiegare questa successione diversa? Nella serie dei nostri vescovi, questo è il secondo designato col nome Concessus: in ambedue i casi parrebbe che « Concessus » debba dirsi un appellativo aggiunto o sostituito al nome personale. Come S. Valente fu Concessus a S. Verecondo esule da Verona, così parrebbe che S. Giovanni sia stato Concessus a S. Mauro allontanatosi da Verona. Si avrebbe pure un’altra analogia tra i due Concessus; che, cioè, anche il secondo, come il primo, fu coevo, ma insieme anche antecessore (o successore) di S. Mauro; eletto vescovo dopo la creazione di S. Mauro, ma forse morto prima di lui. Così si concilierebbero le due serie.
Della santità del vescovo Mauro abbiamo certa testimonianza nel culto, che egli ebbe nella nostra chiesa. Nel calendario premesso al Carpsum al giorno « XI kal. dec. » (21 novembre) si legge: « Depositio S. Mauri epis. »(3). Assunto all’episcopato, nell’anno 612, pare che dopo qualche tempo sia si ritirato a vita solitaria sulle montagne dette Saline, non sappiamo se abdicando, o no, all’episcopato: allora gli sarebbe stato sostituito, forse come suo rappresentante, Giovanni. A Saline naturalmente avrebbe condotto vita solitaria, consacrato tutto ad opere di pietà e di penitenza. Di là pare che sia più tardi tornato verso Verona già vecchio e quasi consunto: nel viaggio sarebbe morto sul colle, ora compreso tra le mura, vicino all’attuale castello S. Felice: la sua morte deve essere avvenuta il 21 novembre dell’anno 622(4).
Nel luogo della sua morte dicesi eretta una chiesa a suo onore, come sembra accennare il Ritmo Pipiniano; alla quale fu poi sostituita una chiesa dedicata all’arcangelo Gabriele, detta sant’Angelo. Crediamo più conforme al vero quanto dicono gli storici nostri, che il suo corpo fu tosto trasferito nella chiesa di S. Stefano, forse dal suo sostituito vescovo Giovanni. Sulla montagna di Saline è dedicata a S. Mauro la chiesa parrocchiale: l’altra chiesa, detta comunemente S. Moro, è dedicata a S. Leonardo.
Non abbiamo notizie particolari sul vescovo S. Giovanni. Mentre dalla sua posizione nel Velo di Classe parrebbe morto prima di S. Mauro, secondo Canobbio, Biancolini ed altri sarebbe morto dopo di lui e ne avrebbe trasportato il corpo nella chiesa di S. Stefano. Nel Martyrologium Ecclesiae Veronensis è celebrato « vir sanctìssimae vitae et eximiae in grege pascendo sollicitudinis »: se ne celebra la memoria nel giorno 6 giugno, ed il suo corpo sta nella chiesa di S. Stefano sotto l’altare dedicato a S. Mauro.
Nulla sappiamo dei vescovi S. Manio, Sant’Andronico, S. Vindemiale; la memoria dei quali si celebra nella chiesa veronese nei giorni 8 settembre, 14 novembre, 28 febbraio. I loro corpi riposano nella chiesa di S. Stefano; la quale per conseguenza dovette essere anche in quest’epoca la chiesa cattedrale.
Alla prima metà di questo secolo sembra che si devano ascrivere due sante vergini, le quali, se non erano veronesi per origine, certamente onorarono Verona con la loro vita santa. Santa Tosca, come accennammo altrove, certamente non era sorella del nostro vescovo S. Procolo: ma forse di qualche altro Procolo vissuto in questo tempo, come congetturarono i bollandisti (5). Ad essa nella professione d’una vita esemplarmente cristiana si associò la vergine Teuteria, probabilmente di origine greca, fuggendo le insidie che a lei tendeva, non già Osvaldo re d’Inghilterra, ma forse qualche principotto longobardo: sembra che la morte di S. Teuteria sia da assegnare al giorno 5 maggio circa l’anno 644. Il vescovo sant’Annone nell’anno 751 consacrò la loro chiesa situata fuori della porta di Gallieno, e ne pose le sacre reliquie in un’urna di marmo. Secondo un dotto archeologo veronese, sant’Annone avrebbe trasformato in chiesetta un antico ipogeo (6): la chiesetta fu poi più volte trasformata, cosicchè della primitiva non si avrebbero che pochi avanzi, e tra essi forse la piccola cupola.
Intorno al vescovo S. Salvino si dubita, e sul suo nome, e sul luogo della sua sepoltura. Nel Velo di Classe è detto Clemens: così almeno avea letto il De Rossi. Dal Ritmo Pipiniano parrebbe dovesse dirsi Florens. Appoggiato all’autorità ben poco certa del Ritmo, il nostro vescovo Liruti contro l’autorità dei precedenti calendari, mutò il suo nome in quello di « S. Florens» nel calendario dell’anno 1813: più tardi il vescovo Grasser nell’anno 1837 rimise « S. Salvinus », Quanto al luogo di sepoltura, da documenti antichi parrebbe fosse stato sepolto nella chiesa di S. Pietro in Castello; e così è notato nei nostri calendari dal 1844 al 1889: dall’iscrizione della chiesa di S. Stefano parrebbe sepolto in questa chiesa, e così è notato nei calendari dal 1826 al 1843: negli anteriori al 1826 e posteriori al 1889 non c’è nulla (7).
Il canonico Dionisi vorrebbe che i santi Florenzio e Vindemiale venerati a Treviso fossero i nostri due vescovi Salvino e Vindemiale, dei quali furono trasportate colà alcune reliquie verso l’anno 820(8). Ma questa opinione non ha altro fondamento che la sinonimia, e d’altronde i trevigiani hanno ben altre idee storiche sui loro patroni (9).
S. Moderato resse la nostra chiesa negli ultimi anni del secolo VII. Di lui nulla sappiamo in particolare: il suo corpo dovrebbe essere nella chiesa di S. Stefano; la sua memoria vien celebrata nella chiesa veronese nel giorno 23 agosto; ma il suo nome non si legge nel Carpsum; nel Velo di Classe avrebbe il nome Modestus.
Nulla pure sappiamo del vescovo Domenico: ma il suo nome si legge scolpito sopra un monumento troppo importante per la nostra chiesa; è il celebre ciborio di S. Giorgio Ingannapoltron, ora detto S. Giorgio di Valpolicella.
Era un « cìborium » di forma quadrata, eretto sopra quattro piccole colonne; delle quali si hanno frammenti, parte nel chiostro adiacente alla chiesa di S. Giorgio, parte nel nostro museo maffeiano. Sulle due colonnette del museo, si leggono due iscrizioni, che riportiamo qui letteralmente, dividendo con lineette le singole righe(10):
Sulla prima colonnetta si legge:
IN NOMINE DOMINI JESU CHRISTI DE BONIS – SANCTI JUHANNES – BAPTESTE EDI – FICATUS EST HANC – CIVORIUS SUB TEMPORE – DOMNO NOSTRO – LIOPRANDO REGE – ET VB PARTE NO DOMNICO EPESCOPO – ET COSTODES EIUS VV VIDALIANO ET – TANCOL PRBIS – ET REFOL GASTALDIO – GONDELME INDIGNUS DIACONUS SCRIP – SI.
Sulla seconda colonnetta si legge:
URSUS MAGESTER – CUM DISCEPOLIS – SUIS IUVINTIANO – ET IUVIANO EDI – FICAVET HANC CIVORIUM – VERGONDUS – THEODAL – FOSCARI (a).
Per quanto spetta alla lezione delle due iscrizioni, lasciando in disparte la grammatica e la sintassi, riportiamo dai cultori dell’arte la spiegazione di alcune sigle.
Nella prima iscrizione, la sigla VB significa « venerabili »: l’altra VV «venerabilibus viris »; la terza NO « nostro »: la quarta PRBIS «presbyteris ». Nella seconda si disputò molto sull’ultima voce FOSCARI; al presente tutti accettano la spiegazione data ultimamente dal Biancolini, che essa equivalga a « fossari » o « fossores »; molto più che nella bassa latinità ricorre più volte fosca per fossa (11).
Riguardo alla storia dell’arte, questo monumento ci attesta che ancora dopo le invasioni barbariche sopravviveva tra noi l’arte indigena con reminiscenze bizantine, e che artefici del ciborio erano stati Orso magister con due apprendisti Gioventino e Gioviano, nomi perfettamente latini. Riguardo alla storia della liturgia, abbiamo qui sulle nostre montagne un ciborio, specie di baldacchino o padiglione a quattro colonnette, eretto sopra l’altare di S. Giovanni Battista, quale sappiamo aver fatto costruire S. Gregorio Magno sul sepolcro di S. Pietro (12).
Maggior importanza ha questo monumento per la storia della chiesa veronese. Sappiamo da esso che su quei monti al principio del secolo VIII esisteva una chiesa dedicata a S. Giovanni Battista, eretta secondo alcuni sulla fine del secolo VII o sul principio del secolo VIII (13), secondo altri forse nei secoli IV e V (14). Presso questa chiesa, all’epoca del ciborio (712) era costituita una pieve col suo clero; vi son nominati due sacerdoti con l’ufficio di custodi, un diacono, un gastaldo, e probabilmente due chierici fossori, come interpreta il Biancolini: nè è improbabile che questo clero vivesse collegialmente nelle case adiacenti alla chiesa; il magnifico chiostrino, del quale alcuni capitelli sono del secolo VIII, testificherebbero appunto una collegiata.
L’epoca del ciborio ci è data dalla contemporaneità del re Luitprando, che cominciò a regnare l’anno 712, e del vescovo Domenico, che nel medesimo anno cessò di vivere. Nessun documento ci dice dove sia sepolto il vescovo Domenico.
I nostri scrittori ponevano qui un vescovo di nome Paterno: alcuni prima, altri dopo di Domenico; i più in luogo di lui. Dedussero questo vescovo dalla prima iscrizione del ciborio, dove prima di « Domenico» leggevano «Paterno». Quest’opinione è ora abbandonata, constando che ivi si deva leggere « Pater nostro », come aggettivo nel nome « Domenico» (15).
Per contrario è certo il vescovo sant’Alessandro; benchè il De Rossi nel Velo di Classe, già ormai troppo corroso e detrito, abbia letto «Ander» oppure « Andreas ». Di esso affermano il Canobio ed altri che a suo onore fosse dedicata la chiesa vicina a Quinzano, detta ora di S. Rocco; ma documenti abbastanza certi provano che quella chiesa, già esistentee nell’anno 780, era dedicata a sant’Alessandro martire (16).
Il Dionisi afferma che il vescovo sant’Alessandro si ritirava spesso presso quella chiesa a vita solitaria: ma questa pure è un’asserzione gratuita. Il suo corpo giace nella chiesa di S. Stefano, e la sua memoria si celebra nella nostra chiesa il giorno 4 giugno; giorno, in cui egli morì verso l’anno 728; ma il suo nome non comparisce nel Carpsum; indizio che il culto di lui è posteriore almeno di qualche secolo al secolo XI.
Il vescovo Sigeberto è l’ultimo segnato nel Velo di Classe. Il suo nome indicherebbe che egli fosse di origine longobarda. Da un Atto del 15 maggio 744, col quale le due sorelle Auteonda e Natalia dispongono per la fondazione di un monastero (pare presso la chiesa di S. Maria « in solario »), primo sottoscritto dopo le due sorelle è Sigipert Episcopus (17). Nulla sappiamo, nè del giorno della sua morte, nè del luogo della sua sepoltura.
Presso i recenti è dubbia l’autenticità del vescovo S. Biagio; soprattutto perché non se ne hanno prove (18). Difatti il suo nome non comparisce nel Velo di Classe: prova, a dir vero, negativa ed insufficiente; essendoché Sigeberto è l’ultimo vescovo ivi notato. Del resto, Francesco Corna testificava che in un’antica membrana della chiesa di S. Stefano, tra le reliquie venerate nella cripta di quella chiesa era anche il corpo di S. Biagio (19). Certamente dopo S. Biagio nessun altro vescovo fu sepolto nella chiesa di S. Stefano: quindi pare certo che almeno dall’anno 750 in poi quella chiesa non fu più cattedrale.
Che anzi dal Ritmo Pipiniano consterebbe che soli cinque vescovi si trovavano sepolti nella chiesa di S. Stefano al principio del sec. IX: gli altri vi sarebbero stati trasportati più tardi da qualche altra chiesa, forse distrutta. Ciò confermerebbe la congettura da noi proposta altrove, che, cioè, la cattedrale di Verona fosse già da tempo presso una chiesa dedicata a S. Zeno.
L’ultimo vescovo dell’epoca longobarda fu sant’Annone, del quale diremo nel capo seguente (b).
NOTE
1 – MURATORI, Antiquitates Ital. medii aevi. Dissert. V.
2 – Sigebertus è l’ultimo vescovo segnato nel Velo di Classe.
3 – SPAGNOLO, Tre calendarii med. veron., pag. 47 e Nota 108 pag. 77. – Nel medesimo giorno il calendario di Wolfango nota: « In Histria civitate S. Mauri mart.»
4 – Dal Canobio riferisce l’Ughelli che alla sua morte suonarono da sè a festa le campane della città. BIANCOLINI, Chiese di Verona I. pag. 386.
5 – Vedi anche Don ANT. PIGHI, Le SS. Teuteria e Tosca in Verona Fedele 12 luglio 1912.
6 – DA LISCA, La chiesa di S. Teuteria e Tosca in Verona (Verona 1914).
7 – BIANCOLlNI, Chiese di Verona I. pag. 105, ritiene sia sepolto nella chiesa di S. Stefano; ma riferisce che alcuni lo dissero sepolto in quella di S. Pietro e di là trasferito poi in quella di S. Procolo.
8 – DIONISI, Dei Santi Veronesi pag. 94, segg.
9 – Vedi Memorie del B. Enrico … nella Giunta (Venezia 1760); CAPPELLETTI, Chiese d’Italia, Tomo X. P. II. pag. 602, seg.
10 – Il fac-simile si può vedere presso BIANCOLINI, Chiese I. pag. 115, seg. VENTURI, Storia di Verona I. 145. – Le colonnette del Museo, compreso il capitello, sono dell’altezza di un metro e pochi centimetri.
11 – DU-CANGE, Glossarium ad v, Fosca; BIANCOLINI, Chiese”. VI, pag. 62.
12 – « Hic fecit beato Petro apostolo cyburium cum columnis suis IIII ex argento puro ». DUCHESNE, Lib. pontif. I. pag. 312, – Non era un tabernacolo per conservarvi la SS. Eucaristia, Vedi GRISAR, Analecta Romana, Vol. I pag. 301-303; DU-CANGE, Op. cit. ad v. Cyborium.
13 – ORTI, Di due antichi tempi cristo veronesi (Verona 1840); CATTANEO, Architettura in Italia dal sec. VII al 1000 pag. 82. Vedi anche Civ. Catt., 1915 Vol. II. pag. 556.
14 – PRIULI BON, Intorno alla Chiesa di S. Giorgio in Madonna Verona, 1912 pag. 141.
15 – BIANCOLINI, Chiese di Verona IV. pag. 646.
16 – CENCI, Dissert, crit. cronol. pag. 219, 222. – Vedi Don ANT. PIGHI, Il Santuario di S. Rocco (Verona 1887); BIANCOLlNI, Chiese … , II. 489.
17 – BIANCOLINI, Chiese … II. pag. 400, seqq.
18 – CIPOLLA, Il Velo di Classe pag. 19; SPAGNOLO, Per la storia dei Vescovi di Verona pag. 4. Lo stesso BIANCOLINI, che nelle Notizie delle chiese di Verona I. pag. 14 e 173 pose vescovo S. Biagio, lo omise nella Dissertazione dei Vescovi … pag. 31.
19 – BAGATA, SS. Epp. Veron. Monum. pag. 5 v., 38. – Per espungere il vescovo S. Biagio si citano anche gli Annales Alamannici presso PERTZ, Mon. Germ. Ilist, I. 49. Ma l’epoca di S. Biagio sarebbe tra gli anni 745-750, ed i detti Annales cominciano dall’anno 802 con la morte del nostro vescovo Eginone: perciò nessuna meraviglia, se tacciono il nome di S. Biagio.
ANNOTAZIONI aggiunte al Cap. XVII (a cura di A. Orlandi)
(a) pag. 126 – Pubblicazioni recenti su questa iscrizione e su questo monumento non mancano. Ricordiamo le principali: G. B. PIGHI, Verona nell’VIII secolo, Verona 1963, pp. 10-16; P. L. ZOVATTO, L’arte altomedioevale, in “Verona e il suo territorio”, II, Verona 1964, pp. 515-523; San Giorgio di Valpolicella a cura di P. P. Brugnoli, Verona, 1975.
(b) pag. 128 – La questione della cronotassi dei vescovi di Verona è assai difficile e in molti casi insolubile. Anche gli elenchi più autorevoli che danno con la maggior attendibilità la successione dei vescovi non aiutano a determinarne la datazione. Solo alcuni vescovi sono situabili con buona approssimazione entro limiti determinati. Quanto alle varie elencazioni dei vescovi veronesi, osserviamo che esse si riferiscono a tre epoche ben individuabili. Del secolo VIII-IX abbiamo tre elencazioni: 1) Ritmo Pipiniano; 2) Velo di Classe; 3) Iscrizione di S. Stefano con elenco breve.
Bisogna poi passare al sec. XIII-XIV per avere altre elencazioni; e sono: 1) La “Historia lmperialis” di Giovanni Mansionario (manoscritto della biblioteca Capitolare di Verona); 2) Iscrizione di S. Stefano con elenco più lungo, riferito da Bagata e Peretti.
Infine tra il sec. XV e XVI si ritesse l’elenco dei vescovi, con varie trasposizioni e interpolazioni e si fissano anche i 36 venerati nella liturgia. I documenti di quest’epoca sono: 1) F. CORNA, Fioretto delle antiche istorie … di Verona (1477) edito da G. P. Marchi e P. P. Brugnoli nel 1973; 2) La iconografia dei vescovi nel salone sinodale del palazzo vescovile dipinta da D. Brusasorzi nel 1567; 3) R. BAGATA – B. PERETTI, Sanctorum Episcoporum veronensium antiqua monumenta, Venezia, 1576; 4) Lectiones pro Ecclesiae cathedralis Veronae sanctis propriis commemorandis … Verona 1587.
La questione e le discussioni si riapersero nel sec. XVIII e continuano tuttora. Per ulteriori dilucidazioni si veda: C. CIPOLLA, Il Velo di Classe. Nuova edizione con un’appendice di G. B. Pighi, Verona, 1972, pp. 93-97; A. ORLANOI, Il culto dei vescovi veronesi. Origine, sviluppo, testimonianze, in “Bollettino della diocesi di Verona”, LXVI (1979), pp. 199-213.
Fonte: srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I