di CRISTINA MALAGUTI
Uccisi dal fisco. Mentre il 10% delle imprese italiane ogni anno chiude i battenti, uno studio di Assolombarda, Prometeia insieme all’Osservatorio Bocconi mette a nudo la pressione fiscale in Italia, che non è quella ufficiale che si aggira intorno al 50%, almeno non per tutti, ma quella che in alcuni settori e per alcune aziende, quelle manifatturiere in primis, raggiunge quota 90%.
Nei conti ufficiali infatti, la pressione fiscale per le famiglie si attesta al 49,5% (ma anche in questo caso bisognerebbe prendere una famiglia media e mettersi a fare i calcoli reali di un anno per capire esattamente quanto si paga). Nelle aziende invece, se si passano al setaccio i redditi ante imposte, si scopre che il peso del fisco complessivamente è un macigno che uccide.
Lo ha fatto un imprenditore milanese, l’ingegner Fabrizio Castoldi, presidente della Bcs Group, all’interno della sua impresa che ad Abbiategrasso produce macchine agricole. Nonostante questo però, il bilancio del fisco – seppure – positivo – presenta una riduzione netta delle entrate fiscali. Colpa della crisi? O colpa del socio occulto Stato che pretende di far cassa aumentando le tasse fingendo di non capire che più spreme e meno riceve?
Il 50% allo Stato, ma senza risorse restano le briciole – La pressione fiscale per oltre la metà delle società italiane si attesta oltre il 50%.
Per il 10% di queste imprese è addirittura superiore al 100%.
Incrociando i dati con le statistiche nazionali i conti tornano: il 10% delle aziende italiane muore ogni anno.
Di più, nei giorni scorsi uno studio di Bankitalia ha messo in luce come la ricchezza degli italiani sia in veloce e inesorabile discesa. Secondo i dati di Via Nazionale infatti, solo lo scorso anno la ricchezza netta complessiva è diminuita rispetto all’anno precedente, in termini reali, dell’1,7%.
Dalla fine del 2007 (ovvero dall’inizio della crisi) la perdita di ricchezza ha raggiunto quota 8%. E se si guarda ai dati preliminari, nel primo semestre del 2014 la ricchezza media sarebbe ulteriormente diminuita dell’1,2% rispetto allo scorso dicembre. Insomma, benché lo stato faccia cassa con l’aumento delle tasse, l’effetto che si ottiene non è solo quello di impoverire ulteriormente gli italiani, ma di incassare comunque di meno per effetto della riduzione drastica della “base imponibile”: la ricchezza, appunto.
L’imprenditore che si accorse di lavorare solo per il fisco – Ma il dato più eclatante, la vera vergogna italiana, arriva dallo studio dell’ingegner Castoldi.
Il presidente della Bcs Group, una società con 700 dipendenti e oltre 100 milioni di fatturato, che produce macchine agricole con tre impianti in Lombardia ed Emilia, e filiali in Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Cina e India.
Un paio di anni fa propose ad Assolombarda di creare un gruppo di lavoro per studiare l’impatto delle economie asiatiche, in particolare quella cinese, nel settore metalmeccanico.
Da lì la duplice sconvolgente scoperta: la prima è che la tassazione sulle imprese manifatturiere in Italia arriva abbondantemente al 90% dell’utile, esclusi gli oneri sociali; la seconda è che la sua società ha subito negli ultimi 5 anni (in piena recessione) una pressione fiscale media dell’85%.
Castoldi, raccontando la sua esperienza a Panorama, ha anche avanzato una proposta, quella di una tassazione unica per tutti. E fa la prova, sulla sua azienda, per dimostrare quanto salirebbe invece il gettito fiscale con aliquote più basse.
Con un’aliquota al 30%, spiega l’imprenditore, la sua azienda aumenterebbe il fatturato del 12% e assumerebbe 60 operai con il risultato che lo stato incasserebbe 3 milioni e 206mila euro (2milioni e 206mila euro di tasse dall’azienda, 250mila euro dai nuovi assunti e 750mila euro di risparmio sulla cassa integrazione), contro l’incasso di 2milioni e 231mila euro con un’aliquota al 70%.
Una bella lezione di economia reale, ma c’è da scommetterci che il governo farà orecchie da mercante…
Fonte: visto su L’Indipendenza del 21 dicembre 2014