di Adriano Panzironi
Dal Libro “VIVERE 120 ANNI Le verità che nessuno vuole raccontarti”
Il Morbo di Alzheimer, prende il nome dal suo scopritore (Dottor Alois Alzheimer descrisse per la prima volta la malattia nel 1907) ed è una forma di degenerazione neuronale progressiva. Essa coinvolge l’1% delle persone prima dei 65 anni, l’11% delle persone dai 65 agli 80 anni e il 35% delle persone dagli 80 ai 90 anni ed annovera attualmente in Italia 492.000 pazienti in cura. La malattia rappresenta un grave problema sociale perché diminuisce notevolmente l’autosufficienza delle persone colpite, le quali riscontrano sintomi invalidanti, in peggioramento progressivo.
Il malato di Alzheimer accusa inizialmente fasi di perdita di memoria a breve, cambiamento della personalità e del carattere. Con il progredire dei sintomi, si assiste alla perdita di attenzione cognitiva, ad un aumento dell’aggressività, al disorientamento, a disordini del linguaggio, ad allucinazioni e ad agitazione psicomotoria. Nella fase più acuta si assiste a fenomeni di vagabondaggio, disorientamento cognitivo di se e degli altri (confusione sull’identità personale), impossibilità di svolgere con sufficiente autonomia anche i compiti più semplici. Il grande problema sociale di questa malattia, riguarda l’assistenza ai malati, che necessitano di una sorveglianza costante da parte di personale specializzato o della famiglia, rappresentando (e lo sarà ancora di più nel futuro) un costo ingente per la comunità.
Dal punto di vista clinico, l’Alzheimer consiste nella distruzione diffusa dei neuroni (cellule nervose) presenti nel cervello, attribuita in parte alla betaamiloide, una proteina che si deposita in forma anormale tra le cellule nervose, agendo da collante ed impedendone la comunicazione. La morte progressiva dei neuroni avviene perché le placche di betaamiloide danno inizio ad un processo infiammatorio, che richiama in sito macrofagi e neutrofili, i quali producendo citocatechine causano la distruzione delle cellule nervose. A livello neurologico avviene una diminuzione del peso del cervello (per atrofia corticale) ed è visibile un allargamento dei solchi corrispondenti alle circonvoluzioni.
Sostanzialmente l’Alzheimer è considerata una malattia della vecchiaia, ma sempre più ricerche confermano lo stretto legame tra lo stress ossidativo (radicali liberi) e la sua comparsa. Ciò è plausibile anche perché il nostro cervello, pur pesando il 2% del peso totale del corpo, consuma il 20% dell’ossigeno, quindi proporzionalmente ha una maggiore quantità di radicali liberi prodotti dalla respirazione cellulare (dei mitocondri). Siccome le cellule nervose non possono replicarsi è fondamentale mantenerle in buona condizione, evitando che siano aggredite dai radicali liberi o subiscano azioni infiammatorie.
IL GLUCOSIO DANNEGGIA I NEURONI DEL NOSTRO CERVELLO
L’Alzheimer, come altre forme di demenza senile, è causato dalla morte dei neuroni e visto che, tali tipo di cellule non possono essere sostituite (come invece capita ad altre), ciò causa la degenerazione del cervello. Molti scienziati sono impegnati a comprendere le cause di questo male e gran parte di loro sono d’accordo nell’affermare che la morte dei neuroni dipende dalla eccessiva produzione di radicali liberi. Inoltre diversi studi sono riusciti a confermare correlazioni tra la malattia del diabete e l’insorgenza dell’Alzheimer (tanto da rinominarla come diabete di tipo 3). A questo punto poniamoci una domanda.
Tale degenerazione dipende dal consumo di carboidrati insulinici?
Da anni ci dicono che lo zucchero fa bene al cervello, ma bisogna crederci davvero?
Purtroppo devo confermare che il consumo di amidi (pane, pasta, patate, cereali, riso e legumi) e di zuccheri semplici, sono la causa principale dell’insorgenza delle malattie degenerati celebrali. Tali disfunzioni purtroppo operano su tre distinti livelli, che agendo sinergicamente portano alla morte dei neuroni.
Vediamone insieme i meccanismi.
TROPPO E TROPPO POCO GLUCOSIO
Ricorderete che i neuroni hanno degli speciali “carrier proteici” chiamati Glut 1 e Glut 3, indipendenti dall’insulina. Il Glut 1 assicura al cervello la quantità basale del glucosio. Ricordiamo che i neuroni utilizzano, nella produzione di energia, mitocondri e glicolisi, di conseguenza la quantità di glucosio trasportata dai Glut 1 è sufficiente al funzionamento del cervello. Quando invece abbiamo necessità di maggiore energia, il nostro corpo attiva il cortisolo che aumenta la quantità di glucosio nel sangue, mentre i Glut 3 provvedono automaticamente ad aumentare l’entrata di glucosio nei neuroni. Difatti tale carrier, è dipendente dal glucosio e quindi più ce n’è nel sangue più ne viene trasportato nel cervello. Un meccanismo assolutamente perfetto, che nel mondo paleolitico, bilanciava ogni necessità energetica. Se tale meccanismo però lo confrontiamo con quello dell’insulina, ci si accorge che qualcosa non quadra. Sappiamo che dopo un pasto glicemico, subiamo dapprima un picco glicemico e poi un calo glicemico. Ciò significa attivare prima un aumento di glucosio nei neuroni (senza che il nostro cervello lo abbia richiesto) tramite le Glut 3, e dopo un calo di zuccheri. Sarebbe come collegare un computer ad una presa che ha sbalzi di corrente: quanto credete che durerà prima di fulminarsi?
Diversi studi hanno proprio dimostrato che l’ipoglicemia è uno dei fattori scatenanti della demenza senile.
I RADICALI LIBERI DANNEGGIANO I NEURONI DEL CERVELLO
Sappiamo che il nostro corpo è in grado di contrastare i radicali liberi, soprattutto quelli derivanti dalla respirazione cellulare (mitocondri), utilizzando il glutatione. Abbiamo anche visto che nel favismo, gli eritrociti (globuli rossi) muoiono perché non sono in grado di rigenerare il glutatione (non riescono a produrre l’agente riducente Nadph). Ebbene, nei nostri neuroni succede più o meno la stessa cosa.
Vediamolo insieme Ricorderete che il Nadph è prodotto da una via parallela alla glicolisi, ovvero la “via del pentosio fosfato” (rif. pag. 194). Questo agente riducente è essenziale alla cellula per rigenerare il glutatione che si ossida ogni volta che incontra un radicale libero, eliminandolo. Però quando la cellula ha prodotto troppi Atp, la glicolisi si blocca e con essa anche la via del pentosio fosfato (quindi la produzione di Nadph). Ciò avviene quando abbiamo troppo glucosio nel sangue, ivi compresi i picchi glicemici, conseguenza di un pasto glicemico. A conferma di quanto sopra espresso, alcune ricerche recenti hanno accertato una presenza inferiore di glutatione nei malati d’Alzheimer. Inoltre gli scienziati hanno verificato che la somministrazione di antiossidanti riduce gli effetti dell’Alzheimer, perché essi contrastano i radicali liberi all’interno dei neuroni.
TROPPA ACIDITÀ
Abbiamo visto che l’acidosi è molto pericolosa per le cellule, la matrice e il sangue e come il nostro corpo riesca a reagire, inattivandola con dei prodotti basici (calcio e magnesio).
Cosa succederebbe se le scorie acide rimanessero all’interno del tessuto?
Vi ricorderete che quando la cellula utilizza troppo zucchero si producono scorie acide (acido piruvico e lattato) che riversa nella matrice. Questo accade perché la glicolisi è cinque volte più veloce del mitocondrio. Nel nostro cervello succede la stessa cosa. Purtroppo però l’acido lattico (scoria acida della glicolisi) non può attraversare la barriera ematoencefalica, rimanendo nel tessuto del cervello, senza riuscire a riversarsi nel sangue (dove sarebbe stata inertizzata). Quindi l’eccessiva presenza di glucosio nel sangue, obbliga i neuroni ad una super produzione di energia e di scorie acide.
SQUILIBRIO DEI NEUROTRASMETTITORI
Abbiamo già visto che l’insulina ha un’azione diretta sul neurotrasmettitore chiamato serotonina e che nel contempo, inibisce alla cellula la produzione di dopamina e noradrenalina. Questi due neurotrasmettitori sono invece promossi dall’azione del cortisolo, che al contrario inibisce la produzione della serotonina. Questi up and down sono assolutamente deleteri per i nostri neuroni.
Il buono stato delle cellule neuronali è fondamentale per gli anziani. Non a caso si dice che fare le parole crociate o mantenere una vita piena di interessi aiuta a combattere la demenza senile. Infatti questa malattia non compare in persone attive, anche dopo che queste sono da anni fuori dal mercato del lavoro e della competizione. Bisogna considerare che il Glut 3 trasporta il glucosio nel sangue, non solo in funzione dell’attività che svolgiamo, ma anche seguendo i picchi glicemici generati da un’alimentazione fallace e purtroppo, soprattutto negli anziani, dai livelli alti del cortisolo. Finché gli Atp prodotti sono consumati da un’intensa attività celebrale, riduciamo le score acide (lattato), permettendo la riattivazione del glutatione. Al contrario nelle persone anziane che non usano più costantemente il cervello (pochi o zero interessi, senza amici, attività ludiche abbandonate) aumenta sensibilmente l’acidosi del tessuto celebrale ed il glutatione è disattivato. In tali contesti l’Alzheimer fa la sua comparsa, trasformandosi in pochi anni, nel grande attore che sconvolge la vita di chi ne è affetto.
Fonte: srs di Adriano Panzironi, da il libro “VIVERE 120 ANNI” visto su Live 120
Link: http://morbo-alzheimer-primi-sintomi-cause-cura-demenza-senile.com/index.html