Duomo di Verona
EPOCA II – CAPO X
SOMMARIO. – Prodromi del secolo decimo – Prima educazione di Raterio – Primo stadio dell’episcopato di Raterio – Sua prigionia e primo esilio – Manasse – Secondo stadio dell’episcopato di Raterio – Secondo esilio – Suo ritorno momentaneo – Il vescovo Milone – Terzo stadio dell’episcopato di Raterio – Decreti contro l’ignoranza del clero, contro i chierici incontinentl, contro un abate e contro i profanatori delle feste – Sua partenza definitiva da Verona – Morte ed epigrafe.
Con i due vescovi Notkerio ed Ilduino comincia per la chiesa veronese il secolo X; il secolo più infausto nella storia della chiesa (1). Ma la preparazione di questo secolo nella chiesa nostra la troviamo nel secolo IX; nel quale gli sconvolgimenti politici ebbero una funesta influenza sulla vita, religiosa e morale del clero e del popolo veronese. Particolarmente i vescovi, intromessi quasi sempre nel regime della chiesa dai principi secolari, dagli stessi insieme coi fondi, ricevevano altresì giurisdizioni temporali, erano costituiti messi imperiali, e sovente si trovavano nella necessità di occuparsi degli affari del principe, anziché della cura della loro chiesa, costretti talvolta a mutare i sino di in assemblee politiche.
L’ultimo dei nostri vescovi onorato come santo è Annone sulla fine del secolo VIII. Dopo li lui, Aldone, Eginone e lo stesso Ratoldo ebbero la chiesa veronese da Carlo Magno e da Pipino. In un manoscritto della nostra capitolare si dice di Aldone che « non suscepit administrandam ecclesiam; sed diripiendam invasit ».
Eginone, parente di Carlo Magno, non riuscì mai a cattivarsi la benevolenza dei veronesi. Lo stesso Ratoldo, forse il migliore dei vescovi del secolo IX, dovette spesso occuparsi di cose politiche: intervenne alla dieta di Ratisbona; ebbe parte importante nella liberazione di Giuditta moglie di Ludovico il Pio; e così, caduto in disgrazia di Lotario, fu costretto ad assentarsi per molti anni da Verona e poi a ritirarsi definitivamente nel monastero di Augia. Nottingo fu incaricato da Ludovico II di missioni presso Ludovico il Germanico.
Poche memorie lasciarono di sè i vescovi successivi fino ad Adelardo, l’insigne diplomatico, invasore dei beni del monastero di Nonantola, fedifrago a Berengario, disubbidiente al papa Giovanni VIII e da lui scomunicato. Buon vescovo fu certamente Notkerio; ma Ilduino ebbe dal re Ugo la chiesa di Verona «jure stipendiario». Era ben naturale che sotto tali vescovi scadesse la disciplina del clero, e ne venissero funeste conseguenze nella vita religiosa e morale dei fedeli. A queste cause locali si aggiungano l’ignoranza e la corruzione pur troppo generalizzata, massime in Italia, e l’abominazione penetrata nella stessa chiesa di Roma; e non sarà difficile immaginare a quale stato deplorevole si trovava la nostra chiesa nei primi decenni dei secolo X, quando ne assunse il regime Raterio.
Tra i vescovi di tutta Italia e del mondo in questo secolo, per ingegno profondo ed immensa erudizione e retti propositi emerse il nostro vescovo Raterio: vescovo, che sarebbe stato un vero riformatore, se da natura sortito non avesse un carattere incostante, torbido e mordace, e non avesse incontrato in tempi troppo calamitosi (2) (a).
Nato nella diocesi di Liegi tra gli anni 892-896, ancor giovanetto era stato consegnato al monastero di Lobes, dove percorse gli studi letterari e sacri sotto la direzione dell’ abate Ilduino: fu ordinato sacerdote verso l’anno 920. Poco dopo Ilduino venne a contesa con un certo Ricario per il vescovado di Liegi; e, siccome il papa Giovanni X approvò l’elezione di Ricario, Ilduino si ritirò dal monastero insieme col suo discepolo Raterio, e venne a cercar protezione presso Ugo di Provenza, suo parente ed allora re d’Italia; per mezzo del quale ebbe il vescovado di Verona, e dopo tre anni quello di Milano.
Raterio mandato a Roma perorò assai bene presso Giovanni X la causa di Ilduino ed indirettamente anche la sua. Così Ugo, pregato dal pontefice (3), diede a Raterio il vescovado di Verona nell’anno 931; benché si fosse già pentito della promessa data a Raterio, e non siasi indotto a mantenerla se non per la speranza che Raterio, già infermo, tra breve morisse. Ma ciò non avvenne: Raterio fu consacrato vescovo nell’agosto dell’anno 932, e tenne questa chiesa, con due non brevi intervalli, sino all’anno 968: nella serie dei nostri vescovi egli è il cinquantesimo sesto.
Non intendiamo esporre tutte le peripezie, alle quali andò incontro Raterio, sia per l’iniquità dei tempi, sia per le stranezze del suo carattere: toccheremo solo i fatti principali, togliendoli specialmente dai suoi scritti, secondo l’edizione dei Ballerini.
Raterio avea appena preso possesso della sua chiesa, e tosto cominciò la scissura tra lui ed il re Ugo, il quale si appropriò di buona parte dei beni della chiesa veronese e volea costringere Raterio ad acconsentire al sacrilego latrocinio; e, siccome Raterio si rifiutò decisamente, il re gli fece capire che se ne sarebbe pentito.
Occasione opportuna fu la ribellione dei veronesi. Alcuni capi veronesi, insieme con l’arcidiacono e con Milone, il fedele amico e vindice di Berengario, stanchi delle angherie di Ugo, invitarono a scendere in Italia Arnolfo duca della Baviera e della Carinzia. Arnolfo acconsentì; per la via del Tirolo venne presso Verona; ma le sue schiere sul principio del 935 furono sconfitte presso Bussolengo, ed egli dovette tornarsene in Baviera. L’accusa della ribellione fu in massima parte riversata sul clero: ché Milone seppe ben presto riamicarsi col re, e riaverne il comitato veronese. Raterio per ordine di Ugo fu preso e tradotto in prigione a Pavia, «non dico sine mei culpa», come egli stesso scrisse al papa Giovanni: là stette rinchiuso fino all’agosto del 937, sempre esposto alle ingiurie ed ai disprezzi, assiderato dalla nudità, languente di fame e di sete e saziato solo di miseria e di patimenti (4). Nella prigione di Pavia scrisse i sei libri Praeloquia: indi fu mandato in esilio a Como, dove fu ricevuto ed ospitato amorevolmente dal vescovo Azone; ivi ritocco ed emendò una Vita sancti Unsmari scritta nel secolo VIII dal monaco Anso.
Nell’anno 940 da Como potè passare nella Provenza, dove per vivere si adattò ad insegnare grammatica ad un certo Rostagno figlio di un ricco signore: in quella occasione scrisse un piccolo trattato De arte grammatica, a cui pose per titolo Sparadorsum. Finalmente nel 944 da Ricario vescovo di Liegi ottenne d’essere accolto nel suo antico monastero di Lobes, dove si trattenne sino all’anno 946. Questo primo esilio di Raterio dalla sua chiesa durò oltre dodici anni (935-947); dopoché egli l’avea tenuta per due anni e mezzo (agosto 932 – febbraio 935).
Mentre Raterio era in prigione a Pavia, il re Ugo avea attribuiti i beni della chiesa a Manasse vescovo di Arles. E’ il famoso Manasse, detto più tardi ironicamente da Raterio «Sanctissimus archiepiscopus »: il quale oltre quello di Arles ebbe quattro vescovadi in Italia; e più tardi vendette la chiesa di Verona ad un « nepotulum » del conte Milone (6). Fu in questo tempo, che, a quanto racconta Raterio, essendo mancata nella pasqua la consacrazione degli olii, moltissimi bambini morirono senza battesimo.
Senonché verso l’anno 943 cominciò a declinare la fortuna di Ugo in Italia. Milone, nipote dell’altro Milone il fedele di Berengario I, che in qualità di conte reggeva Verona a nome di Ugo, caduto in sospetto del re, fu messo in prigione a Pavia. Fuggito dalla prigione venne nascostamente a Verona e, sicuro dell’appoggio degli altri principi d’Italia, chiamò a Verona Berengario marchese d’Ivrea, al quale Ugo avea dato sposa sua figlia Willa. Questo fu il segnale della rivolta; quasi tutti i grandi d’Italia aderirono a Berengario (II), al quale Ugo lasciò di fatto il potere, contento che avesse nome di re suo figlio Lotario. Prima però di ritirarsi da Verona fece sapere a Raterio che avrebbe voluto abboccarsi con lui: Raterio prontamente dal suo monastero venne in Italia; ma Ugo ne era già partito, ritirandosi in Provenza, e Raterio per ordine di Berengario fu trattenuto in carcere per tre mesi. Finalmente il conte Milone, più per odio contro Manasse, che per amore verso Raterio, gli fece riavere la sua sede sulla fine dell’anno 947.
Questa seconda residenza di Raterio in Verona non durò che un solo anno, amareggiata da continui dissidii col clero e coi grandi di Verona. Egli vi avea due potenti avversari nel conte Milone e nell’arcidiacono della cattedrale di nome, a quanto pare, Adelardo; i quali congiuravano insieme per togliere ogni autorità a Raterio. Un giorno, mentre il vescovo celebrava solennemente in cattedrale, d’improvviso uscì dal presbiterio l’arcidiacono, e dietro di lui uscirono tutti i canonici ed i chierici, lasciando il povero vescovo parato dei sacri indumenti nella impossibilità di proseguire la sacra funzione.
Dei chierici veronesi, favoriti dal conte Milone, egli si lamenta che gli fecero soffrire un vero martyrium di persecuzioni. Tante erano le sue sofferenze, che scrisse al papa Giovanni XI: «Mallem in Walberti turricula, quam sedere in veronensi cathedra, esurire sub Ugone, quam epulari cum Milone »,
Finalmente un giorno, mentre Raterio andava ad una funzione in cattedrale, gli si avvicinò un messo del re Lotario e lo esortò a lasciare la chiesa di Verona a disposizione di Manasse, aggiungendo (scrive Raterio) «amicabile satis consilium ». Raterio capì bene l’esortazione e l’amichevole consiglio, e sulla fine dell’anno 948 partì da Verona per la Germania, senza rimpianti dei veronesi. In Germania, dopo aver vagato per vari luoghi, costretto talvolta a mendicare per vivere, finalmente trovò buona accoglienza presso Brunone fratello di Ottone I; ivi si applicò all’istruzione di un giovane chierico, che fu poi vescovo di Colonia e dopo morte onorato del titolo di santo.
Nuove speranze concepì, quando, dopo la morte di Lotario (22 nov. 950) e le persecuzioni di Berengario contro Adelaide, gli italiani chiamarono in Italia Ottone, fratello del suo patrono Brunone. Dietro le schiere germaniche scese tosto anche Raterio verso la fine dell’anno 951; ma in viaggio ebbe la triste notizia che MiIone avea ottenuto da Manasse che a vescovo di Verona ordinasse un suo « nepotulum» d’anni 18, chiamato esso pure Milone, e ciò col consenso del pontefice Agapito II. Non ci volle di più per esacerbare l’animo irrequieto di Raterio: si direbbe che in tale occasione egli diventasse frenetico. Non sappiamo se sia entrato in Verona: certo non vi stette a lungo (7). Scrisse una lettera di protesta ad Agapito, la quale, essendo poi morto Agapito, fu diretta a Giovanni XII; ma non sappiamo se spedita. Decise di recarsi a Roma in persona; ma era privo di mezzi; perciò scrisse una lettera a tutti i cristiani del mondo, perché con le loro offerte gli venissero in aiuto. Una terza lettera scrisse a tutti i vescovi della Germania della Francia e dell’Italia per spingerli a convocare un concilio generale, a cui intendeva appellarsi.
Di queste lettere abbiamo il testo: ma non sappiamo se e quanti esemplari ne abbia fatto e spedito in quei tempi, e se e quante siano giunte ai destinatari.
Questi eccessi non giovarono certamente a cattivargli la stima e la benevolenza dei veronesi; ed egli, cessato un po’ il bollore dell’ira, dato un nuovo saluto a Verona, tornò al suo amico vescovo di Colonia, per cui mezzo potè avere il vescovato di Liegi nell’anno 953. Ma anche là lo attendevano nuovi dolori per parte dei conti Rodolfo e Reginaro di Hannegau, i quali fecero sì che quel vescovato fosse conferito ad un loro nipote Balderico.
Raterio dovette così ritirarsi a Magonza; di là passò in altro monastero della Germania, dove parea risoluto di passarvi in pace il resto della sua vita: ma non fu così. Questo secondo esilio di Raterio durò complessivamente oltre tredici anni, dalla fine dell’anno 948 sin verso la metà dell’anno 962.
Intanto chi governava la chiesa di Verona era il giovane Milone. Di lui si avea un atto nell’archivio della chiesa di S. Stefano con la data 15 agosto 950(8), ed una commutazione fatta nel marzo 959(9): ordinò parecchi sacerdoti e fu sempre ossequentissimo al suo mecenate Manasse.
In questo tempo dovrebbe essere avvenuto il furto del corpo di S. Metrone per parte dei mantovani. Di questo fatto pare che Raterio voglia imporre la colpa all’inerzia di Milone; se pure esso non sia avvenuto nel 27 gennaio 962, e Raterio voglia ribattere un’accusa dei veronesi, che ne riversavano sopra di lui la responsabilità: la forma di dire rateriana è anche su questo punto assai enigmatica.
Secondo un documento dato da Cipolla, si dovrebbe ascrivere all’anno 951 quell’invasione degli Ungheri, che suggerì la traslazione del corpo di S. Zeno dalla sua basilica alla chiesa di S. Maria Matricolare (10): ma ordinariamente gli scrittori nostri riferiscono quella traslazione al principio di questo secolo X.
Ottone scese di nuovo in Italia nell’agosto dell’anno 961. Di qui nuove speranze per Raterio, al quale Ottone conciliò anche l’appoggio del papa Giovanni XII, quando si recò a Roma a ricevervi la corona imperiale (2 febbraio 962).
In breve scomparvero i prepotenti avversari di Raterio: Berengario ridotto a condizione di tributario nel 961, poco dopo ritirato si da Verona fu relegato a Bamberga: suo figlio Adalberto, rafforzatosi nella rocca di Garda, scacciato di là dalle armi di Ottone II, fuggì a Costantinopoli: MiIone avea ceduto l’ufficio di conte di Verona nel 910 e morì poi nel 962.
Restava l’altro Milone, il giovane pseudo-vescovo di Verona deposto come pare, dal sinodo di Pavia, eppur tuttavia pretendente: ma parea che nulla avesse a temerne Raterio forte della protezione di Ottone (12).
Nel marzo del 962 il papa Giovanni XII diede un precetto per la restituzione di Raterio nel vescovato di Verona (13): sembra che verso la metà dell’anno stesso siasi tenuto un sinodo a Pavia, dove i vescovi avrebbero deciso la questione a favore di Raterio; forse promettendo a Milone che, se Raterio s’avesse a ritirar nuovamente da Verona o morisse, sarebbe a lui restituita la sede di Verona. Comunque sia, certamente Raterio si trovava presso la sua chiesa verso la metà dell’anno 962 e forse prima, e vi rimase per altri sei anni.
Nella speranza che sì lieti auspici fossero presagio di un pacifico avvenire, volse l’animo suo a sanare le piaghe che affligevano la chiesa veronese.
Prima tra queste era l’ignoranza del clero. Dotato di ingegno straordinario, fornito di vasta cultura letteraria e scientifica in cose sacre e profane, fin dalla sua prima venuta in Verona avea dato forte impulso all’istruzione del clero coll’aumentare il numero dei maestri nella «schola sacerdotum », Ora nel sinodo, tenuto nella quaresima dell’anno 966, dichiarò apertamente che non avrebbe ordinato alcuno, se non sapesse di certo che avea atteso agli studii o nella scuola di Verona o in qualche monastero o presso qualche dotto maestro: ordinò a tutti i chierici che dovessero imparare a memoria i tre simboli, l’apostolico, il niceno, l’atanasiano. Per agevolare l’istruzione del clero, alla vigilia della sua ultima partenza da Verona dotò la scuola dei chierici; affinché avendo essi il pane intellettuale, non difettassero poi del pane materiale (14).
Con zelo più ardente si accinse a riformare i costumi del clero, che pur troppo era caduto dalla santità della sua vocazione. Già abbiamo accennato le cause generali e locali di tale depravazione: ma la descrizione, che ne dà Raterio, è qualche cosa di orribile. I chierici più osservanti, a quanto egli dice, aveano moglie: i più rilassati aveano concubine. Di qui altri abusi: il sacerdozio diveniva ereditario; i figli dei sacerdoti doveano essere sacerdoti; le figlie doveano maritarsi a sacerdoti: i chierici maggiori lavoravano a tutt’uomo per accrescere i loro proventi, affine di mantenere la moglie ed i figli e maritare convenientemente le figlie: di qui l’estrema miseria dei chierici inferiori, ai quali era impossibile aspirare a qualche prebenda.
Certamente dobbiamo dire (anche a priori) che Raterio esageri; ma ecco un sunto della sua relazione:
« Scitis me semper synodum distulisse, … quod dicerem me unde synodare omnino nescire: solet enim in synodis, si quid contra canones actum est, emendari. Sed, si hoc agere tentavissem, omnibus canonibus regyratis, de nullo eorum vos viderem curare omnimodo. E quibus aliqua proferam. Si legeretur: subintroductam habere personam, etc … , quem vestrum ab hujus neglecto praecepti potuissem excipere? Rursum, si impleretur: si quis presbyter uxorem duxerit deponatur, magis autem, si adulterium perpetraverit; quis ex vobis indepositus isset? Rursum, si recitaretur: bigami non admittantur in clerum; quem ex vobis considerem legaliter ad sacerdotium fuisse provectum? Et, ut ad minora vobisque pernulla veniam, si legeretur: comtemptores canonum acrius arguendos, et de coniurationibus et conspirationibus, de periuris, de ebriosis et qui in tabernis bibunt, et qui usuris inserviunt, si legaliber synodarem, quem ex vobis indemnatum relinquerem? Si manzeres ab iicerem, quem ex iisdem puerulis in choro permitterem? .. Breviter dixerim: causa perditionis totius mihi populi commissi, commanentes illi sunt clerici » (15).
Ad estirpare questo disordine dell’incontinenza del clero, tenne vari sinodi negli anni 966, 967: forse intervenne al concilio tenuto da Giovanni XII in Roma nel gennaio 967: certo intervenne a quello che lo stesso pontefice celebrò nell’aprile dello stesso anno a Ravenna; da questo concilio portò ai suoi chierici il decreto contro gli incontinenti, come « legationem ipsius papae de uxoribue dimittendis »: procurò ed ottenne che in Verona si celebrasse un concilio provinciale nell’ottobre dello stesso anno. Da questi concili emanò decreti sopra decreti, minacce sopra minacce, castighi sopra castighi: ma non riuscì a nulla. Troppo radicato era il male, troppo corrotto l’ambiente generale; inoltre troppo era compromessa la posizione di Raterio; troppo duro e strano era il suo carattere, perché il suo zelo potesse arrecare il frutto desiderato.
Una grave misura prese anche per il monastero di Maguzzano rovinato in gran parte dagli Ungheri, dove allora non si trovava che l’abate; ma non solo, perché vi avea moglie e figli. Dopo iterate resistenze riuscì a cacciarne quell’abate, e mettervi alcuni sacerdoti, che vi celebrassero i divini ufficii.
Un gravissimo disordine vigeva pure nei fedeli; ed era la profanazione dei giorni festivi. Raterio tentò inutilmente di porvi rimedio con la predicazione; poco giovò la scomunica, che egli intimò ai profanatori delle feste, « ut ab opere servili domini ca die cessarent ».
Allora ricorse ad un rimedio estremo: col consenso di Buccone governatore di Verona (964, 965) ordinò che nei giorni di domenica si tenessero chiuse le porte della città, per impedirne così ai villici l’ingresso coi loro carri. Questa misura sollevò le ire popolari contro il vescovo ed il governatore: alcuni condannati a pagare un’ammenda di cento libre d’argento ne chiesero in prestito trenta dal vescovo, né più pensarono a restituirle.
Tutti questi provvedimenti non fecero che peggiorare la posizione di Raterio e legittimare le persecuzioni dei suoi avversari. Primi tra questi erano i chierici ordinati da Milone, dei quali Raterio condannò la illegittima consacrazione, mettendone anche in dubbio la validità. Ad essi si aggiungevano i canonici, offesi perché avea tentato diminuirne i proventi. A capo degli uni e degli altri era l’intruso vescovo Milone. Congiurati tra di loro, nel 965 erano riusciti a sottomettere Raterio ad un giudizio, farlo chiudere in prigione (16), dalla quale lo liberò Giuditta di Baviera affidandolo al conte Buccone. Se è vero quanto egli scrive, i veronesi («vulgus veronense ») tentarono nientemeno che di bruciarlo nel suo palazzo: forse fu per questo timore, che egli, abbandonato l’episcopio, si ritirò nel palazzo di un conte, probabilmente sul colle di S. Pietro.
Chi non negò mai a Raterio il suo favore fu l’imperatore Ottone; mercè del quale il vescovo riuscì a celebrare i sino di negli anni 966, 967; e dal quale con diploma del 5 novembre 967 ottenne favori per la sua chiesa e il mandeburdium per il vescovo di Verona (17).
Ma la protezione dell’imperatore non lo poté scampare da ulteriori molestie sollevate contro di lui dal conte Nannone. Questi nella sua qualità di messo imperiale, nel giorno 30 giugno 968 tenne un placito, al quale « pene tota civitas affuit » per deporre contro il vescovo.
Quattro erano i capi di accusa: principale tra questi il judicatum emanato nel sinodo, col quale diminuiva i proventi dei chierici maggiori: quel judicatum fu dichiarato di nessun valore. Affranto per tante amarezze, scrisse una lettera di protesta al conte Nannone; altra al cancelliere Ambrosio; una terza all’Imperatrice Adelaide, in cui supplicava che gli si concedesse di poter rimanere senza pericoli in Verona fino a che avesse terminata la chiesa cattedrale. Ma oramai la sua permanenza in Verona era impossibile.
Prima di dire della sua partenza definitiva, crediamo opportuno notare come Raterio siasi interessato per il culto religioso. Egli proseguì alacremente la costruzione della chiesa cattedrale; s’adoperò molto per il restauro della chiesa di S. Maria Consolatrice; concesse privilegi alla chiesa di S. Pietro in Castello (18); dall’imperatore Ottone impetrò ed ebbe privilegi ed una somma vistosa per riparare la chiesa di S. Zeno (19), che egli spesso venera come nostro speciale protettore e maestro. Di quanto egli fece per I’ìstruzione religiosa dei fedeli, anche in opposizione ad errori che allora cominciano a diffondersi tra di noi, diremo in altro luogo. Abbiamo anche diverse commutazioni da lui fatte a vantaggio della chiesa negli anni 947, 948, 968; ma queste non sono di grande importanza (20)
Vedendo ormai impossibile rimaner più a lungo in Verona, si mise in relazione con Everaclo vescovo di Liegi, e partì definitivamente da Verona verso l’agosto dell’anno 968.
Dopo aver vagato per tre o quattro monasteri del Belgio, ed avuto liti con tutti, particolarmente con Folcuino una volta suo amico e benefattore, poté nel 971 avere l’abbazia del monastero di Lobes, dove cessò di vivere il dì 25 aprile dell’anno 874, in età di circa 80 anni.
Fu sepolto nella chiesa di S. Unsmaro a Lobes, dove l’abate Folcuino gli rese onori funebri, quali si devono ad un vescovo. Sopra la sua sepoltura fu posta la seguente epigrafe:
Veronae praesul, sed ter Ratherius exsul,
Ante cucullatus, Lobia postque tuus.
Nobilis, urbanus, pro tempore morigeratus,
Qui inscribi proprio hoc petiit tumulo:
Conculcate pedes hominum sal infatuatum;
Lector propitius subveniat precibus.
Abbiamo detto di Raterio vescovo di Verona: nel capo seguente diremo di Raterio scrittore ecclesiastico.
NOTE
1 – Nelle nostre, lnstitutiones historiae ecclesiasticae, voI. II, pagg. 223-235 (Ed. 2) crediamo di aver sufficientemente provato come il secolo X non fu così terreo e plumbeo, quale dopo il Baronia ce lo dipinsero comunemente gli storici.
2 – Di Raterio trattarono: BALLERINI, Ratherii opera, col. XXVI-CLXXIV (Veronae 1765); VOGEL, Ratherius von Verona, (Jena 1884); FLORIO, Dei privilegi, ecc. Dissert. II, (Roma 1754).
3 – Presso JAFFÈ, Regesta R.R., PP., Num. 3587.
4 – RATHERIUS, Praeloquiorum, Lib. III, Num. 13.
5 – LIUTPRANDUS, Antapodosis Lib. IV, Cap. 6, V. 26, presso PERTZ, Monum-Germ. Script., II, 316, 334.
6 – Di lui SAVIO, Manasse arcicanc, di Ottone l, in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino, Vol. XLVII., 451-463 (Torino 1912).
7 – Nell’opuscolo De clericis rebellibus dice ad essi: «Ex qua (Ecclesia veronensi) me jam quater exclusistis », RATHERII, Opera, col. 482. Ciò proverebbe che egli anche in questa occasione entrò nella sua chiesa, e tosto ne fu scacciato.
8 – PERETTI, Historia delle SS. Vergini Teuteria e Tosca, pag. 62, con l’indicazione dell’anno 951.
9 – DE DIONYSIIS, De Aldone et Notingo, Dipl. XXII, pag. 124.
10 – CIPOLLA, Antiche cronache veronesi, pag. 532 (Venezia 1890).
11 – Ottone volea che Raterio vi mandasse i suoi militi. Ma Raterio: « petulanti, ut saepe, respondit sermone», De contemptu Can., Num. 8.
12 – In questa occasione Ottone concesse nuovi privilegi alla chiesa ed al monastero di S. Zeno. CAVATTONI, Memorie … , Docum. 93; DÜMMLER, Diplomata, I, pag. 320 (Hannov. 1883).
13 – Presso JAFFÈ, Regesta, Num. 3693.
14 – SPAGNOLO, Le scuole accolitali in Verona, pag. 5.
15 – RATHERII, Op. Itinerarium, Num. 5, col. 443.
16 – Di se stesso in tale cattura scrive: « Cum fuisset captus, coepit cantare stultissimus: ecce quod concupivi jam video “. Qualit. conjectura, Num. 6.
17 – BALLERINI, Rath. Op., col. 458; DÜMMLER, Dlplom, I. 474. – Vedi anche i Kapitula emanati nell’ « insula sancti Zenonis » presso PERTZ, Mon. Germ., Leg., II, 32; Constit… Imper., I, 28 (Hannov. 1893).
18 – Il diploma fu pubblicato da Mons. CARINI, Spicilegio Vaticano, I, pag. 9 (Roma 1890): dovrebbe essere dell’anno 968.
19 – SIMEONI, La Basilica’ di S. Zeno in Verona, pag. 11.
20 – Presso DE DIONYSIIS, De Aldone … , Dipl., XVI, XVII, XXIV.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. X (a cura di A. Orlandì)
(a) pag. 234. – Sembra superfluo dire che un personaggio della portata storica di Raterio ha continuato e continua tuttora a suscitare l’interesse degli studiosi di storia. Daremo qui le note bibliografiche dei lavori più notevoli, dai quali sarà possibile rintracciare anche articoli e interventi più brevi su argomenti particolari. In ordine di tempo ricordiamo: GIUSEPPE MONTICELLI, Raterio, vescovo di Verona (890-974), Milano, 1938, pp. 400. Il volume contiene una bibliografia rateriana aggiornata fino a quei tempi. – Fr. WEIGLE, Il processo di Raterio di Verona (traduzione di Gina Marchesi De Besi) in «Studi Storici Veronesi Luigi Simeoni », vol. IV, Verona, 1953, pp. 29-44. – V. CAVALLARI, Raterio e Verona. Qualche aspetto di vita cittadina nel X secolo. Verona, 1967, pp. 231. – CENTRO DI STUDI SULLA SPIRITUALITÀ MEDIEVALE: Raterio da Verona (X Convegno del Centro: Todi 12-15 ottobre 1969); Todi, 1973, pp. 195+4.
Sembra anche utile aggiungere qualche studio di argomento generale che può essere utile per la conoscenza di questo secolo e dello stesso Raterio e della sua opera. L. SCHIAPARELLI, I diplomi di Ugo e di Lotario, di Berengario II e di Adalberto, Roma, 1924, pp. XIII- 469 (Fonti per la Storia d’Italia, 38).- G. FORCHIELLI, La pieve rurale, Verona, 1931. _ C. G. MOR, (Verona) dalla caduta dell’impero al Comune, in «Verona e il suo territorio », II, Verona 1964, pp. 1-242.
Fonte: srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA