Trittico del XIV secolo raffigurante la Madonna col Bambino, due Santi ed un offerente che si dice provenga dall’ospedale di S. Maria del Domo in vicolo S. Girolamo. Atrio Santa Maria matricolare, Duomo di Verona
EPOCA II – CAPO VIII
SOMMARIO. – Un voto – Adelardo eletto vescovo di Verona – Agitazioni politiche – Adelardo invitato a Roma – Dieta di Pavia – Il monastero di Nonantola: Adelardo scomunicato – Lite col vescovo di Trento – Adelardo messo imperiale – Il papa Giovanni VIII – Adelardo ai sinodi di Roma e di Ravenna – Adelardo e Berengario – Fine dell’episcopato di Adelardo – Il «Carmen Adelardo Episcopo ».
Il compianto prof. Cipolla parlando di Adelardo scriveva: «Quel vescovo è una figura singolare e degna veramente di una biografia estesa» (1). Noi per secondare quanto ci sia possibile il voto qui espresso daremo in succinto tutte le notizie che ci fu possibile raccogliere, tenendo conto soprattutto delle pubblicazioni recenti; e, seguendo le norme imposte ad uno storico, riferiremo pure alcuni fatti, che forse potranno un po’ oscurare la memoria del nostro vescovo.
A quanto riferisce il Moscardo, Adelardo era oriundo di nobile famiglia veronese (2): educato presso la scuola dei sacerdoti, dotato di felicissimo ingegno, fece grande profitto nelle lettere e nelle scienze, cosìcché Giovanni VIII nella prima delle sue lettere a lui diretta lo disse: «tantae sapientiae vir ». Ordinato sacerdote, fu poi eletto vescovo di Verona dopo la morte di Aistolfo nell’anno 875; nella serie dei nostri vescovi, egli sarebbe il cinquantesimo terzo.
Nella elezione di Adelardo certamente ebbe gran parte I’ingerenza diretta od indiretta di Ludovico II imperatore: ma dalla lettera citata di Giovanni VIII, e della quale ci occuperemo diffusamente, v’ebbe pur merito lo stesso pontefice, il quale a lui scrivea: « Cum tua e causa provectionis non modicum sumpserimus laborem ». Forse egli lo avea avvicinato e ne avea conosciuto i meriti, quando nell’874 era venuto per trattare con Ludovico II, sua moglie ed il duca di Baviera « haut procul ab urbe Verona» intorno alla successione e alla dignità imperiale (3). Adelardo tenne la sede vescovile di Verona per circa quaranta anni (875-915).
L’episcopato di Adelardo cadde in un’epoca di agitazioni politiche, nelle quali si trovarono spesso coinvolti i romani pontefici ed i vescovi massime dell’Italia superiore. Da una parte gli epigoni carolingi facevano gli ultimi sforzi per mantenere il loro prestigio: dall’altra aspiravano al possesso d’Italia i principi germanici; ed intanto alcuni principotti Italiani per ambizione di dominio cercavano sbarazzarsi degli uni e degli altri. Perciò nessuna meraviglia, che in mezzo a tanti sconvolgimenti anche il nostro Adelardo per uno spirito ereditario nella sua famiglia siasi ingerito in affari politici, e talvolta abbia posposto i doveri di vescovo cattolico al favoritismo dell’uno o dell’altro partito, e forse anche all’ambizione ed alla cupidigia d’arricchire.
Il primo punto oscuro dell’episcopato di Adelardosi trova nelle sue relazioni col papa Giovanni VIII. Questi nella lettera sovraaccennata, data il 2 novembre dell’anno 875(4), lo invitava a recarsi a Roma entro lo stesso mese di novembre od al più tardi per la festa di Natale, per averlo consigliere in una « proxima causa ecclesiasticae simul et imperialis opportunitatis », per la quale intendeva unire in Roma alcuni vescovi determinati.
Il papa per indurre Adelardo portava una ragione assai lusinghiera per lui: non parergli degno che in una adunanza così importante mancasse un uomo: « tantae sapientiae vir »: lo invitava con forme scritturali: « Assume tibi pennas ut columba, et vola, et veni, ut requiescas in sinu apostolicae dilectionis ». Tuttavia pare dubitasse sulla condiscendenza di Adelardo, soggiungendo una minaccia non poco severa: « Si ab apostolicae Sedis communione renuis prorsus arceri ». Nonostante queste sollecitazioni, pare certo che Adelardo non siasi recato a Roma, nè abbia assistito alla coronazione dell’imperatore Carlo il Calvo fatta dal papa nel giorno di Natale. Questa fu probabilmente la prima causa di discordie tra il nostro vescovo ed il papa.
Peraltro intervenne Adelardo alla dieta convocata a Pavia dall’arcivescovo di Milano Ansperto nel febbraio dell’anno seguente allo scopo di eleggere Carlo a re d’Italia. Convennero parecchi marchesi, conti e vescovi, e dissero Carlo « protectorern, dominum ac defensorem ». Dopo Ansperto sottoscrissero altri diciassette vescovi; tra i quali il solo vescovo di Verona usò l’appellativo proprio dei papi: « Adelardus servus servorum Dei veronensis episcopus subscripsi » (5). Certamente in questa occasione si strinse in intima relazione ed amicizia con l’imperatore; talmente che il papa Giovanni VIII, scrivendo pochi mesi dopo all’imperatore, diceva Adelardo « deliciosus vester ».
Effetto di questa intimità fu un altro fatto poco decoroso per il nostro vescovo. Carlo il Calvo, per riconoscere le benemerenze di Adelardo e dietro a sue domande insistenti, gli diede in commenda il monastero di Nonantola sito nella diocesi di Modena (6): così il collatore ed il beneficiario ledevano i diritti della Sede apostolica.
Ché anzi Adelardo prese tosto il possesso di quel monastero; si impadronì dei suoi beni, e ridusse quei monaci all’estremo della indigenza. I monaci, riuscite vane le loro rimostranze ad Adelardo, ricorsero al papa; il quale dopo aver tentato ogni via per indurre Adelardo alla restituzione, lo scomunicò.
Di questa scomunica il papa diede tosto notizia all’imperatore con lettera del 17 aprile 876 « Sacris ves trae »; nella quale deplorava « Adaelardi episcopi veronensis inobedientiam et temerariam praesumptionem; venerabile monasterium Nonantolae situm… callide petiisse et per hoc illicita praesumpsisse » (7). Ne diede pur notizia « universo clero ecclesias veronensis » con la lettera « Experientiae ves trae » (28) aprile: « Adaelardum episcopum vestrum auctoritate Sedis apostolicae communione privatum, quoniam caenobium Nonantulae … subripuit, suisque usibus, coarctatis extrema egestate monachis, applicavit: … et etiam post frequens interdictum nostrum opprimere … non formidat. Excommunicatum igitur eum scitote, donec in praesentiam Sedis apostolicae veniens … » (8). Con simili espressioni il papa dava la stessa notizia a Giovanni arcivescovo di Ravenna, Ansperto arcivescovo di Milano e Waiperto patriarca di Aquileja (9).
Frutto di questa scomunica dovette essere la resipiscenza di Adelardo: di essa non abbiamo alcuna prova positiva: sappiamo però che non dovette durare a lungo la scomunica. Anzi il Biancolini ritiene che egli, in compenso dei danni recati a quei monaci, abbia loro donato alcune terre del veronese coi due priorati di S. Silvestro di Verona e di Nogara: ma il Tiraboschi è d’avviso che ben diversa sia l’origine di quei priorati.
In seguito sembra certo che Adelardo sia stato invitato con gli altri vescovi della Venezia ad un sinodo che si tenne nell’agosto dell’anno 877 a Ravenna per appianare i dissidii tra gli stessi vescovi ed il vescovo di Grado. Certamente egli sottoscrisse ad una lettera conciliare dell’agosto del medesimo anno in favore di Adalgario vescovo edulnense: in essa, dopo il papa, gli arcivescovi di Milano e di Ravenna ed il patriarca di Grado, sottoscrivea Adelardo vescovo di Verona, indi Teodoro vescovo di Adria (10).
Pochi anni appresso Adelardo ebbe una controversia con Adelchiso vescovo di Trento intorno a diritti di proprietà su beni « Asianae villae » (11). Questa volta la controversia ebbe il suo processo regolare: fu deferita al papa Giovanni VIII. Questi con la lettera « Sanctitatem vestram » del 3 marzo 888 commise la soluzione della vertenza ai vescovi Giovanni di Bologna, Egilulfo di Mantova, Ricardo di Vicenza e Viatore di Ferrara (12); della quale commissione diede notizia al vescovo di Trento nello stesso mese di marzo con la lettera « Suggerente Episcopo» (13). I vescovi decisero la controversia in favore del vescovo di Verona.
Quanto all’ufficio di messo imperiale in Italia affidato ad Adelardo da Carlo il Grosso, non abbiamo documenti che di due atti, nei quali il nostro vescovo esercitò questo ufficio.
Nel 28 dicembre dell’anno 880 Adelardo tenne giudizio in Verona « in caminata majore in palatio regum » (14). Sedevano con lui Audakari visconte della città di Verona in luogo del conte Walfrido ed altri giudici. Si trattava d’una lite tra Tenderulfo, avvocato del monastero di S. Zeno, contro Notekerio, uomo illustre, per causa di pascolo sul monte Vallestruse. La sentenza fu favorevole al monastero di S. Zeno.
Più rilevante in se stessa, ma d’esito nulla, fu la legazione assunta da Adelardo per il convegno di Fano (882). Guido duca di Spoleto, contro le promesse fatte al pontefice, usurpò parecchie terre dal patrimonio di S. Pietro, rinnovando scorrerie e prede nelle terre romane. Il papa ritentò più volte di trarlo a giustizia; ma inutilmente. Allora lo invitò ad un colloquio da tenersi a Fano, al quale chiamò pure Adelardo qual messo di Carlo imperatore: ma pur troppo Guido non comparve (15). Il papa ne scrisse all’imperatore, pregandolo di venire in persona, avendo conosciuto per esperienza che nulla avrebbe ottenuto da Guido «per quemlibet legatum, nisi per ejus imperialem praesentiam »(16). Forse fu nell’abboccamento del papa con l’imperatore a Ravenna, che, essendo presente anche Adelardo, l’imperatore confermò gli antichi privilegi della chiesa di Verona (17).
Sulla fine del medesimo anno 882 moriva il papa Giovanni VIII, la cui memoria fu tanto malmenata dai nemici della santa sede, ed anche da alcuni cattolici: tra questi Cesare Cantù disse Giovanni « intrigante e passionato, che mal giudicò la moralità delle azioni ». A tutti costoro opporremo soltanto il giudizio di uno storico protestante: «Fu adorno di rari talenti e di una energia così grande di volontà, che il suo nome risplende con regia magnificenza nella storia del pontificato, dove si asside in mezzo a Nicolò II e Gregorio VII » (18).
A Giovanni VIII, successero nel pontificato Marino, indi sant’ Adriano III; da una cui lettera sappiamo che il vescovo di Verona, non altri che Adelardo, era intervenuto ad un concilio tenuto probabilmente a Roma: la lettera è del 17 aprile 885(19).
Finalmente troviamo il nostro vescovo Adelardo nei sinodo tenuto a Roma da Giovanni IX allo scopo di reintegrare quanto fosse possibile la memoria del papa Formoso, e nell’altro tenuto a Ravenna per sistemare insieme con Lamberto gli affari della Chiesa e dell’impero: questi sinodi ebbero luogo nell’anno 898(20). In seguito nessun documento ci parla di ulteriori relazioni del vescovo Adelardo coi romani pontefici. Lo troviamo pure segnato come rogatore in un atto di Berengario per Leopardo abate di Nonantola (21). Indi lo troviamo soltanto implicato in affari politici.
Cessata la dominazione dei Franchi con la deposizione di Carlo il Grosso (887), e sorte nuove contese tra Guido duca di Spoleto e Berengario duca del Friuli, Adelardo appoggiò sempre Berengario, che già da tempo dominava in Verona e sul principio dell’anno 888 fu eletto re in Italia a Pavia. Questi creò tosto Adelardo suo arcicancelliere: il primo atto, in cui comparisce Adelardo insignito di tale ufficio, è del 21 marzo 888 dato da Mantova: l’ultimo è del 9 novembre 893 da Verona (22).
Cessò forse circa quest’epoca da un ufficio tanto onorifico e lucroso? V’è del mistero; essendo troppo difficile determinare quale sia stata la condotta di Adelardo nelle nuove lotte, che agitarono l’Italia superiore.
Alcuni principotti Italiani, approfittando d’una sconfitta inflitta a Berengario dagli ungheri, invitarono Ludovico re di Borgogna. Questi scese tosto in Italia; si fece coronare re ed imperatore (900): più tardi tornato in Italia si impadronì di Verona nel maggio 905, mentre Berengario s’era ritirato, come sembra, nella valle Pruviniacense (a S. Floriano) ed a Tulles (Torri) sul lago di Garda.
Se è vero quanto scrisse un cronista contemporaneo, Adelardo avrebbe agevolato a Ludovico la conquista di Verona: «Ludovicus cum perpaucis Veronam, adhortante Adalhardo ipsius episcopo. intravit; quod cives Berengario exsulanti summa festinatione notum fecerunt » (23). Questo atto di defezione da Berengario fu purtroppo fatale per il nostro vescovo; giacché assai breve fu l’esilio di Berengario: sembra che sia tornato in Verona nei primi giorni d’agosto, accolto con entusiasmo dai veronesi.
La narrazione del cronista avrebbe una conferma in un diploma di Berengario del 17 settembre 913, nel quale egli priva Adelardo ed il suo vasso Ingelberto dei loro beni, perché « cum infideli nostro Bosone et de nostra infidelitate tractantes inventi sunt » (24). Ma l’Adelardo di questo diploma non deve essere il vescovo di Verona: una pena inflitta nel 913 non può essere per un delitto commesso nel 905.
Dopo l’anno 905 non si ha documento alcuno che parli del vescovo Adelardo (25). Comunemente si ritiene che egli sia morto nell’anno 915, e che sino alla sua morte abbia tenuto la sede vescovile, alieno però da ogni ingerenza nelle cose politiche e certo non beneviso a Berengario. Non mancano scrittori, che dopo il 905 pongano altri vescovi, Pietro o Giovanni: i più pongono un vescovo Adalberto; ma non si hanno documenti. Forse Adalberto fu posto per equivoco, o per la somiglianza del nome con quello di Adelardo, o perché un Adalberto forse di origine veronese fu in questo tempo vescovo di Bergamo (a).
Finora abbiamo narrato quanto ci risultò dai documenti intorno al nostro vescovo Adelardo: e forse la nostra narrazione non impresse nella mente dei lettori l’idea che Adelardo fosse un gran vescovo, un vescovo benemerito della sua diocesi.
Ci resta però a dire di un altro documento, che certo lascerà nei lettori un’idea ben più onorifica per Adelardo: è un’ode saffica, contemporanea ad Adelardo, la quale ne magnifica le doti di mente e di cuore. Fu pubblicata dal Biancolini, al quale la trasmise da Roma il nostro sac. Giuseppe Bianchini togliendola dal codice 5751 della biblioteca vaticana. Gli eruditi si studiarono di determinare l’epoca segnata dall’ode nelle strofe 4-7: certamente essa fu composta verso la fine del secolo IX, dopo la morte del papa Giovanni (VIII o IX), di Ludovico II, di Carlo (II o III), e del conte di Verona Walfredo; verso gli anni 890-900(26).
Riguardo all’autore, è certo che esso fu un ecclesiastico, e che compose il suo carme a Verona; probabilmente fu quel monaco di Bobbio, autore del Lamentum pubblicato dal card. Mai; il monaco fu profugo a Verona appunto verso la fine del secolo IX: per questa opinione inclinava il prof. Cipolla (27)
Essendo tra noi poco conosciuta quest’ode, crediamo opportuno riprodurla, togliendola da Dümmler, il quale, dietro una nuova ispezione del codice vaticano fatta da Fr. Rühl, la diede leggermente modificata da quella data da Biancolini (28).
CARMEN
ADELARDO EPISCOPO
1. Syderum factor dominusque coeli,
Qui regis mundum pietate vera
Culmen aeterni solii gubernas
Jure perenni.
2. Tu maris leges moderaris et arvi,
Tu poli lumen speciale fulgens,
Tuque dans nobis anhelare corde
Mistica dona.
3. Ouaesumus nostris, deus, ut serenum
Iubar infundas, lacrimasque tergas,
Pacis ut pignus accipiamus almae
Mentibus omnes.
3. Ecce nam mundus populusque mundi
Flet Hludovici Karolique morte
Imperatorum, populos tuentum
Ense potenti.
5. Plangit et caelum populusque caeli
Praesidem summum dominumque papam
Romae Johannem, rabie repulsum
Daemonis atra.
5. Nec minus plorat solitudo sacra
Cum suo caetu monachisque cunctis
Dente quod diri lacerentur ipsi
Nempe leonis.
7. Fletque Walfredum comitem Verona
Cum suburbanis uiculisque cunctis,
Quod lupis saeuis pateant et ipsi
Ense repulso.
8. Pastor at noster Adelardus almus
Plebis afflictae lacrimas repellit,
Sancta precepta tribuendo nobis
Ore salubri.
9. Fluctibus ponti quatiatur et si
Raptus e portu aquilonis arte,
Fraude, quae natas hominis aeterni
Sternere quaerit.
10. Ille sed diris stimulis resistit
Galea, scuto fideique spei
Caritatisque, qua e Deus noster
Contulit orbi.
11. Isque lorica gladioque uerbi
Spiritus sancti crucis ac triumpho
Inuocans patrem dominumque ternum
Territat hostes.
12. Hostias sacras tibimet frequentans
Pauperum tegmen, cibus atque potus
Exstat edoctus domino magistro
Pascere fratres.
13. Diuitum sensus iuuenumque doctor
Is senum fortis baculus, gubernans
Iura languentum puerumque uirga
Roborat omnes.
14. Absit ut tanto placeant patrono
Aureus fulgor lapidumque uigor,
purpurea pallor uariusque color
Ludificantes
15. Fulgeant illi lapides superni
Strauerat de quis deus Ierusalem,
Qua pia caeli renitet platea
Condita iustis.
16. Grata sint illi tegumenta sacra,
Vita et uictus placidum lieum,
Eius ut corpus salubri colatur
Ordine semper.
17. Unde te plebes rogitent deuotae.
Iste ne nobis pater subtrahatur.
Huius ad uitae tribuenda lucra
Tempore multo.
18. Eius et praesta solii tutator,
Eius et lumen oculis refulgens,
Perfice gressus famuli sacrati
Atque ministri.
19. Vita et virtus uia spes salusque,
Christe, iustorum probitasque paxque
Hoc deo carmen canimus amore
Praesulis huius.
20. Sint patri laudes sine fine sacrae,
Sint honor semper tibi, nate patris,
Spiritus compar sociatus aeque
Glorificetur. Amen (b).
NOTE
1 -CIPOLLA, Compendio della storia politica di Verona, pag. 90 (Verona 1900).
Useremo anche di alcune pubblicazioni posteriori al voto dell’illustre professore.
2 – FEDERICI, Elogi di illustri eccl. veronesi, Tomo III, Append. pag. 7.
3 – Annales Fuldenses presso PERTZ, Monum. Germ.Script., I. 388. Vedi ANT. PIGHI, I Papi a Verona, pag. 10.
4 – MANSI, Collectio ss. conciliorum, Tom. XVII, col. 10 (Paris, Lipsiae 1902); MIGNE, Patrol. lat., CXXVI. 693; JAFFE’ , Regesta RR. Pontificum I. Num. 3060.
5 – BARONIUS, Annales eccl. a. 876 XVI; PERTZ, Monum. Germ. Leg. 529, 532; BORETIUS, Capitularia Regum Francorum, II, pag. 99, 103 (Hannov. 1897).
6 – MURATORI, Annali d’Italia, a. 877.
7 – MANSI, Op. cit., XVII, 43; MIGNE, 727; JAFFE’, 3093. – Il nostro Carli pensa che la domanda presentata da Adelardo fosse surrettizia.
8 – MANSI, 44; MIGNE, 729; JAFFE’, 3098.
9 – MANSI, 43; JAFFE’, 3094. – Di questa controversia tratta diffusamente TIRABOSCHI, Storia della Badia d S. Silvestro di Nonantola, Capo II (Modena 1784).
10 – MANSI, 51, 337.
11 – Era una località vicina a Brentonico. TARTAROTTI, Memorie antiche di Rovereto (Venezia, 1754); DIONISI, De Aldone et Nottingo, pag. 49.
12 – MANSI, 198; MIGNE, 923; JAFFÈ, 3339; SAVIOLI, Ann. Bologn. I, 2, 28.
13 – MANSI, 197; MIGNE, 923; JAFFÈ, 3339.
14 – MURATORI, Antiqu. Ital. Medii Aevi, I., 435.
15 -BALAN, Storia d’Italia, Lib. XVI, 33.
16 – MANSI, 214; MIGNE, 948; JAFFÈ, 3377.
17 – UGHELLI, Italia sacra, Tom. V, col. 724.
18 – GREGOROVIUS, Storia di Roma, Tom. III, pag. 250. – Vedi BALAN, Storia di Giovanni VIII e dei suoi tempi; BRUNENGO, Osservazioni alla Storia di. C. Cantù, pag. 24, seg.
19 – MANSI, XVIII, 3; MIGNE, 971; JAFFÈ, 3401; Codex diplom. Long., pag. 351 (Mon. H. P., Aug. Taur .. 1873).
20 – MANSI, XVIII, 231 pone questi Concili all’anno 904: ma PAGI, In Ann. Baronii, prova che spettano all’anno 898.
21 – DUMMLER, Gesta Berengarii … Erkunden, Num. 26; MURATORI, Ant. Ital., II, 155. – L’atto è del 19 agosto 900 (889).
22 – BIANCOLINI, Chiese di Verona, V, P. I. 73. – Nel celebre diploma di Berengario del 4 maggio 895 (BIANCOLINI, II, 710) Adelardo avrebbe pagato Berengario di abbattere il circo: precibus Adelardi episcopi sanctae Veronae ecclesiae cunctique cleri». Ma ora quel diploma è dimostrato falso da CIPOLLA, Di un falso diploma di Berengario I, in Accademia reale delle scienze di Torino (1897-98).
23 – Annal. Saxo, a. 905 presso PERTZ, Monum. Germ. Script., VI. 591; quasi letteralmente anche REGINO Prum. Chron., a. 905, presso PERTZ, I, 610. – Questi scrivono che Berengario s’era ritirato in Baviera; ma diversi atti riferiti da CIPOLLA, Miscell., Fonti edite … pag. 58 provano che egli, fingendo forse d’esser fuggito in Baviera, si trovava non lungi da Verona.
24 – DIONISI, De Aldone et Nottingo, Dipl., X, pag. 98.
25 – CAPPELLETTI, Chiese d’Italia, X, pag. 757 dice che il vescovo Adelardo è nominato in un diploma dato da Berengario nel 914 a favore della chiesa di S. Maria in Organo. Ma tale diploma nel Biancolini non si trova, ed era ignoto anche al Cipolla, che dice morto Adelardo tra gli anni 905-911, Miscell., cit., pag. 137 neppure lo conobbe Dümmler nell’opera citata.
26 – Ne ha trattato il nostro DA PRATO nella Dissert. II. sull’Epitafio di Pacifico; recentemente DUMMLER, Gesta Berengarii, pag. 61-65 (Halle 1871).
27 – CAPETTI, Due voci d’esuli nel secolo IX, in Memorie stor. Forojuliesi, IV, 37 (1908).
28 – DÜMMLER, Op. cit., pag. 134-136. Da BIANCOLINI, Dissert. sui vescovi, pag. 34, seg., la riporta DA PRATO, Dissert., cit., pag. 77-81.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. VIII (a cura di A. Orlandi)
(a) pag. 221. – Alla notevole bibliografia fornita da mons. G.B. Pighi si può solo aggiungere P. FR. KEHR, Italia Pontificia, vol. VII, Berlino, 1925 (ed. anast., 1961), parte I, pp. 219-220.
Si noti che vale ad aggiungere qualche particolare e qualche precisazione di data, ma non a chiarire i molti punti oscuri nella vita del vescovo Adelardo.
(b) pag. 224. – Questa celebre composizione fu recentemente illustrata dal prof. M. Carrara. M. CARRARA, Per un vescovo veronese del secolo IX-X: il « carmen Adelhardo episcopo » in « Zenonis Cathedra », Verona, 1955, pp.
29-39.
Fonte: srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I