«La determinazione ad avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile […], non può che essere incoercibile». In “legalese” di dice così; in italiano vuol dire che generare una vita a tutti i costi e in ogni modo tecnicamente possibile è un diritto dell’individuo. La frase in “legalese” è il punto nodale della sentenza, da ieri pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, con cui, il 9 aprile scorso, la Corte Costituzionale ha cancellato il divieto della fecondazione artificiale eterologa sancito dalla Legge 40 del 2004 e con cui ha fatto di porco della democrazia vidimata dal referendum del 2005 dando così ragione a Mark Twain: “se votare servisse davvero a cambiare qualcosa, avrebbero da tempo già abolito il voto”.
Già è surreale sentir parlare di coppie assolutamente sterili determinate ad avere figli, ma quel che più importa è che di fatto la Corte Costituzionale ‒ l’angelo custode della legalità repubblicana di questo Paese forgiato “dalla Resistenza” e fondato “sul lavoro” ‒ dice che scatenerà le forze dell’ordine ogni qualvolta a chicchessia venga in mente di generare una vita come gli pare, a patto che ciò non vulneri altri valori costituzionali. Vale a dire sempre, perché è evidente che in Italia i “valori costituzionali” sono di chi se li fa alla bisogna. Il nostro è infatti un Paese in cui la legge già consente, e il cittadino paga, lo sterminio di migliaia e migliaia di bambini ancora nel ventre materno; in cui presto si sancirà che il sesso è solo un’opinione, una costruzione mentale, un “residuo borghese”, giacché di sessi ce ne sono tanti, molti, forse infiniti; in cui un bimbo o una bimba possono già crescere sani e belli avendo per “genitori” due uomini o due donne, e perché allora non tre, o magari quattro; in cui la pubblica (d)istruzione sperimenta quotidianamente lo sballo del gender su bimbi anche in tenerissima età; in cui la Costituzione parla di famiglia e di matrimonio tra un uomo e una donna ma chissenefrega, è sufficiente un qualche accrocco giuridico ben temperato. Il nostro è cioè già un Paese in cui i “valori costituzionali” li si vulnera per principio ogni santo giorno: quale limite alle fantasie più aberranti volete dunque che ponga l’ipocrita “legalese” della Consulta?
Ovviamente nessuno; e così da oggi in Italia diventa diritto di tutti procreare a qualunque costo. Cosa impedirà allora alla gente di selezionarsi un figlio a propria immagine somiglianza? Cosa impedirà di giocare con un DNA, magari due e perché non tre? Cosa impedirà insomma a un camice bianco di manipolare la vita umana nel profondo come fosse il pongo, d’immergere aghi e bisturi nell’intimo, di modificare, di cambiare, di trasformare? Solo la possibilità tecnica di farlo: ma per quella è giusto una questione di tempo, e talvolta di un po’ di soldi. È di soli pochi giorni fa infatti la notizia che certi esperti nominati dal governo britannico hanno dato il via libera tecnico alla fecondazione artificiale eterologa con tre DNA: prendi i mitocondri sani di una donna, li sostituisci a quelli malati di un’altra e innaffi il tutto con il seme del marito di quest’ultimo, facile, che ce vo’… Fra un po’ si potrebbero magari provare miscugli nuovi, che so, visto che secondo Charles Darwin veniamo dalle scimmie…
La questione vera infatti è una sola. I figli non sono un diritto dell’uomo. I figli sono persone, e le persone non sono beni disponibili. È come se oggi la sentenza della Corte Costituzionale sancisse la schiavitù, che è il disporre dell’uomo come di un bene in totale misconoscimento della sua personalità.
I figli sono infatti sempre e solo un dono; non sono un diritto perché hanno diritti, né sono un dovere perché nei loro confronti i genitori hanno doveri. Ma questo è un linguaggio per cui in Italia non si hanno più orecchie da un bel po’. Da tempo i figli li chiamiamo anche noi “choice”, “salute riproduttiva”, “autodeterminazione della donna”, persino “grumo di cellule”. Se l’utero è mio, allora decido sempre io. Decido se averli, questi figli, o se non averli; di averli come e quando voglio; di fabbricarmeli, se possibile, oppure di ammazzarli; di farne dei maschietti o, se più mi va, delle femminucce in barba a come in realtà sono nati.
Stiamo confezionando un Paese di schiavi: la Corte Costituzionale approva e la gente applaude.
Fonte: srs di Marco Respinti, da L’intraprendente
Link: http://www.lintraprendente.it/2014/06/cara-consulta-i-figli-non-sono-un-diritto-sono-un-dono/