Dal testo di Francesco Zanotto
… Spedito questi in Italia dall’Imperatore Giustiniano I contro Totila re Goto, minacciante Ravenna, giunto era colla sua oste a Aquileia. Senonchè trovò ivi impedimento al suo cammino, mentre il barbaro avea fatto tagliare le strade e romper gli argini de’ fiumi, i quali colle acque loro allagato aveano il territorio di Padova, e il basso di Verona e di Adria fino al Po. Quindi non rimanevagli che la via del mare, per correr la quale ebbe d’uopo ricorrere a’ Veneziani, affinchè lo fornissero di mezzi per trasportar la sua oste … ”
ANNO 639
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri
L’irruzione dei Longobardi sconvolge il territorio padano mettendo in crisi il governo bizantino che è costretto sulla difensiva. Le popolazioni non più difese cercano scampo ancora una volta nei centri abitati della laguna, ormai divenuta un territorio franco e autogestito. Nell’esodo gli abitanti di Altino si portano appresso parte dei loro beni e le reliquie dei Santi …
(4) LA SCHEDA STORICA
Le vittorie di Narsete segnarono la fine del regno dei Goti in Italia. Dopo una durissima e sanguinosa guerra i bizantini di Giustiniano avevano avuto la meglio e dal 553 si apprestavano a sostituire i Goti nell’amministrazione della penisola che entrava così a far parte integrante dell’impero d’Oriente. Ma Bisanzio si rivelerà ben presto troppo lontana e troppo impegnata nella difesa dei propri confini orientali -minacciati ora dai Persiani-, per poter contrastare efficacemente la calata in Italia di un nuovo popolo “barbarico”.
Ad appena quindici anni dalla conquista della penisola, i Bizantini infatti ripiegavano sotto l’urto dei Longobardi. Questi, nella primavera del 568 varcando le Alpi Giulie, penetrarono praticamente indisturbati nel Friuli, occupando, guidati dal loro re Alboino, Cividale.
Si racconta che sia stato lo stesso Narsete a chiamare i Longobardi che in precedenza avevano combattuto nell’esercito bizantino guidato dallo stesso generale contro i Goti. Ricompensati, erano poi stati dallo stesso Narsete frettolosamente rispediti nelle loro sedi originarie in Pannonia (all’incirca l’attuale Ungheria). All’origine di questa personale vendetta contro i Romani e la stessa Bisanzio da parte di Narsete, ci sarebbe stato un ricorso degli stessi romani presso l’imperatore bizantino contro l’anziano generale che sarebbe stato richiamato prontamente in patria. Il novantacinquenne Narsete, offeso da quello che a lui parve essere stato un affronto, si ritirò invece a Napoli e da lì avrebbe sollecitato i Longobardi a scendere in Italia. Vero o falso che sia, resta il fatto che Narsete di fronte alla calata dell’agguerrito popolo longobardo, non mosse un dito.
Dalle originarie sedi scandinave, i Longobardi si erano successivamente spostati verso sud per stanziarsi infine lungo il corso inferiore dell’Elba e da qui in Moravia. Dall’inizio del VI secolo si trovavano invece in Pannonia da dove, divenuta impossibile la coesistenza con gli Avari, mossero alla volta dell’Italia nel 568.
I Longobardi: la spinta decisiva
A spostarsi, come spesso accadeva per queste popolazioni, era un intero popolo di uomini, donne e bambini, carri e bestiame. Resta effettivamente inspiegabile come nè i Romani, nè i Bizantini non siano riusciti a fermare l’avanzata di un siffatto esercito umano che non doveva superare le 200-250 mila unità.
Effettivamente quella dei Longobardi non fu una vera e propria conquista, o per lo meno non immediata e totale, dal momento che andavano ad occupare le aree che i Bizantini progressivamente perdevano ed abbandonavano.
Dopo Cividale del Friuli caddero Aquileia, Padova e Monselice (601- 603), Verona, Milano e Pavia che divenne la nuova capitale del regno longobardo. Le successive conquiste nella Padania e nell’Emilia, costrinsero i Bizantini a ritirarsi nelle città dell’entroterra veneto che ancora restavano sotto il loro controllo: Altino, Concordia, perduta però nel 615, Oderzo, conquistata dai Longobardi nel 639, Eraclea-Cittanova, il nuovo centro della difesa e del potere bizantino in Italia, all’estremità della laguna veneta.
Ancora una volta il terrore induceva così alla fuga gli abitanti dei centri veneti per trovare rifugio nelle isole lagunari.
In particolare gli abitanti di Altino guidati dai tribuni Arro e dal figlio Arratore, riparavano nelle isole dove avevano già trovato rifugio le precedenti generazioni di Altinati. L’isola era quella di Torcello dove venne questa volta anche trasferita la sede vescovile. Oltre a Torcello, Burano, Mazzorbo, Costanziaco e Ammiana, isole che secondo la tradizione, prendevano il nome dalle porte che si aprivano nelle mura della loro città.
Un centro, Altino, antichissimo e che aveva conosciuto durante i primi secoli dell’impero romano, il suo periodo d’oro venendosi a trovare esattamente all’incrocio di due strade importantissime per i traffici commerciali: la via Claudia e la via Emilia. Ora, la nuova ondata devastatrice, costringeva gli Altinati alla fuga, abbandonando una città un tempo florida e ricchissima, ora devastata ed orribilmente saccheggiata e destinata ad un rapido e triste declino.
Al tempo dell’invasione longobarda, intanto, le principali isole della laguna erano già state in gran parte abitate o per lo meno esplorate. La nuova ondata di profughi, sicuramente la più significativa sino ad allora verificatasi, andava così ad aggiungersi alle popolazioni già da qualche generazione trapiantate nelle isole. L’arrivo di questi nuovi fuggiaschi tuttavia, non era sempre ben tollerato da questi più “antichi” abitatori. Esso significava spesso la rottura o comunque la messa in crisi di delicati equilibri economici e sociali di un’intera organizzazione che doveva così venir nuovamente ridefinita.
Pare anzi, che fu proprio solo a seguito dell’invasione longobarda che si iniziò a pensare al trasferimento nelle isole anche delle strutture ed istituzioni politiche ed ecclesiastiche della terraferma, cosa che in precedenza non si era verificato, restando ancora i centri dell’entroterra il vero ed unico punto di riferimento.
Approdati nell’isola, gli Altinati fuggiaschi diedero così, subito inizio alla costruzione di una nuova cattedrale. L’epigrafe scoperta nell’attuale basilica dice che su ordine dell’esarca ravennate Isacio, fu edificata una chiesa sul terreno del magister militum Maurizio, chiesa che venne dedicata alla Teotokos (Maria, madre di Dio). L’iscrizione è di per sè indicativa, confermando non solo la data dell’arrivo degli esuli – 639 – che infatti riporta, ma anche il fatto che la zona rientrava pienamente per quella data nella sfera d’influenza esarcale e quindi bizantina.
Dovevano passare ancora molti anni prima che nelle isole si potesse pensare e realizzare una vera autonomia politica e religiosa da Bisanzio che trovava nelle isole e nei centri dell’immediato entroterra veneto, l’ultimo baluardo contro il dilagare dell’esercito e del popolo longobardi.
Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA, volume 1, SCRIPTA EDIZIONI
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