La collegialità, mito progressista, va bene, ma Bergoglio poi decide da solo. Stile gesuita e governo
Ben vengano la collegialità episcopale e la sinodalità, ma quando si tratta di assegnare prelati a qualche ufficio curiale di peso o di nominare vescovi in sedi rimaste vacanti, a decidere è il Papa.
Senza consultazioni né dossier. E’ stato così per Buenos Aires, dove Bergoglio ha mandato come suo successore Mario Aurelio Poli, il vescovo di Santa Rosa della Pampa che non compariva nella lista al vaglio della Congregazione che sovrintende all’episcopato mondiale. Copione che si è ripetuto identico qualche giorno fa, quando monsignor Battista Ricca (diplomatico e direttore della Casa di Santa Marta) è stato nominato nuovo prelato dello Ior. Una decisione presa dalla commissione cardinalizia di vigilanza dell’Istituto, ma che “è stata approvata” personalmente dal Papa. In entrambi i casi, Francesco ha scelto persone che conosceva e di cui si fidava. E anche quando si è trattato di selezionare i membri del gruppo che lo aiuterà a governare la chiesa universale e a riformare la curia, Bergoglio ha fatto di testa sua: otto cardinali, uno per area geografica, chiamati a rispondere soltanto a lui. Nessun presidente, ma solo un coordinatore, un primus inter pares scelto nella persona del fidatissimo cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, salesiano honduregno in prima fila nelle battaglie sociali.