- I) LA NOSTRA AETATE
La più sconcertante e plateale rivolta alla dottrina tradizionale cattolica, il più incredibile e scandaloso accredito ad ogni falsa religione è contenuto nella dichiarazione conciliare sulle relazioni della Chiesa Cattolica con le religioni non cristiane: la “Nostra Aetate”. E’ un manifesto di resa incondizionata di autenticarsi come unica vera religione di fronte a tutte le altre al mondo, considerate anch’esse portatrici di salvezza, per quel raggio di verità che ciascuna porterebbe in sé. Una resa non imposta, ma volontaria, da autoflagellanti e perciò stesso ancora più grave.
Lo schema è sempre lo stesso, originato da quell’assunto buonista che considera ciò che unisce, e trascura ciò che divide. Si cerca il positivo che indubbiamente può esistere in ogni religione, e ciò sarebbe motivo di rispetto e considerazione da parte della Chiesa Cattolica la quale “non rigetta di quanto è vero e santo in (ogni) religione” perché “riflette un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini” (Nostra Aetate,2).
Considerare pertanto questo raggio di verità, va bene, ma ne consegue l’impegno di coltivarlo al fine di una crescita che abbia come traguardo la conversione dell’infedele al cristianesimo.
Ma il Concilio non fa menzione di conversione; soltanto auspica che “essi (cioè i fedeli cattolici, ndr) riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio culturali che si trovano in essi (cioè nei credenti di altre religioni. ndr)”. Sembra chiaro tuttavia, che il Concilio parli non tanto ai fedeli cattolici quanto agli infedeli, verso i quali getta un ponte, tende la mano in atto di blandire, adulare e stimolare in loro un moto di avvicinamento per potersi incontrare e dialogare.
Come conciliare allora queste affermazioni di stima verso tutte le religioni non cristiane quasi a garantire la salvezza eterna per tutti, in forza di quel raggio di verità che sussisterebbe in ognuna di esse, con l’affermazione della ‘Lumen Gentium’ 14, per cui “Non possono salvarsi quegli uomini i quali pur non ignorando che la Chiesa Cattolica è stata da Dio per mezzo di Gesù Cristo fondata come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare”?
Questo è il dramma, e questo è il vicolo cieco nel quale si è inoltrata la Chiesa Cattolica! Se si vuole portare gli uomini a Cristo (ed è questo il comando di Gesù) non ci si può limitare al riconoscimento di eventuali valori condivisi (altrettanti e molti di più non possono essere condivisi), né al dialogo, che diventa inutile e falso qualora escluda i grandi temi esistenziali e teologici, eludendo il fine ultimo che, per il cattolico, è la conversione dell’infedele.
In questo documento si parla delle religioni non cristiane in modo apertamente elogiativo, da pensare che ogni credo costituisca un rigagnolo confluente nel mare della salvezza. Riconoscimento dunque dell’implicita bontà di ogni religione, affiorante nel mare magnum degli errori (che sono tali ovviamente se visti dagli occhi di un cattolico). Logica conseguenza del principio della libertà religiosa, consacrato nella dichiarazione conciliare “Dignitatis Humanae” ove invero si parla solo di diritti, tra cui quello di essere salvati. Ma sappiamo bene che ogni uomo ha pure dei doveri .
Secondo il concetto cattolico l’uomo che ha il dovere morale di ricercare la verità, non ha peraltro il diritto di coltivare false religioni. Come si conciliano questi due concetti? L’uomo che cerca la verità aderisce a un desiderio imperioso che lo rende come schiavo finché non avrà raggiunto la mèta che sarà liberatoria. D’altro canto un uomo che cerca in tutti i modi di essere fedele al credo in cui è nato e vive (si tratta della quasi totalità delle persone), non si pone in nessun modo alla ricerca di una verità che sia al di fuori del suo credo, e in tal caso usufruisce della libertà religiosa enunciata nella “Dignitatis Humanae” contravvenendo però all’altra enunciazione dello stesso documento che impone come dovere (quindi limita la libertà) la ricerca della verità.
“Non esiste, propriamente parlando, un diritto di diffusione dell’errore; esiste solo un diritto di chi è attualmente nell’errore, di arrivare attraverso la via della convinzione, alla verità”. (G.B.Guzzetti:”L’uomo e gli altri uomini” 1958. p.III, cp.II,N°2,III).
Il documento passa poi in rassegna le maggiori religioni del mondo soffermandosi sull’Induismo, nel quale, secondo il Concilio “Gli uomini scrutano il mistero divino”(…) e “cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza”(Nae,2).
Non ci vedo differenza da quelle esortazioni alla meditazione profonda, al rifugio in Dio nelle tribolazioni della vita, all’amore e alla confidenza in Dio, che facevano un tempo i buoni parroci dei villaggi. Vien da chiedersi allora: dove sta la differenza con il cristianesimo.
Si parla di Buddismo, che “Insegna una via per la quale gli uomini con cuore devoto e confidente, son capaci di acquistare lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazione suprema, per mezzo dei propri sforzi e con l’aiuto venuto dall’alto”.
Chiunque legge queste cose, non potrà sfuggire ad una domanda: Che significa “stato di illuminazione suprema”? E l’altra: “L’aiuto venuto dall’alto” che significa? Che Dio (Quale Dio?) li conduce a questa illuminazione e a questa liberazione perfetta (salvezza eterna)? Questi aggettivi non si usano nemmeno per i nostri più grandi santi contemplativi!
“Gioverà forse ricordare, – annota C.A. Agnoli – che la prima via del Buddismo, quella originaria insegnata dal Budda, è sostanzialmente atea: Budda esclude il problema di Dio dall’orizzonte dell’uomo, nega l’anima immortale e il giudizio su di essa, e predica un’ ascetismo il cui scopo è la cessazione del ciclo delle reincarnazioni, credenza questa proveniente gli dal Bramanesimo e da lui molto confusamente conciliata con la negazione dell’anima, nel quadro di una concezione che vede nell’essere, nell’esistenza, un male cui sfuggire con ogni sforzo ed impegno, per annichilirsi nel Nirvana” (C.A.Agnoli: Concilio Vaticano II, donde viene e dove ci porta? n° 5).
“Le parole del Concilio si richiamano alla convinzione, da tanto tempo radicata nella tradizione, dell’esistenza dei cosiddetti semina Verbi (semi del Verbo) presenti in tutte le religioni. Consapevole di ciò, la Chiesa cerca di individuarli in queste grandi tradizioni dell’’Estremo Oriente, per tracciare, sullo sfondo delle necessità del mondo contemporaneo, una sorta di via comune. (…) La Chiesa si lascia guidare dalla fede che Dio Creatore vuole salvare tutti in Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini, poiché ha redento tutti. Il Mistero pasquale è ugualmente aperto a tutti gli uomini e, in esso, a tutti è aperta anche la strada verso la salvezza eterna”. (…) In un altro passo il Concilio dirà che lo Spirito Santo opera efficacemente anche fuori dell’organismo visibile della Chiesa” (cfr Lg,13) ed opera proprio in base a questi “semina Verbi, esistenti in tutte le religioni del mondo. (Giovanni Paolo II: “Varcare la soglia della speranza”,13).
Qui il Papa, meglio che nel testo conciliare spiega la dinamica sottesa nel teorema massonico di addivenire alla costituzione di un’unica religione universale coinvolgendo e inglobando tutte le religioni esistenti con diritti e doveri parificati. Ovviamente la religione Cattolica dovrà rinunciare alla velleità di unica religione vera e rivelata, poiché tutte le religioni in base a questi semina Verbi, costituiscono, secondo Giovanni Paolo II, “quasi una comune radice soteriologica” (= dottrina che riguarda la salvezza).
Secondo il Concilio Vaticano II “il cattolicesimo rappresenta la pienezza della religione, o, per esprimerci in termini scolastici, il 10 lode, ma anche le altre dottrine sono in grado di offrire il 6, il 7, l’8, il 9, la sufficienza insomma, o addirittura l’abbondanza di quella vita religiosa (C.A. Agnoli, Concilio Vaticano II, donde viene e dove ci porta? Cap.3).
Tutto ciò è in contrasto con quanto stabilisce il Concilio Lateranense IV, e cioè che la Chiesa di Cristo è una sola, e fuori di questa nessuno può salvarsi. Nel Credo recitiamo: ”Credo la Chiesa UNA, santa, cattolica e apostolica”, quella fondata da Gesù Cristo il quale ha detto, senza tanti fronzoli “Chi non è con me è contro di me” (Mt.12,30) e, senza enumerare le altre autorevoli sentenze, per chiudere il discorso citiamo San Paolo: “Vi è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Non esiste che un solo Dio e Padre di tutti, il quale è al di sopra di tutti opera in tutti ed è in tutti” (Ef.4,5-6).
Purtroppo riaffiora qui quella triste, inopportuna e ambigua parola che sono riusciti ad inserire nei documenti conciliari i revisionisti della nuova teologia, quel sussiste che è la chiave della porta attraverso la quale transita la salvezza anche dei seguaci di queste religioni ancestrali. (cfr “Dignitatis Humanae”,1).
Un riguardo particolare è riservato agli ebrei che sarebbero i nostri fratelli maggiori (ma non è sempre stato detto che sono quelli che si sono rifiutati di credere che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, il Messia tanto atteso da millenni e vaticinato nell’Antico Testamento? Per cui meglio sarebbe a dire che sono fratellastri dissipatori, irriconoscenti e ostinati?).
Il documento “Nostra Aetate” si produce in una serie di frasi adulatorie scagionando il popolo ebreo dalla responsabilità dell’uccisione di Gesù, attribuendola ad un manipolo di fanatici integralisti; eludendo il vero problema, cioè quello del rifiuto di riconoscere Gesù come il Figlio di Dio da parte degli ebrei di tutti i tempi, esclusi i convertiti.
“La fede degli israeliti prima della venuta di Cristo (…) era certamente verso un Dio unico. Ebbero anche presentimenti della vita Trinitaria di Dio, che non rifiutarono; perciò il Dio dei Giudei dell’Antico Testamento è evidentemente il nostro (…), ma la fede degli ebrei, dopo la venuta, la vita e la morte di Cristo, invece, cade sotto la sentenza di San Giovanni: ‘Chi nega il Figlio non ha neppure il Padre” (Gv. 2-23). (L.Villa: ‘Cristiani, musulmani, ebrei, hanno lo stesso Dio? NO!’cap.IV p.58)”.
Se vogliamo, è Gesù stesso che li condanna negando che la loro venerazione sia rivolta al vero, unico Dio, quando dice: “Se Dio fosse vostro Padre, amereste anche me, perché io procedetti e venni da Dio; non sono, infatti, venuto da me, ma Egli mi ha inviato. Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete ascoltare la mia parola! Voi avete per padre il diavolo e volete soddisfare i desideri del padre vostro (…) Chi è da Dio ascolta le parole di Dio; ecco perché voi non le ascoltate: perché non siete da Dio!” (Gv.8,42-47).
Non sono meno duri gli altri Apostoli. San Pietro; “Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele, che Dio ha costituito Signore e Cristo questo Gesù, che voi avete crocifisso” (Atti,2-36). E ancora San Giovanni: “Chi è bugiardo se non chi nega che Gesù sia il Cristo?…Questi è l’anticristo; colui che nega il Padre e il Figlio. Chiunque nega il Figlio non ha neppure il Padre; chi confessa il Figlio, ha pure il Padre” (Gv. I, 22-23).
Quando dicono che adoriamo lo stesso Dio, vogliono nascondere la verità: viene estrapolato Gesù Cristo con lo Spirito Santo, ritornando al Dio primordiale, ispirato da un primitivo e universale sentimento religioso albergante in tutti gli uomini . Affermando di adorare tutti lo stesso Dio si rinnega la fede cristiana in Gesù Cristo, unico vero Dio in unione con il Padre e lo Spirito Santo, cioè il Dio uno e trino in cui soltanto noi cristiani crediamo.
“Ma non soltanto chiamiamo Dio PADRE, ma aggiungiamo pure PADRE NOSTRO; Padre cioè di tutti i credenti, di quelli che, da Lui santificati e rigenerati con la nuova nascita spirituale della grazia cominciarono ad essere figli di Dio. Questa parola è una condanna e un colpo mortale per i Giudei i quali non solo rinnegarono perfidamente, ma con ogni crudeltà assassinarono il Cristo, preannunziato ad essi dai Profeti e venuto per prima in mezzo a loro; essi non possono chiamare PADRE Iddio, giacché sono stati svergognati e maledetti dal Signore con queste parole: ‘Voi avete per padre il diavolo, e volete soddisfare i desideri del padre vostro. Il quale era omicida fin da principio e non perseverò nella verità perché la verità non è in lui’ (Gv.8,44). E ancora con indignazione il Signore dice per bocca di Isaia: ‘Ho generato ed allevato dei figli; ma questi mi hanno disprezzato. Il bue riconobbe il suo padrone, l’asino la mangiatoia del suo padrone, ma il popolo d’Israele non mi ha riconosciuto, non mi ha compreso! Guai a te o nazione peccatrice, popolo colmo di peccati, razza malvagia, figli scellerati. Voi avete abbandonato il Signore e avete fatto indignare Lui, Santo d’Israele’. (Is, 2-4). Perciò quando nella preghiera diciamo ‘Padre nostro’ diciamo questo a condanna degli ebrei, perché quando incominciò ad essere Padre di noi cristiani, cessò di essere Padre degli ebrei che lo abbandonarono”. (San Cipriano “De oratione Dominica”,10)
E’ vero che la causa della Passione e morte di Cristo sono stati i peccati di tutti gli uomini, ma, come tutti gli uomini portano la conseguenza del peccato originale, allo stesso modo gli ebrei che non hanno riconosciuto Cristo si portano la sua condanna. “Mosè ed Aronne caddero con la faccia per terra e dissero: ’O fortissimo Dio dell’anime di tutti i viventi, forse l’ira tua per il peccato d’uno si sfogherà contro tutti? (…) ‘Tutto Israele che stava attorno, alle grida di quei che perivano, si dette alla fuga dicendo: ‘Che la terra non inghiottisca anche noi’. Ma un fuoco mandato dal Signore uccise i duecentocinquanta uomini che offerivan l’incenso” (Nm- 16,22-35).
Dal che si deduce che Dio punisce non solo i capi, ma anche chi li segue. I capi ebrei hanno rifiutato Cristo; di questo sono colpevoli, oltre che della Sua morte, e di ciò sono egualmente colpevoli tutti coloro che fino ad oggi li hanno seguiti.
“ Per questo dunque i Giudei cercavano più che mai di ucciderlo, perché non solo violava il sabato, ma diceva ancora che Dio era Suo Padre, facendosi uguale a Dio” (Gv.5,18). “Inoltre il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio, affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato. In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede in Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non viene alla condanna, ma è passato da morte a vita” (Gv.5,22-24).
Cosa c’è allora in comune tra il nostro Dio (Padre in così stretta unione con il Figlio, Egli stesso Dio, e lo Spirito Santo Dio) e il dio degli ebrei che hanno respinto la rivelazione di Cristo? Il dio ebraico e quello musulmano possono magari in qualche modo identificarsi, ma non lo possono col Dio cristiano! Ciononostante è frequente sentir dire anche da notevoli autorità ecclesiastiche cattoliche che le tre religioni abramitiche e monoteiste adorano lo stesso Dio chiamato con differenti nomi. In un testo di catechismo che porta il nulla osta della CEI vi è scritto: “Tante religioni, un unico Dio”. (Sodalitium, luglio 2004 p.27). Ma “Il rispetto e la fraternità tra le religioni non hanno niente a che fare con il facile (e disonesto) ecumenismo del ‘in fondo, crediamo tutti in Dio’. Già , ma quale?’. Noi ‘siamo convinti che il cristianesimo è diverso, che il Dio che annuncia è davvero ‘l’assolutamente Altro’”. (Vittorio Messori, “Ipotesi su Gesù” cap.9).
A suggello di queste brevi note sul dio degli ebrei citerò l’ebreo Israel Zolli, che il 13 febbraio 1945 ricevette il battesimo cattolico assumendo il nome di Eugenio in omaggio al Papa Pio XII.
“Il suo popolo (Israele) è il mio popolo, il ceppo è comune, ma il mio Dio non è il suo Dio, cioè Iddio come lo sento io, è Iddio della pietà e del dolore, Iddio che si è rivelato al mondo, dopo Mosè e i Profeti, in Gesù Cristo. Io sento per Gesù un amore ardente e fiammeggiante e per amore di Gesù Cristo ho rinunciato al posto di Rabbino-Capo di Roma, ho declinato non senza aver ringraziato, il posto di Direttore del Collegio Rabbinico italiano e del Seminario annessovi; l’ho fatto da vecchio e sofferente” (Da “Uomini incontro a Cristo” a cura di don Giovanni Rossi.).
Quando il Concilio (NAe) dice che i musulmani “adorano l’unico Dio” vuol significare che adorano lo stesso nostro Dio, ovviamente. Ma non è così. Questo dello stesso unico Dio, è un teorema ideato dal Concilio Vaticano II per creare un ponte privilegiato anche con l’Islam facendo leva sul fatto che anch’esso si rifà al Patriarca Abramo.
Prima del Concilio l’Islam era per noi cattolici una religione quasi sconosciuta, e mai nessuno si era sognato di avanzare l’idea che vi siano delle affinità con il cristianesimo. Lo si conosceva più che altro per le battaglie storiche (Lepanto, Vienna, ecc.) che hanno bloccato le sue velleità espansionistiche. Da allora, tutto sommato l’Islam non ha più dato fastidi ed è rimasto nell’ombra fino a che il Concilio Vaticano II non lo ha riscoperto e rivalutato, rinfocolando in esso l’antica e mai sopita attitudine di fagocitare l’Europa. Non so se i Padri conciliari e tutti coloro che nel postconcilio si son dati a tessere i rapporti di dialogo con i mussulmani abbiano considerato che il cristianesimo è sempre stato per l’Islam il più grande nemico.
E non so se abbiano riflettuto sul fatto che gli islamici non si pongono nemmeno il problema se noi o gli ebrei adoriamo lo stesso loro Dio: il loro Dio che noi (non loro!) consideriamo come il nostro, lo impongono non con la persuasione, ma con la forza.
I mussulmani sono duri a convertirsi anche perché se lo fanno, sanno di rimetterci la pelle, tuttavia accettano il dialogo proposto dai cattolici. Ma è un dialogo fatto di buone maniere, di visite di Papi e Cardinali alle moschee ma non mai ricambiati, perché un mussulmano non metterà mai piede in una chiesa cristiana.
Del resto la Chiesa Cattolica ha rinunciato a convertire chicchessia, e tantomeno si pone il problema per gli islamici: l’importante è dialogare (Il mito del secolo!) e stare molto attenti a non urtare la loro suscettibilità perché possono scatenare enormi masse di fanatici pronti a bruciare anche la Basilica di San Pietro a Roma e con essa tutta l’Europa (un tempo) cristiana.
Cos’è che divide la religione cristiana da quella mussulmana?
Il documento conciliare non parla in questo modo, ma rileva soltanto alcuni supposti dati positivi (Come se considerare Gesù un Profeta fosse un dato positivo!). Nonostante gli sforzi ecumenici, dobbiamo dire che l’Islam non ha nulla in comune con il cristianesimo. Basti pensare che ci considerano politeisti per via della SS. Trinità. Ma “La Chiesa guarda (…) con stima i mussulmani che adorano l’unico Dio vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente creatore del cielo e della terra che ha parlato agli uomini” (N.Ae, 3).
Questo Dio, con tali attributi, ovviamente non può non essere che quello dei cristiani (Lasciando da parte la Trinità, questione marginale, a quanto pare).
Ma invece “Il Dio dei cristiani è assolutamente trinitario, e non può pareggiarsi al Dio uno e abissale dell’Islam” (R. Amerio: ”Jota unum”).
Ciò è attestato pure dal Prof. Muhammad Hamidullah, Rettore dell’Università “Ain-Shamns” del Cairo: “La Trinità è il più importante dei punti di divergenza tra le due religioni. Ogni tentativo di forzare i testi per un avvicinamento è, per me, votato all’insuccesso… Per cui dire ai mussulmani che essi adorano lo stesso Dio dei cristiani, non è esatto, perché il Dio cristiano è trinitario, e un mussulmano, non adora come Dio, né Gesù né lo Spirito Santo”. (Cit. “Cristiani, Musulmani, ebrei, hanno lo stesso Dio? NO!” p.76).
Non vedo cosa migliore per concludere questo capitolo, che riportare la lungimirante visione di Romano Amerio che ha studiato e rilevato tutte le variazioni della Chiesa Cattolica durante e dopo il Concilio Vaticano II.
“Il grande sforzo di oggi, sforzo a cui si unisce e di cui non sarà l’ultima espressione, tutta la lettera apostolica (Tertio millennio adveniente – 11 novembre 1994), è quello di allargare i confini della religione cattolica in guisa tale che quelli che sono fuori si trovino dentro; non perché essi abbiano seguito un movimento centripeto, ma perché la Chiesa ha spostato i suoi limiti. Questo sforzo, perseguito fin dal Concilio Vaticano II e lì documentato specialmente nelle costituzioni “Lumen Gentium” e “Gaudium et Spes” e nel decreto “Unitatis Redintegratio”, e poi ancora puntualizzato in questi ultimi 30 anni da innumerevoli documenti ufficiali, libri, pubblicazioni, si conferma infine in questa lettera apostolica con le espressioni più esplicite. Queste espressioni portano ad una sostanziale identità tra umanità e popolo di Dio, storia mondana e storia della salvezza, natura e Grazia soprannaturale. (R.Amerio “Stat Veritas” – Chiosa 55 – Commento al paragrafo 56 della “Tertium Millennium Adveniente” che afferma:”Come l’evangelico granello di senapa, essa (la Chiesa) cresce fino a diventare un grande albero”).
“Oggi il mondo cattolico è tutto una trattativa col mondo non cattolico per mettersi d’accordo sul contenuto della fede. Mentre la predicazione apostolica non era mai una trattativa: era sempre una asserzione non trattata. Si può anche dire: senza dialogo. (R. Amerio “Stat Veritas”- Postilla alla 55° chiosa – VII).
“L’idea fondamentale è sempre quella: che la VERITA’ è un patrimonio comune già in atto perché la Verità risiederebbe presso tutte le genti” (“R. Amerio “Stat Veritas” – postilla alla 55° chiosa- XIX).
- L) GIUDIZI SUL CONCILIO VATICANO II
“il Vaticano II è un Concilio anomalo. L’improvviso capovolgimento della linea dottrinale cattolica, operato da un’alleanza di cardinali e vescovi tedeschi, francesi e belgi animati dai periti Rahner, Kung, De Lubac, Chenu, Kongar e dai gesuiti del Pontificio Istituto Biblico ha fatto del Vaticano II un nefasto “conciliabolo”: il Concilio dei periti neo-modernisti, che hanno ingannato la massa ignara dei padri conciliari”. – In che modo fu colpita la dottrina della Chiesa? – “non c’è verità rivelata che sia stata lasciata intatta, ad incominciare dalle due costituzioni presentate come espressioni essenziali proprie del “concilione” : la Lumen Gentium e la Gaudium et spes, con errori dogmatici (come l’espressione per cui il Corpo Mistico di Gesù Cristo sussiste nella Chiesa Cattolica, che contraddice l’identità espressa da San Paolo, cioè ‘Il Corpo di Cristo è la Chiesa) e contro il magistero perenne, infallibile della Chiesa, contraddicendo anche il Dogma ‘Fuori della Chiesa non c’è salvezza’. Per tacere poi dei documenti, palesemente erronei, Nostra Aetate (sulle religioni non cristiane), e Dignitatis Humanae (sulla libertà religiosa), errori che sono all’origine di manifestazioni eretiche e sincretiste come la giornata ecumenica di Assisi”.
Vuol dire che lo Spirito Santo non aiutò i Papi del Concilio? “L’assistenza dello Spirito Santo presuppone che da parte del Papa vi sia una corrispondenza senza riserve; se questa corrispondenza manca, l’assistenza dello Spirito Santo è puramente negativa, cioè impedisce solo che il Vicario di Cristo imponga alla Chiesa come un dogma infallibile l’errore”.
Mons. Francesco Spadafora (da un’intervista su “Ex “novo” novembre 1995/ gennaio 1997, pag.7)
“Sin dalla prima sessione (del Concilio) si vide dove le cose andavano a parare, con l’accantonamento sdegnoso di tutti gli schemi preparati. Inoltre i vescovi dissero subito che non intendevano condannare nessuno: il che significava però rinunciare al loro servizio di maestri della fede di depositari della Rivelazione divina. I vescovi non devono sostituire i teologi, che hanno un’altra funzione: l’episcopato deve dirci che cosa dobbiamo credere e che cosa dobbiamo rifiutare. (…) Poiché i vescovi non misero al primo posto la loro funzione di approvare o di condannare, i documenti del Vaticano II hanno un linguaggio più teologico che dottrinale. Addirittura, per esempio in certe pagine della “Gaudium et Spes”, c’è come un ragionare da sociologi, da giornalisti. Inoltre nei documenti ci si imbatte in tre o quattro teologie diverse. Per esempio: il primo documento, quello della liturgia, ha solo una visione misterica; l’ultimo, quello sui rapporti tra chiesa e mondo, è segnato da un certo ‘theilardismo’. Aspettiamo ancora un genio della teologia che sappia far da sintesi fra queste differenze. Dunque il Vaticano II è stato un errore? No, di certo: la Chiesa aveva bisogno di confrontarsi con la cultura del mondo, e lo Spirito Santo ha impedito che nei documenti si insinuasse l’errore; ma anche se tutto è giusto, nel Vaticano II, non è detto che tutto sia opportuno”.
Don Divo BARSOTTI
(Tratto dal libro: “una comunità e il suo fondatore. Don Divo Barsotti e la Comunità dei figli di Dio”).
Joseph Ratzinger che in qualità di teologo personale del Cardinale Frings, arcivescovo di Colonia, partecipò al Concilio, così descriveva il clima della grande assise: “Sempre più cresceva l’impressione che nella Chiesa non ci fosse nulla di stabile, che tutto può essere oggetto di revisione. Sempre più il Concilio pareva assomigliare a un grosso parlamento ecclesiastico, che poteva cambiare tutto e rivoluzionare ogni cosa a modo proprio. Evidentissima era la crescita del risentimento nei confronti di Roma e della Curia, che apparivano come il vero nemico di ogni novità e progresso. Le discussioni conciliari venivano sempre più presentate secondo lo schema partitico tipico del parlamentarismo moderno (…). Per i credenti si trattava di un fenomeno strano: a Roma i loro vescovi parevano mostrare un volto diverso da quello di casa loro. Dei pastori che fino a quel momento erano ritenuti rigidamente conservatori apparvero improvvisamente come i portavoci del progressismo. Ma era farina del loro sacco?”.
Non era infatti, come fa capire tra le righe il Card. Ratzinger, farina del loro sacco, bensì di quello dei soliti De Lubac, Congar, Rahner, Kung e compagni, chiamati come esperti al Concilio da Giovanni XXIII e da Paolo VI per impregnarlo di nuova teologia con lo scopo insensato di sperimentare nel corpo vivo della Chiesa le utopie neomoderniste ostinatamente coltivate per lunghi anni.
(Tratto da Si-si no- no, del 28, febbraio 2007 p.6)
“La Chiesa ha fatto, pacificamente, la sua rivoluzione d’ottobre”
Yves Congar
“Il Vaticano II è l’89 della Chiesa”
Card. Suenens
Fonte: da Radio Spada