Una lingua è un dialetto con alle spalle un esercito e una flotta
Dr. Roberto Bolognesi – Università di Groningen (Paesi Bassi) Matteo Incerti – Giornalista pubblicista
INTRODUZIONE:
Nelle proposte che qui presentiamo, ci siamo prefissi l’obiettivo di indicare, in base a criteri il più possibile tecnici, le lingue minoritarie presenti nel territorio dello Stato italiano.
Comunque, rispetto al problema della distinzione fra lingue e dialetti, è importante precisare da subito che una simile distinzione è, oltre certi limiti, tecnicamente impossibile, oltreché politicamente pretestuosa. Citiamo in proposito le parole di Guido Barbina: “Tralasciamo, perchè puramente accademico e a volte fuorviante il pretestuoso problema della differenziazione fra lingua e dialetto: una simile distinzione, peraltro impossibile, non ci porterebbe certamente a chiarire il problema di una corretta classificazione dei casi di difformità linguistica italiani”.
Al contrario del convincimento diffuso fra i profani, quando un linguista parla del “dialetto X della lingua Y”, non sta descrivendo un rapporto fra due entità linguistiche collegate gerarchicamente, ma sta solo cercando di risparmiare le molte parole che gli occorrerebbero per ripetere che si sta riferendo ad un certo sistema linguistico X, il quale per comodità si può indicare come varietà socialmente e/o geograficamente delimitata di una famiglia di idiomi sufficientemente omogenea da poter essere indicata, sempre per comodità, come lingua Y.
Da un punto di vista strettamente tecnico, in effetti, il dialetto X si può altrettanto giustificatamente definire come lingua in quanto sufficientemente definito e circoscritto, mentre la lingua Y andrebbe più giustamente definita come famiglia di dialetti Y.
Queste definizioni, però, non tengono conto del fatto che nessuna lingua, neppure la parlata di in un piccolo villaggio di montagna, costituisce un sistema interamente omogeneo: i giovani parlano in un modo almeno leggermente diverso dagli anziani, e così le donne rispetto agli uomini, e così pure le diverse classi sociali tendono a differenziarsi linguisticamente. Questa situazione già molto fluida anche a livello strettamente locale si complica enormemente quando si prendono in considerazione i diversi dialetti, cioè quelle varietà della lingua che vengono usate in territori distinti. Tenendo conto di questa realtà, quindi, anche la somma di tutti queste parlate locali e sociali si può altrettanto giustificatamente definire come lingua: una famiglia di dialetti che condividono una serie di caratteristiche, escludendone invece altre. La decisione di quali siano le caratteristiche che distinguono una lingua dall’altra è comunque sempre almeno in parte arbitraria, perchè le lingue appartengono a loro volta a famiglie linguistiche formate da lingue simili, spesso confinanti e aventi un’origine comune. Nella pratica succede spesso che per comodità si usino definizioni geografiche di lingue e dialetti, anziché strettamente linguistiche. Tecnicamente, perciò, i termini lingua e dialetto sono, se non perfettamente equivalenti, certamente interscambiabili e il loro uso non implica nessuna precisa distinzione genetica e/o gerarchica. Meno che mai viene sottinteso un giudizio di valore.
Quando usa il termine dialetto, perciò, un linguista non fa altro che avvertire il lettore o l’ascoltatore che sta restringendo la sua attenzione ad una serie limitata di fenomeni linguistici che sono presenti in una data varietà (poco o punto conosciuta), e assenti dalle varietà strettamente collegate della stessa lingua (invece già nota). Per esempio, definendo il sestese come dialetto campidanese meridionale del sardo, si fornisce immediatamente una serie di informazioni sull’altrimenti indefinita lingua parlata nel villaggio di Sestu (prov. di Cagliari)..
L’uso dei termini lingua e dialetto che invece si fa in politica implica un rapporto gerarchico fra le due entità e un giudizio di valore: la lingua sarebbe qualcosa di superiore al dialetto; il dialetto una forma degenerata, o comunque inferiore, della lingua. Quest’uso linguisticamente infondato dei due termini è il risultato di una scelta politica molto comune che restringe l’uso del termine (titolo onorifico, verrebbe da dire) lingua alla lingua ufficiale dello stato, applicando agli altri idiomi la qualifica di dialetti. Il linguista norvegese Einar Haugen ha provocatoriamente illustrato questa distinzione pseudo-linguistica con le seguenti parole: “Una lingua è un dialetto con alle spalle un esercito e una flotta“.
In termini leggermente più neutri possiamo dire che in politica solitamente si concede la dignità di lingua agli idiomi di chi dispone di mezzi di pressione sufficienti a farsi riconoscere come comunità etnico-linguistica distinta da quella maggioritaria.
Una volta ottenuto lo status di lingua (e i relativi finanziamenti), anche gli idiomi minoritari possono venire dotati di tutti quegli strumenti, esterni ai sistemi linguistici stessi, che caratterizzano le lingue ufficiali degli stati: una norma standard, grammatiche e dizionari redatti in modo professionale, l’insegnamento nelle scuole, lo sviluppo di testi prestigiosi, l’uso in occasioni e documenti ufficiali.
Contrariamente a quanto si pensa normalmente, questi strumenti sono la conseguenza, e non la causa, dello status ufficiale di una lingua. I dialetti ne sono privi unicamente a causa della debolezza politica e/o economica delle comunità linguistiche in cui vengono parlati.
Nel preparare questo documento sulle diverse lingue minoritarie parlate oggi nel territorio dello Stato italiano, abbiamo rifiutato la distinzione pseudo-linguistica fra lingue e dialetti. Abbiamo invece suddiviso i diversi idiomi in due gruppi, in base alla loro posizione politica: da un lato, quelli la cui diversità e specificità rispetto all’italiano vengono già riconosciute a livello internazionale e sono in via di riconoscimento da parte dello Stato italiano, e dall’altro quelli che ancora oggi vengono totalmente negati e discriminati da parte dello Stato, ma che a livello regionale e anche da parte di studi internazionali vengono riconosciuti come lingue, cioè come sistemi linguistici ben distinti dall’italiano.
In pratica, dalla nostra analisi risulta che tutti i cosiddetti dialetti italiani sono lingue distinte, e non dialetti dell’italiano. Fatta eccezione per il toscano e il romanesco, i cosiddetti dialetti italiani sono tutti lingue che si sono sviluppate in modo autonomo e diverso rispetto al fiorentino che ha costituito la base per l’italiano standard: il piemontese e il napoletano, per esempio, non meno che il sardo e il friulano
1. LE LINGUE IN VIA DI RICONOSCIMENTO DA PARTE DELLO STATO ITALIANO
Nella realtà politica italiana l’uso spregiudicato delle arbitrarie definizioni di lingua e dialetto è servito finora ad aggirare l’articolo XX della Costituzione che prevede la tutela delle minoranze linguistiche. I diritti linguistici delle minoranze sono finora stati elusi etichettando come dialetti, anziché come lingue, tutti gli idiomi minoritari che non godono della tutela di uno stato confinante dell’Italia: in pratica, tutte le lingue minoritarie meno il francese, il tedesco e lo sloveno, la cui tutela è stata garantita da trattati internazionali.
Oggi, per fortuna, l’atteggiamento verso le minoranze etnico linguistiche sta cambiando anche in Italia. La Camera dei Deputati ha approvato un provvedimento (legge n. 196), che aspetta ora l’approvazione del Senato (legge n. 3336), riguardo alla valorizzazione di un primo gruppo di lingue regionali e minoranze etnico-linguistiche.
Questa legge costituisce un passo importante per le lingue riconosciute e prevede l’introduzione del bilinguismo nelle istituzioni e nel sistema educativo, ma discrimina ancora altre lingue regionali, arbitrariamente escluse dal provvedimento. Nel testo originale del provvedimento esisteva un articolo della legge, il n. 169, che prevedeva un futuro allargamento delle lingue riconosciute dando di fatto potestà legislativa in materia alle Regioni e non più allo Stato. Ma l’azione politica dei Deputati di Alleanza Nazionale, che ha trovato su questo punto la convergenza di Deputati dell’opposizione di Centrodestra ed anche di ampi settori della maggioranza di Centrosinistra, ha fatto sì che questo articolo della legge fosse eliminato dal testo definitivo.
Rispetto a questo punto, riteniamo molto grave la decisione negare alle Regioni il diritto ad autodefinirsi come rappresentanti legittime delle minoranze etnico-linguistiche del proprio territorio. È stato adottato invece ancora una volta il principio della Ragion di Stato, per cui è la maggioranza a disporre a proprio piacimento dei diritti delle minoranze. Per negare i diritti delle minoranze, pur riconosciuti dalla Costituzione, è ancora sufficiente per la maggioranza negare l’esistenza di queste: in pratica basta continuare a definire le lingue minoritarie come dialetti.
Come esempio dell’arbitrarietà di questa situazione valga il caso del sardo: fino al 1995 il governo italiano parlava di dialetti sardi, negandone la dignità linguistica, due anni dopo veniva approvata dal governo la legge regionale n. 26/97 sulla lingua sarda. Linguisticamente in Sardegna non era cambiato nulla, ma in Italia era cambiata la maggioranza di governo.
LE COMUNITÀ ETNICO-LINGUISTICHE RICONOSCIUTE DALLA LEGGE N. 169
Albanesi – 98. 000 persone che vivono nelle regioni meridionali e precisamente in Calabria, Sicilia, Puglia e Abruzzo.
Sud Tirolesi – 290. 000 persone che vivono nella Provincia Autonoma di Bozen- Bolzano (65,43% della popolazione residente in Sud Tirolo). Queste persone parlano il tedesco.
Carinziani – 2. 000 persone che vivono nella Provincia di Udine in Friuli (0,38% della popolazione locale della Provincia di Udine)
Carnici – 1. 400 persone che vivono in Provincia di Belluno nel Veneto (0,66% della popolazione locale della Provincia di Belluno)
Catalani – 18. 000 persone che vivono nella città di Alghero in Sardegna, che hanno origini catalane e parlano il catalano.
Croati – 2. 600 persone che vivono nella Regione del Molise (0,79% della popolazione residente in quella Regione)
Franco-Provenzali-Valle d’Aosta – Circa 90. 000 persone che vivono nella Regione Autonoma della Valle d’Aosta ed in Piemonte. Le comunità più numerose vivono nella città di Aosta (60% della popolazione residente) e a Torino (0,89% della popo lazione cittadina).
Francofoni della Valle d’Aosta – 20. 000 persone in Valle d’Aosta (17,33% della popolazione residente nella Regione Autonoma della Valle d’Aosta).
Friulani – 526. 000 persone che vivono nella Regione Autonoma del Friuli. Questo gruppo etnico rappresenta il 56,32% della popolazione residente in Friuli. La Regione Friuli ha una propria legge per la valorizzazione della Lingua Friulana e diverse amministrazioni locali, tra le quali quella di Udine, hanno approvato con la sola contrarietà o astensione dei gruppi dei CCD del Friuli (democristiani conservatori) e di Alleanza Nazionale, iniziative che attuano il bilinguismo.
Greci – 20. 000 persone che vivono nella Provincia di Reggio Calabria (0,89% della popolazione residente) e nella Provincia di Lecce, Puglia (1,88% della popolazi- one della provincia di Lecce).
Ladini – 55. 000 persone che vivono tra il Trentino, il Sud Tirolo e la Provincia di Belluno, nel Veneto. I Ladini rappresentano in provincia di Bolzano il 4,19% della popolazione locale, in Provincia di Trento l’1,69% e in Provincia di Belluno il 10%. Per le elezioni che si svolgono nel Trentino-Sud Tirolo esiste una speciale normativa approvata nel 1998 che assegna al gruppo Etnico Ladino una propria rappresentanza politica elettiva.
Occitani – 178. 000 persone, delle quali 50. 000 circa parlano regolarmente la lingua occitana. Gli Occitani sono residenti nella Provincia di Cuneo, nella Regione Piemonte (4,19% della popolazione residente), nella provincia di Torino e in quella di Imperia, Liguria. A livello culturale, il mondo occitano negli ultimi anni sta vivendo una “nuova primavera” con iniziative, concerti, pubblicazioni. Questi progetti vengono realizzati anche con l’aiuto di fondi comunitari.
Sardi – 1.269. 000 persone che vivono e risiedono nella Regione Autonoma della Sardegna e rappresentano il 77,48% della popolazione dell’Isola. La Regione Sardegna sta attuando, negli ultimi anni, diversi piani per sviluppo di una forma standard scritta, tutelando al tempo stesso tutte le varianti locali della Lingua Sarda. Progetti per l’insegnamento del Sardo sono avviati dalle Province e da diversi Comuni.
Sloveni – Circa 70. 000 persone che vivono nella città di Trieste (9,6% della popolazione) nella provincia di Gorizia (8% della popolazione) e di Udine (3% della popolazione)
Walser, Cimbri, Mocheni – La valorizzazione di questi gruppi etnolinguistici germanici avviene tramite la protezione del gruppo etnico Germanico residente nel Sud Tirolo, nonostante queste Comunità non siano residenti su quel territorio. I Walser risiedono in Valle d’Aosta e Piemonte nelle Provincie di Vercelli e Novara, i Cimbri in Veneto (Verona e Vicenza) e Trentino (Trento) e i Mocheni nella Provincia autonoma di Trento.
*Valorizzazione linguistica e culturale delle Comunità Zingare di Sinti e Rom
In un primo tempo diverse proposte di legge, prevedevano la valorizzazione anche dei 130.000 cittadini di etnia Rom e Sinti. Ma successivamente la legge è stata cambiata, in quanto la maggioranza dei deputati del Parlamento italiano non ha ritenuto che sussistessero le condizioni per il riconoscimento, in quanto mancava un riferimento di questa cultura ad un territorio specifico. Le Comunità Zingare infatti seguendo le proprie tradizioni non sono stanziali ma in maggioranza nomadi.
2. LE LINGUE DISCRIMINATE DALLO STATO ITALIANO
Veneto
La Lingua Veneta, parlata nella Regione del Veneto è tra quelle discriminate e “tagliate” da parte dallo Stato italiano, che la classifica erroneamente come un dialetto dell’italiano.
Secondo una ricerca del 1998 dell’Istat (l’Istituto Statistico italiano) in Veneto il 52% degli abitanti del Veneto parla questa lingua, che per mille anni fu la lingua della Serenissima Repubblica di Venezia. (il 52% parla principalmente veneto, anziché italiano? Anche a me risulta, ma cosa vuoi dire?)
Nel marzo 1995 la Giunta Regionale del Veneto su iniziativa dell’allora assessore Ettore Beggiato (oggi consigliere regioanale di Veneti d’Europa) pubblicò un “Manuale della Grafia Veneta Unitaria”.
Diverse amministrazioni comunali del Veneto poi adottano il bilinguismo veneto-italiano nei propri atti. Nelle ultime legislature della Regione Veneto, sono state presentate da più gruppi, svariate iniziative a sostegno della lingua veneta ed una mozione per il riconoscimento è stata presentata il 20. 5. 1998 con primo firmatario Ettore Beggiato.
Una variante della Lingua Veneta, il Talian, parlato da centinaia di migliaia di discendenti veneti in Brasile, è stata decretata, per una settimana, lingua ufficiale in Serafina Correa, Stato del Rio Grande do Sol, Brasile.
La lingua Veneta, di natura italo-romanza viene classificata lingua propria nettamente distinta dall’italiano standard (toscano) in diversi studi internazionali come l’Unesco Red Book of Endangered Languages (1993-1996) del professor Tapani Salminen Università di Helsinky e l’Ethnlogue, Languages of the World, 13° Edizione, pubblicato negli Stati Uniti d’America dal Summer Institute of Linguistics.
La lingua madre di diverse importanti personalità del passato, come l’esploratore Marco Polo o lo scrittore Carlo Goldoni, non era certo l’italiano-standard ma il Veneto. (per quanto riguarda tutte le lingue-dialetti: il tuo discorso è ancora ambiguo, nel senso che tu parli come se esistesse una differenza “tecnica” fra le due cose. Non è cosí quindi le cose vanno dette diversamente. Quindi non mettermi fretta!)
Ti cito Guido Barbina, friulano abbastanza ambiguo e integrato (preside di facoltà): “Tralasciamo, perchè puramente accademico e a volte fuorviante il pretestuoso problema della differenziazione fra lingua e dialetto: una simile distinzione, peraltro impossibile, non ci porterebbe certamente a chiarire il problema di una corretta classificazione dei casi di difformità linguistica italiani“.
Piemontese
Questa lingua parlata in Piemonte è di natura gallo-romanza. Lo Stato italiano invece la discrimina al rango di “dialetto” della lingua toscana (italiano standard).
Questo nonostante esista un documento del Consiglio d’Europa (doc. 4745/12. 10. 81) che riconosce il Piemontese come lingua propria ed una legge del Consiglio Regionale del Piemonte (n. 37/97 primo firmatario Roberto Rosso) che riconosce questo idioma a livello regionale, prevedendo anche l’istruzione facoltative nelle scuole, lo Stato italiano non ha ritenuto valorizzare e riconoscere il Piemontese tra le lingue Regionali e Minoritarie legalmente riconosciute. Contro questa decisione, sia il Presidente del Governo Regionale del Piemonte Enzo Ghigo (lettera del 26. 5. 1998) che il Consiglio Regionale del Piemonte praticamente all’unanimità con 35 consiglieri su 36, astenuta Rifondazione Comunista (risoluzione del 12. 10. 99) hanno protestato ufficialmen te con il Governo italiano.
A livello Regionale esiste ora una Consulta per la Lingua Piemontese, che riunisce oltre venti associazioni culturali che si occupano del recupero e della formazione dei quadri scolastici per il futuro insegnamento nelle scuole. Il mancato riconoscimento da parte dello Stato italiano, però impedisce una maggiore azione da parte dei Comuni e delle Comunità anche in campo internazionale.
Il primo documento storico ritrovato in lingua piemontese risale al XII Secolo ed è il Sermon Subalpengh, un documento di carattere religioso che si scaglia contro episodi di corruzione nelle gerarchie della Chiesa Cattolica.
Studi come l’Unesco Red Book of Endangered Languages del professor Salminen, The Etnlogue e l’Istituto Linguistico Scozzese dell’Isola di Sky Sabhal Mor Outaig, classificano il Piemontese come una lingua vera e propria separata dall’italiano. Sul piano culturale, il Piemonte e la sua lingua e cultura da anni partecipano regolarmente attraverso associazioni culturali, al Festival Interceltico di Loriant.
Emiliano e Romagnolo
La Lingua Emiliana nelle sue varianti ed quella Romagnola, parlate nella Regione Emilia e Romagna, sono anche esse classificate dallo Stato italiano semplici dialetti dell’italiano-toscano, quindi non in grado di essere riconosciuti come lingue proprie.
Anche questo è un falso di Stato. Lo dimostra il fatto che l’Unesco Red Book for Endangered Languages del professor Tapani Salminen (che è anche membro della Commissione dell’Unesco che si dedica di Lingue Regionali e Minoritarie) riconosce l’Emiliano come Lingua Gallo-Romanza e non italo-romanza, parlata pure nello Stato di San Marino!
Lo stesso riconoscimento viene dall’Ethnologue che parla dell’Emiliano e del Romagnolo come ” structurally separate language from Italian”, “Lingua strutturalmente separata dall’italiano“. Per il Romagnolo, lingua a cavallo tra quelle gallo-romanze e quelle italo-romanze un’altro importante riconoscimento viene da: Meic Stevens che lo indica come facente parte della sottofamiglia emiliano-romagnola.
A livello amministrativo Regionale, la Regione Emilia e Romagna nel 1994 ha emanato una legge regionale che pur denominando queste lingue “dialetti” (legge n. 45 del 7. 11. 1994 Tutela e valorizzazione dei dialetti dell’Emilia e Romagna) prevede anche la possibilità di finanziare iniziative scolastiche. A parte un primo finanziamento nel 1995, in questi ultimi anni la legge non è stata utilizzata e promossa a dovere da chi governa la Regione Emilia e Romagna. La dizione “dialetti” impedisce però un ulteriore passo avanti verso un riconoscimento ufficiale.
Una delle obiezioni che vengono mosse contro il riconoscimento dell’Emiliano è che esistono diverse varianti (dialetti) e non una lingua standard scritta. Questo è vero come è vero per tutte le lingue. Perchè in fondo “ogni dialetto è lingua“. Ad esempio il Sardo, già riconosciuto da anni a livello europeo ed in via di riconoscimento a livello ufficiale italiano, non ha ancora una forma standardizzata scritta comune valida per tutti, ma esistono invece molte varianti locali (Campidanese, Gallurese, Logudorese, Sassarese a loro volta suddivise in altre varianti cittadine).
È la stessa identica situazione dell’Emiliano o di altre Lingue Regionali ancora non riconosciute ufficialmente e rinchiuse dal punto di vista legislativo e psicologico nel ghetto di Stato dei “dialetti”. Ma anche se non esiste una lingua standard comunque gli emiliani quando parlando nella loro variante locale possono capirsi a vicenda senza grandi problemi. Nella Regione Emilia e Romagna in questi anni si è notato un rifiorire di iniziative musicali ed anche culturali che hanno come tema le parlate di questa Regione. Esistono anche gruppi musicali di giovani. Riguardo l’insegnamento scolastico, purtroppo non ancora diffuso, è da segnalare un positivo esperimento che fu fatto nel 1979-80 dal direttore didattico Gastone Tamagnini presso la Scuola Media Statale “M. Buonarotti” di Fabbrico in provincia di Reggio Emilia, dove agli alunni fu insegnato per due mesi la cultura e lingua del posto. Esperimenti altrettanto positivi dell’utilizzo della Lingua Romagnola nelle Scuole sono stati avviati nella Scuola Elementare “Martiri Fantini” di Cervia (Ravenna) dalle professoresse Claudia Benedetti e Fabiana Giunchi. A livello televisivo, trasmissioni quotidiane in lingua emiliana nella variante reggiana e bolognese vengono trasmesse da due emittenti locali private Teletricolore (L’Almanacco di Auro Franzoni) e da Sesta Rete (Notiziari Bulgnais). Il dizionario tascabile di Lingua Bolognese/Emiliana di Luigi Lepri e Daniele Vitali, pubblicato nel 1999 a dalla famosa casa editrice Vallardi ha venduto in poche settimana diverse migliaia di copie ed ora è pronta una seconda ristampa. Un successo che la dice lunga sull’interesse dei cittadini/pubblico sulla riscoperta e la valorizzazione proiettata nel futuro delle proprie radici.
Lombardo
L’ Unesco Red Book of Endangerd Languages riconosce anche al Lombardo lo status di lingua, appartenente al ceppo gallo-romanzo. Ed è il Lombardo, e non l’italiano-toscano, che viene parlato da oltre 300. 000 persone in Canton Ticino (Svizzera)
Ed anche in alcune vallate del Trentino confinanti con la Lombardia, secondo lo studio dell’Unesco ed l’Etnologue. Una variante del Lombardo viene curiosamente parlata anche in alcuni paesi della lontana Sicilia. Questo è avvenuto in quanto nei secoli passati alcune comunità longobarde migrarono su questa Isola.
Secondo l’ Ethnologue le diverse varianti del Lombardo, possono essere considerate “in alcuni casi dialetti, in altre vere e proprie lingue separate dall’italiano“. In generale tutte le parlate Lombarde “sono molto differenti dall’italiano standard” e secondo lo studio di Ethnologue “I parlanti possono essere senza problemi bilingui“.
Nel Canton Ticino, le amministrazioni locali del Cantone da tempo attuano una politica di valorizzazione della parlata lombardofona che purtroppo manca nella Regione della Lombardia sotto lo Stato italiano.
Quest’anno, il 26-27 marzo presso l’Università degli Studi di Pavia si è svolto un Importante convegno su “Archivi culturali, oralità e scrittura” dove Franco Lurà Del Centro per il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana -VSI) e Giovanni Bonfandini dell’Università di Milano che hanno proposto nel loro intervento (“Problemi con- cernenti la costituzione di un archivio integrato scritto e orale dei dialetti lombardi“) la creazione di un Archivio delle parlate lombardofone.
Su Internet sono presenti diverse iniziative di privati ed associazioni in favore del Lombardo nelle sue varianti linguistiche.
Ligure
La Lingua e cultura Ligure è una delle più antiche d’Europa e risale al Popolo Ligure, che viveva in queste aree già prima dell’arrivo dei Celti. Per oltre 1.000 anni la Liguria è stata governata dalla Repubblica di Genova, che ha cessato di esistere solo nel 1814.
Il Ligure, lingua gallo-romanza secondo l’Unesco Red Book for Endangered Lan- guages,The Ethnologue e l’università Sabhal Mor Outaig è parlato in una sua variante (il Monegasco) anche nel Principato di Monaco e nei territori Occitani confinati con la Liguria. A livello privato con associazioni culturali e gruppi musicali sono presenti diverse iniziative per il recupero di questa Lingua, a cui manca oggi una forma standard scritta. A livello amministrativo il Comune di Alassio tre anni fa ha rinominato la toponomastica nella lingua ligure attuando una politica bilinguistica.
Questo è stato fatto sfidando i divieti legislativi dello Stato italiano che risalgono a norme emanate durante il regime fascista. Anche il Ligure è considerato dallo Stato Italiano un “dialetto” e non una Lingua Regionale e per questo viene discriminato.
Siciliano
La Sicilia, che dal 1946 gode di un proprio Statuto di Autonomia, mai applicato fino in fondo dai politici Siciliani che l’hanno governata sino ad oggi, è l’unica Regione a Statuto Speciale che non si vede riconosciuta la propria lingua. Sia l’Unesco Red Book che Ethnologue e molti altri studiosi affermano che il Siciliano esiste eccome!
Secondo lo Studio del Centro Ethnologue di Dallas, “il Siciliano è differente dall’Italiano standard in modo sufficiente per essere considerato una lingua separata”, “è poi una lingua molto utilizzata e si può parlare di parlanti bilingui” in siciliano e italiano standard-toscano.
Se a livello culturale esiste ancora oggi una fiorente attività, a livello politico Mancano ancora forti attività di rilancio della battaglia per la valorizzazione della Lingua Siciliana. La rinascita in questi ultimi anni di movimenti politici Sicilianisti come Noi Siciliani o il Partito Siciliano d’Azione potrebbe però riportare in auge questa tematica.
Napoletano e Lingue italiane meridionali
Anche il Napoletano e le lingue italo-meridionali, secondo l’Unesco sono da considerarsi lingue separate dall’italiano standard (Toscano) e non dialetti di queste.
L’ attività di valorizzazione è portata avanti principalmente da associazioni culturali e gruppi musicali. Sono presenti anche siti Internet in lingua napoletana.
Anche la Lingua Napoletana e le altre parlate meridionali, soffrono il fatto di essere State confinate dalla cultura ufficale italiana nel “ghetto” dei dialetti.
LO STUDIO DELL’UNESCO RED BOOK OF ENDANGERED LANGUAGES
In questo documento è stato citato più volte lo studio “Unesco Red Book of Endan- gered Languages: Europe” stilato per conto dell’Unesco dal linguista finlandese Tapani Salminen (Università di Helsinky) tra il 1993 ed il 1996. Salminen fa parte della Commissione dell’Unesco che si occupa delle Lingue Regionali e Minoritarie.
Questa la classificazione del patrimonio linguistico dello Stato italiano secondo questo studio internazionale.
Lingue Gallo-Romanze: Franco Provenzale, Piemontese, Ligure, Lombardo, Emiliano, Veneto (altri linguisti classificano il Veneto come lingua italo-romanza).
(A quanto mi risulta il veneto non ha un sub-strato né celtico ne italico, ma venetico)
Lingue Reto-Romanze: Ladino e Friulano
Lingue Sarde: Sardo Gallurese, Sardo Logudurese, Sardo Campidanese, Sardo Sassarese. (ma davvero questo zio ha fatto queste distinzioni?)
Lingue Italo-Romanze: Corso (parlato nell’Isola della Maddalena in Sardegna????), Toscano e Centrale (Italiano Standard), Siciliano, italiano meridionale incluso il Napoletano, Italkian (la lingua delle comunità ebraiche oramai parlata da poche centinaia di persone). A riguardo delle parlate delle comunità ebraiche interessante notare come in passato queste parlassero non l’Italkian ma il giudeo-modenese, il giudeo-veneto, il giudeo-mantovano a seconda degli Stati e delle città preunitari dove risiedessero.
Lingue Occitano-Romanze: Occitano e Catalano.
PROPOSTE OPERATIVE PER UNA POLITICA BASATA SUL PLURALISMO LINGUISTICO
Questo il quadro generale delle principali Lingue regionali parlate oggi all’interno del territorio dello Stato italiano. Come si può ben vedere, è più ampio di quelle che lo Stato italiano si appresta a riconoscere con una legge che è un importantissimo passo avanti ma certamente non è un punto di arrivo per chi crede fino in fondo nel valore del rispetto di tutte le identità, culture e lingue.
Come ovviare quindi a quelle discriminazioni di Stato ed evitare che siano le “maggioranze” centraliste e prettamente politiche di Stato a decidere quali sono le lingue da valorizzare e quali invece quelle da relegare nel ghetto del “dialetto” ?
Come evitare che forme standard di lingue anche regionali, vengano imposte sulle Varianti locali (quelle che in modo dispregiativo gli Stati-Nazione chiamano “dialetti”)
Ecco alcune proposte che possono essere applicate non solo nello Stato italiano.
a) La politica di riconoscimento e valorizzazione linguistica non deve essere decisa e gestita dai Governi centrali e dagli Stati centrali, ma dalle Regioni e da altri Enti Locali che si rifacciano a Comunità Locali. È così che le cosidette “minoranze” usciranno dal ghetto dell’essere considerate “minoranze”, per diventare realmente Popoli e Comunità attive e riconosciute con gli stessi diritti delle “maggioranze” di Stato. Le istituzioni internazionali quindi devono prendere atto dei riconoscimenti a livello Regionale e non quelli a livello Statale.
b) Avviare ed educare ad una politica plurilinguistica e multiculturale. Si parla tanto di società multicurale. Questa è realizzabile solo la valorizzazione delle varie culture autoctone e delle comunità alloctone è integrale e reciproca. E questo può accadere solo se si parte dalla valorizzazione delle culture e lingue locali e regionali per arrivare via via anche a quelle delle comunità alloctone residenti sul territorio e all’insegnamento di lingue straniere per comunicare con il mondo esterno.
In pratica una forma di tutela ed educazione che potremmo chiamare “a cipolla” che parte dalla cultura del luogo per espandersi via via verso il mondo. La xenofobia ed il razzismo si possono combattere con successo tutelando ogni forma di cultura. In questo modo nessuna comunità si sente esclusa o “non a casa propria” e viene levato l’alibi a forze xenofobe di reclamare la difesa delle identità.
A tale riguardo, è interessante studiare ed approfondire i metodi integrativi, basati su un approccio multiculturale che si stanno sperimentando con successo nei Paesi Bassi e che vengono portati avanti anche in Frisia di pari passo con la tutela della Lingua Frisona.
c) La politica di valorizzazione e riconoscimento delle lingue regionali a livello europeo deve essere attuata in modo estensivo in modo da poter permettere anche a quelle Lingue oggi relegate dagli Stati nel ghetto dei “dialetti” di poter arrivare alla loro piena tutela.
d) È necessario far capire a chi si occupa della salvaguardia di culture lingue e tradizioni locali, che “ogni dialetto è lingua” e che la distinzione tra lingua e dialetto, per ogni linguista non legato al potere è una pura invenzione.
Spesso, molti gruppi culturali nello Stato italiano, tutelano le proprie lingue regionali (accade in Emilia, Romagna, Lombardia, Liguria ) tramite lodevolissime iniziative che hanno un grande successo di pubblico.
Però 160 anni di propaganda di stampo centralista giacobino al motto di “Uno stato, una nazione, una lingua” (lo stesso utilizzato in Francia), hanno fatto perdere loro una piena coscienza di appartenenza culturale a molte di queste Comunità Regionali che, mentre fanno una politica chiaramente multilinguistica, chiamano le loro lingue “dialetti”, autoconfinandosi così da sole in un ghetto-museo ed impedendo ulteriori sviluppi. Per i linguisti e gli studiosi non c’è molta differenza tra lingua e dialetto, ma per gli Stati sì!
Autonominando “dialetti” le loro Lingue, coloro che si occupano di associazionismo, gruppi musicali, educazione su base locale e regionale, si confinano da soli nel Ghetto invece di uscirvi e costruire così nuovi orizzonti.
Le parole scritte dal friulano Pier Paolo Pasolini durante il periodo della Resistenza, ci sono da esempio: “Il “dialetto” diventa lingua, quando viene scritto ed adoperato per esprimere i sentimenti più alti del cuore…per esprimere le proprie idee, il proprio sentire, i propri desideri“.
e) È poi necessario che quando vengono riconosciute lingue senza ancora una forma standard scritta, si individui sì una forma minima intellegibile da tutti i parlanti per i documenti ufficiali, ma al tempo stesso si continuino a valorizzare tutte le varianti locali di quella lingua. Non esistono le lingue “pure” da imporre su altre esistono lingue che nelle diverse varianti sono intellegibili tra di loro. Questa situazione si può vedere benissimo analizzando la situazione del Sardo (già riconosciuto ma ancora senza una forma standard) o di altre lingue come l’ Emiliano.
f) Da parte loro poi le diverse associazioni culturali, i gruppi musicali e che si occupano dell’ educazione, i linguisti che si occupano di lingue regionali dovrebbero costituire grazie ai bassi costi delle tecnologie informatiche moderne (Internet e posta elettronica) un “network” per poter sviluppare iniziative comuni a livello internazionale e scambiarsi esperienze ed informazioni utili.
Fonte: da romaniaminor.net/
Link: http://www.romaniaminor.net/alternativa/strasburg.pdf