Gen 27 2014

IL VESCOVO RATOLDO

Category: Chiesa Veronese Storia Pighi,Libri e fontigiorgio @ 00:27

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Si  riteneva che le figure muliebri scolpite sull’architrave della porta della cattedrale rappresentassero le tre regine che coi loro doni aveano contribuito all’erezione della chiesa, la regina Ansa moglie di Desiderio e suocera di Carlo magno, la madre di Carlo Magno Bertrada di Laon e  la moglie di Carlo Magno, che poi si vollero convertire nelle immagini delle tre virtù teologali.

(pertanto sull’ architrave del duomo sono  riprodotte le donne più influenti su Carlo Magno: la suocera,  la madre  e la moglie…)

 

 

EPOCA II – CAPO III

 

SOMMARIO. – Residenza del vescovo – Domus-cattedrale – Fondazione della mensa capitolare – Privilegi dei canonici – La « scola sacerdotum » – Le « Laudes » della chiesa veronese – Cattedrale di Loterio e di Ratoldo – Notizie minori – Turbolenze politiche – Ritiro di Ratoldo da Verona – Sua morte.

 

Di origine certamente Alemanno, Ratoldo (1) venne a Verona sulla fine del secolo VIII, e dopo la partenza di Eginone, fu eletto vescovo in età ancor giovanile, se è vero che egli sia morto nell’anno 874.  Egli fu che pose la residenza definitivamente presso la chiesa di S. Maria Matricolare verso l’anno 807 (a). Prima di quest’anno vogliono alcuni dei nostri che egli risiedesse presso la chiesa di S. Zeno; la quale secondo alcuni sarebbe stata nel luogo dov’è l’attuale basilica, secondo altri sarebbe stata quella di S. Zeno in Oratorio. Già altrove abbiamo accennato i nostri dubbi ed avanzata un’ipotesi. Del resto unico fondamento delle opinioni accennate è un documento dell’813, nel quale il difensore dei diritti del vescovo Ratoldo afferma che «praeceptum (un decreto di Desiderio favorevole al vescovo) combustum est », quando « ipsa domus sancti Zenonis arsa est »: il che sarebbe avvenuto l’anno 806(2). Ora è certo che in questo documento la « domus sancti Zenonis » non è la casa situata presso la chiesa di S. Zeno, ma la casa in cui abitava il  vescovo successore di S. Zeno, dovunque essa fosse (3). Perciò non v’è motivo di ritenere che il vescovo Ratoldo risiedesse un tempo lungi dalla chiesa di S. Maria Matricolare, se ivi fu trasferita la residenza vescovile sulla fine del secolo VIII.

 

Questo appellativo « domus sancti Zenonis» dato all’episcopio od alla residenza del vescovo di Verona, ci dà occasione di far rilevare quanto in quest’epoca fosse riconosciuta ed altamente stimata la persona di S. Zeno nella chiesa veronese e quanto intima fosse la connessione tra S. Zeno ed il vescovo di Verona (4).

Nel documento accennato trattava si di una discussione su pretese dell’autorità regia sopra alcune terre e selve possedute dal vescovo sino dai tempi del re Desiderio: ora i diritti del vescovo in quel documento ben sette volte sono chiamati « pars sancti Zenonis », Questa connessione ci è pur manifesta da altri documenti di quest’epoca, nei quali l’episcopato del vescovo di Verona è detto « episcopatus sancti Zenonis ».

 

Torniamo a Ratoldo. Il suo nome, oltrechè per la parte avuta insieme col re Pipino nella traslazione e reposizione del corpo di S. Zeno, rimase celebre tra di noi per altre opere compite a bene della chiesa veronese.

 

Prima sua cura fu di comporre le controversie esistenti tra il vescovo ed i chierici della chiesa, presso cui egli risiedeva. Pare che uno degli incentivi di tali controversie fosse la contribuzione, che il vescovo dovea  dare per il sostentamento dei suoi chierici.  E’ molto verosimile che in passato i vescovi, tenendo presso di sè il possesso di tutti i beni della loro chiesa, ne distribuissero le rendite in quattro porzioni; delle quali una rimanesse al vescovo, la seconda spettasse ai chierici, la terza ai poveri, la quarta fosse adoperata nei bisogni materiali della chiesa: forse questa distribuzione annuale era la causa principale delle discordie. Perciò Ratoldo pensò di dare ai chierici una parte conveniente di beni immobili e di diritti; ciò, che egli fece con la celebre costituzione del 24 giugno  dell’anno 813(5).  Questa costituzione ha due parti. Nella prima il vescovo cede ai chierici il possesso di alcune case ed orti presso la chiesa, perchè servano loro di abitazione: cede pure altre case ed orti in città e fuori, parte dei redditi delle oblazioni dei fedeli, dei frutti delle campagne e degli animali, del mercato, del teloneo, ecc. Nella seconda concede loro due chiese: quelle di S. Giovanni «ad portam Organi» e di S. Michele  « in Flexio », ed ambedue «cum omni integritate et pertinentia sua ».

 

Di questo celebre atto daremo soltanto il principio della parte dispositiva e la chiusa:

«Primo damus atque cedimus elericis sanctae matris Ecelesiae, domus nostrae, tam presbyteris, quamque et diaconibus … praesentibus scilicet et futuris, casam illam qui fuit quondam Ansperti clerici, una cum ortis et curte in integro … ». In questo tratto merita di esser osservata la sinonimia tra «sancta mater Ecelesia» e «domus nostra », La chiesa di S. Maria Matricolare, ossia la chiesa cattedrale è detta dal vescovo «domus nostra », Questo è uno dei documenti più antichi, in cui alla chiesa cattedrale sia dato il nome «domus duomo », senza altra aggiunta (6).

 

La chiusa dà all’atto forza di cessione perpetua: «Haec omnia superius comprehensa a praesenti die damus, cedimus et confirmamus suprascriptis filiis et sacerdotibus nostris, tam vobis quamque et posteris vestris, absque ulla diminutione. Et ut neque a me, neque a successoribus nostris hoc, quod bene ordinavimus, aliquando removeri  possit, manu propria roboravi. Ego Rotaldus Eps. mm. ss.».

 

A questo atto solenne sottoscrissero Massenzio patriarca di Aquileia, Lupone vescovo di Treviso, un arcidiacono, un prete e quattro diaconi che erano al seguito di Massenzio; indi parecchi testimoni, ed in fine per parte dei chierici della chiesa di Verona l’arcidiacono Pacifico, l’arciprete Undualdo e tre preti, Teudelabio, Aregao, Pietro.  L’atto porta la data 24 giugno dell’anno 813; ed è la vera fondazione della mensa capitolare (7).

 

Del medesimo giorno abbiamo un altro atto di Ratoldo; nel  quale il vescovo concede le decime della villa presso la porta di S. Zeno in favore di quel canonico che sorveglia i diaconi e gli accoliti; assegna quasi tutte le decime della villa di S. Zeno a sette suddiaconi e sette accoliti, e cede ai canonici le decime di alcune braide episcopali in Linario, Roverchiara, Tomba ed Aspo (8). Ma questo documento da Pietro Ballerini è giudicato interpolato ed apocrifo (9).

 

Assai più importante sarebbe un secondo atto dello stesso Ratoldo, dato il giorno 16 settembre del medesimo anno a favore dei canonici della chiesa veronese.  Dopo aver detto come egli stesso avesse concesso all’arcidiacono Pacifico di costruire « supra suum allodium basilicam sancti Georgii Martyris », Ratoldo, «ordinante Maxentio », concede che « canonici  sanctae veronensis  ecclesiae  sint  liberi  in  sopradicta  ecclesia  sub  jure  et  dominio  domini patriarchae,  praecavens  ne  in  futurum  successores, qui  episcopalem  cathedram  adepti fuerint,  aliquam  molestiam, tam in officiis,  quam in beneficiis,  illis  inferre  possint …  Nullus  ex  successoribus  meis  amplius  habeat  facultatem  dominandi  vel  aliquid auferendi  de  omnibus  rebus, quae nunc a fidelibus  collatae  sunt vel in futurum collatae  fuerint  supradictae  canonicae;  sed semper  sint  sub  tutela  et  refugio  domini patriarchae  in  ecclesia beati Georgii ».  Sottoscrivono il vescovo Ratoldo, Massenzio, Guido, altri quattro vescovi, Pacifico, Undualdo, Aregao, Pietro ed altri.

Con questo atto solenne Ratoldo avrebbe concesso ai canonici la più assoluta esenzione dall’autorità del vescovo di Verona nella chiesa di S. Giorgio e la immediata soggezione alla giurisdizione del patriarca di Aquileia (10). Intorno a questa costituzione disputarono acremente alcuni eruditi veronesi del secolo XVIII; e non solo quanto alla sua estensione, ma altresì quanto alla sua autenticità, propugnata da Frascesco Florio e dai canonici (11), impugnata da P. Ballerini e da altri sostenitori dell’autorità del vescovo sui canonici (12). Non crediamo opportuno entrare in una questione ormai antiquata (b).

 

Il vescovo Ratoldo rivolse pure il pensiero alla formazione del  giovane clero, sia dal lato morale, sia da quello intellettuale.  Nella prima costituzione del giorno 24 giugno 813, dopo aver assegnato come proprietà ai canonici « alias casellas, atque ortellum qui est post casas Ausperti et Ursatii », indica lo scopo di tale assegno: « in hac casas et in hoc loco sit scola sacerdotum ».

Egli adunque rifece quella scuola sacerdotale, già da tempo eretta, poi nell’epoca delle controversie distrutta: a questa scuola più tardi confermò varii possessi e diritti l’imperatore Ludovico il Pio con diploma dato da Aquisgrana il 13 giugno dell’anno 820 »(13).

 

All’epoca dell’episcopato di Ratoldo appartiene un insigne monumento liturgico, che ci è dato da un codice della biblioteca Capitolare. E’ un Ordo Romanus, che espone le cerimonie della sacra liturgia usata nella chiesa romana; massime quando il celebrante fosse il pontefice. Di questo monumento si sono occupati largamente i cultori della storia della sacra liturgia (14).

A noi interessano alcune invocazioni, od acclamazioni, che si trovano in fine di esso, dette dagli storici Laudes od anche Litaniae, le quali certamente facean parte della liturgia della chiesa veronese, come apparisce dai nomi dei nostri santi veronesi, Fermo, Procolo, Zeno, Teodoro. Esse erano redatte sul modulo delle Laudes usate nella chiesa romana, delle quali abbiamo due tipi spettanti al secolo IX. Il primo è quello pubblicato recentemente dal Duchesne, e spetta al tempo di Leone III e di Carlo Magno; anzi sembrano cantate nella solenne coronazione di Carlo Magno nel giorno di Natale nell’anno 800 (15). Il secondo è quello pubblicato ancor più recentemente dal Grisar, e spetta al tempo del pontefice Nicolò I e dell’imperatore Ludovico II (16).

Le Laudes veronesi spettano agli anni 816-818, come è indicato dai nomi degli imperatori Ludovico e Lotario e della imperatrice Ermengarda. Le ha pubblicate il nostro Francesco Bianchini; siccome poi il codice mancava di qualche tratto di foglio e nelle stesse parti conservate non sempre ne era possibile la lettura, così necessariamente vi sono delle lacune. Noi daremo soltanto pochi tratti delle Laudes pubblicate dal Bianchini (17): avvertiamo che manca il principio per esser tagliato il foglio quasi a metà, come ci  avvertiva il compianto custode della Capitolare don Antonio Spagnolo: daremo la chiusa (c).

 

 

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            Sancte Firme.           Respondetur,  Tu illum adiuva.

            Sancte Procule.        Resp.             Tu illum adiuva.

            Sancte Zeno.             Resp.             Tu illum adiuva.

 

Exaudi Christe – domino nostro augusto serenissimo imperatori nostro a Deo coronato magno et pacifico vita et victoria.

 

            Sancte Paule.            Resp.             Tu illum adiuva.

 

Exaudi Christe – domina e nostrae … imperatrici salus et vita.

 

            Sancta Maria.            Resp.             Tu illam adiuva.

 

Exaudi Christe – exercitui christianorum vita et victoria.

Christus vincit rex noster – Christus vincit gloria nostra.

Hludovico et Hlothario augustis a Deo coronatis magnis et pacìficis imperatoribus vita et victoria.

 

            Sancta Maria.            Resp.             Tu illos adiuva.

 

Exaudi Christe – et Ermingardae  imperatrici vita.

 

            Sancte Martine.        Resp.             Tu illos  adiuva.

            Sancte Petre.             Resp.             Tu illos  adiuva.

 

Exaudi Christe – exercitui Francorum vita et victoria.

 

            Sancte Theodore.    Resp.             Tu illos adiuva.

 

Ipsi soli virtus et fortitudo et victoria per omnia saecula saeculorum amen. Ipsi soli honor laus et jubilatio per infinita saecula saeculorum amen.

 

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Queste Laudes probabilmente segnano il principio delle supplicazioni o processioni litaniche dalla chiesa cattedrale alla chiesa stazionale, che troviamo poi nell’uso comune del secolo XI.

 

I nostri scrittori attribuivano a Ratoldo la prima costruzione dell’attuale cattedrale; quale ci è segnata nella facciata dalle cornici d’archetti rampanti dell’antico tetto, e meglio ancora dalle cornici orizzontali sull’esterno della parete meridionale (18). Argomento principale per questa opinione erano alcune opere esistenti sotto il protiro della chiesa attuale, che si attribuivano alla fine del secolo VIII, o più facilmente al principio del secolo IX.

Anzitutto si riteneva che le figure muliebri scolpite sull’architrave della porta rappresentassero le tre regine che coi loro doni aveano contribuito all’erezione della chiesa, la moglie di Desiderio, la madre e la moglie di Carlo Magno.  Ma ora è opinione comune che le tre figure rappresentino le tre virtù teologali; e ciò, non per una mutazione posteriore, ma fino dalla loro prima origine (19): perciò nulla esige che si devano riferire al principio del secolo IX.

All’epoca stessa si riferivano le statue dei due paladini carolingi Orlando ed Olivieri (?) poste sugli stipiti del protiro: ma anche queste sono giudicate opere della prima metà del secolo XII (20).

Si recava pure come prova un ciborio, che il can. Dionisi teneva nella sua casa e dicea spettare all’epoca di Ratoldo: ma il suo stile romanico lo dice opera del secolo XII (21).

Perciò ora è opinione comune che la cattedrale di Lotario e di Ratoldo sia radicalmente altra dall’attuale; e che l’attuale spetti anche nella sua parte inferiore e più antica al secolo XII, cominciata probabilmente dal vescovo Teobaldo, terminata dal vescovo Ogniben e consacrata dal pontefice Urbano III: forse essa occupa almeno in parte il suolo della cattedrale antica.

 

Poche altre notizie abbiamo su quanto abbia operato il vescovo Ratoldo a bene della sua chiesa. Pare che l’aver avvicinato i due eremiti Benigno e Caro nella traslazione del corpo di S. Zeno abbia in lui prodotto un’intima e illimitata persuasione della loro santità. Perciò, come udì della loro morte, ordinò che fossero onorificamente sepolti nella chiesa di S. Stefano a Malcesine, e li riconobbe e pubblicamente li proclamò degni di culto liturgico (23).

Così pure coltivò la devozione a S. Zeno, e la promosse tra i fedeli veronesi. Favorì, quanto potè, i monaci benedettini, che abitavano presso la chiesa di S. Zeno; ad essi cedette « curtem unam, quae appellatur Manticus cum casis, aedificiis, etc.» che egli potè ottenere dal re Pipino (23).

Forse da questa devozione di Ratoldo a S. Zeno ed ai monaci venne che quei monaci ebbero sempre una speciale venerazione per Ratoldo; ed in un catalogo zenoniano di santi spettante  al principio del secolo XV Ratoldo è segnato tra i santi: « S. Rotaldus Episcopus Veronae: 12 februarii »(24).

 

Del resto gli ultimi anni dell’episcopato di Ratoldo sono molto oscuri, perchè troppo turbati da lotte politiche. Anzi, benchè comunemente si ritenga che gli abbia retto la nostra chiesa sino all’anno 840, nel quale a lui venne attribuito un atto che si trovava nell’archivio di S. Pietro in Castello, pure alcuni scrittori nostri tra gli anni 820-840 pongono altri vescovi, Ratolfo (25), Utifreddo,  Novergio,  Rolando; ed alcuni pensano che il Rotaldo dell’atto 840 sia altro vescovo avente il medesimo nome.  Ora uno sguardo alle fortunose vicende di Rotaldo nel campo della politica.

 

L’episcopato di Ratoldo, inaugurato con lieti auspici durante il regno di Pipino e progredito abbastanza tranquillo nei primi anni del regno di Bernardo (26), subì l’influsso delle turbolenze politiche, che agitarono l’impero ed il regno d’Italia dopo la morte di Carlo Magno (814). L’imperatore Ludovico il Pio in una dieta tenuta ad Aquisgrana l’anno 817 nominò suo collega nell’impero il figlio Lotario, a lui assoggettando anche il regno d’Italia. Di qui i malumori di Bernardo, il quale forse come figlio di Pipino aspirava all’impero ed ora temeva di perdere anche il regno; molto più che non godeva le simpatie di Ermengarda moglie di Ludovico. Parve che egli meditasse ed andasse preparando una rivolta contro l’imperatore; e chi lo accusò di questo preparativo presso l’imperatore (27) fu appunto il nostro vescovo Ratoldo insieme con Suppone duca di Brescia (28). Bernardo fu fatto prigioniero, indi accecato; per la quale punizione morì poco dopo.

Pareva dover quindi esser tranquillo Rotaldo: ma non fu così, L’imperatore diede il regno d’Italia a suo figlio Lotario,  uomo superbo, d’ingegno sprezzante e insofferente di qualunque soggezione. Questi ben presto sotto varii pretesti si ribellò contro il padre imperatore e contro Giuditta da lui sposata dopo la morte di Ermengarda l’anno 819; e, come potè aver fra le mani Giuditta, la confinò a Tortona. Il nostro vescovo, sempre devoto a Ludovico, assieme con alcuni duchi riuscì a liberare Giuditta e con altri la condusse egli stesso ad Aquisgrana l’anno 833( 29): della quale cosa irritato Lotario lo costrinse a rimanere in Francia.

Dopo quest’anno poco sappiamo di lui. Da un documento citato dai nostri parrebbe fosse ancora a Verona nell’anno 840: ma forse si tratta di un altro Rotaldo o Ratolfo, che alcuni pongono fra i vescovi di Verona verso questo tempo. Pare che il nostro Ratoldo dall’anno 840, se non dall’834, da Verona siasi ritirato nel monastero di Augia sul Reno.

 

Alcuni eruditi antichi riferiscono che Ratoldo nel partire dall’Italia abbia portato con sè il corpo, od almeno alcune preziose reliquie di S. Marco da Venezia e dei martiri Genesio e Teopompo da Treviso (30).

Egli avrebbe abbandonato Verona verso l’anno 830: presso il monastero di Augia avrebbe edificato una cappella sontuosa; ed ivi avrebbe condotto vita eremitica e penitente sino all’anno 874, nel quale sarebbe morto in concetto di santità il giorno 13 settembre (31).

Sarebbe una longevità straordinaria, se fu eletto vescovo di Verona nei primi anni del secolo VIII. Riteniamo sia più conforme a verità quanto scrivono i nostri dietro un manoscritto della nostra Capitolare; che, cioè, Ratoldo sia morto il giorno 6 agosto dell’anno 840(32).  Il nome di lui è rimasto in grande venerazione presso i monaci del monastero di Augia, e forse anche presso i benedettini del nostro monastero di S. Zeno; ma nella chiesa veronese non ebbe mai culto liturgico.

 

 

NOTE

 

 

1– MAFFEI, Istoria teolog., App. pag. 95 osserva che nei documenti si legge talvolta Ratoldo, tal’altra Rotaldo: la prima forma indica la scrittura degli Alemanni, la seconda la pronuncia.

 

2 – Presso MAFFEI, Op. cit., pag. 95; BIANCOLINI, Chiese di Verona, I, pag.  42.

 

3 – BIANCOLINI, Op. cit., pag. 41; Dissert. sui Vescovi, pag. 16. – DIONISI, Apol. rifless., pag. 31 in calce dice che in tutte le carte capitolari domus sci. Zenonis  significa le ragioni del vescovado.  Il palatium sancti Zenonis, di cui parlano i commenti capitolari, era un palazzo, forse posteriore, situato presso la porta di S. Zeno, ora detta porta de’ Borsari. SIMEONI, La basilica di S. Zeno, pag. 9.

 

4 – Circa un secolo prima il notaio Coronato aveva scritto la sua Vita sane ti Zenonis; dalla quale sappiamo quanto fossero entusiasti i veronesi per il loro santo patrono.

 

5 – Presso MAFFEI, Istoria teolog., App. pag. 93; BIANCOLINI, Chiese di Verona, I. 135.

 

6 – Presso Dv CANGE, Glossarium, alla voce domus si trova domus Dei, domus sacra, come significante una chiesa: ma la semplice voce domus come significante la domus cathedralis od ecclesia Episcopi, non si trova.

 

7 – DIONISI, Apologetiche riflessioni ecc., – Vedi anche DA PRATO, Testamento di Pacifico Dissert. II. Cap. 7; CAPPELLETTI, Chiese, X. 753.

 

8 – Presso UGHELLI, Italia sacra, V. 707; DIONISI, Op. cit., con tavola di caratteri del secolo XI; FLORIO, De’ privilegi … , pag. 192.

 

9 – De privilegiis et exemptione Capito Cathedr. Veron., pag. 61 col. 2.  L’autore di quest’opera secondo l’opinione del vescovo Liruti dovrebbe essere iI sacerdote Pietro Ballerini. – Vedi anche GIULlARI in Archivio veneto XVIII. 15. lO Presso UGHELLI, Italia sacra, Tomo V. col. 709, 808.

 

11 – FLORIO, De privilegi ecc., pag. 30. – Vedi anche Notizie spettanti al Capitolo di Verona.

 

12 – De privilegiis ecc., pag. 70, segg. Ivi riporta il documento e lo dimostra suppositizio, massime nel confronto con un  Judicatum del vescovo Raterio dell’anno 967.

 

13 – BALLERINI, Conferma ecc., pag. 126;  SPAGNOLO, Scuole acolitali, pag. 3.

 

14 – Vedi DUCHESNE, Les Origines du culle chretien. Chap. V. § I. 6°.  Lo ha pubblicato MABILLON, Museum italicum, II. pag. 3, segg.; pubblicato ed illustrato Fr. BIANCHINI, « Anastasius Bibliothecarius », Tom. III. Pag. XXVIII, segg.  Si trova pure presso MIGNE, Patr. lat., Tom. LXXVIII.

 

15 – DUCHESNE, Le « Liber Pontiiicalis “, Tom. II. pago 27. 16 GRISAR, Analecta Romana, I.  pag. 229.

 

17 – BIANCHINI, Op. cit., pag. LXII.  Dal codice della Capitolare XCII.

 

18 – DIONISI, Osservo sopra un’antica scultura cristiana (Verona 1767). Vedi anche VENTURI, Comp. Storia di Verona, Tavola XVIII.

 

19 – SIMEONi, Guida di Verona, pag. 66. – DA PERSICO, Verona e sua provincia, pag. 71 opinava che in origine rappresentassero tre regine, che poi si vollero convertire nelle immagini delle tre virtù teologali.

 

20 – CIPOLLA, Compendio della storia politica di Verona, pag. 57.

 

21 – SIMEONI, Guida di Verona, Tavola di fronte alla pag. 214 (Edizione di lusso).

 

22 – PERETTI, Hist. delle sante Vergini, f. 59; CHIEREGATO, Per la XI ricorrenza ecc., pag. 15 (Verona 1909).

 

23 – Documento citato in un Atto del 1178 presso UGHELLI, Italia sacra, V. 712; BACILIERI, Bussolengo, pag. 18 (Verona 1903).

 

24 – BIANCOLINI, Dissert. sui Vescovi Docum. XXVI, pag.157.

 

25 – Di un Ratolfus, che forse potrebbe essere Ratoldo, dà notizie favolose BERNOLDUS, Chronicon, presso PERTZ, Monum. Germ., V. 420, seg.

 

26 – Carlo Magno neIl’812 donò a Ratoldo il forum ed il mercatum soliti a farsi nella festività di S. Zeno in Verona: forse la prima concessione ebbe origine nell’anno 807. SIMEONI in Atti Acad. Veron., Vol. 82, pag. 88.

 

27Ratoldo fu sempre beneviso da Ludovico, dal quale nell’anno 820 fu delegato a giudicare in una lite tra i monaci di Nonantola e Hucpoldo conte di Verona. Egli decise a favore dei monaci con Atto 31 maggio, presso MURATORI, Ant. Ital., I. 461.

 

28 – Vita Hludovici presso PERTZ, Monum. Germ.,  II. 623.

 

29 – Vita Hludovici, ib. Pag. 938; Annales Bertiniani a. 834 presso PERTZ  I. 428.

 

30 – Presso BIANCOLINI, Dissert. sui vescovi, pag. 181, sego – Vedi anche l’anon. Ex miraculis sancti Marci, presso PERTZ  IV. 450-452;  Catalogus abbatum Augensium, presso PERTZ, Op. cit., XIII. Questa traslazione dagli scrittori di cose nostre è tenuta per favolosa.

 

31 – Così EGONIUS, De viris illustribus, il Cronicon  Augiense ed altri, presso BIANCOLINI, Dissert. sui vescovi, loc. cit. – Così anche gli Annales alamanici nella Contin.  Sangall., presso PERTZ, Mon. Germ., I. pag. 51, ed altri documenti ivi citati.

 

32 – Così DIONISI, Apol. rifless., pag. 93, De AIdone et Notingo, pag. 14; BIANCOLINI, Chiese di Verona, VIII. 347. Nel monastero di Augia il 13 settembre dell’anno 874 sarebbe morto Ratolfo, forse esso pure un tempo vescovo di Verona. Vedi BIANCOLINI, Serie cronol. dei vescovi di Verona, pag. 4, seg.

 

 

ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. III (a cura di A. Orlandi)

 

 

(a) pag. 172. – Il P. Meersseman ha pubblicato due calendari di origine veronese dal codice Berlinese 128, in uno dei quali è segnata al giorno 26 settembre «consecratio domo episcopi ratoldi ». Se come era uso la consacrazione si faceva di domenica, Ratoldo deve essere stato consacrato l’anno 801, in cui il 26 settembre era appunto di domenica. Se invece fosse stata compiuta il sabato, che era sabato delle Quattro tempora, sarebbe avvenuta nell’anno 800, ma meno probabilmente, si potrebbe attribuire all’anno 806, anno in cui il 26 settembre venne a scadere di sabato, cfr. G:G. MEERSSEMAN – E. ADDA, Manuale di computo con ritmo mnemotecnico dell’arcidiacono Pacifico di Verona (+844), Padova, 1966, p. 178.

 

(b) pag. 175. – Nel sec. XVIII alcuni sostennero l’autenticità del documento in questione (Fiorio, Lombardi, Dionisi), i Ballerini la negarono. Ormai la questione era al tramonto; ma essa era la conclusione di lunghe controversie tra i vescovi di Verona e il Capitolo, e questo documento, se autentico, vi aveva dato base giuridica, se non autentico, era stato inventato per giustificare le secolari controversie. cfr. O. VIVIANI,  La fine delle controversie per l’esenzione giurisdizionale del Capitolo veronese, in Atti e Memorie dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, vol. CXXX (Serie VI, V, 1953-54), pp. 239-309.

 

(c) pag. 177. – Questo Cod. XCII della Biblioteca Capitolare è stato recentemente studiato da vari autori.  Il Meersseman dà anche il testo completo delle « acclamationes» o Litanie. B. OPFERMANN, Litania Italica, in «Ephemerides Liturgicae ». A. 72° (1958) pp. 293-319. M. ANDRIEU, Les «Ordines Romani» du haut Moyen Age. vol. I: Les Manuscrits, Lovanio, 1965, pp. 367-373.  G.G. MEERSSEMAN – E. ADDA – J. DESHUSSES, L’Orazionale dell’Arcidiacono Pacifico e il Carpsum del cantore Stefano. Studi e testi sulla liturgia di Verona dal IX al XI secolo. Friburgo, 1974, pp. 62-65 e 188-190.

 

 

Fonte:  srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA C

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