Interno della Chiesa di San Zeno, Verona
EPOCA II – CAPO XIX
SOMMARIO. – La basilica di S. Zeno – Corpo di S. Zeno – Devozione alle sacre reliquie – Reliquie un po’ dubbie nelle nostre chiese – Furti di reliquie – Un furto nella chiesa di S. Maria « in organo» – Memorie di funzioni liturgiche – Processioni – Stazioni – Un codice prezioso inedito: et Carpsum » – Altri codici liturgici – Scrittori veronesi – Importanza politica di Verona – Verona nell’anno 1090 – I veronesi alla prima crociata.
Come appare dal titolo intendiamo di raccogliere qui alcuni fatti particolari, che, o ci sono sfuggiti nella narrazione cronologica o non aveano una connessione naturale con la materia dei singoli capi.
Inauguriamo queste spigolature con qualche accenno alla storia della basilica di S. Zeno, la quale è certamente la più antica tra le nostre chiese maggiori ed una gloria artistica per Verona. Senza dubbio la basilica zenoniana ebbe principio entro i limiti di quest’epoca seconda: ma pur troppo nulla sappiamo dei primi suoi inizi, e ben poco delle sue interrotte costruzioni e ricostruzioni.
Sappiamo come una chiesa ad onore di S. Zeno fu eretta per opera del re Pipino, del vescovo Ratoldo e dell’arcidiacono Pacifico: essa non era né la basilica attuale né la sua cripta: solo si ritiene che fosse nel medesimo luogo e che di essa rimanga forse qualche avanzo in una muraglia della basilica.
L’attuale basilica pare abbia avuto principio nel secolo X; essendo ché dopo i danni, che essa dovette subire in qualche scorreria degli Ungheri l’imperatore Ottone nell’anno 961 diede una somma al vescovo Raterio, perché essa venisse compita. Quella somma, a quanto pare, fu dal vescovo devoluta ad altro scopo; e la chiesa non vide allora il suo compimento: la sua ulteriore costruzione dovrebbe riferirsi al secolo XI, quando i monaci di quel monastero ebbero offerte conspicue dagli imperatori.
In una iscrizione, che dovrebbe essere dell’anno 1185 circa, è detto che nell’anno 1178 « confluxerant anni a renovatione et ecclesiae augmentatione XL» (1). Dunque verso l’anno 1138 la chiesa era stata rinnovata, forse per i danni sofferti nel terremoto dell’anno 1117, ed anche accresciuta di una aggiunta, forse verso occidente, ossia verso la porta maggiore. Tuttavia, il suo compimento definitivo nelle singole parti, secondo i cultori dei nostri monumenti storici, si deve ancor differire sino al secolo XIII e forse anche al XIV. Le porte, ossia le preziose formelle di bronzo, (torneranno al loro posto?) spettano, parte al secolo XI, parte al secolo XII.
Date più certe abbiamo intorno al campanile cominciato dall’ abate Alberico nell’anno 1045, restaurato nell’anno 1120, e terminato poi coll’aggiungere « balcones novos super balcones veteres, deinde capitellum mirifice constructum» dall’ abate Gerardo prima dell’anno 1188. Tanto consta dall’iscrizione scolpita sulla base del campanile (2), e dall’altra or ora citata.
Non ci tratteniamo a descrivere la basilica ben nota ai lettori.
Notiamo soltanto come i cultori dell’arte veggono in essa una prova del risveglio del genio latino. «Tutta la basilica zenoniana, in cui vive potente l’arte romanza (italica), ci offre una prova ben chiara del risveglio del genio latino. Nel suo complesso l’edificio rivela il gagliardo risorgere del genio italiano, e forse non lascia più alcun posto all’influsso dell’arte che lo precedette» (3) (a).
Un’opera così grandiosa, quale è la basilica zenoniana, ci attesta quanto fosse radicata nella mente dei veronesi l’idea che là sotto fossero le reliquie del loro santo Patrono e quanto stava a cuore che vi fossero custodite decorosamente. In quest’epoca abbiamo appunto ravvivato nei fedeli il culto delle sacre reliquie. Del re Pipino si racconta che non potè ottenere dal vescovo Ratoldo una minima particella delle ossa di S. Zeno, e fu beato di poter raccogliere e portar seco un po’ di polvere e di cenere del ripostiglio. Più fortunato il vescovo Walterio nel ritirarsi da Verona portò seco un osso del corpo del santo.
Per questa venerazione verso il corpo di S. Zeno, quando si temeva che gli Ungheri lo rubassero, i veronesi lo ritirarono in città nella chiesa di S. Maria Matricolare; d’onde ben presto, cessato il pericolo, lo riportarono alla sua basilica.
Anche i diplomi imperiali fanno risaltare quanto prezioso tesoro fosse il corpo di S. Zeno custodito nella sua basilica, quando, parlando di essa o del monastero, soggiungono e ripetono spesso: «ubi sacrum eius corpus humatum quiescit » (4). Così vari diplomi di Berengario, Ugo, Ottone I, Ottone II, Enrico II, ecc.; nei quali la ragione dei privilegi e possessi attribuiti al monastero od alla chiesa è appunto il corpo di S. Zeno.
La devozione alle sacre reliquie, devozione in sé legittima e tutta conforme alla dottrina cattolica, ravvivatasi in quest’epoca, trasse seco un’avidità talvolta eccessiva di aver tali reliquie, senza troppo sottilizzare sulla loro autenticità e sulla legittimità dei mezzi per appropriarsele (5). Per dir solo di cose nostre, fu in quest’epoca che anche i veronesi procurarono di arricchire la loro città di corpi di santi, dei quali, prescindendo dai mezzi usati per averli, si dubitò più tardi sulla loro autenticità. Così verso la fine di quest’epoca seconda o sul principio della seguente si infisse nella mente dei veronesi la persuasione che nella chiesa di S. Procolo si trovassero i corpi dei martiri Cosma e Damiano, in quella di S. Giovanni in Valle i corpi dei Ss. apostoli Simone e Giuda, in santa Maria della Fratta i corpi dei Ss. Liberto e Vittoria, in S. Nazaro i corpi di S. Biagio e di S. Giuliana, nella Cattedrale il corpo di Sant’Agata, ecc. Ora parecchi di questi corpi di santi consta che si trovano altrove.
Abbiamo pure accennato che in quest’epoca non si scrupoleggiava sui mezzi per appropriarsi le sacre reliquie. Limitandoci a cose nostre, richiamiamo alla mente dei lettori il furto del corpo di S. Metrone commesso dai mantovani: furto, per il quale il nostro vescovo Raterio inveisce (Invectiva), non contro i mantovani, ma contro i veronesi (6). Secondo i bergamaschi, i corpi dei nostri Ss. martiri Fermo e Rustico sarebbero passati da Verona a Bergamo nell’anno 855, o furtivamente, o per infedeltà dei custodi corrotti con danaro (7).
Un curioso furto di reliquie si dice commesso nella nostra chiesa di S. Maria « in organo» la mattina del giorno 23 giugno 1053. Non dispiacerà leggerne il racconto originale (da noi un po’ compendiato), quale ci viene dato da un cronista del monastero benedettino di Burn in Germania: autore del furto fu Gotschalco dello stesso monastero di Burn, che allora per le necessità economiche del suo monastero si trovava a Verona:
« Gotschalcus (avendo già un giorno asportate da S. Maria in Organo alcune reliquie, la notte seguente potè rientrare nella cripta, e) omnia quae remanserant, tulit… et criptam volens exire (8) … ad gradus ipsius cripte obviam ipsum custodem habens (sic) nomine Florianum … Quid quaeris? Ille respondit: Nichil aliud quaero nisi Dominum Jesum, et sanctos eius qui hic requiescant deprecare studui. Custos Florianus, criptam cito ingrediens, post fugientem currit clamans cum austeritate magna: Expecta me, expecta me, fur. Et ille fugiens extra ecclesiam cupiens aliquo loco abscondere se, sed non potuit, custode insequente et dicente: Expecta me, fur. Tunc apprehendit eum in curte, et dixit ei: Fur, quid portas? Ille vero prae pavore respondere non potuit… Et clauso ostio tenuit manus fratris nostri Gotschalci … et dixit illi: Quid portas? Ille vero flexis genibus veniam postulans confessus est, nichilque abscondit. Tunc custos dixit: Ubi tulisti (abstulisti) haec ossa? Ille respondit: In cripta in sarcofago retro altari quod est in australi parte. Tunc exclamavit custos: Vae mihi! vae mihi! Corpus est sancte Anastasie virginis et martiris et patrone nostre post sanctam Mariam… Vae tibi, male fur! quomodo ausus fuisti nobis tanta mala facere? … Iterum: Vae tibi! et voluit oculos eius eruere. In magna vero tribulacione Gotschalcus positus, retraxit de sacculo suo 20 solidos denariorum et dedit ei dicens: Accipe, domine pater, istos denarios cum reliquiis his, et noli detegere reatum meum abbati tuo et neque dicas fratribus peccatum meum. Tunc mutatum est cor Italici (di Floriano), vidensque pecuniam cecati sunt oculi ejus … : Noli metuere, non facio tibi malum modo … Ille vero dixit confortatus: Domine mi, sine me habere istas reliquias; habeo hic bonum opertorium, daboque tibi. Custos ille avarus pecunia seductus respondit: Non ausus sum (non ardisco) hoc facere contra locum istum et abbatem meum. Gotschalcus vero respondit: Da mihi, domine mi; non nocet tibi, quia sanctus Benedictus, de cuius monasterio sum, adiuvat te, ne patiaris per hoc malum … Tunc duxit illum in pomerium, quod iuxta ecclesiam iacet, … ibique iterurn dixit: Valde stulte egisti, … sed propter sanctum Benedictum … dabo tibi reliquias quas tu ipse tulisti, tantum capite (di Sant’Anastasia) mihi dato, et vade in pace. (Ma poi avendo veduto che nella cripta non restavano altre reliquie) dixitei: Non possum: nunc tolle tuos denarios, et vade in pace. (Allora Gotschalco fece notare al custode che restavano ancor nella cripta reliquie di S. Crisogono, di S. Castorio e dei Santi Canciani, e pregò di nuovo):
I stud corpus sanctae Anastasiae rogo ut des sancto Benedicto … Tunc Florianus, compulsus precibus Gotschalci cum lacrimis cepit dicere: Fiat tibi secundum voluntatem tuam; et traxit pallium altaris de sinu suo, et involvit corpus sancte Anastasie, et tradit ei dicens: Non propter tua m voluntatem tibi dabo, sed propter Sanctum Benedictum; … osculansque omnia ossa eius tradit Gotschalco sub die 9 Kal. Iulii (1053), acceptoque sancto corpore (Gotschalcus) ivit ad hospitium »(9) e nel giorno seguente partì per il suo monastero di Burn. Così i venti soldi ed il mantello fruttarono a lui ed al suo monastero le reliquie di santa Anastasia. Tuttavia un’ iscrizione posta nella chiesa di S. Maria in Organo l’anno 1497 tra le reliquie ivi esistenti pone « sanctae Anastasiae ossa» (B).
Nei nostri documenti medioevali abbiamo preziose memorie intorno alle funzioni, che si celebravano col massimo decoro nella chiesa cattedrale e certo con la dovuta proporzione nelle altre chiese.
Due codici, uno della fine del secolo VIII o del principio del seguente, l’altro della seconda metà del secolo XI, si completano insieme. Il primo è il celebre codice dei sermoni di S. Zeno, detto codice di Reims, l’altro è il Carpsum di Stefano sacerdote è cantore (10): il primo ci dà delle importanti notizie sulle funzioni, quali si celebravano nel secolo VIII e, dobbiamo supporre, anche nei seguenti; l’altro ci dice espressamente che designa le funzioni quali si celebravano all’epoca sua ed anche nei tempi anteriori: dunque ciascuno dei due completa l’altro.
Dal codice di Reims, e precisamente da postille o rubriche segnate in margine ai sermoni da qualche ceremoniere dell’epoca accennata, sappiamo come nelle feste principali, o dal vescovo o dal diacono sull’ambone si leggeva ai fedeli « fratribus » un tratto di qualche sermone di S. Zeno; la quale lettura dovrebbe aver sostituito un discorso tenuto a voce nelle feste ordinarie. Così nella festa dei Ss. Fermo e Rustico si leggeva il sermone II De Daniele.
Nel primo sabato del mese primo si leggeva il sermone IV De Daniele « coram pontifice ante processionem »: dunque in quel primo sabato di marzo il clero della Cattedrale adunato col vescovo, forse nel « secretarium» (sacrestia), dopo letto quel sermone andava processionalmente alla cattedrale.
Quando il vescovo battezzava nelle solennità di Pasqua e di Pentecoste, prima del battesimo si leggeva uno dei sermoni Invitatio ad fontem; dopo il battesimo uno dei sermoni Post baptismum.
Il sermone VI ad neophytos si leggeva nella chiesa di S. Stefano «ad Martyres » sull’ambone prima che il vescovo « consignationem Spiritus sancti celebrare incipiat » nella « feria secunda post Pascha »: dunque in quel lunedì il vescovo amministrava la cresima nella chiesa di S. Stefano; nella quale ci dice il Carpsum che in quella « feria secunda» vi era la Statio.
Il Sermone I De die dominico Paschatis veniva recitato dal diacono « ipso die Paschatis coram pontifice, postquam ipse cum diaconibus sederit, porrectis malis cum pace praestita, dicente Pontifice: Surrexit Dominus »: gli altri rispondevano: « et illuxit nobis ».
La cerimonia « porrectis malis» secondo i Ballerini, sarebbe la presentazione liturgica di alcune mele (11): osserva per altro il Da Prato che il nominativo di quel « malis» non dovrebbe essere mala (poma, mele), ma malae (genae, guancie); e così la cerimonia del secolo VIII è l’« osculum pacis », quale troviamo usato nei riti antichi ed anche negli attuali. Omettiamo gli altri sermoni e le feste in cui erano letti (12).
Da altre rubriche del codice di Reims, dal Carpsum e da alcuni Ordines della nostra Capitolare apparisce come in alcune ricorrenze speciali si faceano processioni liturgiche, massime dal clero della cattedrale, talvolta insieme col vescovo. Così il Carpsum:
« Faciant canonici processionem una cum Episcopo ad sanctum Theodorum … Cuncti fratres (sic) faciant processionem ad sanctum Georgium », etc. Pare che in tali processioni si cantassero le Laudes o litanie che troviamo nei tre codici processionali della nostra capitolare, spettanti il primo alla prima metà del secolo IX, gli altri ai secoli XI, XII.
Le processioni partivano da un luogo ove si adunavano il clero ed i fedeli; la quale adunanza a Roma e altrove si diceva collecta, presso di noi conventus (13): indi si recavano alla cattedrale o ad altre chiese, nelle quali in giorni determinati si dovean tenere le Stationes. Nel giorno 25 o 26 dicembre i canonici insieme col vescovo « antecedente cruce » andavano processionalmente alla chiesa di S. Teodoro (14). Nella chiesa di sant’Elena abbiamo ancora una croce stazionale; ma è posteriore di qualche secolo.
L’appellativo «Statio» veniva certo da stando; sia perché il clero ed i fedeli giunti alla chiesa designata si fermavano ad orare, sia perché ivi pregavano stando in piedi: non dallo statuto die di Plinio a proposito dei cristiani della Bitinia, come opinava il sac. Spagnolo (15).
In Roma le stazioni si tenevano in quaresima e negli altri giorni di digiuno: in Verona, a quanto afferma Spagnolo, si tenevano pure in varie chiese in quaresima (16); ma certo visi tenevano anche in giorni solenni dell’anno, e perciò indipendentemente dal digiuno. Nel Carpsum abbiamo segnate le « stationes » che si celebravano nel secolo XI e nei precedenti durante l’ottava di Pasqua: « Feria II: statio ad sanctum Stephanum. – Feria III: statio ad sanctos Apostolos et sanctum Laurentium. – Feria IV: statio ad sanctam Mariam organam et sanctum Vitalem. – Sabbato statio ad sanctum Zenonem et sanctum Proculum. – In Dominica octavae Paschae: statio ad sanctam Anastasiam »(17). Dallo stesso codice sappiamo che altre sei volte all’anno si celebravano le stazioni nella Basilica di S. Zeno (18).
Alla chiesa della stazione andava ordinariamente anche il vescovo, procedendo insieme col clero e coi fedeli; è là « ante stationem » si leggeva uno o l’altro sermone di S. Zeno.
Tra i codici liturgici della nostra capitolare ha un’importanza specialissima il Carpsum composto da Stefano sacerdote e cantore nella chiesa cattedrale al tempo del vescovo Walterio, e quindi verso la metà del secolo XI (19). Il Maffei ha espresso il suo desiderio che fosse pubblicato un documento così importante per la storia della liturgia della chiesa veronese; il compianto sac. Spagnolo pubblicò con dotte annotazioni il calendario premesso al Carpsum; ma la morte prematura gli impedì di condur a termine l’opera da lui meditata. Ne diamo qui il proemio togliendolo dal Maffei (20):
« In divinis voluminibus scriptum habetur quod unusquisque, religiosa sanctae christianitatis fide imbutus, quique in agro dominico boni operis semen studuerit seminare, is iuxta sui laboris exercitium centupliciter aeternam sit accepturus mercedem atque ineffabilem remunerationem. Quapropter ego Stephanus, licet indignus in canonica sanctae Matris Dominae Mariae Veronae sitae imbutus et educatus, sacerdotis quoque et cantoris fungens officii dignitate, hujus libelli opusculum, quod ex nostrorum antecessorum nuncupatione Carpsum vocatur, divina renovavi inspiratione; incipiens ab adventu Domini, ea quae sunt in sancta ecclesia ordinatim cantanda, quae pertinere cernuntur sencundum temporis qualitatem, tam in diurnis, quam in nocturnis officiis. In hoc ergo memorato opere quae congruenter addenda erant addidi, et quae superflua sollerter resecare studui; confisus in de certissime, non meis meritis, sed Dei misericordia aeternum me consecuturum bravium, quod sine fine constat mansurum» (c).
La nostra biblioteca capitolare ha altri codici importantissimi per la storia liturgica di questi secoli. L’Evangelarium porpureo era in uso nella nostra chiesa almeno dal principio del secolo IX: al secolo X appartiene il Sacramentarium sancti Wolfangi, al quale più tardi furono inserite alcune messe ad onore di S. Zeno: inoltre vi sono Processionales, Orationales, Lectionales, Penitentiales, Kalendaria, etc., tutti destinati all’uso liturgico della nostra chiesa.
Quanto alla coltura intellettuale del nostro clero, poche notizie abbiamo e malsicure dall’epoca di Raterio in poi, e tutto l’ambiente ci persuade che ben poco coltivati fossero gli studii letterari e sacri in quei secoli funesti. Sussisteva ancora la « Schola sacerdotum »; ma forse non più destinata esclusivamente all’istruzione (21).
Un certo Pacifico, detto Leneo, mansionario della cattedrale, nel secolo XI compose un Lexicon o Dizionario citato dal Panvinio. Probabilmente fu vescovo nostro quell’Adelberto o Aldegerio, che poco dopo la metà del secolo XI scrisse il trattato De studio virtutum. Contemporaneo fu Stefano cantore della cattedrale autore del Carpsum. Abbiamo anche nel medesimo secolo un Inno ad onore di sant’Ambrogio, che si trova nella nostra capitolare: l’autore si dice discepolo di Adelberto: siccome poi le iniziali dei versi formano acrosticamente «Maximianus », si ritiene che questo fosse il suo nome (22).
Sotto l’aspetto politico Verona ebbe molta importanza dalla metà del secolo X alla metà del secolo XII, per essere Verona media, come dice un cronista teutonico, tra la Bavaria e la Lombardia.
Per questa ragione vi si trovarono di spesso gli imperatori germanici. Oltre gli Ottoni nella seconda metà del secolo X, nell’aprile o maggio del 1004 vi entrò Enrico II vittorioso contro Arduino, ricevuto con onori regali da Tebaldo marchese e dal vescovo (di nome incerto): vi tornò pure nel 1014 e nel 1021.
Venne pure più volte e risiedette a Verona Corrado II; e così pure vi furono più volte gli imperatori Enrici, III, IV, V. La residenza ordinaria degli imperatori era presso i monaci di S. Zeno, dove convenivano spesso i grandi d’Italia e due celebri donne Beatrice e la sua figlia Matilde di Canossa.
Furono pure a Verona almeno tre papi 23: Benedetto VIII nel 1014, S. Leone IX nel Natale del 1050, Pasquale II nel 1106 invitato da Enrico V a recarsi in Germania per finire la lotta delle investiture (24).
Notiamo qui per incidens il terremoto del 7 gennaio 1117, che ci vien testificato da parecchi Annales; per causa di esso ruinarono diverse chiese e case in Verona e in tutta la Lombardia: insieme « maxima pars arenae cecidit »(25).
Chiudiamo questo capo ed insieme l’epoca seconda con una breve descrizione di Verona, quale ci è data da un buon cronista teutonico nell’anno 1090. Trovandosi a Verona nell’aprile di questo anno l’imperatore Enrico IV, venne a Verona per trattare direttamente con lui Gunthero vescovo di Citz; certamente il cronista venne insieme con lui:
« Hic (l’imperatore) eo tempore apud civitatem Bavariam et Longobardiam dividentem morabatur, quae a Latinis Verona, a teutonicis Berne nuncupatur. Hanc civitatem transmontanam (scrive un tedesco) Theodericus quondam rex Hunnorum, ut ab indigenis accepimus, primus condìdìt (26), et a situ et natura loci Veronam, scilicet a vere, vernali vocabulo iocundavit. Est enim locus aëre salubris, flumine iocundus, civium innumerositate refertus. A meridie, occidente et aquilone planicies spaciosissima per tres fere dietas extenditur; ab oriente montana coelo contigua aspiciuntur. In eadem civitate domum praegrandem extruxit, quae Romuleo theatro mire assimilatur. Haec per ostium intratur et exitur, et per gradus circumductos, cum sit mirae altitudinis, facile ascenditur. In qua dum multa millia hominum contineantur, singuli a singulis audiuntur et videntur. Ne quisquam conditoris huius incertus habeatur, usque hodie Theodorici domus appellatur» (27).
Aggiungiamo che alcuni veronesi presero parte alla prima crociata, come accenna Fulco: « Ouos Athesis pulcher praeterfluit Eridanusque … concurrunt Itali »(28). Tornati a Verona, a ricordo dei luoghi santi diedero nuovi nomi ad alcune località: Betlemme, Nazareth, Santo Sepolcro. Ma gli appellattivi Vallis dominica, Pratum dominicum, Mons olivetus, sono anteriori alle crociate: quest’ultimo si dice derivato da questo, che un dei nostri vescovi si fece incontro in quel luogo ad un imperatore con un ramoscello di olivo in mano (29).
NOTE
1 – Presso SIMEONI, La Basilica di S. Zeno in Verona, pag. 14.
2 – DA PERSICO, Verona e sua Provincia, pago 47, 142, Nota 26; SIMEONI, Op. cit., pag. 15.
3 – CIPOLLA, Compendio della storia politica di Verona, pag. 87.
4 – Presso CAVATTONI, Memorie intorno alla vita … di S. Zeno nei Documenti. – Secondo, gli Excerpta pubblicati da C. Cipolla la traslazione nella Chiesa di S. Maria Matricolare sarebbe avvenuta probabilmente nell’899. – CIPOLLA, Antiche cronache veron., pag. 483, 532 (Venezia 1890).
5 – Una strana devozione verso le reliquie dei santi suggerì verso la fine del secolo X agli abitanti delle Gallie meridionali il tentativo di uccidere S. Romualdo, perché ne restasse il corpo presso di loro; ROHRBACHER, Storia univ. della Chiesa, Libro LXI, Vol. VII, pag. 158. (Torino 1876); BUTLER, Vite dei Santi, al giorno 7 febbrajo.
6 – RATHERIUS, Opera, Invectiva in quosdam de transl. S. Metronis (Ed. Ball, pag. 301, seqq.).
7 – BIANCOLINI, Chiese di Verona, VIII,· Epilogo delle controversie tra i bergamaschi e veronesi sopra i sacri corpi dei SS. Fermo e Rustico, pag. V (Verona 1771).
8 – Non dovrebbe essere la cripta attuale, la quale sembra sia stata consacrata nel 1131: essa però conserva qualche capitello della precedente.
9 – Chronicon Benedictoburanum, . all’anno 1053, presso PERTZ, Monum. Germ., Script., IX, 226-228.
10 – Trattano del primo codice: BALLERINI, S. Zenonis Sermones, Praefatio, Num IV, V; (Ed. Veronae 1739); GIULlARI, S. Zenonis Sermones, Commento Cap. X, § 2. – Del secondo daremo un cenno più sotto.
11 – BALLERINI, Op. cit., Lib. 11, Tract. I, pag. 254.
12 – BALLERINI, Op. cit., Praejatio, Num. V; GIULlARI, Op. cit., pagg. 232, 237, 239, 241, 249, 253, 260, 265, 269, 271, 276, 294, 296.
13 – Da una rubrica del codice di Reims consta che anche in questa adunanza preparatoria si leggeva qualche sermone di S. Zeno; BALLERINI, S. Zenonis Sermones, pag. 242.
14 -Vedi Bollettino eccles. veron. 1916, pag. 14.
15 – Nel Bollettino eccles. veron., 1914, pag. 57.
16 – Bollett. cit., pag. 59.
17 – Presso GIULlARI, S, Zenonis Sermones, pag. 265, Nota a BALLER.
18 – GIULlARI, Op. cit., Commento praev., Cap. III, pag. XXXV; Bollett, eccl. veron., 1915, pag. 98.
19 – Quest’epoca è dimostrata da SPAGNOLO, Tre calendari medioevo veron., pag. 13, seg.
20 – MAFFEI, Istoria teolog., Append., Opusc. eccles., pag. 92. – Noi facciamo voti che qualche cultore delle cose nostre procuri al nostro clero la pubblicazione di un manoscritto tanto prezioso.
21 – Ad essa donarono beni Ingebaldo nel 981, Naldo nel 983, i coniugi Angloara e Paolo nel 987. De DIONYSIIS, De AIdone et Notingo, Docum., pag. 161, 166, 168.
22 – VENTURI, Storia di Verona, I, pag. 185; SORMANI-MoRETTI, La Provincia di Verona, III, 290. – L’Inno ad onore di sant’Ambrogio presso MURATORI, Rerum. ital. Script., II, P, II, 689.
23 – Sac. ANT; PIGHI, I Papi il Verona, pag. 13-15.
24 – A Verona il Papa si trovò chiusa la via per andar in Germania; perciò si rivolse alla Francia.
25 – Annales veteres, a. 1117, presso CIPOLLA, Ann. vet., pag. 2 (Estratto da Arch. Ver., IX, P. II).
26 – La notizia, che Verona e con essa l’arena siano state fabbricate da Teodorico, il cronista la raccolse «ab indigenis ».
27 – Chronicon Gozense (oggi Goseck), presso PERTZ, Monum. Germ., Script., X,149.
28 – FULCO, presso DUCHESNE, Rerum Francic., Tomo IV.
29 – BIANCOLINI, Chiese di Verona, II, pag. 736.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XIX (erroneamente XVIII nella stampa originale) a cura di A. Orlandi
(a) Pag. 307. – La bibliografia intorno alla basilica di S. Zeno si è notevolmente moltiplicata e certamente si accrescerà ancora. Qui citiamo alcuni lavori più ragguardevoli. W. ARSLAN, L’architettura romanica veronese, Verona 1939; A. DA LISCA, La basilica di San Zenone in Verona, Verona 1941; G. TRECCA, Facciata e cripta della basilica di S. Zeno, Verona 1941; P. GAZZOLA, San Zeno Bible des pauvres. Porte de bronze de V érone, Lausanne 1956. Vari volumetti sulla storia e l’arte della basilica zenoniana sono stati editi anche nella collana te Le Guide» di «Vita Veronese ».
(b) Pag. 310. – Anche Francesco Corna nel 1477 elencando nel suo Fioretto le reliquie conservate in S. Maria in Organo, riferisce che vi erano anche quelle di S. Anastasia. Cf. F. CORNA, Fioretto de le antiche croniche de Verona e de tutti i soi confini e de le reliquie che si trovano dentro in ditta citade. A cura di G. P. Marchi e P. P. Brugnoli, Verona 1973, p. 71.
(c) Pag. 313. – L’edizione del Carpsum fu data recentemente da G. G. Meersseman insieme con quella dell’orazionale dell’arcidiacono Pacifico. L’utile pubblicazione non ha con ogni probabilità esaurito gli aspetti di studio, che il Carpsum può offrire. G. G, MEERSSEMAN – E. ADDA – J. DESHUSSES, L’Orazionale dell’arcidiacono Pacifico e il Carpsum del cantore Stefano. Studi e testi sulla liturgia di Verona dal IX al XI secolo, Friburgo 1974.
Fonte: srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I