Apr 30 2014

MUSSOLINI E GLI EBREI: LA SVOLTA ANTIEBRAICA ITALIANA DEL 1938

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di Gianfredo Ruggiero

 

Le leggi razziali italiane del 1938 furono, senza alcuna ombra di dubbio, una vergogna nazionale la cui responsabilità ricade interamente su Mussolini e su quanti, per ignavia o servilismo, nulla fecero per evitarle.

 

Il rispetto per le vittime della discriminazione razziale non può e non deve però impedirci di affrontare l’argomento con il dovuto distacco e la necessaria serenità di giudizio.

 

Per troppi anni la storia è stata viziata da preconcetti e comodi schematismi che ci hanno portati lontano dalla verità. La stessa storia del popolo ebraico è costellata di stragi e persecuzioni a causa di un pregiudizio – accusa dei cattolici di aver ucciso Gesù – cui se ne sono aggiunti altri nel corso dei secoli: usura, internazionale ebraica per dominare il mondo attraverso il controllo delle economie nazionali, devianza sessuale per la pratica della circoncisione definita un patto con Cristo attraverso il pene, ecc..

 

Hitler in definitiva non ha inventato nulla, ha semplicemente portato alle estreme conseguenze, in modo raccapricciante e disumano, quell’antiebraismo figlio del pregiudizio ancor oggi presente e che viene da lontano.

Daniel Goldhagen nel suo libro “I volenterosi carnefici di Hitler”(1)afferma che la persecuzione ebraica fu resa possibile grazie alla attiva partecipazione o, quantomeno, all’indifferenza se non addirittura alla compiacenza di buona parte della popolazione tedesca; che a essere antisemiti non erano solo Hitler ed i suoi seguaci, bensì larghi strati della società.

 

Tale avversione nei confronti degli ebrei la troviamo radicata anche in altre nazioni, in particolar modo in Francia e in Polonia.

 

In Italia la situazione era invece del tutto diversa. Come hanno riconosciuto autorevoli storici del calibro di George L. Mosse, docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, l’autore de “La Nazionalizzazione della Masse”(2), la più completa opera sul fenomeno dei totalitarismi contemporanei, Renzo De Felice, il più profondo conoscitore della storia degli ebrei sotto il fascismo e il rabbino Elio Toaff nel suo libro “essere ebreo”(3) tra i Paesi europei l’Italia è uno di quelli che meno ha conosciuto il razzismo.

 

A differenza del nazionalsocialismo che trae la sua essenza nella purezza della razza (razzismo biologico di origine illuminista e darwiniana), il Fascismo non fu ideologicamente razzista.

 

Nella carta di Piazza San Sepolcro del 1919, vero e proprio manifesto ideologico cui s’ispirò il Fascismo nelle sue tre fasi – movimento, regime e sociale – di razzismo non vi è traccia.

 

Mussolini stesso ebbe a dichiarare in più occasioni che in Italia non esisteva una questione ebraica e guardò con sufficienza alle teorie hitleriane. Nel ’34 a Bari il Duce afferma:

«trenta secoli di storia ci permettono di guardare con sovrana pietà talune dottrine di oltr’Alpe…»

 

Che nel bagaglio ideologico e culturale del Fascismo non vi fosse alcuna forma di discriminazione a sfondo razziale lo dimostra la presenza di ben cinque ebrei tra i partecipanti alla fondazione dei Fasci di Combattimento (embrione del futuro Partito Nazionale Fascista) del 23 marzo 1919; ebreo era il milanese Cesare Goldman che offrì a Mussolini la celebre sala di Piazza San Sepolcro; la partecipazione alla Marcia su Roma di molti ebrei e l’iscrizione al Partito Fascista fino al 1933 – data dell’ultimo censimento – di oltre diecimila ebrei(4). Senza contare la presenza ebraica in tutti i settori dell’economia e della vita pubblica e politica italiana fino ai primi mesi del 1939.

 

Il “Manifesto degli intellettuali fascisti” del 1925, redatto dal filosofo Giovanni Gentile, veniva sottoscritto da ben trentatré esponenti della cultura di religione ebraica.

 

Diversi ebrei occuparono posti di grande rilievo nelle strutture e nelle Istituzioni
del Regime basti pensare, solo per citarne alcuni, a Margherita Sarfatti che fino al 1936 diresse la rivista ufficiale del Fascismo “Gerarchia” e autrice della biografia di Mussolini “DUX”, a EttoreOvazzadirettoredel giornale “La nostra Bandiera” punto di riferimento dell’ebraismo fascista.

 

Nel suo governo, Mussolini si circondò di una massiccia presenza di ebrei: Aldo Finzi, sottosegretario agli Interni, ex aviatore della “Serenissima” di D’Annunzio (fondamentale fu il suo contributo alla nascita dell’aeronautica militare italiana), squadrista, deputato e membro del Gran Consiglio del Fascismo;  Guido Jung fu a capo del Ministero delle Finanze dal 1932 al 1935, volontario  nella guerra di Abissinia nonostante i suoi 65 anni di età; Maurizio Rava, anch’egli ebreo, fu vicegovernatore della Libia e generale della Milizia Fascista; Paolo Orano, uno dei padri del giornalismo italiano e rettore dell’Università di Perugia (morirà nel 1945 nel campo di concentramento anglo-americano di Padula dove era internato con altri fascisti); Giuseppe Toeplitz, direttore della Banca Commerciale e finanziatore del giornale di Mussolini «Il Popolo d’Italia». Ebreo era anche il prefetto Dante Almansi, che fu vice capo della polizia e Capo di Gabinetto durante il ministero Jung. L’ebreo Giorgio Del Vecchio, ordinario di Diritto Internazionale, diventa il primo rettore fascista dell’Università di Roma.

 

Tra i primi caduti della rivoluzione fascista figurano gli ebrei Gino Bolaffi, Bruno Mondolfo e Duilio Sinigaglia. Molti altri parteciparono con entusiasmo alla guerra di Spagna come il generale Alberto Liuzzi che si meritò la medaglia d’oro.

 

Molti furono gli ebrei italiani che parteciparono volontari alla guerra d’Africa. La vittoria e la proclamazione dell’impero furono salutate dalla stampa ebraica con vero entusiasmo. La conquista dell’Etiopia fu sentita non solo come una questione nazionale, ma anche come un fatto ebraico, dal momento che nella zona presso Gondar e il lago Tana viveva una popolazione di razza cuscitica e di religione giudaica, i falascià.

 

I rapporti tra istituzioni ebraiche – che godettero d’ampia autonomia – e regime fascista furono sempre improntati al reciproco rispetto.

 

Diversi furono i colloqui tra Sacerdoti, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, e Mussolini che portarono, ad esempio nel campo dell’insegnamento, all’istituzione di sezioni elementari ebraiche nelle scuole comunali e alla modifica dei manuali di religione ad uso dei bambini ebrei nelle scuole statali.

 

La legge Falco del 1930 sulle comunità israelitiche italiane, voluta da Mussolini per salvaguardare il patrimonio artistico, storico e culturale ebraico, fu accolta con grande favore dagli ebrei italiani.

 

Artisti, registi e scrittori ebrei, molti dei quali profughi dalla Germania, poterono liberamente lavorare nell’Italia fascista senza alcuna preclusione(5).

 

Significativa fu la partecipazione di Mussolini al congresso ebraico sionista svoltosi, non a caso in Italia, a Milano alla fine del 1928.

 

Apprezzamento per l’attenzione nei confronti degli ebrei  venne dal periodico sionista “Israel” che riconosceva soddisfatto(6):

«dopo dieci anni di regime fascista, il ritmo spirituale della vita ebraica in Italia è più intenso, anzi assai più intenso di prima»

 

Altra vicenda poco nota riguarda la nascita della marina dello Stato d’Israele avvenuta con il supporto dell’Italia(7).

 

Nell’Ottobre del 1934 a seguito di un accordo tra Mussolini, impegnato a sostenere il nascente stato ebraico, e il leader sionista Jabotinsky, giungono a Civitavecchia i primi 28 allievi ufficiali ebrei per essere addestrati alla Scuola Marittima; nei tre anni successivi i diplomati saranno quasi 200. Sulle uniformi portano un’ancora, la Menorah (il candelabro a sette bracci) e il fascio littorio e nelle cerimonie ufficiali salutano a braccio teso, come ha ricordato Avram Blass, successivamente divenuto Ammiraglio della Marina Israeliana.

 

La formazione dei quadri della futura Marina ebraica conferma i buoni rapporti che si istaurano fra il Duce e il movimento sionista mondiale presieduto da Chaim Weizmann (il futuro primo presidente dello Stato d’Israele).

 

Quando, con l’ascesa al potere di Hitler, riprese vigore in tutta Europa il mai sopito antiebraismo, l’Italia fascista, a differenza delle democratiche Francia e Inghilterra che si chiusero a riccio rifiutandosi di ospitare gli ebrei nei loro confini e nelle loro colonie, aprì le sue frontiere(8).

 

Fu creato un organismo ad hoc – il comitato di assistenza agli ebrei in Italia – che permise a circa diecimila profughi provenienti da Germania, Polonia, Ungheria e Romania di trovare rifugio nel nostro Paese; altri 80 mila ebrei poterono emigrare in Palestina e in altre nazioni  grazie alla collaborazione delle autorità italiane.

 

Dal porto Trieste gli ebrei emigranti viaggiavano su navi del Lloyd triestino che concedeva loro sconti fortissimi, fino al 75%(9).

 

Mussolini, per un certo periodo, abbozzò anche l’idea di costituire in Etiopia, colonia italiana dove viveva tutelata dal Governo italiano una folta comunità di falascià (ebrei africani), l’embrione della futura nazione ebraica.

 

Uniche voci dissonanti di un certo rilievo provenivano da Giovanni Preziosi e dalla sua rivista “La vita italiana”, il cui antisemitismo si collocava nella tradizione cattolica (non a caso Preziosi era un ex sacerdote) e da Telesio Interlandi che attraverso le pagine del “Tevere” riproponeva i luoghi comuni dell’antiebraismo classico. Argomenti che, in ogni caso, ebbero scarsa presa sull’opinione pubblica italiana e ancor meno considerazione da parte della cultura fascista(10).

 

Improvvisamente (in verità qualche accenno vi fu nel corso dell’anno precedente) nel 1938, a seguito di una deliberazione del Gran Consiglio del Fascismo del 6 ottobre, furono emanate le famigerate e mai tanto deprecate leggi razziali la cui essenza tuttavia, essendo di natura spirituale, mirava ad emarginare gli ebrei senza perseguitarli, contrariamente a quanto avveniva in Germania, in Europa orientale e, in maniera strisciante, in alcune democrazie occidentali.

 

Va evidenziato che l’opinione pubblica, soprattutto quella cattolica, non fu del tutto ostile al quel provvedimento considerate le 360 firme apposte al “Manifesto per la difesa della Razza” da parte di intellettuali e scienziati di estrazione cattolica ed anche di autorevoli esponenti della Chiesa e del cattolicesimo come il fondatore dell’Università cattolica Padre Agostino Gemelli, Luigi Gedda, storico presidente dell’Azione Cattolica e il futuro leader democristiano Amintore Fanfani.

 

In definitiva tale provvedimento, che oggi ci appare aberrante, all’epoca fu accolto con indifferenza quasi fosse un fatto normale, a causa di quel diffuso antisemitismo e razzismo ben radicati in tutti i paesi occidentali (non dimentichiamoci che negli stessi anni in America i neri erano pesantemente discriminati e organizzazioni paramilitari razziste come il Klu Klux Klan ampiamente tollerate).

 

Le leggi italiane per la tutela della razza oltre ad essere blande, se confrontate con le legislazioni di Germania e poi di Francia, prevedevano numerosissime eccezioni (parenti di caduti per la Patria, partecipanti alla marcia su Roma, meriti militari e civili, ecc.). In alcune sue parti furono inoltre volutamente ignorate, come ad esempio il mai applicato divieto di matrimoni misti.

 

Nella sua sintesi la legislazione razziale italiana mirava ad escludere gli ebrei dalla funzione pubblica e da alcune professioni come quella di notaio e a porre limitazioni di principio come quella che vietava agli ebrei benestanti di avere al loro servizio ariani (ben più pesanti erano le limitazioni imposte ai neri, in quegli anni e in quelli successivi, da parte della democratica America).

 

Gli ebrei che abbandonarono l’Italia in quel periodo, pur potendolo fare (non vi era alcuna limitazione alla libera circolazione. Tutti, tranne i sorvegliati speciali, avevano in tasca il passaporto e potevano usarlo quando volevano) furono ben pochi. Furono infatti solo personalità di rilievo a lasciare il nostro Paese, a dimostrazione di come i provvedimenti razziali non intaccarono in profondità la vita della comunità ebraica la quale accettò – seppur obtorto collo – le limitazioni imposte.

 

Non vi furono emigrazioni di massa, anche perché gli ebrei italiani non avrebbero saputo dove andare, considerato ciò che avveniva nel resto d’Europa e il netto rifiuto ad accoglierli da parte delle Nazioni cosiddette democratiche, Inghilterra in testa.

 

Durante la guerra, nonostante le pressanti richieste da parte tedesca, Mussolini si rifiutò sempre di consegnare gli ebrei italiani ai nazisti e diede disposizioni per attuare nelle zone controllate dall’esercito italiano (Tunisia, Grecia, Balcani e sud della Francia) vere e proprie forme di boicottaggio per sottrarre gli ebrei ai tedeschi (era sufficiente avere un lontanissimo parente italiano, spesso inventato, per ottenere la cittadinanza italiana e sfuggire in questo modo alla deportazione).

 

Fino a quando Mussolini ebbe il pieno controllo dell’Italia, questo fino al 25 luglio del 1943, nessun ebreo fu deportato in Germania.

 

Solo successivamente con la Repubblica Sociale Italiana essendo, di fatto, l’Italia centro settentrionale diventata un protettorato tedesco, i nazisti poterono imporre facilmente la loro volontà fatta di rastrellamenti e deportazioni. Ma, a differenza di altri paesi occupati, come ad esempio la Francia di Vichy, dove i tedeschi poterono attuare il loro programma di persecuzione degli ebrei con il pieno appoggio delle autorità locali (che superarono per zelo gli stessi nazisti), in Italia i tedeschi dovettero provvedere in prima persona per la ferma opposizione del governo fascista che negò sempre la sua collaborazione.

 

La partecipazione dei fascisti ai rastrellamenti degli ebrei fu, infatti, sporadica e opera di formazioni irregolari che sfuggivano ad ogni controllo.

 

La Risiera di San Sabba a Trieste, unico campo di concentramento di ebrei in Italia fu, non a caso, istituito e gestito totalmente dai tedeschi.

 

Lo storico israelita Léon Poliakov, fondatore del Centro di Documentazione Ebraica di Parigi, nel suo libro “Il nazismo e lo sterminio degli ebrei” (pagine 219, 220) afferma:

«Ovunque penetrassero le truppe italiane, uno schermo protettore si levava di fronte agli ebrei  (…). Appena giunte sui luoghi di loro giurisdizione, le autorità italiane annullavano le disposizioni decretate contro gli ebrei ( …). Un aperto conflitto si determinò tra Roma e Berlino a proposito del problema ebraico»

 

Il procuratore generale al processo contro il gerarca nazista Eichmann Gideon Hausner(11). nella sua  relazione introduttiva afferma:

«La Nazione più cara a Israele è l’Italia: per quello che le autorità civili, diplomatiche e militari hanno fatto per sottrarre alla deportazione masse di ebrei di Francia, Grecia, Croazia; per l’atteggiamento assunto dalla popolazione verso gli ebrei stessi italiani, per l’aiuto dato ai rifugiati ebrei d’ogni parte d’Europa che furono concentrati in varie direzioni geografiche. Passare nella zona italiana, tanto in Grecia che in Francia, era andare verso la salvezza».

 

Il docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse, nel suo libro “Il razzismo in Europa”, a pag. 245 scrive:

«Il principale alleato della Germania, l’Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo (…). Ovunque, nell’Europa occupata dai nazisti, le ambasciate italiane protessero gli ebrei in grado di chiedere e ottenere la nazionalità italiana.

Le deportazioni degli ebrei cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini, quando i tedeschi occuparono l’Italia»

 

Dopo molte insistenza da parte tedesca Mussolini, nel 1942, si decise a firmare il nullaosta per la deportazione in Germania degli ebrei jugoslavi.

 

Appena il Ministro tedesco Von Ribbentrop fu partito da Roma il Duce convocò il generale Robotti e gli confidò:

«È stato a Roma per tre giorni e mi ha tediato in tutti i modi il Ministro Ribbentrop che vuole a tutti i costi la consegna degli ebrei jugoslavi. Ho tergiversato, ma poiché non si decideva ad andarsene, per levarmelo davanti, ho dovuto acconsentire, ma voi inventate tutte le scuse che volete per non consegnare neppure un ebreo. Dite che non abbiamo alcun mezzo di trasporto per portarli sino a Trieste via mare, dato che via terra non è possibile farlo»

 

Così avvenne: mai un ebreo, di qualsiasi nazionalità fosse, fu consegnato ai tedeschi con la collaborazione delle autorità italiane.

 

E’ vero che molti italiani, fascisti e non, fecero opera di delazione e contribuirono attivamente per consegnare gli ebrei ai nazisti, spesso per motivi personali, ma è altrettanto vero che moltissimi altri italiani, fascisti e non, si adoperarono per salvarli, rischiando per questo la loro vita.

 

Purtroppo la proverbiale e provata generosità del nostro popolo è spesso contraddetta da episodi di pura cattiveria e grande meschinità.

 

Cosa indusse Mussolini ad imboccare la strada dell’antiebraismo che portò alla espulsione degli ebrei dagli incarichi pubblici e a negare loro molti diritti civili, è ancora oggi oggetto di discussione tra gli storici onesti.

 

Scartata la tesi marxista della contiguità ideologica con il nazismo che, come abbiamo visto, è totalmente priva di fondamento(12), quella più accreditata fa riferimento all’alleanza con la Germania e al conseguente influsso nefasto che le teorie di Rosenberg ebbero sul finire degli anni trenta anche in Italia e che andarono a rinfocolare il mai sopito antisemitismo di matrice cattolica.

 

Altra probabile causa fu l’avversione dell’internazionale ebraica verso il nazismo e, di riflesso, verso il fascismo (nonostante le proteste degli ebrei italiani contrari a quella sorta di Fatwa(13)) e, infine, il tentativo di porre un freno al fenomeno del meticciato esploso nelle colonie italiane.

 

Non è un caso che le leggi razziali furono promulgate ben 16 anni dopo la presa di potere di Mussolini a conferma che per l’Italia fascista la presenza ebraica nel nostro Paese non costituiva alcun problema.

 

Fin qui l’Italia. Proviamo ora ad allargare lo sguardo e a vedere cosa accadeva nel resto del mondo negli stessi anni.

 

La Svezia, ad esempio, nello stesso periodo inviò in Germania una delegazione del suo Parlamento per studiare la legislazione razziale tedesca e, insieme a Norvegia e Danimarca, attuò una politica eugenetica che portò tra il 1934 e il 1976 alla sterilizzazione coatta di oltre 200.000 persone, ritenute geneticamente pericolose per la purezza della razza(14).

 

Gli Stati Uniti tra 1899 e il 1979 costrinsero con la forza oltre 65.000 uomini e donne soprattutto immigrati  a sottoporsi alla sterilizzazione per il miglioramento della razza e per contenere i costi di assistenza sociale(15).

 

Da notare che mentre nei paesi cosiddetti democratici si obbligavano le donne emarginate e disadattate a sottoporsi alla sterilizzazione e si vietavano perfino i matrimoni tra “adatti e inadatti”, l’Italia fascista non solo bandiva tale pratica, ma istituiva un sistema di protezione sociale a sostegno della maternità e l’infanzia, soprattutto per le classi meno abbienti.

 

In Sud Africa gli Afrikaner, i bianchi di origine europea, attuarono la segregazione razziale rimasta in vigore fino al 1994.

 

L’America nello stesso periodo proseguiva imperterrita nella sua politica di sterminio dei nativi e di rigida separazione razziale nei confronti dei neri. Si dovettero attendere gli anni sessanta per vedere abrogate queste odiose misure razziste per le quali nessuno mai pagò, neppure davanti al tribunale della storia.

 

Stalin, non pago di aver massacrato milioni di contadini russi (Kulaki) contrari alla collettivizzazione forzata e altrettanti oppositori politici eliminò, come ha documentato lo storico russo Arkaly Vaksberg nel suo libro “Stalin against Jews”, non meno di 5 milioni di ebrei. Di questi ebrei, appunto perché perseguitati e uccisi dai comunisti si è, ovviamente, persa la memoria.

 

Un capitolo a parte riguarda le responsabilità dei vincitori: America, Inghilterra e Russia sapevano, vedevano e lasciavano fare.

 

La Germania sul finire della guerra era ridotta ad un ammasso di rovine ad opera dei bombardamenti alleati, ma le linee ferroviarie, tra cui il  tristemente famoso binario 21 da dove partivano i vagoni carichi di ebrei per i campi di concentramento, rimanevano inspiegabilmente intatte e neppure un solo campo di prigionia fu volutamente colpito dalle bombe che giorno e notte martellavano ogni angolo della Germania (tranne il lager di Buchenwald colpito per errore, dove trovò la morte sotto le macerie delle bombe alleate Mafalda di Savoia)(16).

 

Come dimostrato da una inchiesta di Rainews24 condotta da Angelo Saso attraverso documenti inediti degli archivi americani e testimonianze di protagonisti dell’epoca, gli alleati sapevano tutto. Infatti tra l’inizio di aprile del 1944 e il 27 gennaio del 1945 il campo di concentramento di Auschwitz fu fotografato dai ricognitori alleati non meno di 30 volte.

 

Eppure l’ordine di bombardare le vie ferroviarie e d’accesso ad Auschwitz e agli altri campi di concentramento, azione che avrebbe evitato la morte di moltissimi altri esseri umani, non fu mai dato. Evidentemente la salvezza degli ebrei non era nelle priorità degli alleati.

 

In precedenza i tentativi di espatrio degli ebrei dalla Germania nazionalsocialista furono sempre violentemente contrastati dalle Nazioni democratiche(17).

 

Come ci ricorda lo storico e giornalista Filippo Giannini, Roosevelt fece intervenire la U.S. Navy per impedire con la forza l’approdo sulle coste statunitensi di un piroscafo carico di ebrei partiti da Amburgo. Churchill minacciò di silurare a Sulina, nel Mar Nero, un altro carico di ebrei in navigazione verso la Palestina. Nel febbraio del 1942 lo “Struma”, una nave di profughi ebrei proveniente dalla Romania, si vide rifiutare dagli inglesi il permesso di sbarcare, e, respinta anche dai turchi, affondò nel Mar Nero: 770 persone annegarono(18).

 

Nella Terra Promessa gli inglesi fucilavano e impiccavano gli ebrei riottosi per scoraggiare ulteriori sbarchi.

 

Poco nota è anche la vicenda della famiglia di Anna Frank che cercò inutilmente rifugio negli Stati Uniti. Fra il 30 aprile e l’11 dicembre 1941 Otto Frank, il padre di Anna, scrisse ripetutamente a parenti, amici e alti funzionari americani spiegando che era pronto ad «ogni sacrificio» pur di riuscire a superare l’Oceano Atlantico, ma in ogni occasione la risposta fu negativa. Osserva al riguardo Richard Breitman, storico dell’American University.

«Il tentativo di emigrazione verso gli Stati Uniti accomuna i Frank a migliaia di ebrei europei ed in particolare tedeschi che trovarono le porte sbarrate dalle leggi dell’epoca»

 

Dopo la fine della guerra i “liberatori” decretarono la nascita di Israele, scaricando di fatto sui palestinesi il peso delle loro responsabilità per non aver fatto nulla per evitare la persecuzione nazista del popolo ebraico e per aver rifiutato con la forza di accettare i profughi ebrei in fuga dalla Germania. A differenza dell’Italia fascista che si adoperò per accoglierli e proteggerli.

 

Tornando alle leggi razziali del 1938, queste furono indubbiamente un fatto deprecabile, sarebbe però moralmente ingiusto e storicamente sbagliato non riconoscere che se molti ebrei scamparono ai campi di concentramento ed ebbero salva la vita lo devono proprio a lui, a Mussolini.

 

Gianfredo Ruggiero

 

 

Note                                                                                                                      

 

(1) Ed. Mondadori, 1996.

 

(2) Ed. il Mulino, Bologna 1975.

 

(3) Ed. Einaudi, Torino 1993. ed. Bompiani, Milano 1996, pag. 134.

 

(4) Renzo De Felice : Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo. Ed. Einaudi, 1993, Torino.

 

(5) Osserva Maurizio Cabona in un lungo articolo del marzo 2013 dal titolo “fascisti, neofascisti, postfascisti ed ebrei”: «l’Italia fascista è stata più ospitale di varie democrazie con gli esuli dalla Germania nazionalsocialista, ebrei o non ebrei, e con le loro opere. Nel 1933 Max Reinhardt rappresenta a Firenze il “Sogno di mezza estate” e nel 1934 a Venezia “Il mercante di Venezia”; negli stessi anni “L’opera da tre soldi” di Bertolt Brecht va in scena sotto il titolo “La commedia dei ladri” per la regia di Anton Giulio Bragaglia; nel 1934 Walter Gropius partecipa all’ufficialissimo Convegno Volta di Roma sul teatro drammatico; nel 1939 il regista Max Neufeld gira e firma a Roma tre film di successo (dopo, lavorerà sotto pseudonimo). A partire dal 1933 soggiornano o si stabiliscono in Italia Stefan Andres, Walter Benjamin, Franz Blei, Rudolf Borchardt, Paul Oskar Kristeller, Alfred Neumann, Saul Steinberg, Veit Valentin, Franz Werfel, Karl Wolfskehl e un ragazzino promettente, Edward Luttwak. Prima dell’autunno 1938, sul mercato librario italiano ci sono oltre cento titoli di esuli, due terzi dei quali pubblicati dopo il 1933: di Alfred Doeblin, Lion Feuchtwanger, Erich Kaestner, Heinrich e Thomas Mann, Joseph Roth, Arnold e Stefan Zweig (cfr. Klaus Voigt, “Il rifugio precario”, La Nuova Italia, vol. I, 1993; vol. II, 1996; Giorgio Fabre, “L’elenco”, Zamorani, 1998)

 

(6) Arrigo Petacco: L’uomo della Provvidenza, Mussolini ascesa e caduta di un mito, Oscar Mondadori, 2004, Milano.

 

(7) Mario Veronesi, “La Marina di David” .www.storiain.net.

 

(8) Nel 1935 con l’autorizzazione del Governo e il contributo economico dell’industriale di Prato Giulio Forti, furono acquistate tre fattorie in Toscana per la preparazione agricola degli ebrei tedeschi che poi dovevano stabilirsi in Palestina. Analoghe iniziative si ebbero in altre località italiane.

 

(9) R. De Felice : Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo. Ed. Einaudi, 1993, Torino, pag. 116.

 

(10) Telesio Interlandi fu per 20 anni il direttore del giornale il Tevere a cui collaborarono, fra gli altri, Luigi Pirandello, Emilio Cecchi, Ungaretti, Cardarelli, Vitaliano Brancati, Alberto Moravia, Elio Vittoriani, Ardengo Soffici, Julius Evola e Umberto Barbato e, dal ’36, Giorgio Almirante poi divenuto redattore capo.

 

(11) Di Gideon Hausner vedasi il libro “Sei milioni di accusatori”. Ed. Mondadori, 2010.

 

(12) De Felice afferma che le differenze ideologiche tra i due regimi sono ben maggiori delle affinità. “Per Hitler il razzismo è ragione di vita, per Mussolini una mossa tattica dettata dal mutamento nei rapporti di forza internazionali”, sintetizza Meir Michaelis in “Mussolini e gli ebrei” (Comunità, 1982).

 

(13) Il 24 marzo del 1933, tre mesi dopo l’elezione di Hitler alla Cancelleria del Reich, il Congresso Ebraico Americano dichiarò la guerra economica e finanziaria alla nuova Germania e il totale embargo dei prodotti tedeschi al fine di strangolarne l’economia. Il governo tedesco reagì, attuando come rivalsa, il 1° aprile del 1933 il boicottaggio di un giorno dei negozi ebraici in Germania. Da notare che gli ebrei tedeschi, soprattutto quelli sionisti, mal digerirono il boicottaggio delle merci tedesche voluto dell’Internazionale Ebraica.

 

(14) In Svezia, tra il 1934 e il 1996, sono stati sterilizzati prevalentemente handicappati, malati mentali e asociali, delinquenti, minoranze etniche, indigeni di razza mista e prostitute, tutti accusati di pesare sull’assistenza pubblica e di essere portatori di malattie e di stili di vita dagli alti costi sociali. La sterilizzazione coattiva è rimasta in vigore fino al 1976, anno in cui una nuova legge rende obbligatorio il consenso degli interessati. La Svezia è stato il primo paese a fondare, nel 1921, un Istituto statale di biologia razziale. Gianni Moriani “ il secolo dell’odio” ed. Marsilio Padova, 1999.

 

(15) È del 1907 la prima legge che autorizza la sterilizzazione forzata nello stato dell’Indiana, segue nel 1909 la California, che, con una legge ulteriore del 1913, prevede la sterilizzazione dei pazienti degli ospedali psichiatrici e delle prigioni. http://www.cinziaricci.it/resistenze/galleria06-note.htm.

 

(16) Alcuni campi di concentramento furono comunque bombardati, come il lager di Buchenwald dove trovò la morte sotto le macerie Mafalda di Savoia, ma come effetto collaterale o per errore e non per precisa volontà degli alleati.

 

(17) Degna di nota è la collaborazione tra Gestapo e alcuni movimenti ebraici sionisti come il Mossad e l’Irgum di Abraham Stern per favorire l’emigrazione degli ebrei e dei loro averi verso la Palestina. In effetti il Governo tedesco aveva tutto l’interesse a sbarazzarsi degli ebrei e lo stesso interesse a lasciare la Germania lo avevano gli ebrei nazionalisti (sionisti) che vedevano nella Palestina la loro Nazione, fortemente contrastati in questo dagli inglesi. – Ingrid Weckert e Marck Weber: “Sionismo, Nazionalsocialismo ed emigrazione ebraica”. Ed. Effepi 2011 Genova.

 

(18) Paul Johnson, Storia degli ebrei, pag. 582.

 

 

 

 

Fonte: srs di Gianfranco Ruggiero, da l’ Excalibur del 11 gennaio 2014

Link: http://excaliburitalia.wordpress.com/2014/01/11/mussolini-e-gli-ebrei/

 

2 Risposte a “MUSSOLINI E GLI EBREI: LA SVOLTA ANTIEBRAICA ITALIANA DEL 1938”

  1. gianni sartori scrive:

    Intervista a Paolo Finzi (della redazione di “A, Rivista Anarchica”)
    (Gianni Sartori)

    Con Paolo Finzi, ebreo ateo (precisa) e anarchico, abbiamo parlato di antisionismo. “Una questione che – ci spiega – generalmente procede in parallelo con l’antisemitismo da cui trae alimento”, ben sapendo, ovviamente, che il termine viene usato in modo improprio. Giornalista, saggista, unico superstite della originaria redazione di “A, Rivista Anarchica”, militante storico della sinistra libertaria (amico personale, tra gli altri, di Giuseppe Pinelli, Fabrizio De Andrè e Don Gallo), Finzi si è occupato nell’ultimo ventennio anche del fenomeno delle persecuzioni, soprattutto di quelle passate e presenti contro Rom e Sinti. Nel 2006 ha prodotto il doppio DVD con libretto “A forza di essere vento. Lo sterminio nazista degli Zingari”. Da anni tiene conferenze (molte nelle scuole) sulla multiculturalità, le persecuzioni, la Memoria. Recentemente presso la comunità cattolica alle Piagge (Firenze), chiamato da don Alex Santoro.

    Quale differenza tra antisemitismo e antisionismo, termini spesso usati in maniera indifferenziata?

    Premetto che non mi considero un esperto in senso accademico e che le mie riflessioni sono in gran parte legate al mio vissuto. Sorvoliamo pure sul fatto che il termite “semita” viene utilizzato in maniera etimologicamente errata e prendiamo atto che ormai “antisemita” è sinonimo di antiebraico. Mentre l’antisemitismo è un problema storico di vecchia data legato all’esistenza plurimillenaria degli ebrei, l’antisionismo ovviamente è un fenomeno più recente, successivo alla nascita del sionismo nel XIX secolo. Il sionismo si definisce nell’ambito dei movimenti ottocenteschi di liberazione e di costituzione nazionale. Con la differenza (rispetto per esempio al Risorgimento) che si applica ad un popolo disperso in vari paesi e non per propria scelta. Un popolo da riunificare, su principi di libertà e convivenza civile, nella prospettiva della realizzazione di una entità nazionale. Quindi anche l’antisionismo è relativamente giovane, circa un secolo e mezzo. Oggi i due termini si confondono, soprattutto dal 1948 quando nacque lo Stato di Israele, in un contesto e con modalità che i tanti antisionisti attuali ignorano o vogliono ignorare (il che è lo stesso).
    Mi si consenta una battuta. Israele è l’unico posto al mondo dove “uno sporco ebreo è solo un ebreo che non si lava”. Rende l’idea del perché, nonostante l’estrema frammentazione (politica, religiosa, di nazionalità, ecc.), tra Ebrei e Israele esista un rapporto così intenso, profondo… D’altra parte val la pena ricordare che molti Ebrei prima della nascita dello Stato di Israele erano contrari al sionismo (vedi il Bund, grande sindacato dell’Europa Centro-Orientale). Dopo la nascita di Israele, essere antisionisti assume un altro significato, il che non significa approvare tutto quello che fanno i governi israeliani.

    Soprattutto a sinistra (ma anche in certa “destra radicale”) l’antisionismo si presenta come anticolonialista, una scelta di campo a fianco degli oppressi. Questo atteggiamento, a suo avviso, è sempre autentico o talvolta maschera un razzismo antiebraico di fondo?

    Ritengo che molta gente parli senza ben conoscere le cose di cui si occupa. Spesso chi si definisce antisionista non conosce i termini della questione. Si vede in Israele il luogo della confluenza degli Ebrei dopo la seconda guerra mondiale e si da per scontato il carattere anti-arabo e anti-palestinese di questa presenza. Come se gli Ebrei avessero imposto all’Europa (in preda ai sensi di colpa) la costituzione di questo stato a scapito dei Palestinesi. In base a questa lettura l’antisionismo diventa l’opposizione al colonialismo israeliano. Dopo la Guerra dei sei giorni (1967) in particolare abbiamo assistito ad un mutamento politico di gran parte della sinistra italiana (all’epoca rappresentata soprattutto dal PCI) che divenne ostile nei confronti di Israele, spesso mischiando la critica alla politica dei vari governi con la negazione della legittimità dell’insediamento “sionista”,
    Va anche aggiunto che lo stesso sionismo, rispetto alle origini ottocentesche, si è modificato. La questione è molto complessa, densa di problemi. Basti pensare a quanti interessi economici sono in gioco in quell’area, non solo il petrolio. Al di là dei singoli episodi (come quello recente in Francia) dovrebbe preoccupare la sua vasta presenza nella società. Da un certo punto di vista l’ignoranza, i pregiudizi, l’opinione che gli Ebrei sono “una setta che pensa a fare soldi”, ecc. e tutti gli altri stereotipi diffusi a livello popolare possono essere più nocivi di Le Pen o del pazzo di turno che compie una strage. Esiste un continuum sociale che in determinate circostanze parte dalla piccola intolleranza o insofferenza quotidiana e arriva fino all’odio generalizzato e fa accettare tutto, anche le camere a gas.

    Il sionismo, la “questione ebraica”, così come la “questione palestinese” in alcuni paesi arabi, talvolta sono sembrati il pretesto per distogliere l’opinione pubblica dai problemi interni. La sua opinione?
    In Europa gli Ebrei, così come Sinti, Rom e altre minoranze o soggetti “deboli” (v. gli albanesi negli anni ’90, i rumeni nell’ultimo decennio…), sono stati spesso utilizzati per coprire le contraddizioni di un paese. A conferma delle teorie che il “nemico interno” al potere serve sempre. Ovviamente è sempre meglio utilizzare quelli con un ruolo ormai consolidato di “diversi”, non-assimilabili, vittime predestinate. E gli Ebrei, sia per la loro perdurante esistenza che per la loro volontà appunto di non assimilazione, si prestano ottimamente. Non si dovrebbe dimenticare che in molti paesi tra i vari filoni dell’antigiudaismo ha giocato un ruolo rilevante anche quello di matrice cristiana.
    Mi piace altresì sottolineare che negli ultimi tempi ci sono stati passi avanti da parte delle istituzioni ecclesiastiche. Così come, nel corso della storia e soprattutto durante le persecuzioni ad opera dei nazifascisti ci sono sempre stati frequenti esperienze di dialogo e solidarietà da parte di singoli credenti e religiosi.
    Mia madre, ebrea e socialista, partigiana combattente, a Roma, ricercata dai nazisti, riparò in un convento cattolico e lì fu protetta.
    Gianni Sartori

    nda Sicuramente molti compagni avranno da ridire sulle opinioni espresse da Paolo Finzi in merito allo stato di Israele. In ogni caso la sua è una campana che va ascoltata, altrimenti il “pensiero unico” che scaraventiamo fuori dalla porta poi rientra dalla finestra (o viceversa, non ricordo).

    nda Con il termine sionismo si indica un movimento sorto nel 1882 per “riportare a Sion” gli Ebrei della diaspora. La nascita coincide con una recrudescenza delle persecuzioni nella Russia zarista e con la fondazione a Varsavia del gruppo Chovevè Sion. Risale allo stesso periodo la fondazione della prima colonia ebraica in Palestina e la diffusione di Autoemancipazione, pubblicato da Lev Pinsker a Odessa. Determinante l’impegno di Theodor Herzl per ottenere garanzie giuridiche internazionali a favore degli insediamenti ebraici. Nel 1897 Herzl convocò il primo congresso sionista dando origine alla Zionist Organization (Organizzazione sionista) e al Jewish National Fund (Fondo nazionale ebraico). L’immigrazione divenne più consistente a seguito della “dichiarazione Balfour” del 2 novembre 1917 con cui il ministro britannico si impegnava a favorire la costituzione di una sede nazionale ebraica. Tra i nuovi immigrati era prevalente una componente operaia rappresentata da partiti e movimenti come Poalé Zion (Operai di Sion) e Hapoel Hatsair (“Il giovane operaio”). Nel 1919 nasceva Ahdrut Haavoda (“Unità del Lavoro”) da cui in seguitò si staccò il Partito comunista di Palestina. Su posizioni di destra, il Partito sionista revisionista fondato nel 1924 da Vladimir Jabotinsky. Nel 1931 la milizia giovanile di questo partito, Betar, divenne l’Irgum Zwai Leumi, responsabile dell’attentato al King David Hotel (luglio 1946) e del massacro di Deir Yassin (aprile 1948). Nel novembre 1947 l’Onu approvò un piano di spartizione della Palestina. Allo scadere del mandato britannico, 15 maggio 1948, il comitato esecutivo controllato dai dirigenti sionisti si trasformò nel governo provvisorio della neonata nazione israeliana.
    G.S.

  2. Gianni Sartori scrive:

    1944-2014: a settanta anni di distanza, un ricordo di
    SARA CHE NON VOLEVA MORIRE…

    (Gianni Sartori)

    Ci sono storie che insegui inconsapevolmente per anni, o forse sono quelle storie che ti inseguono…
    Una prima volta ne avevo sentito parlare circa trenta anni fa. Un giro in bici, una sosta nella piazzetta di un paese mai visto prima, un casuale incontro con un’anziana che aveva assistito ai fatti di persona. Mi parlò di un evento all’epoca poco conosciuto (“obliterato”), su cui poco pietosamente veniva steso un velo di silenzio: la deportazione in una antica villa padronale di Vò Vecchio (Villa Contarini-Venier) di un gruppo di ebrei rastrellati nel Ghetto di Padova (dicembre 1943). E mi accennò ad un episodio ancora più inquietante, il tentativo di una bambina (forse spinta dalla madre) di nascondersi in una barchessa per evitare la definitiva deportazione (luglio 1944).
    Qualche anno dopo (sempre casualmente) raccolsi altri particolari da una parente, forse una nipote, dell’anziana ormai scomparsa. La bambina sarebbe stata riportata ai tedeschi il giorno dopo, forse per timore di rappresaglie. Fatto sta che emerse nel racconto una precisa responsabilità delle Suore Elisabettiane (incaricate di occuparsi della cucina del campo di concentramento) nel “restituire” Sara agli aguzzini. Ricordo che il controllo del campo di Vò Vecchio, uno dei circa 30 istituiti dalla R.S.I. di Mussolini, era affidato a personale di polizia italiano (presenti anche alcuni carabinieri). Invece la lapide sulla facciata della villa in memoria di quanti non ritornarono (posta soltanto nel 2001) ne parla come di un evento avvenuto “durante l’occupazione tedesca” senza un accenno alle responsabilità del fascismo italiano.
    Il tragitto dei 43 Ebrei da Vò Vecchio verso la soluzione finale è ormai noto e ben documentato. La macchina burocratica funzionava alla perfezione e la pratica di ognuno dei deportati proseguì regolarmente grazie a decine di anonimi complici, esecutori senza volto.
    Fatti salire su due camion, vennero prima richiusi nelle carceri Padova e poi inviati a Trieste, nella Risiera di San Sabba. Tappa definitiva, Auschwitz.
    Quanto alla bimba, si chiamava Sara Gesses (doveva avere sei o sette anni, ma alcune fonti parlano di dieci) e, questo l’ho saputo solo recentemente, venne riportata a Padova con la corriera (quella di linea) dal comandante del campo in persona, Lepore (in alcuni scritti viene definito “più umano” rispetto al suo predecessore). Anche al momento di salire sulla corriera Sara si sarebbe ribellata, avrebbe pianto, gridato, forse scalciato. Vien da chiedersi come il zelante funzionario abbia poi potuto convivere con il ricordo di questa creatura condotta al macello. Ma in fondo Lepore non era altro che una delle tante indispensabili rotelline dell’ingranaggio, un cane da guardia addomesticato, servo docile incapace di un gesto sia di ribellione che di compassione. Pare che un maldestro tentativo di giustificarsi sia poi venuto da parte delle suore che dissero di aver agito in quel modo “per riportarla insieme alla mamma”. L’ipocrisia a braccetto con la falsa coscienza.
    In precedenza, insieme ai genitori, la bambina era stata catturata vicino al confine con la Svizzera durante un tentativo di fuga e quindi riportata nel padovano. Sembra anche che la madre riuscisse a farla scivolar fuori dal finestrino di un’altra corriera, quella che dal carcere di Padova stava portando i prigionieri a Trieste. Purtroppo invano. Sara venne immediatamente ripresa dagli sgherri nazifascisti.
    In Polonia la maggior parte dei 47 deportati (tra cui Sara) venne immediatamente “selezionata” per le camere a gas. Solo una decina venne momentaneamente risparmiata e di questi solo tre sopravvissero.
    Sara che non aveva incontrato nessun “giusto” sul suo cammino venne avviata alla camera a gas appena scesa dal convoglio 33T sulla rampa di Birkenau, nella notte tra il 3 e il 4 agosto agosto 1944.
    La sua “morte piccina” (come quella della bambina di Sidone cantata da De André) rimane un delitto senza possibile redenzione, ma di cui dobbiamo almeno conservare la memoria.
    Gianni Sartori (settembre 2014)

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