Il Velo di Classe, conservato nel Monastero di Classe presso Ravenna.
(immagine da SAN ZENO GIOIELLO D’ARTE ROMANICA, di Mario Patuzzo; grafiche Fiorini, Verona)
CAPO XX
SOMMARIO. – Scoperta del monumento – Studi – Disposizione delle immagini sulla pianeta – Dittici della chiesa veronese – Destinazione primitiva delle tenie di Classe – Opinione del Vallarsi – Opinione comune – Esame dei nomi dei vescovi apposti alle immagini – Conciliazione della lista del Velo con altri dati storici della nostra chiesa – Epoca del Velo di Classe.
Chiudiamo quest’epoca prima con una breve illustrazione del Velo di Classe, monumento importantissimo per la storia della nostra chiesa, al quale abbiamo appellato più volte. Trattando di esso sulla fine del dominio longobardico, non intendiamo affermare che questa sia la sua età: su di ciò esporremo in breve le diverse opinioni nel chiudere il capo presente.
Nell’anno 1589 l’illustre archeologo e storico ravennate Girolamo De Rossi diede notizia d’una pianeta di massimo interesse, che si trovava tra le reliquie dei santi nel monastero dei camaldolesi di Classe presso Ravenna. L’importanza stava soprattutto in questo, che quella pianeta nelle tenie o fascie (altri le dicono lacinie o lacerti), che l’adornavano, presentava alcune immagini ricamate, e sotto od a lato di ciascuna alcuni nomi pur fatti a ricamo. Egli pubblicò quei nomi, come li potè rilevare: espresse l’opinione che essi dovessero indicare la lista dittica di qualche chiesa, molto più che quei nomi per la massima parte aveano aggiunta la voce « eps »; ma non andò più oltre nelle sue congetture (1).
Dopo quasi due secoli dalla scoperta il dottissimo camaldolese padre Mauro Sarti ripigliò I’ìnvestigazione di quel prezioso monumento, del quale non restavano che tre sole fascie con numero più limitato di immagini e di nomi: confrontò i nomi, che ancora sussistevano, con quelli registrati nell’opera del De Rossi; indi, ricercate le serie dei vescovi di alcune chiese d’Italia, trovò che i nomi del De Rossi corrispondevano quasi perfettamente ai nomi altronde già conosciuti dei vescovi di Verona, dalle prime origini di questa chiesa sin verso la metà del secolo VIII: l’opera del p. Sarti fu pubblicata a Faenza l’anno 1753 (2).
Questa notizia, come è ben naturale, interessò moltissimo gli insigni cultori di cose nostre, che illustrarono Verona verso la metà del secolo XVIII. Quasi tutti applaudirono alla importante scoperta: alcuni si trovarono sconcertati, vedendosi costretti ad abbandonare qualche idea preconcetta; tutti rivolsero i loro studi alla pianeta di Classe: alcuni si recarono a Ravenna per approfondir meglio la cosa. Il Biancolini, il Vallarsi, il Dionisi, il Cenci ed altri, riconoscendo in quei nomi altrettanti vescovi di Verona, per diverse vie tentarono di ricomporre quelle liste, e completarne qualche lacuna, e conciliarle come ciascun credea meglio con altri dati storici della nostra chiesa (3). Nel secolo scorso, oltre il Brunati (4), si occuparono di questa pianeta due insigni scrittori: il francese George Rohault de Fleury (5), ed il compianto prof. Carlo Cipolla, che ne diede una completa ed eruditissima illustrazione (6). Non dovendo far noi una monografia su questo argomento, ci limiteremo ad esporre le conclusioni principali di coloro, che lo trattarono ex professo.
Le immagini ed i nomi relativi erano lavorati « opere frigio », con fili d’oro intessuti con fili di seta « ex auro … et sericis filis »; ed erano ricamati, non sul fondo o sulla stoffa della pianeta, ma sopra fascie o bende larghe poco più di nove centimetri, le quali scendevano verticalmente nel mezzo della pianeta, sia nella parte anteriore, sia nella posteriore, e giravano pure intorno all’apertura del collo (7). Confrontando la descrizione della pianeta data dal De Rossi con le tre fascie tuttora sussistenti a Ravenna, ci è permesso ricostruire la pianeta e collocare le immagini nella posizione che aveano sulla stessa. (D’ora in poi, cfr. le tavole alle pp. 147, 149 e 151; N.d.R.).
La tavola I/a, presenta appunto la posizione delle immagini, quale ci risulta dal confronto, ed indica con caratteri distinti quelle tuttora conservate nelle tre tenie di Ravenna. La forma poi della pianeta con una fascia, che girando attorno al collo scende verticalmente dimezzando la parte anteriore e la posteriore, è nota ai cultori delle antichità cristiane. Il Cipolla reca l’esempio dell’antica figura in alto rilievo rappresentante sant’Ambrogio, che si vede a Milano, sotto il nartece della basilica a lui dedicata. In Verona porta una simile pianeta la statua di S. Zeno, che sta nella sua basilica presso la porta della sacristia: è opera dei secoli XII-XIII.
Nel punto centrale della parte posteriore stava una mano forata in posizione orizzontale; sotto e sopra di essa erano immagini, poste esse pure orizzontalmente. Sotto la mano era l’immagine di un angelo con la scritta Michael; le singole lettere tenevano la direzione dell’effigie dal capo verso i piedi. Sotto di essa erano altre immagini di uomini con le scritte Hescirmus (così avea letto il De Rossi), Petronius eps, Innocentius eps, Montanus eps; poi era altra immagine con scritta illeggibile. Al di sopra della mano era altra immagine di angelo con la scritta Gabriel; poi immagini di uomini con le scritte scs Rusticus, Euprepius eps, Dimilianus eps, Simplicius eps, Proculus eps. Fin qui tutte le scritte danno i nomi in lettere scritte l’una sotto l’altra, in direzione dal capo verso i piedi. Nelle seguenti, abbiamo i nomi scritti orizzontalmente sotto le effigie.
Proseguendo sulle, bende, che giravano attorno al collo sull’omero destro fino al petto, il De Rossi avea letto i nomi seguenti: Saturninus eps, Lucillus eps, Cricinus eps, Zeno eps, Agapitus eps, Lucius eps, Siabrinus eps, Lupinus eps; indi dalla parte anteriore girando sull’omero sinistro: Junior eps, Germanus eps, Verecundus eps, Concessus eps, Teodomus eps, Felix eps, Germanus eps,
Nella parte anteriore dal petto scendeva altra fascia con immagini e coi nomi seguenti, dei quali non sappiamo la posizione (8): Petrus eps, Concessus eps, Maurus eps, Romanus eps, Arborius eps, Valens eps, Clemens eps, Modestus eps, Dominicus eps, Ander eps, Sigebertus eps. Evidentemente sono quasi tutti i vescovi nostri dalla fondazione della chiesa veronese sin verso la metà del secolo VIII.
I nomi, quali li aveva letti Girolamo De Rossi
Questa serie delle immagini dei nostri vescovi coi nomi relativi ci richiama il celebre catalogo figurato dei papi nella basilica di S. Paolo « extra muros » a Roma. Inoltre essa ci conferma come a Verona nell’epoca della fattura di quelle fascie, fosse ben nota la serie dei nostri vescovi, ed ivi pure si verificasse il fatto « ammesso generalmente dagli storici e dai liturgisti, che in occidente fino a Carlo Magno durante la Messa si leggevano i dittici contenenti il catalogo ufficiale dei vescovi della diocesi »(9). Perciò a ragione il Santi diede alla pianeta il nome di Casula diptyca.
L’ispezione delle tre fascie sussistenti e la esposizione dei nomi data dal De Rossi rendono chiaro che le fascie originariamente non erano destinate ad ornare una pianeta. Difatto le immagini della parte posteriore della pianeta sono collocate orizzontalmente: nelle due fascie, che stanno attorno al collo, le immagini di Saturnino e di Felice stanno capovolte (di Germano si ha il nome, ma non l’effigie); inoltre le fascie attorno al collo erano forzatamente ripiegate, dal che si comprende che in origine erano rette. Nella prima fascia i nomi son posti a lato dell’immagine relativa con lettere l’una sotto l’altra; mentre nelle altre due son posti sotto le immagini con lettere l’una accanto all’altra. Nulla possiamo dire della parte anteriore della pianeta, perchè più non sussiste: abbiamo soltanto i nomi datici dal De Rossi, come li abbiamo delle parti che completano le tre fascie conservate.
La tavola II/a presenta uno specimen di due fra le tre tenie conservate: la prima è importante per la mano e le immagini, che le stanno a lato; l’altra per l’effigie di S. Zeno. Riguardo alla mano, si dubitava a Verona se essa fosse forata, oppure avesse nel centro un occhio e perciò fosse simbolo dell’onnipotenza e dell’onniscienza divina. Il Biancolini fece scrivere ai monaci benedettini di Ravenna, ed il p. Bortoletti dietro minuto esame assicurò che veramente era forata, e perciò rappresentava il divin Redentore.
Velo di Clac, tenie particolare.
Qui sono riprodotte, a dimensioni ridotte, due delle tre parti o « tenie li» del velo di Classe.
La tenia della mano forata dopo il nome Petronius porta tre immagini con due nomi: Innocentius, Montanus; il nome illeggibile di fianco alla terza dovrebbe essere Gaudentius.
La tenia di S. Zeno sopra l’immagine del santo porta due altre immagini con tre nomi: Cricinus, Lucillus, Saturninus.
Una terza tenia porta cinque immagini con sei nomi: Germanus, Felix, Silvinus, Theodorus, Concessus, Verecundus.
Con questi dati non è difficile ricomporre la primitiva disposizione delle fascie. La fascia della mano forata evidentemente era in posizione orizzontale, sia per la parte sussistente, sia per la mancante, e la mano senza dubbio era nel centro: le altre due anche per le parti mancanti erano in posizione verticale (10). Perciò è chiaro che quelle fascie in origine doveano appartenere ad un drappo di forma quadrilatera, dal quale con le parti ornamentarie meno corrose si formò in seguito l’ornamento di una pianeta. E’ pur chiaro che quel drappo dove a aver qualche speciale relazione con Verona, e particolarmente con le preziose reliquie dei santi martiri Fermo e Rustico. Difatti, disposte le fascie nel modo accennato, nel punto centrale sta la mano forata, simbolo del Redentore; a sinistra ed a destra (di chi guarda) i due angeli Michele e Gabriele; ai lati di questi i due santi Fermo e Rustico venerati a Verona; poi le effigie ed i nomi di quasi tutti i vescovi di Verona. – Che cosa era quel drappo?
Domenico Vallarsi, il quale per esaminar meglio le tre tenie conservate si recò a Ravenna, pensò che in origine quel drappo fosse un vessillo militare, il labaro del Numerus Veronensium, la cui esistenza pare accertata da un papiro del 639 edito dal Maffei. Entro la quadratura delle immagini, secondo lui era una pianta o panorama di Verona, quale ci è descritto nel Ritmo Pipiniano(11). Questa opinione del Vallarsi relativa alla destinazione del Velo, non è comune agli autori a lui sincroni, e molto meno ai più recenti.
Secondo il Dionisi, quel drappo dovea servire di copertura e di ornamento all’urna ed all’altare dei santi martiri Fermo e Rustico nella loro chiesa presso Verona, dovrebbe essere quel ricco « operimentum », che ci è descritto nel Ritmo Pipiniano, come posto su quell’urna dal vescovo sant’Annone.
Difatti è chiaro che questi due santi nel drappo tengono il posto di onore: presso la Mano sono i due angeli, indi i due martiri, decorati col titolo di santi, che a nessun vescovo è dato, neppure a S. Zeno. In sostanza ammettono questa destinazione anche i recenti, Rohault de Fleury, Cipolla, benchè non ammettano l’anteriorità del velo al Ritmo.
Il Dionisi accetta l’opinione del Vallarsi, che nell’interno della quadratura fosse un’immagine di Verona: anzi, ponendo una stretta relazione tra il velo ed il Ritmo, vorrebbe che le quarant’otto torri nominate nel Ritmo significassero le quarant’otto immagini, che egli volea fossero in origine nel Velo (12). Secondo Rohault de Fleury entro il quadrato forse era espressa una offerta col vescovo Annone genuflesso avanti la Vergine col divin Bambino: ma è semplice congettura (13).
Ricostruzione del drappo
La tavola III/a presenta il drappo quadrilatero col contorno dei nomi (e quindi delle immagini) dei vescovi, quale vien ricostruito da Biancolini, Rohault de Fleury e Cipolla. I nomi segnati con carattere distinto sono quelli, che tuttora si leggono nelle tre tenie conservate: sono quattordici.
Confrontando ora i nomi dati dal De Rossi con quelli delle tenie conservate, non sarà difficile ricomporre la serie quasi intiera dei nostri vescovi, da sant’Euprepio a sant’Annone.
Il De Rossi ave a letto nomi trentaquattro, disposti a tratti, i quali si potrebbero così ordinare, cronologicamente.
Tratto primo:
Euprepio, Dimiliano (Dimidriano), Simplicio, Procolo, Saturnino, Lucillo, Cricino, Zeno, Agapito (Agabio), Lucio, Siabrino (Siagrìo), Lupino (Lupicino).
Secondo tratto:
Petronio, Innocenzo, Montano.
Terzo tratto:
Germano (Cerbonio), Felice, Silvino, Teodomo (Teodoro), Concesso, Verecondo, Senatore, Giuniore.
Quarto tratto:
Pietro, Concesso, Mauro, Romano (Manio), Arborio (Andronico), Valente (Vindemiale?), Clemente (Fiorente o SalvinoP), Modesto (Moderato), Domenico, Ander (Alessandro), Sigeberto.
Sono trentaquattro vescovi, dei quali oltre i nomi conosciamo, almeno a tratti, l’ordine di successione; ed è ben facile supporre che altre immagini ed altri nomi si trovassero nel velo originario, che poi non siano passate nell’ornamento della pianeta. Confrontando poi quella lista di nomi con altri dati storici della nostra chiesa, è chiaro che quasi tutti i nomi della pianeta rispondono ai nomi dei vescovi della chiesa veronese. Questa fu la felicissima scoperta del p. Mauro Sarti. E’ bensì vero che tra le due liste v’è qualche differenza; ma si può spiegare facilmente. Nella lista del De Rossi mancano alcuni nomi di vescovi abbastanza certi da altri documenti.
Fra il tratto primo ed il secondo mancano tre nomi: Massimo, Luperio, Servolo (spazio di circa vent’anni); fra il secondo ed il terzo manca il solo nome di Gaudenzio; tra Senatore e Giuniore mancano tre nomi: Probo, Lupo, Solazio (circa trent’anni).
Quanto ai primi tre, possiamo benissimo supporre che la tenia dopo il nome Lupino sia stata recisa, o perchè troppo corrosa, o perchè superflua all’ornamento della pianeta (14). Il nome Gaudenzio probabilmente è quel nome illeggibile, che p. Sarti avea notato dopo l’immagine, che pur ora si vede dopo quella di Montano.
Quanto agli ultimi tre, la difficoltà è grave per Probo e Lupo, dei quali d’altronde nulla sappiamo; ma l’omissione di Solazio facilmente venne da questo, che egli era stato involto nello scisma Istriense, e perciò il suo nome venne escluso dai dittici.
V’è pur qualche differenza nei nomi. Ma è da notare che quelle tenie già ai tempi del De Rossi erano molto corrose; inoltre, non avendo egli sospettato che rappresentassero i vescovi di Verona, lesse quei nomi secondo che gli suggeriva la sola ispezione della pianeta.
Così lesse Hescirmus per scs Firmus, Dimilianus per Dimidrianus, Romanus per Manius, ecc.
Quanto ai due nomi Concessus, altrove abbiamo accennato come e perchè sotto questo appellativo potessero venire i due vescovi Valente e Giovanni (15): così il Valente, che oggi pure si legge in una delle fascie, non apparisce in altri monumenti; forse potrebbe essere il Florens del Ritmo Pipiniano ed il Salvinus dell’iscrizione di S. Stefano. Certamente non è cosa facile conciliare in tutti i dettagli la serie del Velo di Classe con gli altri monumenti.
Per diverse vie e con diversi risultati tentarono questa conciliazione perfetta Biancolini, Vallarsi, Cenci; ma nessuno in modo soddisfacente. Ciononostante è certo che la pianeta di Classe presenta quasi intiera ed ordinata la serie dei vescovi di Verona dal primo vescovo sant‘Euprepio a Sigeberto, che appartiene alla metà del secolo VIII. Le differenze su qualche particolarità non fanno ostacolo alla certezza dell’asserzione nella sostanza.
Particolarmente è in dubitato che i primi otto Vescovi son quelli datici dalla pianeta; sia, perchè nessun documento si oppone a questa parte della serie; sia molto più, perchè allo stesso risultato ci conduce un monumento più o meno contemporaneo, il Ritmo Pipiniano.
Secondo la serie data dal De Rossi e dal p. Sarti, i nostri eruditi modificarono le loro opinioni sulla serie dei vescovi di Verona. Così il Biancolini, che avea dato una serie nel 1749, la diede modificata in un’opera pubblicata nel 1757(16). Vi si accomodarono pure il Dionisi (17) ed il Cenci. Il Maffei nulla potè modificare, perchè la sua attività letteraria già era esaurita: morì nel giorno 12 febbraio del 1755 ottuagenario.
A questa serie si uniformarono gli scrittori del secolo scorso, il vescovo Liruti, Venturi, Brunati, e recentemente il sacerdote Antonio Pighi (18): al tenore di essa fu pure redatto lo Stato personale del clero della diocesi di Verona. Secondo l’opinione comune, i vescovi da sant’Euprepio a sant’ Annone sarebbero quarantatre; dei quali trentasei hanno culto nella chiesa veronese, culto riconosciuto e confermato nel celebre decreto sinodale dato a Mattia Ugonio vicario del vescovo card. Micheli il 15 febbraio dell’anno 1503(19)
Avendo dimostrato che le tenie della pianeta di Classe dovevano in origine appartenere ad un drappo di scopo diverso dalla pianeta, poco a noi interessa discutere in quale epoca sia avvenuta tale trasformazione (20). Per contrario è di sommo interesse determinare in quale epoca fu costruito quel drappo primitivo, ossia a quale epoca appartenga la formazione di questa serie dei nostri Vescovi.
Il p. Sarti e dietro lui il Biancolini, il Dionisi, il Cenci pensarono che fosse opera del vescovo sant’Annone. Argomento principale sarebbe la testimonianza del Ritmo Pipiniano, specialmente nella seconda delle due lezioni, che demmo nel capo XVIII. Dopo aver detto come Annone con grande onore ripose i corpi dei santi martiri Fermo e Rustico nella loro chiesa, aggiunge: «Tumuli aurei coperclum circumdat praeconibus – color serici distinctus mulcet sensus hominum – modo albus, modo niger inter duos purpureus – haec, ut valuit, paravit Hanno praesul inclitus ».
In questo «coperclum» con vari colori, ornato nel suo contorno «praeconibus », dicono doversi riconoscere quel velo quadrato, il cui contorno ricamato in seta ed oro presentava i nostri vescovi (21).
Si aggiunge che le immagini dei santi Angeli Michele e Gabriele, assai venerati dai Longobardi, indicano dovere quel velo appartenere all’epoca longobardica, e perciò al sesto o settimo decennio del secolo VIII, mentre era vescovo sant’Annone. Il nostro erudito sacerdote Antonio Pighi lo attribuisce agli anni 759-772 (22). E’ chiaro che l’epoca annoniana ha in suo favore argomenti di indole storica; e ciò anche nell’ipotesi che sant’Annone non ne fosse l’autore.
Da questa opinione si scosta alquanto il prof. Cipolla, appoggiato a ragioni di ordine paleografico. Egli ritiene che il velo primitivo sia lavoro del secolo IX, da attribuirsi probabilmente al vescovo Rotaldo: tuttavia non rigetta come affatto improbabile l’epoca annoniana (23). Ancor più si discosta il prof. Alfredo Melani per ragioni di ordine artistico. Egli porta il velo al secolo XII: «Le immagini nel loro complesso richiamano un’epoca di arte piuttosto buona, che cattiva: il XII, piuttosto che il IX secolo » 24. Non vediamo quanto valore si possa attribuire a questo argomento.
Secondo queste due opinioni, certamente nel velo non poteva mancare il vescovo sant’Annone; sia nella forma congetturata da Rohault de Fleury, sia aggiunto insieme con S. Biagio dopo l’effigie ed il nome di Sigeberto: in questa seconda ipotesi la fascia inferiore del quadrilatero avrebbe tredici immagini, quante ne ha la fascia superiore.
Concludendo, nulla possiamo dire di certo sull’epoca della prima formazione del Velo di Classe, ma per le ragioni accennate parrebbe doversi preferire l’epoca annoniana (a).
Fine dell’Epoca prima
NOTE
1– DE RUBEIS, Italicarum et Ravennatium historiarum libri decem pag. 136 (Venetiis 1589). – Dà i singoli nomi nell’Index. Le immagini ed i nomi relativi erano lavorati « opere frigio »,
2 – SARTI De Veteri casula diptyca Dissertatio (Faventiae 1753). – Dalle misure, che dà il p. Sarti, la pianeta nella sua parte anteriore dall’apertura del collo dovea essere lunga metri 1,30 circa; nella corrispondente parte posteriore circa metri 1,60.
3 – CENCI Dissertazioni … dell’ornamento di Classe (Verona 1788); DIONISI Esame … di un libro uscito in Verona sopra la così detta pianeta di Classe (Verona 1789).
4 – BRUNATI Osservazioni sulla Iconocrafia episcopale annoniana. Ms.
5 – ROHAULT DE FLEURY Les saints de la Messe, vol. VI. pagg. 171-178.
6 – CIPOLLA Il Velo di Classe (Roma 1897): estratto dal vol. III. «Le gallerie nazionali italiane». In una splendida cromotipia riporta le tre fascie tuttora esistenti nel museo civico di Ravenna. – Oltre una profonda ammirazione attestiamo al compianto professore la nostra riconoscenza per averci egli favoriti di molti suoi scritti, massime di quelli spettanti le cose di Verona; dei quali abbiamo usato largamente nel nostro lavoro, come avranno rilevato quanti ci seguirono in questi Cenni storici.
7 – SARTI Op. cit. pagg. 8,24,29: CIPOLLA Op. cit. pag. 4, e Incunaboli dell’arte della seta in Verona pag. 7 (Venezia 1886).
8 – Di questo tratto di fascia non sussiste nulla; mentre delle altre tre liste, da Junior a Germanus, da Lupinus a Saturninus, da Proculus al nome illeggibile, sussistono, benchè parzialmente, le fascie.
9 – LANZONI Il « Liber Pontificalis » ravennate in Rivista di scienze storiche, Anno VI. pag. 443 (Pavia 1909).
10 – Si aggiunga che le immagini poste a sinistra (di chi guarda) della mano, hanno la faccia un po’ rivolta a destra; le immagini della tenia di S. Zeno hanno la faccia a sinistra; quelle della terza tenia a destra. Il Dionisi sotto la mano metterebbe una terza lacinia da Lupus a Valens (vedi la Tav. 3.a). Il Biancolini sotto la fascia a sinistra aggiunge in linea verticale anche i nomi della linea orizzontale.
11 – VALLARSI Classensis labarus. Si conserva manoscritto nella nostra biblioteca Capitolare. cod. CCCXXXIV. 426. Questa opinione spiegherebbe come quel monumento in origine veronese sia passato a Ravenna; i sostenitori dell’opinione più comune ricorrono alle scorrerie degli Ungheri: nell’opinione, che porta la prima formazione del Velo al secolo XII, questa spiegazione diventa impossibile.
12 – DIONISI Il Ritmo Pipiniano commentato e difeso (Verona 1773).
13 – Presso CIPOLLA Op. cit. pag. 15.
14 – Così pure dopo il nome Sigebertus potea essere Blasius; reciso forse perchè la pianeta già era troppo lunga (metri 1,30 nella sua parte anteriore). Perciò non vediamo ragione di espungere dai nostri vescovi S. Biagio (sepolto in S. Stefano), come troppo francamente fece SPAGNOLO Per la storia dei Vescovi di Verona – Sant’Annone pag. 4; l’avea pure omesso BIANCOLINI Dissert. sui Vescovi di Verona pag. 31.
15 – Vedi Cap. XIV, XV, in Bollett. 1916 pagg. 62, 109.
16 – BIANCOLINI Chiese di Verona 1. pagg. 164, segg. (1749); Dissert. sui Vescovi di Verona (1757).
17 – DIONISI Dei Santi Veronesi – Parte seconda.
18 – ANT. PIGHI Cenni critici sui 36 santi Vescovi Veronesi (Verona 1900).
19 – Presso BIANCOLINI Dissert. sui Vescovi ecc., pag. 12.
20 – Un nostro erudito scrittore qualifica questa trasformazione per una barbarie. ANT. PIGHI Op. cit. pag. 5. – Ma forse senza di essa noi non avremmo quei nomi e quelle tre tenie; ed in tal caso, sia benedetta quella barbarie, e ne sia ringraziato il barbaro autore.
21 – Dietro questa opinione, sulle cornici, che circondano la pala di sant’Annone sul suo altare nella nostra cattedrale, furono riprodotte alcune lacinie del Velo.
22 – ANT PIGHI Op. cit. pag. 6. All’epoca di sant’Annone lo attribuiva pure Brunati verso la metà del secolo scorso.
23 -CIPOLLA Op. cit. § 5 V.
24 – MELANI Il Velo di Classe in Arte e storia, Anno XX pag. 105. (Firenze 31 agosto 1901).
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XX (a cura di A. Orlandi)
(a) pag. 155. – A conclusione di questo capitolo, in cui mons. Pighi ha esposto con grande chiarezza i pareri dei vari studiosi, che si occuparono dell’argomento fino al suo tempo, non resta che segnalare due studi più recenti sul celebre pezzo archeologico: quello del Mazzotti e quello del prof. G. B. Pighi in appendice alla riedizione dello studio di C. Cipolla. M. MAZZOTTI, Il Velo di Classe, in «Zenonis Cathedra », Verona, 1955, pp. 5-14; C. CIPOLLA, Il Velo di Classe. Nuova edizione con un’appendice di G.B. Pighi. Verona, 1972.
Fonte: srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I