La Cattedrale di Verona
Origine e significato della parola «Capitolo» e «Canonica»
Il Capitolo canonicale viene definito anche nell’attuale Codice di diritto canonico (c. 503)
«il Collegio di sacerdoti al quale spetta assolvere alle funzioni liturgiche più solenni nella chiesa cattedrale…, inoltre adempiere i compiti che gli vengono affidati dal diritto o dal Vescovo diocesano».
Il Capitolo trae origine dall’antico presbyterium, dall’insieme cioè del clero locale che fin dai primi secoli costituì il senato del vescovo per quanto concerne la liturgia della cattedrale e l’amministrazione della diocesi.
I rapporti tra Capitolo e vescovo furono disciplinati lungo i secoli da varie disposizioni giuridiche di carattere generale e particolare.
Il termine «canonica» si riscontra per la prima volta presso San Basilio e nel Concilio di Laodicea per distinguere il chierico, che seguiva i sacri «canoni», dai «clerici vagantes» o addetti a una chiesa privata, ma senza rapporti col vescovo. Secondo Sant’Ambrogio fu Sant’Eusebio, vescovo di Vercelli, il primo a introdurre in Occidente fra il clero della sua diocesi la vita comune dei monaci, da lui conosciuta durante l’esilio in Oriente.
Comunque a partire dalla fine del sec. IV, sull’esempio di quanto aveva attuato Sant’ Agostino nella sua sede di Ippona, in molte diocesi il clero aveva adottato la convivenza comune in casa del vescovo, con regole (canones) di chiara ispirazione monastica.
Furono detti canonici coloro che sottostavano a vita comunitaria e capitulum si denominò l’adunanza quotidiana dei medesimi, dedicata alla lettura di un capitolo della regola. Probabilmente i canonici veronesi leggevano ogni giorno un brano dei sermoni di San Zeno. Successivamente il termine capitulum indicò qualsiasi riunione dei canonici, fino ad identificarsi con lo stesso collegio canonicale.
Origine del Capitolo veronese
I cristiani di Verona al tempo di San Zeno sono distinti in tre categorie di persone: chierici, laici e monaci.
Il clero (dal greco Klèros = porzione toccata in eredità nel significato del salmo 15,5 e 118,57) a sua volta risulta organizzato in modo gerarchico con preti, diaconi, suddiaconi, accoliti, esorcisti, lettori e ostiari secondo la graduatoria elencata anche da Isidoro di Siviglia, che si richiama a una lettera di papa Cornelio nel 251 e riportata da Eusebio di Cesarea.
La più antica testimonianza di una simile strutturazione ecclesiastica a Verona è data dalla celebre sottoscrizione dello scrivano Ursicino che nell’anno 517 (f. 117r del Codice XXXVIII) si dichiara «lettore della chiesa veronese».
Una ulteriore, anche se tardiva, conferma della struttura gerarchica del Capitolo veronese emerge da un frammento di lapide rinvenuto durante i lavori di ricostruzione della Biblioteca Capitolare dopo la distruzione provocata dal bombardamento del 4 gennaio 1945. Vi è testimoniata anche una forte vitalità caritativa che si esprime attraverso l’opera del «xenodochio».
Si può pensare che San Zeno avesse adottato la vita comunitaria per i suoi sacerdoti. Quando, accennando ad essi, li definisce «operarii qui mecum sunt», richiama certamente la loro collaborazione, ma allo stesso tempo sottintende che i suoi «operai» vivono con lui, condividendo i suoi problemi pastorali e svolgendo tra l’altro anche l’attività di studio e trascrizione di libri in quello scriptorium, da cui scaturirà l’odierna Biblioteca Capitolare.
Trasformazione della vita del clero
La vita comunitaria del clero, che aveva preso come modello la vita degli apostoli con il Signore, favoriva lo svolgimento pratico della liturgia, perché la celebrazione esigeva la presenza, a intervalli frequenti durante la giornata, di parecchi ministri.
Il problema della vita comune del clero è complesso e costituisce tutt’ora oggetto di approfondimenti. È comunque assodato che si vollero sempre tener distinti l’ordo monasticus dall’ ordo canonicus.
Gregorio I aveva stabilito che la militia clericatus fosse distinta dalla professio monastica (PL LVII, 680), in modo che i monaci potessero vivere in tranquillità e completo isolamento, mentre i chierici della cattedrale avevano varie incombenze come l’amministrazione del patrimonio ecclesiastico, la formazione del clero, l’esercizio del potere giudiziario nei riguardi delle persone soggette e soprattutto l’ufficiatura liturgica quotidiana.
La regola di Sant’ Agostino, inizialmente interpretata in modo rigido, almeno per quanto riguardava l’osservanza della povertà individuale, aveva dato origine a congregazioni denominate «canonici regolari».
Ma in alcune diocesi, tra cui Verona, fu permesso ai canonici di abitare in una propria casa vicino al chiostro (claustrum) con l’obbligo però del refettorio in comune: il suono della campana della chiesa vicina li convocava alle varie officiature. Un po’ alla volta anche i chierici canonici divennero secolari, adeguandosi al modo di vita dei sacerdoti in cura d’anime, i quali per il loro particolare ministero, non potendo vivere in comune, risiedevano presso la chiesa dove svolgevano la loro attività.
Dopo la crisi generale provocata dalle invasioni barbariche, con ripercussioni negative anche nella disciplina del Capitolo, a Verona nel corso dell’ottavo secolo si ha una ripresa della vita liturgica e culturale.
Durante l’epoca carolingia viene introdotta nel Capitolo veronese la disciplina canonicale unitaria elaborata intorno al 760 da Crodegango, vescovo di Metz e codificata dal Concilio di Aquisgrana dell’816. La regola ribadiva in particolare l’obbligo per i canonici di cantare l’ufficio corale.
Era allora direttore dello Scriptorium il celebre Arcidiacono Pacifico. La sua personalità e la sua poliedrica attività sono descritte nell’epitafio posto sulla sua tomba ed ora murato sopra la porta laterale sinistra del duomo.
L’esenzione del Capitolo ottenuta con i privilegi di Ratoldo
Nell’ambito della riforma carolingia Ratoldo, vescovo di Verona, proveniente dal monastero benedettino di Reichenau sul lago di Costanza, con un documento datato 24 giugno 813 aveva concesso una parte di rendite ai canonici e con un altro documento, datato 16 settembre 813, li aveva sottoposti alla giurisdizione del patriarcato di Aquileia «ut canonici Sanctae Veronensis ecclesiae sint liberi in supradicta ecclesia sub iure et dominio domini patriarchae».
Sull’autenticità dei due documenti molto si è discusso. È tuttavia significativo che un diploma di Ludovico il Pio del 23 giugno 820 confermi la donazione di Ratoldo facendo menzione di una Schola sacerdotum et aliorum clericorum (corporazione di chierici), esistente «antiquitus» presso la chiesa di Santa Maria Matricolare (era il titolo della cattedrale).
Da qui è facile desumere che il termine «Capitolo», inteso come persona giuridica, sia una innovazione introdotta in epoca carolingia.
Anche da altri documenti posteriori si apprende che il Capitolo canonicale è indicato con vari titoli come Canonica Sancte Marie et Sancti Georgii, Schola sacerdotum de ecclesia Sancte Marie Matricularis, Canonica Sancte Dei Genitricis Virginis Marie.
I rapporti dei canonici col vescovo Raterio durante il sec. X furono piuttosto tumultuosi, ma non impedirono a quel vescovo assai colto di dimostrare la sua stima e simpatia per lo scriptorium della schola, che egli stesso frequentò e beneficò.
Dopo il Mille
Stefano «cantor» della Cattedrale durante il sec. XI, nel Carpsum (cod. XCIV), sua opera autografa, ci trasmette le usanze liturgiche della Canonica (ossia della comunità canonicale), che si svolgevano parte nel Duomo, parte nelle chiese vicine, parte nelle altre chiese. Dal Carpsum si desume che nell’ambito del Capitolo, termine più volte ricorrente nel testo, esisteva una netta distinzione tra i sacerdoti e i leviti nei confronti dei chierici «inferioris ordinis». Il clero minore conduceva una completa vita comune, mentre il clero maggiore aveva un’abitazione propria e percepiva una porzione delle rendite della Canonica per vivere privatamente.
I chierici «maiores» (presbiteri e diaconi) furono detti anche «ordinarii», fino al secolo X. Il termine «cardinalis» non si riferisce, almeno nel Carpsum, ai canonici, ma sembra indicare gli arcipreti delle pievi cittadine, le quali pure erano chiamate «cardinales» dal 908 in poi, per distinguerle da quelle dipendenti dal Capitolo o dai monasteri.
Verso la fine del XIII secolo la liturgia subisce una specie di cristallizzazione favorita dall’opera dei frati minori. Le sette ore dell’ufficio sono raggruppate in due o tre momenti della giornata; sono quasi sempre recitate, non più cantate e all’officiatura canonicale sono tenuti solamente coloro che godono un beneficio.
Anche a Verona l’attività liturgica non indulge a innovazioni rilevanti e tende invece a una rigida conservazione, come sembra dimostrare un documento dell’Archivio capitolare dell’11 giugno 1226.
La liturgia ufficiale diventa sempre più appannaggio di pochi addetti: il clero della Cattedrale. I canonici per salvare un minimo di vita comune, segnata quasi unicamente dalla frequenza nel coro, sentono la necessità di una disciplina espressa dalle costituzioni.
Il Capitolo canonicale in questo tempo, forse perché composto molto spesso da elementi di provenienza esterna, è preoccupato di gestire la sua struttura.
Parte del patrimonio ecclesiastico, quella non legata alla «comuni canipa» (specie di cassa comune) col passare del tempo venne frazionata in prebende e benefici secondo un regolamento sancito pure dalle costituzioni.
Dai documenti del IX secolo si constata che i beni del Capitolo erano amministrati dall’arciprete e dall’arcidiacono e forse erano destinati ai chierici maggiori (cioè ai canonici), mentre i beni del clero minore erano amministrati dal praepositus.
Le due autorità più importanti, l’arciprete e l’arcidiacono, sono designati anche con il titolo di custodes et rectores della schola.
A quanto si deduce dal Carpsum, il canonico cantor era una dignità, il cerimoniere autorevole della schola, mentre ricadeva sul magister dei «clerici de secretario», cioè i chierici minori, il compito di far eseguire diligentemente le rubriche con l’esecuzione accurata (studere cuncta) di tutto l’ufficio nei giorni non festivi durante l’ottava di Natale, di Pasqua e nel periodo fino all’ Ascensione.
Col passare del tempo la vita comunitaria canonicale lentamente veniva meno per vari motivi. Era tuttavia tenuto in considerazione l’obbligo principale del Capitolo, legato all’officiatura corale quotidiana. Per garantirne maggiore efficienza e solennità il 7 novembre 1225 i canonici veronesi ottennero da papa Onorio III la nomina di altri quattro sacerdoti, detti mansionari, uno dei quali aveva l’obbligo specifico di animare il canto.
Le costituzioni
Fin dai tempi antichi il Capitolo si preoccupò di disciplinare la propria vita interna e i rapporti con gli altri enti ecclesiastici e laici per mezzo di regole che vanno sotto il nome di costituzioni.
Le più antiche a noi pervenute sono quelle pubblicate nel 1303 da Paolo da Reggio, arciprete del Capitolo, e contenute nel cod. DCCLXV.
È facile intuire che questa raccolta di costituzioni rifletta consuetudini e regolamenti più antichi riguardanti la presenza al coro e le corrispondenti distribuzioni, il compito della residenza, la permuta delle prebende e il giuramento dei canonici.
Giurisdizione dei canonici
Con l’autonomia giuridica ottenuta nell’813 dal vescovo Ratoldo il Capitolo veronese si era costituito in ente morale dotato di abitazioni, di ambienti per lo scriptorium, per la formazione del clero e per l’amministrazione, e di una chiesa per le ufficiature proprie. In questo modo venne a formarsi una specie di diarchia, una diocesi nella diocesi. Il Capitolo pretese che anche le chiese in città e fuori città, sulle quali esercitava qualche diritto, fossero sottratte alla giurisdizione del Vescovo. I canonici lungo i secoli esercitarono la loro giurisdizione sulle seguenti chiese:
In città:
Collegiata di San Giorgio detta anche di Sant’Elena
Chiesa arcipretale di San Giovanni in Valle detta anche di San Giovanni Battista ad Portam Organi
Chiesa arcipretale di San Paolo in Campomarzio con l’ospedale di San Giacomo di Galizia
Chiesa dei Santi Pietro e Paolo nell’ospedale della Misericordia
San Giovanni in Sacco
San Pietro in Castello
San Faustino e Giovita di Mondragone con l’oratorio dell’ Algarotti
San Giovanni in Fonte
Chiesa dell’ospedale della Pietà
Santa Maria Consolatrice
San Clemente con l’oratorio di San Biagio
Santa Cecilia
San Fermo e Rustico di Cort’alta detto anche in Capella San Paolo Eremita detto anche San Paolo
Vecchio Ospedale di Santa Maria Novella
San Pietro Incarnario
Sant’Eufemia
Sant’ Andrea
San Zeno
San Procolo
Fuori città:
San Michele in Campagna detta anche in Flexio con l’annesso Monastero
Chiesa di San Pancrazio
San Leonardo in Montedonico
San Giovanni Battista di Quinzano con la chiesa di Sant’ Alessandro, San Valentino e di San Rocco
Ognissanti di Marzana
San Faustino e Giovita
San Michele di Calmasino
Santa Maria di Ossenigo
Santa Maria di Cinto Padovano
San Paolo a Prun
San Cassiano con Sant’ Ambrogio di Casale Alto
Santa Maria di Turano
San Prosdocimo
Ognissanti di Novare
San Giorgio in Salici
San Felice di Arzaré di Valpantena
San Vito e Floriano con Monastero a Lusia
San Faustino a Lazise
Santa Maria di Ronco
Cerea
Riconoscimenti ufficiali
La giurisdizione del Capitolo canonicale era innanzitutto di carattere spirituale, ma anche civile e criminale, con tribunali propri e atti giudiziari, come è testimoniato dagli undici mila documenti dell’archivio pergamenaceo e da più di un migliaio di faldoni dell’archivio cartaceo.
Transazione con i vescovi di Verona e cessazione dell’autonomia del Capitolo canonicale
I privilegi concessi da Ratoldo ai canonici veronesi avevano creato un’autonomia economica e giurisdizionale, di cui i beneficiari furono sempre strenui difensori. Era inevitabile che lungo i secoli si determinassero situazioni di tensione con l’Ordinario del luogo.
Gli attriti più gravi si composero con compromessi e transazioni, tra cui ricordiamo quella del vescovo Pietro della Scala nel 1376, di Mons. Gianmatteo Giberti nel 1530, del cardo Agostino Valier nel 1597 e dei vescovi Marco Giustiniani nel 1634 e Sebastiano Pisani nel 1654.
Erano ormai maturi i tempi per riportare ordine nei rapporti tra il vescovo e coloro che agli albori della chiesa erano i suoi primi collaboratori. La soluzione definitiva dell’annosa controversia venne l’11 maggio 1756, quando Benedetto XIV con la bolla Regis Pacifici ripristinò l’autorità del vescovo di Verona sul Capitolo canonicale.
Opere e istituzioni realizzate dal Capitolo canonicale
Durante la sua storia ultramillenaria il Capitolo veronese ha svolto la sua attività in opere e istituzioni che hanno la loro espressione più completa e significativa soprattutto nella celebre Biblioteca Capitolare, nell’annesso Museo-Pinacoteca e anche nella Scuola degli Accoliti.
Quest’ultima, che aveva iniziato a esistere verso la metà del secolo XV, è cessata durante i primi decenni di questo secolo.
I documenti della Scuola degli Accoliti sono confluiti nella Biblioteca Capitolare, che, come l’Archivio e il Museo-Pinacoteca, mantiene tutt’ora una intensa attività culturale non solo a dimensioni locali, ma anche europee e internazionali.
Uomini illustri del Capitolo veronese
Le istituzioni culturali realizzate dal Capitolo canonicale sottintendono evidentemente la presenza di uomini intellettualmente dotati e spiritualmente preparati, che le hanno promosse e sostenute.
Diamo un elenco sommario dei canonici più illustri, suddividendoli per categorie, secondo l’ufficio che ricoprivano.
Canonici vescovi
Arcidiacono Audone o Aldone, vescovo di Verona
Notkerio, vescovo di Verona
Arcidiacono Lamberto, vescovo di Vicenza
Bilongo, vescovo di Verona
Cadalo, vicedomino di Verona, antipapa col nome di Onorio II, vescovo di Parma
Arciprete Riprando, vescovo di Verona
Cardinale Adelardo Cataneo, vescovo di Verona
Norandino, vescovo di Verona
Manfredo Scaligero, vescovo di Verona
Giacomo, conte di Braganza, vescovo di Verona
Guido Scaligero, vescovo di Verona
Arciprete Bonincontro, vescovo di Verona
Arciprete Gregorio di Montelongo, arcivescovo Sipontino
Cardinale Pietro Colonna, arciprete
Cardinale Annibaldo da Ceccano, arcivescovo
Pietro Scaligero, vescovo di Verona
Marchese Gabriele Malaspina, vescovo di Luni e Sarzana
Cardinale Landolfo Maramauro
Arciprete Melchior Bevilacqua, arcivescovo di Palermo
Giovanni De Surdis piacentino, vescovo di Vicenza
Cardinale Lucido de Conti
Cardinale Gabriele Condulmer, papa Eugenio IV
Arciprete Gilberto Nichesola, vescovo di San Leone in Calabria
Cardinale Giovanni Michiel, vescovo di Verona
Valerio Nichesola, vescovo di Belluno
Marco Mariperto, vescovo di Curzola
Cardinale Bernardino Maffei
Celso Pacius bolognese, canonico veronese referendario, vescovo Castrense
Bartolomeo Cartolari, vescovo di Chioggia
Marco Antonio, conte Verità, vescovo di Auxer
Bartolomeo Giera, vicario capitolare, vescovo di Feltre
Arcidiacono Marco Antonio Lombardo, vescovo di Crema
Gualfardo conte Ridolfi, vicario generale e capitolare, cavaliere della Corona Ferrea, vescovo di Rimini
Cardinale marchese Luigi Canossa, vescovo di Verona
Giordano Corsini, vescovo di Guastalla
Cardinale Bartolomeo Bacilieri, vescovo di Verona
Giuseppe Venturi, vescovo di Cagli e Pergola e poi arcivescovo di Chieti
Giuseppe Lenotti, vescovo di Bova e poi arcivescovo di Foggia
Sennen Corrà, vescovo di Chioggia e poi di Pordenone
Andrea Veggio, vescovo titolare di Velia e Ausiliare a Verona.
Canonici bibliotecari
Guglielmo da Monzambano
Giampaolo Dionisi
Agostino Rezzani
Cozza Cozzio
Carlo Carinelli
Giuseppe Bianchini
Francesco Muselli
Giuseppe Muselli
Giangiacomo Dionisi
Gian Battista Giuliari 1856-1892
Paola Vignola 1892-1894
Don Antonio Spagnolo, superiore dell’Istituto Don Mazza (b) 1894-1916
Mons. Giuseppe Zamboni 1916-1922
Mons. Giuseppe Turrini 1922-1969
Mons. Guido Santini 1969-1972
Mons. Alfeo Perobelli 1972-1979
Mons. Mario Peruzzi 1979-1983
Mons. Alberto Piazzi 1983
Altri canonici celebri
Pacifico
Stefano Cantore
Paolo da Reggio
Giovanni de Matociis detto il Mansionario
Bonifacio da Cellore
Adamo Fumano
Pier Francesco Zini
Cesare Nichesola
A conclusione di questo breve itinerario storico ci sembra di poter sottoscrivere ciò che affermò Benedetto VII a riguardo del Capitolo veronese definendolo «honestum magis quam opulentum inter coetera Italiae nobiliora capitula insigne».
FONTE: (da “IL CAPITOLO CANONICALE DELLA CATTEDRALE DI VERONA – storia – statuto – regolamento” – Verona 1991)