Mar 22 2014

GIOVANNI MATTEO GIBERTI: UN VESCOVO PROVVIDENZIALE

Category: Chiesa Veronese Storia Pighi,Libri e fontigiorgio @ 08:17

GianMatteoGiberti

 GIOVANNI MATTEO GIBERTI

 

 

VOLUME  II –  EPOCA  IV – CAPO  I

 

SOMMARIO. – La così detta Riforma. – Condizioni della chiesa veronese – G. M. Giberti creato vescovo di Verona – Suo vicario e suffraganeo: prima visita alla diocesi – Giberti a Verona – Liti coi canonici – Visite pastorali: riforma del clero secolare – Il clero regolare – Istruzione dei fedeli; riforma dei costumi – Precauzioni contro le eresie protestanti – Opere di carità – Le Constitutiones – La chiesa veronese restaurata – Morte del vescovo Giberti.

 

La così detta Riforma sorse in Germania verso gli anni 1518-1521.

Primo autore di essa fu Martino Lutero apostata dell’ ordine Agostiniano; il quale, presa occasione da una questione particolare, quella delle indulgenze, procedendo di passo in passo, negò il principio di autorità nella Chiesa, asserendo a tutti e singoli i fedeli il diritto di credere o non credere, e secondo il proprio arbitrio obbedire o non obbedire. Queste teorie attecchirono ben facilmente nelle menti dei fedeli in Germania; dove l’autorità della Chiesa era già scossa fin dalla prima metà del secolo precedente.  Coerentemente a questi principi l’evoluzionismo delle teorie riformistiche non avrà mai fine; ed i nuovi riformatori giustamente dissero se stessi Protestanti, essendo la Riforma una   protesta contro qualsiasi autorità della Chiesa. Dalla Germania le nuove teorie passarono gradatamente nei paesi limitrofi; e così si insinuarono anche nell’ Italia superiore verso gli anni 1525-1530. (a)

 

Verso i primordii della Riforma era vescovo di Verona il card. Marco Corner, il quale, ad imitazione di parecchi suoi antecessori, non risiedette quasi mai nella sua sede di Verona (1). Perciò il terreno sarebbe stato troppo ben disposto alle nuove dottrine; molto più che l’assenza dei vescovi indirettamente traeva seco la non residenza dei parroci e la mancanza di formazione e di istruzione nel clero ed una rilassatezza nella vita religiosa e morale dei fedeli. Fu una grazia speciale, che in momenti così pericolosi Dio mandasse a reggere la nostra chiesa un vescovo provvidenziale, quale fu Giovanni Matteo Giberti.

 

Appena morto il vescovo Marco Corner (24 luglio 1524), i buoni veronesi con lettera del  1 agosto supplicarono il doge Andrea Gritti, che si adoperasse per ottenere dal Papa un vescovo che risiedesse nella sua sede. Il doge scrisse subito al pontefice Clemente VII: il quale designò tosto a vescovo di Verona il suo Datario Giovanni Matteo Giberti; sacerdote insigne per pietà, scienza e prudenza, dell’ età di circa 29 anni.  Nella serie dei nostri vescovi egli è il vescovo centesimoquarto; e tenne la sede di Verona per circa 19 anni (1524-1543). (2)

 

La nomina del Giberti e, secondo Sommacampagna(3), la sua episcopale consecrazione, avvenne il giorno 8 agosto; nel giorno seguente, tanto il Pontefice, quanto lo stesso Giberti, notificarono la cosa al doge, e questi senz’altro la comunicò ai veronesi, i quali accettarono la notizia con un santo entusiasmo, ed attendevano ansiosamente il giorno, in cui il novello pastore fosse tra loro.

Anche il Giberti sospirava di venir quanto prima alla sua chiesa, e sperava di venirvi nell’ottobre; ma proprio allora il Papa lo mandava in Lombardia allo scopo di pacificare Carlo V e Francesco I,  od almeno ottenere da essi una tregua. Perciò verso la fine dello stesso mese mandò a Verona come suo vicario mons. Callisto de Amideis, e come suo suffraganeo mons. Antonio de Beccaris vescovo di Scutari, insieme col  P. Tommaso da Cajano domenicano. Questi arrivarono a Verona verso il 19 novembre, e tosto i capi del Consiglio dei XII vennero a presentar loro il dovuto omaggio e raccomandar loro il popolo veronese. (4)

 

Secondo le istruzioni avute dal Giberti, il vicario ed il vescovo suffraganeo pensarono tosto a fare una visita alle chiese della città e della diocesi; e, muniti di speciali facoltà dal vescovo e dal papa, la poterono eseguire nei due anni 1525, 1527. In base ad essa, prima ancora che il Giberti venisse a Verona,  nel 1 gennajo 1528 emanarono decreti ordinati a sopprimere alcuni abusi.

 

Intanto il Giberti non poté ancor assentarsi da Roma, parte a motivo delle guerre tra Carlo V e Francesco I,  parte per il nefasto 20 settembre 1526, e più ancora per l’esecrando 6 maggio 1627. In conseguenza di quest’ultimo delitto, egli stette rinchiuso nel palazzo della Cancelleria sino al 29 novembre; nel quale giorno, dopo aver ubbriacati i custodi, egli poté fuggir dalla prigione e a piedi recarsi dal pontefice Clemente VII, che si trovava ad Orvieto.  Ivi espose il suo desiderio di abbandonare definitivamente le cure politiche per dedicarsi tutto al ministero pastorale nella sua diocesi. Ottenuta la licenza, verso la fine di dicembre da Orvieto venne a Bologna, indi a Venezia, e finalmente a Verona, dove giunse verso la fine del gennajo 1528, ricevuto con onori solenni da tutta la cittadinanza(5).

 

Da quel giorno egli consacrò tutti i suoi pensieri e tutto se stesso a bene della sposa sua, quale egli chiamava la diocesi veronese; non avendo altro in mira che di farla santa. Primo mezzo ad uno scopo così sublime fu la vita intemerata e santa di lui, e la correttezza di tutta la casa sua, detta dagli scrittori contemporanei “monastero di osservantissima e regolarissima disciplina”.  Un amore singolare egli ebbe specialmente per i sacerdoti; “cum nos arbitremur solum has nostras delicias esse, si crebro cum  filiis et fratribus  nostris in vinea Domini cooperatoribus colloquamur” (6).

 

Però ben presto, sia per le relazioni del suo vicario e del vescovo suffraganeo, sia per esperienza propria, si avvide che nella diocesi v’ eran troppi e troppo gravi disordini, massime per parte del clero secolare e regolare.

 

Cominciando dalla cattedrale, v’ erano in essa due disordini: parecchi canonici teneano accumulati più benefici, ed in generale erano poco osservanti della residenza. Si aggiungeva che i canonici pretendevano d’essere esenti dalla giurisdizione del vescovo; e perciò il Giberti dovette avvalersi delle facoltà speciali a lui già date da Clemente VII col breve Cum sicut experientia del 23 maggio 1525.  Di qui nuovi dissapori e litigii: talché il vescovo dovette il 5 gennaio 1530 venire ad una transazione, che fu un puro accomodamento diplomatico, non una pace sincera e durevole(7): questa fu in qualche modo conchiusa in occasione dell’abboccamento del Giberti con Paolo III a Bologna nel settembre 1541: in conseguenza di esso il Papa diede il celebre breve Alias motu proprio, abbastanza indulgente verso i canonici; il qual breve fu dato “contemplatione Joannis Matthei Giberti”, e dovea valere solo durante l’episcopato di Giberti.

 

Affine di poter conoscere i bisogni della sua chiesa ed apporvi efficaci rimedi, il Giberti usò ripetutamente il mezzo delle visite, parte fatte da lui personalmente, parte per mezzo di delegati.

Nel principio del 1529 visitò le chiese ed i monasteri della città: altre ne visitò in città ed in diocesi nell’estate e nell’autunno del 1530: nell’anno seguente commise al suo vicario Filippo Stridonio (b) le chiese della città, a Lodovico Brayno quelle della campagna: parecchie, specialmente della città, ne visitò egli nel 1534; e si studiò di rinnovar queste visite quasi ogni anno. Gli atti delle visite fatte nel 1541, conservati nella Curia Vescovile, compongono tre grossi volumi. Frutto delle visite furono vari decreti particolari, massime per la residenza dei parrochi e l’ecclesiastica disciplina di tutti i sacerdoti; e specialmente le Constitutiones.

 

Attese pure con assiduità alla riforma del clero regolare e dei monasteri, maschili e femminili, massime con le visite: ma vi trovò ostacoli gravissimi. Vedendo che poco otteneva per la riforma dei religiosi chiamò a Verona due nuove istituzioni: quella  dei Teatini e quella dei Cappuccini.

Soppresse qualche monastero femminile: per riformare quello delle monache dette Maddalene, le sottrasse alla direzione dei Frati Minori di S. Fermo; qualche cosa ottenne, ma non quanto avrebbe desiderato, per l’opposizione di famiglie signorili alle quali appartenevano alcune di quelle monache. Nel 1539 pubblicò le Costituzioni per le monache.

 

Né potea il vescovo Giberti trascurare la restaurazione religiosa e morale dei fedeli. A questo dovea certo giovare la riforma del clero secolare e regolare: ma egli vi aggiunse alcuni mezzi speciali.

Un gran male del nostro popolo era l’ignoranza delle verità di fede e di morale, causata specialmente dalla mancanza di residenza dei parrochi. In questo punto insistette moltissimo nelle visite. Inoltre diede ordini severissimi, perché in ogni parrochia si impartisse ogni festa l’istruzione del catechismo e si tenessero le scuole della dottrina cristiana. Non trovando nella sua diocesi un uomo adatto a tale impresa, fece venire a Verona Tullio Crispoldo da Rieti: a lui commise di raccogliere le norme principali per l’istruzione religiosa dei giovanetti: in quindici chiese della città istituì le lezioni catechistiche, dirette ciascuna da un sacerdote priore e da un laico sotto-priore, con diversi maestri chierici e laici. Altrettanto ordinò che s’avesse a fare nelle chiese parrochiali della campagna.

 

V’erano altri mali tra i fedeli: la corruzione dei costumi, l’abbandono dei sacramenti, la bestemmia.

Ad estirpare simili disordini chiamò a Verona distinti predicatori da tutta l’Italia: dice il P. Castiglione che egli era «inquisitore dei buoni sacerdoti».  Uno dei più operosi fra questi fu mons. Pietro Carafa, il confondatore con S. Gaetano dei Chierici Teatini; il quale, venuto a Verona nel 1527, lavorò parecchi anni per il bene della nostra chiesa.

Per ravvivare quanto fosse possibile una vita sinceramente e francamente cristiana, ordinò che in ogni parrocchia si istituisse la Compagnia del SS. Sacramento, e che tutti i fedeli si impegnassero «ad assumendum Dominum Jesum pro socio et confratre»(8). Per estirpare il vizio della bestemmia, oltre l’opera di santi predicatori, domandò ed ottenne dalla Repubblica severissime disposizioni repressive (c).

 

Intanto un nuovo pericolo sovrastava alla chiesa veronese dalle idee riformistiche della Germania, che già penetravano nelle regioni settentrionali dell’Italia. Quanto il Giberti siasi adoperato per rimuovere questo pericolo, possiamo anzitutto dedurlo da quanto egli fece contro la Riforma, sia quale diplomatico pontificio, sia quale membro attivissimo delle commissioni istituite dai pontefici in opposizione alla pseudo-riforma protestante.

Appena vide appressarsi il pericolo alla sua chiesa, fermo nella massima di S. Paolo «Quomodo praedicabunt, nisi mittantur?», ancora l’11 febbraio 1530 emanò un severissimo editto «contra praedicantes sine licentia»: indi il 10 aprile con l’editto «contra haereticos» ordinò sotto gravissime pene che si dovesse denunziare a lui od al suo vicario chiunque osasse dire che Lutero è cattolico, od impugnasse l’autorità del sommo Pontefice, o negasse qualsiasi dottrina insegnata dalla Chiesa: rinnovò poi e confermò questo editto nel 1541 e nelle Constitutiones.

Così per lo zelo prudente del vescovo Giberti, la nostra diocesi fu immune dagli errori luterani, come attestò il conte Ludovico Nogarola a Pietro Lippomano successore del Giberti nel discorso a lui tenuto nel suo solenne ingresso a vescovo di Verona. Sappiamo che taluni mossero qualche dubbio sulla perfetta ortodossia del Giberti: ma è un’accusa così poco fondata, che non merita d’esser discussa in Cenni storici.

 

Né il Giberti, mentre dedicava se stesso al bene spirituale del clero e dei fedeli, trascurava le necessità economiche, a cui potessero soggiacere gli indigenti.

Fin dal primo anno della sua venuta a Verona, insieme con mons. Ludovico Canossa e col conte Provolo Giusti, si adoperò per l’erezione dell’ Ospedale della Misericordia presso la chiesa di Sant’Agnese; e ne affidò la cura ai Chierici Teatini.

Restaurò materialmente e moralmente il Conservatorio delle Convertite presso la chiesa della SS. Trinità, coadiuvato da S. Girolamo Emiliani; e così pure l’altro Conservatorio presso la chiesa di Ognissanti. Anche per l’opera del Monte di Pietà contribuì molto in vita e nel suo testamento.

Ma l’opera principale del Giberti, opera tutta sua e sua creazione, fu la Compagnia della Carità, istituita a sollievo spirituale e corporale dei veri indigenti(9); con essa egli preveniva in Verona quella istituzione cristiana, che si chiama delle Conferenze di S. Vincenzo de Paoli. (d)

 

Opera, diremo così, classica del vescovo Giberti sono le Constitutiones. Egli per lo studio dei sacri canoni e per la perspicacia del suo ingegno ben conosceva quali fossero i sacrosanti doveri del sacerdozio; ed insieme per le sue visite fatte alla diocesi ben conosceva quanto da quei doveri fossero alieni una gran parte dei sacerdoti con detrimento religioso e morale dei fedeli. Coadiuvato da  mons. Pietro Caraffa, si studiò  di ripristinare la vita sacerdotale nei suoi sacerdoti mediante le Constitutiones stese verso l’anno 1536, e poi approvate dal Papa Paolo III col breve Constitutiones dato il 25 maggio 1542: del merito di queste Constitutiones basti dire che esse furono ricercate da molti vescovi coevi e posteriori e furono stimate dai Padri del Concilio di Trento a tal segno, che secondo esse furono redatte molte costituzioni dello stesso Concilio (10).

 

Vorremmo pur dire degli immensi vantaggi venuti alla chiesa veronese per il regime, pur troppo breve, del vescovo Giberti: ma il lavoro sarebbe troppo lungo per i nostri Cenni storici ne tratteremo diffusamente nella monografia.

 

Nel 1543 il Giberti da Paolo III fu mandato a Trento, (e) perché ivi disponesse i preparativi del Concilio e poi prendesse parte al Concilio stesso: ma Dio disponeva diversamente.

Verso la metà dell’ anno per malore contratto il Giberti credette bene tornare alla sua Verona. Quivi si ritirò nella villa urbana di Nazareth: il malore si andò  aggravando di giorno in giorno; e la mattina del 30 dicembre, dopo aver ricevuto divotamente il santo viatico, il nostro vescovo andava a ricevere la corona dovuta ai suoi meriti con immenso cordoglio dei buoni veronesi.

 

 

NOTE

 

 

1 – Vedi, Epoca terza, Capo XX;

 

2 – Allo scopo di non interrompere i nostri Cenni Storici, diamo qui, non una narrazione, ma una breve recensione delle opere principali del Giberti nel regime della chiesa veronese; rimettendo i lettori per una più ampia relazione di esse, e per quanto egli fece, sia come diplomatico papale, sia come vindice della fede contro le nuove eresie, alla monografia su Gian Matteo Giberti, che stiamo pubblicando a parte.

 

3 – SOMMACAMPAGNA, Storia della Chiesa Veronese,  Ms. della Biblioteca Comunale Busta 112.

 

4 – DALLA CORTE,  Delle istorie di Verona. Libro XIX

 

5 – DALLA CORTE, Op. cit., Lib. XIX

 

6 – Presso UGHELLI, Italia sacra, Tom. V, col. 963-978

 

7 – Presso UGHELLI, Op. cit.  col. 978.

 

8 – Nelle, Constitutiones Tit. V. Cap. VII, (p. 71 ed. Ballerini).

 

9 – BAGATTA, Storia degli spedali in Verona, pag. 487, segg. (Verona 1862)

 

10 – L’Edizione più corretta è quella data dai BALLERINI in Jo.  MATTHEI GIBERTI Episcopi Veronensis Opera  pag. 1-78 (Veronae 1733, Hostiliae 1740)

 

 

ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. I (a cura di Angelo Orlandi)

 

 

a) Mons. Pighi ha cercato di schematizzare qui le linee del Protestantesimo, che in realtà si presentavano molto più complesse, anche se qualcuno dei novatori le enunciava in termini assai violenti che manifestavano a tutta evidenza gli errori. Chi vuol approfondire l’argomento, potrà ricorrere ad ‘opere più vaste di storia della Chiesa, dove troverà anche indicazioni di monografie specializzate. Indichiamo: Storia della Chiesa dalle origini ai nostri giorni (iniziata da A. Fliche e V. Martin e quindi diretta da J.-E. Duroselle ed Eugène Jarry. ed. italiana), Torino 1957-1975, voll. 28;  – Nuova Storia della Chiesa (sotto la direzione di L.J. Rogier, R. Aubert, M.D. Knowles), Torino, 1970-1979, voll. 5; – Storia della Chiesa (diretta da Hubert Jedin). Traduzione dal tedesco, Milano, 1976-1980, voll. 10 (in 13 tomi)

 

b) Filippo Stridonio non fu in effetti Vicario Generale, se non per qualche periodo e piuttosto verso gli ultimi anni; certo il Giberti si servì di lui, ma resta da precisare con quali poteri. Mons. A. Fasani, che mi ha fornito questa indicazione, potrà darcene una fisionomia più completa nell’ opera che sta preparando sulle visite pastorali del Giberti .

 

c) Cf. R. BRENZONI, La bestemmia e le sue sanzioni negli antichi documenti veronesi, Verona 1923, pp. 16.

 

d) Cf. O. VIVIANI, La riforma sociale del vescovo C.M. Giberti, in Zenonis Cathedra, Verona 1955, pp. 85-110.

 

e) Per notizie più complete si veda H. JEDIN, Storia del Concilio di Trento.

Vol. I:  La lotta per il Concilio, Brescia 1973. Per la personalità e l’opera del Giberti si indicano anche questi studi: A. GRAZIOLI, Cian Matteo Giberti, vescovo di Verona, precursore della riforma del Concilio di Trento, Verona 1955, pp. XI-3-182; A. PROSPERI, Tra evangelismo e Controriforma. C.M Giberti (1495-1543), Roma 1969, pp. XXV-342; G. LEALI, Visite pastorali di C.M Giberti nella zona bresciana (1524-1543) in Brixia Sacra n.s. X (1975); A. FASANI, Aspetti pastorali nelle visite di Gian Matteo Giberti nella diocesi di Verona, estr. da Eremiti e pastori della Riforma cattolica nell’Italia del ‘500, s.l., s.d. (Atti del VII Convegno del Centro di Studi avellaniti. Fonte Avellana 31 agosto – 2 settembre 1983).

 

 

Fonte:  srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume II

 

 

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